Le virtù medicinali dell'oro, tramandate da una tradizione antichissima, erano confermate dall'autorità del
'principe dei medici', Avicenna, il cui Canone costituì, a partire dal XIII secolo, il testo di riferimento più
autorevole nell'insegnamento della medicina. Quando cominciò a diffondersi la preparazione dei vini medicinali
(infusi di vino con sostanze medicamentose) non sorprende perciò che si cominciasse a proporre la ricetta di un
vino 'aurificato', in cui cioè era stata tenuta in infusione una barretta d'oro, o foglie o limatura dello stesso metallo
prezioso: fra i primi a scriverne fu Arnaldo da Villanova, medico di sovrani e pontefici, ma anche autore -
presunto - di scritti alchemici. Questa preparazione poteva sostituire l'usanza di tenere dell'oro in bocca, o
comunque a contatto del corpo, per assorbirne appunto le virtù medicamentose, usanza che pare fosse diffusa
presso le corti, in particolare alla Curia papale, dove l'attenzione alla preservazione della salute e della
'forma fisica' aveva raggiunto punte rilevanti nella seconda metà del '200.
Appare scontato, perciò, che il passo successivo nella ricerca farmacologica, quello che vede Giovanni da
Rupescissa identificare il prodotto della distillazione del vino con l'elixir alchemico fonte di
perfezione materiale e agente del prolungamento della vita, provocasse un raffinamento anche nelle tecniche di
preparazione dell'oro medicinale. E' anzi probabile che proprio il nesso fra quintessenza ed elixir
alchemico abbia favorito l'emergere, per una affinità o prossimità di campo semantico, dell'idea di una
quintessenza dell'oro che Giovanni insegna a preparare con metodi, per la verità, non molto dissimili da quelli
attestati nella letteratura medica più tradizionale del tempo. L'oro da utilizzare dev'essere però per Giovanni
il 'lapis' prodotto alchemicamente: non quindi il metallo prezioso quale si trova in natura, ma neppure quello
ottenuto mediante l'uso di sostanze corrosive (cioè con le tecniche dell'alchimia metallurgica); c'è una scelta ben
precisa di un tipo di operatività alchemica, che collega Giovanni a Ruggero Bacone attraverso gli scritti
pseudolulliani e arnaldiani - ma il problema se sia migliore l'oro naturale o quello artificiale non sarà con ciò
definitivamente risolto. La preparazione consiste in tecniche come il surriscaldamento di barre o foglie o la
calcinazione di polvere d'oro, la sua infusione in alcol di vino e la successiva distillazione che
dev'essere iterata molte volte per 'estrarre' dall'oro le sue virtù medicinali e passarle, potenziate, al veicolo
alcolico.
Il farmaco così ottenuto era considerato una panacea; ancora di più, la sua assunzione garantiva la
preservazione del corpo dalla corruzione, e dunque dall'invecchiamento, analogamente a quanto avveniva
nell'alchimia taoista, in cui il farmaco alchemico garantiva addirittura l'immortalità materiale.