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Lettere e contributi
Ricordo di Giuseppe Fantino
Ho seguito con interesse le autorevoli considerazioni del primo cittadino di
Melicuccà e quelle dell'Assessore provinciale alla Cultura, nonché le calorose
espressioni di un ex alunno, per l'illustre scrittore Giuseppe Fantino
che ho avuto l'onore di conoscere personalmente.
Permettete, ora, di aggiungere al vostro ammirevole pensiero un mio grato
ricordo con modeste parole del cuore.
Sono qui per testimoniare la grandezza d'animo del professore e per assolvere,
finalmente, un preciso impegno da lui richiesto: quello di ricordarmi di
scrivere e di parlare della sua opera (come dimostrano alcune dediche sui suoi
libri).
Mai come in questa circostanza risulta appropriata la sentenza di Leopardi:
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta. Poiché io e Fantino abbiamo
nutrito gli stessi sentimenti verso il poeta di Recanati, sono certo che da
lassù il professore ne sia sinceramente soddisfatto. Oggi, infatti, centesimo
anniversario della sua nascita, egli è spiritualmente fra noi: non è necessario
ricorrere agli esperti del paranormale o alla "Comunione dei Santi"
del Credo cristiano per confermarlo.
Purtroppo, la nostra Terra non è stata mai generosa verso i suoi figli migliori:
Nemo propheta in patria, nessuno può esercitare autorità di grande uomo
nel luogo dov'è nato, ricorda il Vangelo. Se ciò fu valevole per il Cristo,
figuriamoci quanto lo è per i comuni mortali!
Leopardi non fu apprezzato dai suoi concittadini; così pure avvenne per il
nostro illustre poeta e latinista di fama mondiale Francesco Sofia Alessio di
Taurianova; non poteva capitare di meglio a tutti gli altri.
Incontrai la prima volta Giuseppe Fantino all'inizio degli anni '60, allorquando
un alunno della sua scuola mi fece recapitare il romanzo Parole a
Maria, per il quale il professore aveva ricevuto l'encomio al Concorso
Nazionale Gastaldi. Galvanizzati dalle romantiche espressioni che il presunto
reduce rivolgeva all'amata, i giovani cercavano morbosamente nel libro qualcosa
di più personale. Dopo una rapida lettura del romanzo notai la metamorfosi della
sfuggente figura della protagonista, confermata fin dalla prefazione: «In
principio si ha l'impressione che Maria sia un ricordo del passato, poi invece
si parla di essa come di una persona vivente». Ho avuto, allora, l'idea di
scrivere in fondo al libro le testuali considerazioni:
«Ancora il cuore canta la sua pena / con voce roca e con voce ardita; /
per una donna l'anima è smarrita, / per un'ingrata pace più non ha. // Canta e
rimembra i suoi felici voli, / le notti insonni, le secrete cure: / pietoso
trasse già dalle sozzure / colei che fu miraggio e nulla più. // Le tormentose
ore senza fine / passan fugaci con malinconia, / ma le parole scritte per Maria
/ nessuno cancellare mai potrà!».
A volte non è tanto il suo talento ufficiale, quanto qualche aneddoto o
particolare, a permetterci di scoprire l'io profondo di un letterato o
di un artista. Il mio poetico giudizio estemporaneo - infatti - venne gradito
dal professore Fantino, col quale intraprendemmo una sincera amicizia, nonché
una proficua frequenza per tutto il suo periodo d'insegnamento nel nostro
Comune.
Spesso, al termine delle lezioni a Taurianova, s'incamminava verso casa ed io lo
accompagnavo fino a S. Martino. Da qui, raggiungeva la vicina stazione
ferroviaria o quella di Amato, da dove prendeva la "littorina" per
Gioia Tauro e poi per Melicuccà. Si era, così, instaurata un'esperienza
peripatetica fra me giovane insegnante e il professore, esperto critico
letterario, che ha contribuito alla mia crescita culturale.
Ho appreso in anteprima dalle sue labbra quanto in seguito ho avuto modo di
leggere nei suoi libri: «La storia d'Italia è una ricca polifonia che canta
il dramma della complessa anima italiana. Il genio d'Italia, oltre che politico,
è genio poetico e profetico. Nella sua misteriosa armonia esso abbraccia e
illumina ogni aspetto della vita. Non v'è ramo dello scibile in cui l'italiano
non abbia lasciato una traccia di sé. Esso possiede tutte le volontà e tutte le
possibilità. Ma l'equilibrio non è tra i suoi doni». Consapevole di questa
verità, anch'egli «consumò la sua gioventù negli studi, per non essere
assimigliato ai copisti». «Non c'è mestiere più inutile», si
legge nell'avvertenza del Saggio su Papini, «di
chi si serve della penna a illuminare o ad ammaestrare il suo prossimo...
