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DEVOLUTION, ROVINA PER IL SUD. LO CONFERMA UNO STUDIO

La riforma federalista dello Stato rischia di creare seri problemi all'economia delle regioni meridionali - secondo un rapporto presentato oggi - in caso di interpretazioni non favorevoli in tema fiscale delle norme previste dalla riforma gia' approvata, ma guai ancora piu' seri possono arrivare in caso di approvazione della legge sulla devoluzione, che renderebbe insostenibili le differenze fra le regioni forti e quelle deboli del Paese. E' il risultato di una ricerca messa a punto dalla commissione regionale su federalismo fiscale e Mezzogiorno, in collaborazione con la Svimez, e illustrata oggi alla presenza del presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, che lancia l'allarme sul rischio di un'interpretazione in senso ''competitivo'' piuttosto che ''coperativo e solidale'' del modello di finanziamento degli enti territoriali definito dalla recente riforma. Una interpretazione che, permettendo alle regioni piu' ricche di utilizzare a proprio beneficio una quota maggiore delle proprie risorse, metterebbe in crisi quelle piu' povere, rischiando anche di limitare i ''livelli essenziali'' dei diritti civili e sociali garantiti dalla Costituzione. Il finanziamento degli enti locali e' legato infatti alle entrate proprie, ma anche alla compartecipazione al gettito dei tributi erariali ed alle quote di un fondo perequativo nazionale. Una volta esauriti questi fondi, per garantire i servizi di loro competenza, le Regioni dovranno utilizzare le entrate legate ai tributi locali. A questo proposito, la Commissione sottolinea quindi la necessita' di un intervento statale che definisca i livelli essenziali dell'assistenza e dei servizi garantititi, riservandosi il compito di ''promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale''. Ancora piu' grave e' l'allarme sull'eventuale approvazione della devolution, che permetterebbe alle regioni piu' forti di trattenere quote elevate delle proprie entrate tributarie, senza rendere conto a nessuno, sottraendole alla ''compartecipazione'' e quindi alla redistribuzione fra le regioni in maggiore difficolta'. Questa situazione creerebbe perticolari problemi, ad esempio, nel settore sanitario. Un'ipotesi estrema potrebbe essere, in questo caso, quella secondo la quale la Lombardia decida di trattenere a proprio vantaggio il 70% dell'Iva raccolta nel proprio territorio: le regioni meridionali, per garantire lo stesso livello di servizi, sarebbero costrette allora ad aumentare del 40% medio le prorie tasse locali. In Campania, secondo un calcolo effettuato dalla Commissione, la pressione fiscale dovrebbe aumentare cosi' del 42%, da 497.670 lire a 706.198 lire pro capite. Una serie di dati che e' stata sottolineata anche dal governatore Bassolino, che ha sottolineato l'intenzione di ''utilizzare questo rapporto per fare la nostra parte in difesa degli interessi giusti e legittimi del Mezzogiorno, ed in maniera coerente con la nostra idea di federalismo''. Per Bassolino ''siamo in presenza di una partita molto delicata ed importante, che attiene alla sanita' e piu' in generale ai conti pubblici del paese e ai rapporti fra le diverse aree territoriali. In questo senso il problema supera la classica divisione fra il centro-nord ed il Mezzogiorno, perche' se si imbocca una determinata strada le differenze e le contrapposizioni potranno riguardare anche i territori del centro Italia. Sara' quindi necessario muoversi a tutto campo''. Bassolino ha anche rilevato che, secondo lo schema attuale di federalismo fiscale, le Regioni che ''vorranno muoversi a velocita' differenziata su materie delicate, dovranno farlo d'intesa con il governo ed il Parlamento, da una parte, e con i comuni esistenti sul territorio dall'altra'' mentre ''non sara' la stessa cosa se con la devolution le Regioni potranno muoversi senza rendere conto a nessuno''. Il governatore ha quindi rilevato i positivi risultati ottenuti in tema di redistribuzione dei fondi nazionali destinati ai servizi sanitari, che ha portato ad un aumento della quota destinata alla Campania: ''abbiamo combattuto una battaglia importante - ha detto - nell'interesse nostro, ma anche dell'intero Mezzogiorno. Ed e' anche grazie a questa battaglia che nel 2001 la Regione Campania, per quello che riguarda i costi della sanita', e' stata in una posizione meno grave di quella che sarebbe potuta essere ed ha portuto scegliere di non aumentare la propria pressione fiscale e tributaria. Ma se non ci sara' in futuro un diverso rapporto con lo Stato centrale ed il governo nazionale, sara' molto difficile mantenere ancora questo impeg


