Quanto queste concezioni fossero radicate lo
dimostra il fatto che, stando a quel che dice Plutarco, neppure Archimede ne fu
immune. C’era tuttavia in lui, un vero fastidio per la cultura accademica,
pedante e presuntuosa. Lo conferma l’opera intitolata Metodo sui teoremi
meccanici, in cui Archimede rivela il procedimento che usava per le invenzioni e
le scoperte matematiche. Esso non è affatto rigoroso, perché intuitivo e fondato
sull’uso contemporaneo di matematica e meccanica, del tutto estraneo quindi agli
schemi metodologici alessandrini.
Egli non rifiuta nelle dimostrazioni matematiche
il ricorso al modello deduttivo rigoroso di tipo euclideo, ma non è un rigorista
pedante. E’ molto di più: insieme rigorista e intuizionista, capace di valersi
contemporaneamente, e con uguale abilità, di due metodi diversi. Due metodi per
due momenti diversi della sua attività: uno per l’invenzione e la scoperta,
l’altro per la dimostrazione. Questo rivela l’eccezionale agilità mentale di
Archimede, il suo atteggiamento verso la scienza, che gli appare come qualcosa
di vivo da usare oltre ogni vincolo precostituito.
Archimede, come sostiene Rufini nello studio da lui dedicato al Metodo del
Siracusano, convinto dell’importanza delle sue ricerche, lasciò che i maestri
alessandrini continuassero a difendere il vecchio patrimonio scientifico, mentre
lui si occupava di nuove ricerche e scoperte. Non rinunciò tuttavia a mantenere
i rapporti con il Museo. Regolarmente inviava i suoi lavori matematici prima a
Conone e poi ad altri. Egli mise per iscritto nel trattato sul Metodo i
procedimenti innovativi che seguiva nella fase inventiva della ricerca,
Quest’opera poi la inviò a Eratostene, il grande dotto alessandrino, per
spiegargli quel metodo e, attraverso lui, farlo conoscere agli altri scienziati.
Lo scrive espressamente Archimede nell’opera,
dicendo: <<Ho voluto quindi …..pubblicare quel metodo .. è vero che la
ricerca compiuta per mezzo di esso non è una vera dimostrazione>>, quasi a
voler mettere le mani avanti di fronte a chi poteva trovarvi da ridire preso da
scrupoli rigoristici. Conclude la lettera: <<Son convinto che porterà non
piccola utilità nella matematica: confido infatti che alcuni dei matematici
attuali o dei futuri, essendo stato loro mostrato questo metodo, ritroveranno
anche altri teoremi da noi non ancora escogitati.>>
Era consapevole dell’importanza del metodo
meccanico da lui inventato. Egli poneva problemi che erano superiori alla
geometria tradizionale alessandrina, riuscendo ad affrontarli e a risolverli
proprio abbandonando il rigorismo e applicando alle questioni geometriche
ragionamenti analoghi a quelli che usava nelle questioni meccaniche. In questo
modo riuscì, ad esempio, ad ottenere la quadratura del segmento parabolico che
comunicò agli scienziati del Museo di Alessandria, descrivendo il procedimento
meccanico usato, ma aggiungendovi anche, come tipico nella maggior parte delle
sue opere, la dimostrazione rigorosa col metodo di esaustione.
Gli scienziati alessandrini non dovevano proprio
rivelarsi all’altezza delle questioni che Archimede poneva loro. Nella lettera
introduttiva all’opera Sulle spirali ricorda che da molti anni aveva inviato dei
teoremi al suo maestro Conone, ma questi <<prima che avesse avuto il tempo
sufficiente per il loro esame, è passato ad altra vita: altrimenti avrebbe
trovato e reso evidenti queste cose. Dopo la sua morte, nonostante siano passati
molti anni non sappiamo che da alcuno sia stato risolto nessuno di quei
problemi.>> Archimede vedeva i suoi studi trattati con indifferenza quasi
non contenessero nulla di nuovo.
Riuscì comunque a
prendersi la sua rivincita. Egli aveva da molti anni proposto ai matematici
alessandrini, tramite Conone, sette problemi da risolvere e alcuni teoremi da
dimostrare. Essi non erano stati in grado di farlo, per cui fu egli stesso,
dietro insistenza di Dositeo, a far loro avere quelle dimostrazioni. In tutte e
due le lettere in cui i teoremi e problemi sono risolti, il II libro di Sulla
sfera e sul cilindro e Sulle Spirali, egli sottolinea l’insistenza di Dositeo
dicendo: <<precedentemente mi avevi esortato a scrivere le
dimostrazioni di quei problemi>> ed ancora
:<<dei teoremi già inviati a Conone e dei quali mi richiedi di scrivere le
dimostrazioni....>>
Ebbene, nel libro II di Sulla sfera e sul
cilindro egli inserisce due proposizioni, la 8 e la 9, la cui dimostrazione
porta ad affermazioni contraddittorie rispetto a due dei teoremi inviati prima.
