il prodotto della distillazione del vino (solo molto più tardi gli verrà attribuito
il nome di alcool, che originariamente, nell'alchimia araba, designava un derivato dell'antimonio). La
produzione dell'acqua ardente è testimoniata in opere di medici e chirurghi della seconda metà del
Duecento, anche se la tecnica della distillazione applicata ad altre sostanze era nota
precedentemente (oli combustibili fin dall'età ellenistica, acqua di rose nel XII secolo). La
differenza fondamentale fra acqua ardente e quintessenza alchemica consiste nel fatto che
quest'ultima veniva prodotta ripetendo per un numero di volte anche molto alto la 'circolazione'
(cioè la distillazione in un vaso ermeticamente chiuso) dell'ultimo prodotto del raffinamento del vino
(l'acqua ardente, appunto); mentre nelle fasi della distillazione vera e propria l'ottenimento del
distillato comporta uno scarto, e dunque una perdita in termini di peso della sostanza di partenza,
che diminuisce ad ogni ripetizione della distillazione fino ad essere impercettibile, nella 'circolazione'
non si ha ulteriore perdita di materia ma l'intero contenuto dell'alambicco 'si trasforma' in
quintessenza.
il recipiente più caratteristico dell'alchimia, ma anche della farmacologia
distillatoria. E' formato da una parte inferiore, dove si pone la sostanza da distillare e che sta a
contatto col fuoco, e una superiore (cappello) nella quale si condensa il distillato. Gli alambicchi
per la distillazione dell'acqua ardente hanno un tubo d'uscita che serve a convogliare il prodotto in
un vaso di raccolta; gli alambicchi per la 'circolazione' alchemica sono fatti in modo tale che il tubo
rientra nel vaso stesso (pellicano), in modo da permettere la continua ripetizione del processo.
vaso a forma di tronco di cono che, posto sopra una cucurbita (vaso a forma globulare
e a bocca larga) veniva utilizzato per la sublimazione dei metalli.
forno a fuoco diretto, in cui l'intensità del fuoco poteva essere variata mediante la
regolazione dei fornelli. I vasi con le sostanze potevano essere posti direttamente a contatto col
fuoco, ma più di frequente ricevevano il calore indirettamente, stando immersi nell'acqua (bagno-
maria) o nella sabbia (bagno di sabbia). Altre forme di somministrazione del calore erano la
esposizione del vaso ermeticamente chiuso al sole intenso, oppure al calore della fermentazione di
sostanze organiche.
è il risultato del rapporto degli elementi nei corpi misti. Secondo una dottrina
derivata da Avicenna, la complessione perfetta è quella in cui i quattro elementi sono in rapporto
uguale fra loro, mentre ogni prevalenza si traduce in uno squilibrio (p. es. nel corpo umano una
malattia) che dà luogo alla corruzione della sostanza. Gli alchimisti si servirono di questo schema
per pensare in termini filosofici l'elixir come un corpo dalla complessione elementare perfetta,
dunque incorruttibile.
è una delle tecniche per saggiare l'oro note agli alchimisti, che si pratica
separando la parte più pesante da quelle più leggere di un minerale o di un amalgama.
idea di origine probabilmente stoica (pneuma) presente in alcuni testi della
tradizione alchemica araba e poi nei testi latini che collocano l'alchimia in un contesto
cosmologico. I corpi materiali, composti dagli elementi, sono il prodotto di un nucleo non
immateriale, ma fatto della materia prima della creazione, che è la matrice di ciascuno dei quattro
elementi e che può essere ri-prodotta a partire dalla dissoluzione dei vincoli del misto e dal
raffinamento dei costituenti elementari (quintessenza).
terra, acqua, aria, fuoco sono i quattro elementi della cosmologia empedoclea accolti sia nella medicina che nella filosofia greca, ad indicare i componenti di base della realtà materiale
caratterizzata da generazione e corruzione. Nel cosmo aristotelico costituiscono le quattro sfere
più interne, mentre le sfere dei cieli sono formate da un quinto elemento, l'etere, non soggetto a
corruzione. Nelle cosmologie alchemiche, dalla Turba philosophorum ai testi latini del XIV
secolo, gli stessi elementi sono considerati come il frutto del differenziarsi di una materia/energia
originaria che permane come quintessenza al loro interno.
è l'aggentivo che indica il carattere peculiare del prodotto degli alchimisti (la pietra
f., l'elixir), sottolineandone insieme la vicinanza e la differenza rispetto a ciò che più
tradizionalmente si intende con 'filosofia', 'filosofico'. Il termine è usato soprattutto nella
tradizione ermetica post-medievale.
termine coniato da H. Corbin ('imaginale') per indicare l'ambito 'sottile', il medio
che unisce corpo e spirito, identificato con l'ambito di azione del prodotto alchemico (il piano
quintessenziale o 'sottile').
termine utilizzato da C.G. Jung per indicare il processo di integrazione della
personalità umana nel corso della vita. Tale processo è esemplato, in Psicologia e alchimia, su
quello alchemico, le cui operazioni vengono viste come una sorta di modello archetipico del lavoro
psichico il cui esito, l'individuazione appunto, ha come simbolo l'elixir o lapis philosophorum. Un
altro modello archetipico dell'individuazione è quello religioso, con la figura dell'anthropos/Cristo:
in questa doppia analogia risiede, per Jung, la possibilità di interpretare l'alchimia in termini
spirituali.