DEVOOLUTION / FORZA ITALIA:  LA LOGGIA CONTRO CUFFARO

Forza Italia in difficoltà per la devolution voluta dalla lega nordista di Bossi. In Sicilia la frattura appare più vidente che altrove. Sulle conseguenze derivanti della devolution, secondo il ministro per gli affari Regionali Enrico La Loggia «per la Sicilia cambierebbe quasi niente, pochissimo rispetto a quella che è la struttura dello statuto autonomistico».

La Loggia ribatte così alle dichiarazioni rilasciate in precedenza  dal presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, che ha chiesto al proprio partito e agli alleati di non varare con la devolution «una riforma frettolosa».

“L'equilibrio che porterà la devolution nel dare nuove competenze legislative alle regioni è accompagnata dal federalismo fiscale, dal fondo di perequazione, dagli interventi speciali per chi ne ha più bisogno”, dice La Loggia. “Per la Sicilia si aggiunge inoltre, perchè nessuno pensa di cancellarlo, il fondo di solidarietà nazionale previsto dall'articolo 38 dello statuto autonomistico”.


DEVOLUTION: LA SICILIA PAGHERÀ PER IL RICATTO DI BOSSI

di Agostino Spataro

Presidente Centro Studi Meditwerranei

La "devolution" antimeridionalista la vuole solo Bossi o l’intero centro destra? E i parlamentari siciliani e meridionali del centro-destra come voteranno?

La vivacissima polemica, insorta fra i due Poli, intorno al disegno di legge (ddl) costituzionale di devolution o dissolution, secondo il punto di vista, merita innanzitutto un chiarimento a proposito della sua, effettiva paternità, generalmente attribuita soltanto al minaccioso Bossi che mostra un disperato bisogno di vederlo approvato per placare le ire egoiste dei tanti delusi del partito nordista. Anche se, a quanto si sussurra, l’abbia subito, il primo firmatario del ddl è l’on. Berlusconi nella qualità di capo del Governo e di Forza Italia, seguito da Bossi e dal ministro per gli Affari regionali, il siciliano Enrico La Loggia.

Relatore è stato nominato un altro campione del meridionalismo, il sen. D’Onofrio, capogruppo del Ccd-Cdu al Senato, napoletano d’origine e siciliano d’adozione poiché, da alcuni anni, ama trascorrere i suoi week-end nell’agrigentino per svolgervi le mansioni d'assessore prima provinciale e poi di diverse giunte comunali.

Strenui difensori di questo provvedimento pericoloso (per il Sud) si sono dichiarati altri due autorevoli senatori siciliani: Nania capogruppo di An e il solito Schifani, capogruppo di Forza Italia. Insomma, ci sono tutti, capi e capetti del centro destra che ha preso una barca di voti in Sicilia e nelle regioni del sud.

Per un siciliano è disagevole entrare nel merito di questo ddl a causa dell’inevitabile confronto fra la vasta gamma delle competenze legislative primarie contemplate nello Statuto speciale siciliano e le 4 richieste di "competenza legislativa esclusiva" contenute nell’articolo unico del ddl Berlusconi-Bossi-La Loggia.

Confronto impari e dal sapore amaro, poiché evidenzia le tante potenzialità andate sprecate in oltre mezzo secolo di poteri legislativi e amministrativi più che speciali (quasi statuali) e di flussi finanziari considerevoli. Eppure la Sicilia è rimasta ai margini dello sviluppo civile ed economico della nazione, sottoposta ad un regime di sovranità politica limitata che ha impedito ai siciliani di godere delle stesse libertà politiche ed economiche dei cittadini di altre regioni.