Successivamente, Archimede inviando a Dositeo nel libro Sulle spirali la
soluzione dei problemi rimanenti, apertamente gli dichiara la falsità dei due
teoremi, facendo riferimento alle dimostrazioni che lui aveva già date nella sua
opera precedente. Nessuno dei matematici alessandrini se ne era evidentemente
accorto ed è quasi con pignoleria che il Siracusano si prende la soddisfazione
di farlo ripetutamente notare. Svela, con malcelata ironia, di avere proposto la
dimostrazione di teoremi sbagliati, affinché <<coloro che dicono di sapere
trovare tutto, ma senza alcuna dimostrazione, vengano confutati per il fatto di
aver trovato cose impossibili.>>
C’è chi di fronte a questa che sembra una vera e
propria burla tenta di darne una spiegazione diversa. Il Frajese ad esempio
sostiene che non può parlarsi di inganno del Siracusano nei confronti degli
alessandrini. Secondo la sua opinione Archimede prima di tutto intuiva
determinate proprietà geometriche delle figure che doveva studiare, facendo di
queste intuizioni ipotesi di lavoro che solo in seguito, col suo metodo e con le
dimostrazioni per esaustione, portava a felice esito.
Non tutte le ipotesi si dovevano per forza
rivelare esatte. I due teoremi non sarebbero stati degli errori, ma neppure gli
strumenti di un malizioso inganno nei confronti degli alessandrini. Si
tratterebbe proprio di ipotesi di lavoro, intuite da lui ma poi rivelatesi non
esatte e che Archimede onestamente riconosce come tali di fronte ai suoi
colleghi matematici. In realtà, le parole del Siracusano sembrano davvero molto
chiare nell’affermare un’esplicita volontà di smascherare le false pretese
scientifiche degli alessandrini. Del resto, egli ebbe anche altri atteggiamenti
di sfida nei loro confronti.
Lo stile del Siracusano comunque, non è semplice
come quello di Euclide nei suoi Elementi. Archimede scrive per iniziati e
specialisti e parla dunque a competenti che sfida in modo vero e proprio a
seguire il ragionamento, a giungere alle sue medesime conclusioni avendo
afferrato il significato della dimostrazione. Per questo spesso tralascia alcuni
passaggi, con la scusa che si tratta di cose evidenti. Lascia stupiti la
franchezza e quasi la maleducazione con cui egli parla a Dositeo, al quale
inizia a inviare le sue opere dopo la morte di Conone. Nella lettera
introduttiva alla Quadratra della parabola dice che gli scrive perché era stato
amico di Conone ed era versato nella matematica.
Ma in una lettera successiva in apertura
dell’opera Sulla sfera e sul cilindro afferma: <<E’ ora data la possibilità
ai competenti di esaminare queste proposizioni. Sarebbe stato bene che esse
fossero state rese note quando Conone era ancora in vita: pensiamo infatti che
egli massimamente avrebbe potuto comprenderle pienamente e dare su di esse un
giudizio confacente.>> Praticamente gli diceva in faccia che solo un altro
li avrebbe davvero potuti comprendere e apprezzare veramente. Lo stesso elogio
che vien fatto di Conone nella lettera introduttiva a Sulle Spirali è un
implicito riconoscimento dell’inferiorità di Dositeo il quale, nondimeno, doveva
apprezzare il valore di Archimede visto che lo sollecitava a inviargli le
dimostrazioni di teoremi e problemi.
Qualcuno ha sostenuto che
il Metodo è una comunicazione privata che Archimede fa ad Eratostene, ma c’è da
credere che anche di questi egli non avesse grande considerazione come
matematico visto che ritenne con lui di essere per la prima volta, anch’egli
elementare. Sembra proprio che l’unico scienziato ammirato da Archimede sia
stato Conone, <<il quale in nulla è mai venuto meno nella sua amicizia verso
di noi>> com’egli dice nell’introduzione della Quadratura della Parabola. Di lui
afferma: <<Ci dolemmo per la morte di un uomo amico e mirabile nelle matematiche>>,
e ne fa l’elogio senza riserve nell’introduzione a Sulle Spirali con queste
parole: <<Sappiamo infatti che egli fu straordinariamente abile in matematica
e che fu molto amante del lavoro.>>
La
perdita di Conone rappresentava per lui la
mancanza di un interlocutore abile e di cui potersi fidare. |