3. QUINTESSENZA

L'Alchimia dell'Elixir
L' idea che oltre ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che compongono la materia sublunare e che sono soggetti al moto di generazione e corruzione esistesse una quinta sostanza incorruttibile era contenuta nel De caelo aristotelico, ed era nota nel Medioevo anche prima che quest'opera venisse tradotta e introdotta nella cultura scolastica fra XII e XIII secolo. Tuttavia la quinta sostanza, che Aristotele aveva chiamato etere, era considerata materia dei soli corpi celesti, dei quali garantiva appunto l'incorruttibilità, sottolineandone il distacco incolmabile dal mondo sublunare. Attraverso alcuni fondamentali testi ermetici ed alchemici tradotti dall'arabo, in particolare la Tabula smaragdina e la Turba philosophorum, gli alchimisti ed i filosofi latini vennero tuttavia a conoscenza di una diversa cosmologia, forse di origine presocratica, incentrata sulla convertibilità cosmica dell'alto e del basso e su una teoria della materia che postulava l'origine della realtà come ordinamento di una sostanza corporea analoga alla yle del Timeo platonico. Tale sostanza era pensata come una massa materiale omogenea, che attraverso processi di rarefazione e condensazione aveva dato vita ai quattro elementi della tradizione empedoclea. In questo contesto ogni realtà materiale poteva venir pensata come trasformabile in qualsiasi altra, poiché l'opus alchemico permetteva di raggiungere proprio questa materia prima. Non si sa ancora chi abbia formulato l'idea della coincidenza della prima materia del cosmo con quella di una quintessenza che, a differenza di quella aristotelica, non si trova in un mondo separato da quello degli elementi ma costituisce il nucleo generativo di essi: Roberto Grossatesta verso il 1220 attribuì genericamente questa idea agli alchimisti, ma una prima elaborazione cosmologica e alchemica si trova soltanto nel Testamentum pseudolulliano, circa un secolo dopo. Sulla base di idee formulate già da Ruggero Bacone, diventava così possibile concepire l'opus alchemico come una scomposizione della realtà materiale composita che arrivava fino al ritrovamento della materia prima della creazione, non identificabile con nessuno dei quattro elementi, ma matrice di tutti e di ciascuno, poiché da essa si potevano ottenere tutti e quattro, e poteva esprimerne tutte le qualità, anche se contraddittorie tra loro: per esempio bruciare (fuoco) ed essere liquida (acqua) nello stesso tempo. Ma un' acqua ardente esisteva: era il prodotto della distillazione del vino, che aveva cominciato ad interessare gli ambienti medici occidentali almeno dalla metà del '200. Fra i primi che ne scrissero, si annoverano Taddeo Alderotti e Arnaldo da Villanova. E proprio da un ambiente vicino a quest'ultimo, sia geograficamente (Catalogna, Francia del Sud) sia ideologicamente (medici e fraticelli spirituali), provengono il già rammentato Testamentum e l'elaborazione di Giovanni da Rupescissa. Nel De consideratione quintae essentiae (1351 ca.), scritto durante un periodo di prigionia ad Avignone dovuta alle sue attività profetiche e spirituali, il francescano Giovanni da Rupescissa esalta le qualità del prodotto della distillazione del vino, identificandolo con l'elixir, sostanza incorruttibile prodotta dall'artificio umano, che dona incorruttibilità a tutto ciò con cui viene messa in contatto. Chiamandolo per la prima volta quintessenza e 'coelum nostrum' Giovanni ne esplicita il carattere di rottura con il taglio cosmologico fra cielo e terra che la fisica aristotelica e scolastica sosteneva. Inoltre egli insegna a 'fissare le nostre stelle nel nostro cielo', e cioè a distillare infusi di erbe e sostanze medicinali varie per ottenere farmaci in grado di guarire tendenzialmente tutte le malattie che possono affliggere il corpo umano. Fra queste ne propone una principale, il 'sole', che si ottiene distillando del vino in cui barrette o foglie o limatura d'oro sono state infuse: in questo modo Giovanni insegna per primo la preparazione alchemica di un farmaco che diventerà celebre e ricercatissimo per tutta l'età rinascimentale: l'oro potabile.

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di Michela Pereira
html di Francesco Di Pietro