Lo Statuto, concepito come strumento di autogoverno del popolo siciliano, ha subito una sorte infelice: in gran parte inapplicato, deviato e snaturato da una gestione politica che ha trasformato l’autonomia in una sorta di recinto invalicabile, chiuso al cambiamento e ad ogni innovazione.

Ora che sta arrivando la devolution di Berlusconi e company, insorge in molti la preoccupazione: cosa cambierà nel sistema di relazioni stato-regioni-autonomie locali e quali effetti produrrà sull’ordinamento delle regioni a statuto speciale, in particolare sulla Sicilia ?

Preoccupazioni che non sembrano sfiorare il plotone parlamentare siciliano della CdL e i suoi raffinati strateghi, che farebbero meglio a valutare le conseguenze, dirette o indirette, che la trionfale marcia federalista alla Bossi comporterà per i siciliani, oltre che naturalmente per l’unità e la solidarietà nazionale.

Già in occasione della vicenda delle "tasse territoriali", i deputati siciliani del centro-destra si sono attestati su una posizione alquanto discutibile, tentando di propinarci il loro ambiguo emendamento (approvato dal furbo leghista Paglierini e, inspiegabilmente, anche dall’Ulivo) come una "vittoria" storica.

Atti parlamentari alla mano (da nessuno smentiti), abbiamo dimostrato l’inconsistenza di detto emendamento ai fini di un’applicazione rapida dell’art. 37 dello Statuto e la quasi certa impossibilità che l’eventuale entrata possa essere iscritta nel prossimo bilancio della Regione, con l’aggravante di avere, di fatto, ceduto una quota importante della specialità del nostro Statuto.

Infatti, l’avere "agganciato" l’art. 37 al complesso meccanismo di federalismo fiscale nazionale in itinere è come rinunciare (inconsapevolmente?) ad una nostra prerogativa esclusiva che, se fosse estesa a tutte le regioni, si rivelerà un vero disastro per il Meridione, e in primo luogo per la Sicilia.  Bisogna prendere atto di un dato incontrovertibile: più si affermerà il progetto federalista (o secessionista?) della Lega nord più il principio di specialità, che informa il nostro Statuto, perderà d’efficacia.

E’ venuto il tempo di fare chiarezza su tale delicatissima questione. I partiti e i singoli parlamentari eletti in Sicilia hanno il dovere di dichiarare, senza infingimenti, quale strada intendono imboccare. Anche quella, eventualmente, di un superamento dell’autonomia speciale. La questione riguarda un po’ tutti, anche quelli che siedono all’Ars i quali, se ci sono, battano un colpo, per favore.

Ma - in questo momento - sono quelli del 61 a 0 che dovrebbero spiegare ai siciliani come voteranno su questo ddl che - nella relazione di accompagnamento - preannuncia una "parificazione della funzione legislativa regionale alla funzione legislativa statale" e una progressiva equiparazione di competenze legislative fra le regioni che annullerà la specialità degli statuti della Sicilia e delle altre 4 regioni autonome.

Se si pensa di allinearsi agli ordini di scuderia, si abbia il coraggio di dirlo apertamente, senza contrabbandare la sottomissione al ricatto (leghista) per "vittorie" che hanno il sapore di una penosa impotenza. Il ddl Berlusconi, Bossi, La Loggia non è una riforma una tantum, ma "costituisce - assicura la citata relazione - il nucleo di avvio di una fase federalista del nostro ordinamento ..."

Siamo, dunque, solo agli inizi di un processo che mira a scardinare il principio di solidarietà fra cittadini delle diverse regioni, già oggi segnate da gravi squilibri di reddito e di livelli infrastrutturali e di servizi. Grazie ai voti dei parlamentari siciliani della Cdl, potremo avere così una sanità, una scuola di serie A, B o C e una polizia agli ordini di un capetto locale. A ciascuno secondo il luogo di nascita e gli umori del sindaco-sceriffo. Il colpo mortale potrebbe arrivare dall’attuazione dello sbandierato federalismo fiscale; alle regioni del sud non resterà che richiedere di essere annoverate fra i paesi in via di sviluppo, nella speranza d’ottenere aiuti e prestiti agevolati dagli organismi della cooperazione umanitaria internazionale.