passaggio da uno status personale ad un altro, che si compie attraverso un rituale
usualmente implicante una morte simbolica ed una rinascita. Nell'alchimia l'iniziazione avviene ad
opera dell'insegnamento di un maestro, o mediante un'illuminazione vissuta come rivelazione
divina, che permette l'accesso del discepolo alla comprensione delle dottrine alchemiche. Il tema
dell'iniziazione acquisterà grande importanza nella tradizione alchemica ed ermetica post-
medievale (Rosacroce, massoneria, confraternite ermetiche).
il prodotto dell'opus, ma anche talvolta la materia con cui
esso ha inizio, la 'pietra filosofale' NON è, specifica Morieno, una pietra in senso letterale. Come
materia prima dell'opus è infatti una sostanza presa da uno qualsiasi dei regni naturali (l. mineralis,
l. vegetalis, l. animalis); come prodotto, è la sostanza solida e incorruttibile capace di operare la
trasmutazione dei metalli vili in oro e/o di donare incorruttibilità ai corpi viventi.
indica sia il metallo omonimo, che gli alchimisti identificarono spesso con la materia
prima di tutti i metalli per il suo carattere fluido, sia la componente freddo/umida dei metalli stessi
e delle sostanze minerali utilizzate nell'opus.
ogni sostanza composta da elementi. Nella filosofia scolastica la definizione della
forma del misto in rapporto alle forme degli elementi che lo compongono suscitò un notevole
dibattito filosofico, echi del quale si avvertono nelle pagine teoriche degli alchimisti latini.
operazione cui si sottopone il lapis o l'elixir ottenuto
attraverso l'opus, e che consiste nel proiettare (diluire) tale sostanza su una base generalmente
indicata come 'mercurio nostro', ottenendo sia un aumento quantitativo che una capacità
trasmutatoria tanto maggiore quanto più il lapis è 'moltiplicato'. Nella produzione della
quintessenza lo stesso potenziamento/raffinamento viene ottenuto attraverso la ripetizione delle
'circolazioni' (distillazione in vaso chiuso).
qualunque tipo di smembramento della sostanza su cui l'opus ha inizio: dalla
triturazione delle sostanze solide, alla riduzione in poltiglia delle sostanze organiche, alla
separazione delle componenti elementari nella distillazione. Tutti questi processi sono anche
raffigurabili nella morte, sacrificio, smembramento di personaggi allegorici nell'alchimia spirituale.
nerezza, dal colore che assumono le sostanze sottoposte al trattamento iniziale
dell'opus (mortificazione). A partire dal testo di Ibn Umail lo stadio della nigredo viene raffigurato
spesso con l'immagine del corvo, motivo che avrà larga fortuna nell'iconografia alchemica post-
medievale.
si ha quando il lapis o l'elixir viene posto a contatto con la materia che dev'essere
trasmutata o risanata (il termine è anche utilizzato in ambito psicologico, ma con diverso
significato).
dottrina di origine orientale, introdotta
nell'occidente medievale da un testo, il De retardatione accidentium senectutis, che è stato
tradizionalmente attribuito a Ruggero Bacone. Si basa sull'idea che, poiché la vita si mantiene
finché la sua 'radice' (individuata in un principio fluido/grasso detto 'humidum radicale',
paragonabile all'olio in una lampada) si conserva, è possibile mantenerla indefinitamente attraverso
l'ingestione di sostanze nutritive appropriate e/o dell'elixir o della quintessenza, che proietta la
propria incorruttibilità rendendo l'organismo immortale o, almeno, ringiovanendolo e
conservandone la complessione in equilibrio per un tempo molto lungo.
termine utilizzato per designare l'alchimia come antenata dell'attuale chimica.
Questo rapporto non è però lineare, perché la chimica ha ereditato dall'alchimia pratiche operative,
strumenti, termini, ma non la complessa visione del mondo sulla quale le dottrine alchemiche si
fondano.
dibattito sull'alchimia che si svolse nell'università medievale fra la
metà del Duecento e i primi anni del Trecento; si basava su alcune domande fondamentali (se
l'alchimia sia una dottrina veritiera o no, qual'è il rapporto fra prodotti dell'alchimia e prodotti
naturali) e ricevette risposte diverse dai vari autori (Alberto Magno, Timone Ebreo, Pietro Bono
da Ferrara), che spesso affrontarono l'argomento nell'ambito dei commenti ai Meteorologica di
Aristotele.
la trasmutazione è considerata per certi aspetti come analoga all'arte della tintura delle
stoffe (nel cui ambito, come in quello dell'oreficeria, dell'arte musiva e pittorica si erano sviluppate
conoscenze tecniche utilizzate dagli alchimisti - e viceversa), perché in essa un piccola quantità di
prodotto in forma di polvere o fluido permette l'impregnazione di una grande quantità di materia
grezza.
la materia prima secondo la cosmologia platonica del Timeo; il termine è utilizzato in alcuni testi alchemici latini per indicare la materia prima della creazione, dalla quale gli elementi ed i corpi
misti derivano e che può essere ritrovata come quintessenza a partire dalla loro dissoluzione.
oltre a designare il minerale infiammabile ancor oggi chiamato così, il termine è utilizzato nella letteratura alchemica per indicare la componente calda/secca dei metalli e dei
minerali e inoltre ('sulphur nostrum') altre sostanze urenti impiegate nell'opus.