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OPERE MATEMATICHE

 

“L’Arenario” è uno scritto essenzialmente di aritmetica ma interessante sotto vari aspetti. Vi si trova la prima notizia storica di una teoria eliocentrica, quella del grande matematico, fisico e astronomo greco del III secolo a.C. Aristarco di Samo. Quello che si propone di ottenere è il calcolo dei granelli di sabbia che occorrono a riempire la sfera dell’universo.

<<Alcuni pensano, o re Gelone – egli dice – che il numero dei granelli della sabbia sia infinito in quantità. Ma io tenterò di mostrarti, per mezzo di dimostrazioni geometriche che tu potrai seguire, che, dei numeri da noi denominati ed esposti negli scritti inviati a Zeusippo, alcuni superano non soltanto il numero dei granelli di sabbia aventi nell’insieme grandezza uguale alla Terra riempita ma anche grandezza uguale al Cosmo intero.>>

La dedica dimostra li rapporto di amicizia che esisteva tra Archimede e la corte siracusana. Gelone in realtà non era ancora re, era stato associato dal padre Gerone al governo ma non potè succedergli perché morì prima. In quest’opera Archimede si pone il problema di numerare i granelli di sabbia occorrenti a riempire l’universo. Egli dice che quel numero è finito e che i granelli devono avere un diametro tale per cui ne possano stare 10.000 in seme di papavero. Il diametro di questo deve essere la quarantesima parte del diametro di un dito, per cui ne risulta che la sfera che ha il diametro di un dito non è più di 64.000 volte (cioè 403) un seme di papavero.

Passa poi alla sfera avente per diametro uno stadio, che è minore di quella avente per diametro 10.000 dita, per giungere alla sfera che ha il centro nel centro della Terra e per raggio la distanza tra il centro della Terra e quello del Sole. Il diametro della Terra è per Archimede minore di cento miriadi di miriadi di stadi (miriade = 10.000). Infine, considera la sfera delle stelle fisse, che ha un diametro non superiore a una miriade di volte il diametro della sfera precedente. Così è possibile effettivamente arrivare al numero dei granelli di sabbia necessaria a riempire l’Universo, come ci si era proposti.

 La vera difficoltà di Archimede in realtà era quella di dare il nome e quindi di poter scrivere una serie infinita di numeri. A noi il problema non si pone perché il nostro sistema ci permette di esprimere con facilità qualunque grandezza, basta scrivere ad es. dopo l’unità tanti zeri quanti vogliamo. Non era così per i Greci, che avevano un sistema di scrittura che si serviva delle lettere dell’alfabeto.

Il vero problema dell’Arenario era quello di allargare la notazione aritmetica di cui disponevano i Greci. Così, Archimede escogita un nuovo sistema costituito da infinite serie di numeri. Chiama “numeri primi” quelli compresi tra 1 e la miriade di miriadi, escludendo quest’ultima. Prende poi la miriade di miriadi come unità dei “numeri secondi” che sono quelli compresi tra una miriade di miriadi e cento milioni di miriadi di miriadi, escludendo quest’ultimo numero: cioè i numeri che stanno tra 108 e 108.108, vale a dire 1016.

Prende questo numero come unità dei “numeri terzi”, che sono quelli compresi tra 1016 e 1024, e così via. Arriva così al numero che si può indicare col numero d’ordine della miriade di miriadi e lo considera l’unità “U” del “secondo periodo”, facendo invece parte del “primo periodo” tutti i numeri fin qui trovati. I numeri del nuovo periodo sono compresi tra “U” e cento milioni di miriadi di miriadi di “U” e sono divisi a loro volta in numeri primi, secondi, terzi e così via, del secondo periodo. L’ultimo numero di esso, che ha a sua volta il numero d’ordine della miriade di miriadi, lo assume come unità del terzo periodo. Il procedimento, com’é chiaro, essendo ricorrente, può ripetersi all’infinito.

In questo modo Archimede riesce a far giungere anche la numerazione greca all’infinità della serie dei numeri naturali, come è per noi. Da questo punto di vista, come osserva il Frajese, i risultati dell’Arenario rappresentano in aritmetica quello che in geometria è il secondo postulato degli elementi di Euclide, nel quale si afferma che la retta è sempre prolungabile.

Per Archimede il numero dei granelli di sabbia che riempiono l’Universo, alle condizioni che lui ha posto, per quanto enorme, è relativamente basso: appartiene ancora al primo periodo, tra i numeri ottavi di esso ossia 1063.

<<Queste cose poi – conclude Archimede – ritengo che sembreranno incredibili ai molti che siano imperiti nelle matematiche, ma che saranno credibili, mediante le dimostrazioni, da coloro che son versati in esse e che abbiano meditato sulle distanze e sulle grandezze della Terra, del Sole, della Luna e di tutto il Cosmo: perciò ho ritenuto che fosse bene che tu conoscessi queste cose.>>

E’ interessante notare, come osserva il Frajese, che i processi di iterazione di Archimede rientreranno nella matematica odierna, per ciò che riguarda i numeri transfiniti, nella teoria di Cantor[1].

* * *

OPERE GEOMETRICHE

         Prima di Archimede la matematica aveva già fatto significativi progressi. Il Greci l’avevano ereditata dall’Oriente in forma già molto sviluppata, ma ancora strettamente legata alla pratica. Furono proprio loro a farla passare dallo stadio di approssimazione alla forma esatta, teorica, di precisione. La data convenzionale di inizio della speculazione scientifica e filosofica greca è il VI secolo a.C. epoca in cui operò Talete, vissuto a Mileto, sulle coste della penisola anatolica.

            Il merito dei Greci fu proprio quello di idealizzare gli enti geometrici, considerandoli a sé stanti. Un grande impulso avvenne dalla scoperta delle grandezze incommensurabili, avvenuta attorno il 500 a.C. all’interno della scuola fondata da Pitagora, che fu il primo a studiare la geometria in modo teoretico e non pratico. Per lui il punto è ancora dotato di dimensione e non è quindi un ente astratto. Quando però si scoprì che la diagonale e il lato del quadrato non sono tra divisibili senza residui, cioè sono incommensurabili, la concezione granulare del punto e tutta la visione materiale e sensibile della geometria non furono più sostenibili. I pitagorici furono così sconvolti da questa scoperta, che distruggeva le basi scientifiche della loro dottrina, da proibire ai membri della scuola di divulgare la notizia.

            Parmenide, filosofo vissuto a Elea nel V secolo a.C., partendo da questa scoperta criticò definitivamente quella concezione della matematica, mentra i paradossi del suo discepolo Zenone non lasciarono altra possibilità che quella di elaborare una nuova visione della matematica. Se questa ha un carattere sensibile, dice Zenone, le grandezze geometriche sono costituite da elementi indivisibili ed estesi. Ma in tal si finirebbe nell’assurdo di dover ammettere che quelle grandezze siano contemporaneamente piccole e grandi: piccole fino a non avere grandezza e grandi fino a essere infinite. Il punto quindi non può avere dimensioni; esso non appartiene agli enti, non è sensibile, non esiste realmente.

            Afferma Rufini <<I ragionamenti di Zenone mentre aprivano alla speculazione dei matematici il mondo dell’infinito, ne prospettavano con vigore tutte le incognite e, anziché incoraggiarne l’uso nelle questioni geometriche, consigliavano le più prudenti cautele.>>