ARRIVA LA PASTA ANTI-MAFIA, DA MARZO NEI SUPERMARKET COOP


Le terre confiscate ai boss di Cosa Nostra cominciano a dare buoni frutti. Dopo anni di abbandono i campi delle zone di Corleone, Monreale, San Giuseppe Jato e Piana degli Albanesi vengono coltivati secondo i dettami dell'agricoltura biologica dai ragazzi della cooperativa sociale ''Placido Rizzotto'', fornendo un grano ricco di proteine, ideale per la produzione di pasta artigianale. E' nata cosi' la prima pasta 'anti-mafia' che da marzo sotto il marchio ''liberaterra' si potra' acquistare nei supermercati coop di tutt'Italia. Acquistando gli spaghetti ''liberaterra' si potra' contribuire al sostegno del progetto varato da Libera (www.libera.it), l'associazione presieduta da Don Luigi Ciotti che si pone come obiettivo il recupero dei beni confiscati ai mafiosi. La pasta artigianale 'liberaterra' e' lavorata a mano nell' antico pastificio di Corleone da esperti maestri che seguono una tradizione secolare, la pasta viene trafilata al bronzo e lasciata poi essiccare per più di 40 ore. Il risultato e' un prodotto unico per gusto e qualità nutrizionali, ma soprattutto un simbolo importante di impegno e rinascita voluto da un gruppo di giovani che ha accettato con passione questa scommessa, dimostrando che combattere il potere della mafia e' davvero possibile. (ANSA)


IL PENSIERO DELLA LEGA NORD

"Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono meridionali"

Appena qualche anno fa, è stato pubblicato un libro di Giancarlo Pagliarini, ex ministro ed ex capogruppo della Lega nord alla Camera e uno degli uomini di punta di Bossi. E’ un documento razzista. Attualmente siedono al tavolo del governo ministri di un partito che definisce i meridionali mafiosi, malavitosi e raccomandati... Ecco uno stralcio del fior fiore della edificante pubblicazione. Chi volesse leggerla tutta, troverà il link al termine del brano.

MAFIOSI

Soprattutto alle radio e nelle televisioni si parlano lingue meridionali, si storpiano le parlate con accenti mediterranei e si raccontano vicende e situazioni sempre e solo molto "italiane" con tutto un corollario di perversioni, violenze, abitudini a delinquere e comportamenti mafiosi che sono estranei alla cultura dei popoli padano-alpini.

TRUCULENTI

(…) ci sarebbe un Meridione allegro, solare, aperto, pieno di gioia e canzoni. Si tratta di una colossale falsità che confonde l’allegria con la rumorosità e si dimentica della profonda truculenza di certi atteggiamenti, della continua presenza della sofferenza e della morte in una cultura meridionale piena di tragedie, sangue, prefiche, occhiaie, costumi neri, funerali e cantilene lamentose.

MALAVITOSI

La malavita che opera in Padania è quasi completamente di importazione italiana o extracomunitaria (…). Si può affermare che la gestione della giustizia in Padania sia un fatto reso del tutto estraneo alla nostra gente: funzionari di Tribunale, avvocati e guardie carcerarie sono in larghissima parte meridionali e i reati sono commessi in ampia misura da foresti e da stranieri extracomunitari.

DELINQUENTI

La nostra gente (i Padani, ndr) si sente avviluppata da un sistema truffaldino di parole e inganni che è forse adatta all’italica assuefazione all’imbroglio o alla mediterranea tolleranza per le pulsioni a delinquere.