Chi pretende d'illuminare o di abbuiare l'umanità con la parola scritta è nelle
condizioni del bambino che pretende di aumentare la potenza del sole o delle
tenebre accendendo o spegnendo un lumino da notte. Il mondo s'accende o si
spegne da sé e chi s' illude di aiutarlo in qualche modo nella bisogna è un
ingenuo o un furbo di tre cotte... Si scrive per un desiderio di liberazione
anche quando si scrive d'altri». E, conclude l'autore: «Se, nello
scrivere, ho male impiegato il mio tempo, non chiedo scusa a nessuno, perché non
v'è errore più grave di quello che vuol farsi perdonare speculando
sull'educazione o sulla debolezza degli altri». Fantino, invece, ha saputo
far tesoro del suo tempo. Era consapevole che «per nascere aquila bisogna
abituarsi alle altitudini; per nascere scrittore bisogna imparare ad amare la
rinuncia, le sofferenze, le umiliazioni. Soprattutto, bisogna imparare a vivere
appartato» (Henry Miller).
Dal dialogo con Fantino ho cominciato ad approfondire la figura dei nostri
grandi uomini, come Campanella - dall'esistenza eroica e travagliata - e Mazzini
- vero erede dell'idea nazionale e puro artefice dell'unità d'Italia. Al pari
dell'appassionato pensatore calabrese, il nostro professore nacque a debellar
tre mali estremi: tirannide, sofismi e ipocrisia.
Fantino rivela tutto il suo amor patrio quando afferma che «i grandi popoli
non muoiono. Possono, bensì, decadere ma perire non mai. Dal Medioevo barbarico
emerse la Chiesa che salvò il salvabile di Roma e della sua civiltà; emersero le
figure di Francesco d'Assisi e di Dante Alighieri, geni tutelari d'Italia; nel
Rinascimento asservito, Michelangelo fissa in forme d'arte immortali la tragedia
italiana; nel Risorgimento patriottico, Mazzini illumina la via e Garibaldi
suscita gli eroi». Grazie al prof. Fantino, ho approfondito lo studio dei
grandi poeti italiani ed in particolare dei calabresi, come il mistico Lorenzo
Calogero il quale «a differenza del Leopardi, non ebbe una percezione
sicura del suo stato. Credette in buona fede che la sua vita fosse la Vita, che
il suo amore fosse l'Amore, che le allucinazioni della sua neurosi fossero
figure della realtà».
Giuseppe Fantino, è stato scritto, fu «un pensatore che non venne mai a
compromesso con la propria fede» e me ne accorsi allorquando ebbi modo di
leggere il suo giudizio (alquanto polemico!) su "Il deserto del sesso"
di Leonida Repaci. «Fu un uomo che non prostituì mai il suo ingegno al
potere, né il suo animo alla sventura», come si rileva dai numerosi
scritti.
Egli ha profuso tutto il suo sentimento anche alla scuola, come dimostrano oggi
due suoi affezionati ex alunni, il Comm. Domenico Guida e il prof. Stellario
Belnava, che si sono prodigati con agli altri a diffondere la fama di Fantino.
Assieme a loro ed a tutti i cittadini di Melicuccà continueremo ad amare
l'indimenticabile e caro professore, onore e vanto non solo del suo paese ma
dell'intera Calabria. (Domenico Caruso)
P.S. - Per il centenario della nascita di Giuseppe Fantino, il 28 giugno
c.a., l'Amministrazione Comunale di Melicuccà (R.C.) ha promosso una solenne
manifestazione che ha coinvolto l'intera cittadinanza. All'incontro erano
presenti, oltre alle autorità locali e provinciali, alcuni ex alunni
dell'illustre professore. Nel riportare il mio intervento, "un ricordo
dello scrittore", faccio presente che la notizia della cerimonia è apparsa
sulla "Gazzetta del Sud" di martedì 1° luglio e ne "Il
quotidiano della Calabria" di venerdì 4 luglio 2008.
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