RACCOMANDATI

I laureati nelle Università meridionali hanno inevitabilmente voti più alti, nei ministeri, nei posti di comando, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali vengono spediti quasi solo meridionali più furbi (e raccomandati) dei Padani. Lo stesso vale anche per tutti i posti che non richiedono necessariamente particolari doti intellettuali o speciale erudizione: ma anche lì, fra carabinieri, postini e tranvieri, continuano a prevalere membri della razza ritenuta superiore. Solo l’indipendenza della Padania può porre fine a questa situazione discriminatoria.

Brani tratti da "50 buone ragioni per l’indipendenza"- di Giancarlo Pagliarini e Gilberto Oneto - Ed. La Padania 1998.

P.S. Giancarlo Pagliarini è stato capogruppo alla Camera della Lega Nord e ministro del Bilancio nel primo Governo Berlusconi.

Consulta il testo intero

 

 


Bossi, Fini e Berlusconi: ecco che cosa dicevano l'uno dell'altro...

"Bossi ha fatto il ribaltone e inoltre ha parlato di secessione, di Padania, ha insultato gli italiani del Sud e chi ha memoria, e io ce l’ho, esclude qualsiasi ipotesi di accordo"
Gianfranco Fini, Presidente di AN, all’ANSA, 19 novembre 1999

"Cosa pensi di Bossi è risaputo… Un autentico buffone"
Gianfranco Fini all’ANSA, 8 settembre 1997

"Chiacchierone, falso guerrafondaio, studia somaro!"
Bossi a Fini, Porta a Porta, 30 marzo 1999

"Sei un fenomeno da baraccone!"
Fini a Bossi, Porta a Porta, 30 marzo 1999

"Ho già detto in più occasioni che con Bossi non intendo neanche prendere un caffè"
Gianfranco Fini, il Sole24ore, 21 dicembre 1995

"Mai accordi con Berlusconi il mafioso"
Umberto Bossi, La Stampa, 9 giugno 1998

"Fini e Berlusconi sono degli imbroglioni, c’è solo da schiacciarli nella cabina elettorale"
Umberto Bossi all’ANSA, 11 giugno 1999

"Bossi è un capobanda"
Silvio Berlusconi, La Repubblica, 21 luglio 1998

"Ci risponda il Cavaliere. Da dove vengono i suoi soldi? Ce lo spieghi. Dalle finanziarie della mafia? Ci sono migliaia di giovani al Nord che sono morti a causa della droga"
Umberto Bossi, La Padania, 10 novembre 1998

"Accordi con Berlusconi? Non ci saranno mai"
Umberto Bossi, La Stampa, 23 luglio 1999

"Con la Lega il Polo deve escludere a priori la possibilità di qualsiasi accordo"
Gianfranco Fini all’ANSA, 3 aprile 1998

"Credo che Berlusconi abbia forzatamente seguito Bossi una sola volta, ed è un errore che non farà più"
Pierferdinando Casini all’ANSA, 9 aprile 1999

"Fini è un pataccaro"
Umberto Bossi, il Sole24ore, 7 aprile 1999

 


Si al maxi condono fiscale e subito lo statuto autonomo per 'liberare' il Sud

Maxicondono fiscale e,subito dopo, aggiungono Feder Mediterraneo e Patto per il Sud, uno "statuto fiscale autonomo" che liberi definitivamente il Mezzogiorno dalle catene che, dalla conquista piemontese del 1860 ai giorni nostri, ne hanno impedito lo sviluppo economico, sociale e civile. L'unica proposta sensata per il futuro del Sud di cui si sia sentito parlare negli ultimi anni è venuta da un uomo della prima Repubblica: l'ex ministro per il bilancio Paolo Cirino Pomicino, che la ha affidata a un'intervista concessa a "Il Denaro quotidiano". Mentre Tremonti e Visco si beccano a vicenda, mentre centrodestra e centrosinistra indugiano in schermaglie che lasciano il tempo che trovano, finalmente on obiettivo serio per il quale vale la pena di battersi con tutte le proprie forze: un super condono che riguardi il fisco, ma che coinvolga tutti i campi in cui è possibile applicarlo. 

L'unico modo per fare emergere alla luce del sole le mille attività cui gli italiani del Sud - divenuti esperti nell'arte di arrangiarsi per necessità - sono stati costretti a ricorrere per sfuggire alla pressione vessatoria di uno Stato che sentono lontano, se non ostile, e per poter sopravvivere. Falliti, perchè erano dei palliativi inconsistenti, tutti i tentativi precedenti di far venire allo scoperto l'economia sommersa (che costituisce presumibilmente il 30% del PIL), l'unica strada è quella di un condono a tutto campo: cioè di un riconoscimento, da parte dello Stato, del fallimento di tutte le sue "politiche" mirate al Mezzogiorno e pensate per assecondare gli interessi dei gruppi economici del Centro Nord e della conseguente liberazione delle risorse, delle energie e delle potenzialità di una imprenditoria meridionale che, dagli Abruzzi alla Sicilia, se liberata da ricatti e condizionamenti potrà esprimere il meglio di se stessa. 

Naturalmente, non basterebbe il maxicondono se poi si dovessero ricreare le stesse condizioni capestro con cui l'economia del Sud ha dovuto sempre fare i conti dal giorno in cui questa parte dell'Italia fu costretta a rinunciare alla sua millenaria autonomia. Di qui la necessità, di cui Feder Mediterraneo e Consulta per il Sud si fanno assertrici, di dar vita a uno "statuto fiscale autonomo" da contrattare con l'Unione Europea come strumento  per la realizzazione della tanto declamata "coesione economica e sociale" fra le varie parti dell'Europa comunitaria e come condizione per l'assenso della Repubblica italiana all'ingresso nell'Unione dei paesi dell'Est europeo, che - senza statuto fiscale autonomo - danneggerebbe in modo irreparabile i diritti e gli interessi degli italiani del Sud. 

La proposta del maxicondono è stata accolta piuttosto male dalle organizzazioni imprenditoriali, che stentano a prendere atto di una verità oggettiva e innegabile: esse rappresentano soltanto una parte (quella emergente) dell'economia meridionale. Trascurano, inoltre, il fatto che, una volta spezzate le catene che impediscono la rinascita del Sud, i vantaggi riguarderanno tutti: gli imprenditori sommersi, quelli emersi e anche quelli oggi solamente potenziali. Altre obiezioni sono venute da alcuni ambienti di intellettuali, consulenti e consiglieri economici. Il prof. Mariano D'Antonio, per esempio, ha detto "che si tratta di un'arma a doppio taglio e che lo Stato diventerebbe poco credibile". Una tesi condivisa da Antonio Paravia, presidente dell'Assindustria di Salerno, secondo cui "i condoni sono segni dell'inefficienza dello Stato". 

"Mi domando dove stiano la credibilità e l'efficienza di questo Stato che con il maxiconono verrebbero messe a rischio", ha replicato il giornalista Franco Nocella, presidente della Feder Mediterraneo, "Eurostat ci informa che la disoccupazione nel Sud raggiunge il 25% in Calabria (contro il 3% del Nord) e l'Istat ci comunica che i cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà fra gli Abruzzi e la Sicilia sono 6,5 milioni: questi sono i problemi con cui bisogna fare i conti. Il resto sono parole. Quanto alla credibilità e all'efficienza dello Stato ci pensi la classe politica e ricordi che credibilità ed efficienza si misurano sulla base della capacità di rispondere alle esigenze vitali di 22 milioni ci cittadini italiani che vivono nel Sud". 

Da parte del governo Berlusconi, comunque, non pare che l’idea di un maxicondono per il Sud sia particolarmente apprezzata (il condono non è nei programmi, hanno fatto sapere i portavoce di Tremonti: tutt’al più si parlerà di un condono pre riforma elettorale), mentre la sola ipotesi di uno statuto fiscale autonomo per l’Italia meridionale è vista come il fumo begli occhi dalla Lega Nord e dai gran visir padani di Forza Italia. 

 


Eurostat / Meridione in ginocchio. Patto per il Sud a Ciampi: "Presidente, ma ci sono due Italie ?"

  

"Italia da record nel divario regionale" ha titolato "Il Sole 24 ore", il più diffuso quotidiano economico italiano, riferendo ii risultati di un'indagine, condotta da Eurostat, su lavoro e disoccupazione nei 15 paesi dell'Unione Europea. Il Sud è penalizzato dalla "rigidità" del mercato, mentre il Centro Nord appare in linea con la media europea. Le percentuali italiane vanno da un minimo del 3% in Alto Adige a un massimo di 24,8% in Calabria, con una media "nazionale" (ma, a questo punto, francamente non si capisce bene a quale nazione ci si riferisca) del 9,5%. In alcune regioni del Nord, è stato rilevato, la carenza di manodopera è divenuto un grande ostacolo alla crescita del sistema. Il record europeo del "divario" regionale che caratterizza la Repubblica italiana si può sintetizzare con un numero: otto. Si tratta della misura attribuita alla differenza fra il livello più basso e quello più elevato in materia di disoccupazione. La disoccupazione della Calabria, in altri termini, è otto volte superiore a quella della regione del Nord che detiene il record opposto. Di fronte ai dati diffusi da Eurostat, ha preso posizione la Consulta per il Sud. Lo ha fatto con una lettera che il suo portavoce, Pietro Ferro, ha indirizzato al Presidente della Repubblica, Carlo Axeglio Ciampi. "I dati che circolano in sede di Unione Europea e che nessuno può definire inattendibili o esagerati, perchè rispecchiano la pura e semplice realtà", si legge nella lettera della Consulta al presidente Ciampi, "evidenziano l'esistenza di due Italie: si tratta di un dato di fatto di cui è necessario prendere atto una volta per tutte. L'attuale struttura dello Stato centralista non risponde più, se mai ha risposto in passato, alle esigenze del Mezzogiorno. Per questo è necessario accelerare i tempi per riforme federaliste di tipo radicale che devono consentire alle regioni comprese fra l'Abruzzo e la Sicilia di prendere autonomamente l'iniziativa per il proprio sviluppo economico, sociale, civile e culturale". Al presidente della Repubblica la Consulta per il Sud ha chiesto di esercitare tutta la propria influenza sul Governo e sul Parlamento perchè il Mezzogiorno venga messo nelle condizioni di uscire dalla morsa in cui è stato stretto da un modello di Stato che lo ha privato della propria libertà d'azione, di gran parte delle proprie risorse e - come dimostra la colonizzazione bancaria che ha raggiunto il diapason con la ventilata incorporazione del Banco di Napoli nell'istituto di credito piemontese che già ne controlla il 100% delle azioni - persino del controllo del proprio risparmio. Il presidente della Feder Mediterraneo, Franco Nocella, a sua volta, ha commentato: "A questo punto anche a Bruxelles dovrebbero accorgersi del fatto che la Repubblica italiana riunisce al suo interno due paesi diversi l'uno dall'altro e caratterizzati da interessi oggettivamente divergenti". 


Rapporto segreto:anche l'URSS prevedeva per i meridionali... l'emigrazione al Nord

"Il Sud d'Italia è come un paese coloniale. I siciliani hanno un carattere primitivo e calabresi, pugliesi e lucani stanno anche peggio. Potranno essere utilizzati nelle regioni che hanno bisogno di mano d'opera". A dire queste cose furono gli estensori di un rapporto stilato, alla fine degli anni '50, dai membri di una delegazione del partito comunista dell'Unione Sovietica che visitò l'Italia, ospite del partito comunista italiano. Il rapporto è pubblicato nel numero del 15 luglio del periodico "Il Corriere del Sud" di Crotone, diretto da Pino d'Ettoris. "nel corso del nostro soggiorno in Sicilia abbiamo avuto modo di convincerci del carattere primitivo della popolazione", si afferma nel documento sovietico, "e dai nostri compagni guida, membri del PCI, abbiamo appreso cghe il livello di vita della Calabria, della Puglia e della Lucania è ancora più basso". "Abbiamo avuto l'impressione che la vita degli abitanti della Sicilia", continua il rapporto, "si trovi a un livello che si può avvicinare a quello dei nostri kirgishi. Dato che i siciliani sono elementi industriosi, potranno essere utilizzati in avvenire nelle regioni che avranno bisogno di mano d'opera". Il "Corriere del Sud" afferma che "i sovietici evidenziarono ai compagni italiani che bisognava 'avvicinarsi' alle popolazioni del Sud usando 'gli stessi metodi di agitazione" usati per i 'vecchi paesi coloniali'". 


Feltri a Sussurri & grida: "Il Sud diventi leghista verso il Nord" 

“Vorrei dire al Sud di diventare leghista verso il Nord. In modo da incentivare un orgoglio che permetta di non far temere in continuazione di perdere qualcosa dal Nord”. Lo ha dichiarato Vittorio Feltri, direttore del quotidiano padano “Libero” e, in precedenza, direttore de “L’indipendente”, testata che negli anni ’90 tenne a battesimo e sponsorizzò la Lega Nord di Umberto Bossi. Lo ha fatto a conclusione di una intervista, raccolta da Paolo Montefusco, nell’ultimo numero della rivista napoletana “Sussurri & grida”. “C’è sussurri e grida, va bene”, ha affermato Feltri, “ma io vorrei anche orgoglio e pregiudizio nei confronti del Nord”. “Sono possibili due chiavi di lettura per interpretare le parole di Feltri”, ha commentato il giornalista Franco Nocella, presidente della Feder Mediterraneo, “quella che appare prevalente si riferisce al fatto di non dover più chiedere niente al Nord: bisogna ricordare a Feltri che, fino al 1860, quello che lui chiama Sud e che noi dobbiamo tornare a chiamare Due Sicilie, non aveva chiesto niente a nessuno. Da allora è stato il Nord a chiedere: gli ha chiesto, anzi gli ha imposto con la forza, di dissanguarsi in sette guerre che non lo riguardavano e di finanziare per quattro volte lo sviluppo del Nord con i propri risparmi. Pregiudizi verso il Nord? Altro che se non ne abbiamo e li faremo pesare sempre di più”.  


Giustino: "Il Mezzogiorno è solo e deve imparare a fare da se" 

“Il Mezzogiorno è ormai solo con se stesso. Con i suoi problemi, le sue carenze, ma anche con le sue risorse, le sue energie, le sue potenzialità. Solo non significa, naturalmente, isolato. Significa, però, nel tempo attuale essere indotto a un rapporto di natura sinergica con altre realtà territoriali, istituzionali e non”. Lo ha affermato l’imprenditore napoletano Enzo Giustino, per anni alla testa delle organizzazioni degli industriali della Campania, in un articolo apparso nell’ultimo numero della rivista “Mezzogiorno Europa”, diretta dall’ex parlamentare comunista Andrea Geremicca. “In realtà vi sono molti modi per parlare del Mezzogiorno”, ha affermato Giustino: “Se ne può parlare sotto il profilo dell’analisi storica. Se ne può parlare analizzando ciò che ha sostanziato la politica meridionalistica dall’ultimo dopoguerra fino al suo definitivo tramonto. Infine, se ne può, anzi se ne dovrebbe, parlare relativamente alle cose da fare per l’oggi, ma soprattutto per il domani, per proiettarsi verso il futuro. Ci troviamo oggi in un contesto nuovo e per molti versi diverso rispetto al passato. Percorriamo un terreno inesplorato, sconosciuto sul quale il Mezzogiorno si è appena incamminato e sul quale dovrà procedere sempre più decisamente e sempre più velocemente”.   


 

Unità d'Italia: nascita di una colonia

Rileggiamo la storia del Sud con lo scrittore calabrese Nicola Zitara


 

Ai popolani di Napoli che nelle oneste giornate del luglio 1547, laceri, male armati, soli d'Italia, francamente pugnando nelle vie, dalle case, contro le migliori truppe d'Europa, tennero da se lontano l'obbrobrio della inquisizione spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano, provando ancora una volta che il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa de' servi, più che dei padroni.

Lapide esposta all'ingresso della Certosa di San Martino, a Napoli

 

 

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Aggiornato il: 18 gennaio 2003

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