In effetti, non fu mai superato nella scienza e nella filosofia greche un vero
orrore per l’infinito, che operò nello stesso Archimede e lo costrinse, per
trovare soluzioni matematiche rigorose che altrimenti non sarebbero state
possibili, a inventare geniali alternative all’uso diretto del concetto stesso
di infinito. Erano comunque state poste le basi per una nuova matematica fondata
sulla convinzione che il punto non possa avere dimensioni, che la linea sia una
lunghezza priva di larghezza e cha la superficie sia priva di spessore. Dice
Frajese: <<E’ questo il vero colpo d’ala della geometria greca che segna
l’inizio della geometria di precisione.>>
Chi sistema definitivamente questa concezione
geometrica è Euclide. I suoi Elementi vennero composti attorno al 300 a.C. cioè
alcuni decenni prima del secolo in cui operò Archimede. E’ un trattato di
matematica elementare in cui le proposizioni si deducono a partire da
proposizioni primitive (postulati o assiomi) che sono evidenti di per sé. Negli
Elementi la trattazione dei temi ha carattere di assoluta teoreticità, in gran
parte dovuta a un’influenza platonica. Non vi è alcun accenno ad applicazioni
pratiche della verità raggiunte e neppure il minimo esempio numerico o la più
semplice regola di misura.
Questa idealità assoluta è estranea invece ad
Archimede; egli non disdegna i calcoli aritmetici o le regole di misura e
tuttavia si distingue, come in Euclide, per un assoluto rigore dimostrativo: da
proposizioni prime (assunzioni o lemmi) si deducono proposizioni via via più
complesse fino a quelle volute. Il carattere dell’argomentazione archimedea non
è però elementare ma per iniziati. Dice Frajese: <<La lettura delle opere di
Archimede colpisce ed entusiasma, pur senza essere facile e spedita.>>
Galileo afferma di aver letto le opere di Archimede con infinito stupore
e prima di lui Tartaglia riconosceva lo straordinario vantaggio avuto dalla
conoscenza delle opere del siracusano tanto da rendersi conto che il loro valore
era tale da far meritare ad Archimede una fama e delle lodi addirittura
superiori a quelle tramandate dagli antichi.
* * *
SULLA SFERA E SUL CILINDRO
MISURA DEL CERCHIO
L’opera che Archimede riteneva la sua più
importante è Sulla sfera e sul cilindro. Plutarco racconta che egli volle
che sulla sua tomba fossero incise appunto quelle due figure con un epigramma
che definisse la proporzione che le lega. Essa può essere considerata la
prosecuzione del libro XII degli Elementi di Euclide che tratta degli stessi
argomenti. Archimede scopre però e dimostra teoremi nuovi e fondamentali sul
volume e sulla superficie della sfera, che si trovano sul primo libro: che la
superficie della sfera è il quadruplo del circolo massimo e che il volume di
essa è quadruplo del volume del cono avente base uguale al cerchio massimo e
altezza uguale al raggio della sfera stessa. Il libro II è quasi
completamente dedicato ai problemi che si riferiscono alla divisione della sfera
mediante piani e culmina con il teorema che stabilisce che tra tutti i segmenti
sferici, appartenenti anche a sfere diverse, purché aventi uguale superficie,
quello massimo è l’emisfero. Come dice Frajese, Archimede in questo libro non si
limita a dare la soluzione dei vari problemi, ma svela i segreti del
procedimento seguito, pressappoco nello stesso ordine di idee della trattazione
del Metodo in cui descrive il modo che seguiva per trovare
meccanicamente le soluzioni.
All’opera sono premessi alcuni postulati tra cui
il famoso “postulato di Archimede”. Esso è usato anche nelle trattazioni
moderne come base della teoria dei rapporti tra grandezze. La sua formulazione,
anche se un pò diversa da quella che ne dà lo scienziato, è questa: “Date due
grandezze appartenenti alla stessa classe e supposto che A sia maggiore di B,
esiste un multiplo di B che supera A, cioè esiste un numero naturale n
tale che si abbia nB>A.”
Pur attribuendo il postulato ad Archimede
bisogna dire che esso è usato da Euclide e probabilmente è dovuto ad
Eudosso. Fu
il matematico di Innsbruck Otto Stolz a proporre di chiamarlo così nel 1883 in
quanto ritenne che Euclide ne faccia solo un uso implicito e che sia Archimede a
darne una definizione precisa ed a usarlo esplicitamente. Quel postulato è usato
in Sulla sfera e sul cilindro per dimostrare che i rapporti tra rette
possono tendere al limite 1 purché si definisca opportunamente il modo di
formazione dei rapporti successivi tra loro. Secondo le parole di Archimede si
possono trovare coppie di segmenti di rette disuguali, tali che il loro rapporto
sia minore di qualunque rapporto prefissato maggiore dell’unità, ma vicino
all’unità quanto si voglia. Questa è la prima grande proposizione. Essa è subito
applicata nel migliore dei modi al caso di due poligoni regolari, di uguale
numero di lati, uno circoscritto e uno inscritto in un cerchio.
Archimede dimostra che il rapporto tra i loro
perimetri può essere fatto avvicinare all’unità quanto si voglia, purché si
possa disporre di un numero di lati a sua volta grande quanto si voglia. Così è
espresso un motivo fondamentale della geometria del Siracusano, vale a dire il
tendere indefinito gli uni verso gli altri non solo dei perimetri, ma anche per
le aree, e non riguarda solo il cerchio, ma anche piramidi e prismi
rispettivamente circoscritti e inscritti in coni o cilindri.
La determinazione del “pi greco” è uno dei
grandi meriti di Archimede. Il fatto che egli affrontò un problema geometrico
ricorrendo all’uso di numeri suscitò reazioni negative in vari rigoristi
dell’inizio dell’epoca moderna. Frajese ricorda la sorprendente posizione
assunta da Leonardo Pisano, detto Fibonacci. Questi, infatti, sostenne che, sì,
la scoperta di Archimede è bella, ma che si riteneva in grado di fare meglio,
ottenendo gli stessi risultati operando con numeri più piccoli di quelli da lui
usati.
* * *
IL METODO DI ESAUSTIONE
Nelle dimostrazioni dei teoremi che via via
trovava Archimede si servì del metodo di esaustione. Esso consiste nel
considerare una grandezza come il limite cui si avvicinano sempre più delle
figure inscritte e circoscritte essa, moltiplicandone continuamente il numero
dei lati n modo che la differenza si esaurisca, ossia diventi più piccola di una
qualsiasi grandezza data. Tale metodo, secondo Simplicio, era già stato usato da
Antifonte nel V secolo a.C. e anche da Eudosso per rendere più rigoroso l’uso
del concetto di infinito. Il concetto di infinito non era più evitabile nel
momento del passaggio dalla geometria di approssimazione alla geometria di
precisione, cioè dopo la scoperta dell’incommensurabilità di certe linee: con la
nascita della geometria astratta è necessario ammettere che una linea qualunque,
per quanto piccola, contenga infiniti punti, o che il rapporto tra due grandezze
incommensurabili sia determinato con un procedimento che non può avere fine.
Eudosso è stato il più grande dei matematici che
hanno preceduto Euclide ed è ben degno di essere considerato precursore dello
stesso Archimede. Ma vediamo la ricostruzione del metodo di esaustione che ne dà
il Frajese:
<<Si debba dimostrare che due grandezze A, B
sono uguali tra loro. Si procede col metodo di riduzione all’assurdo: se
possibile sia A maggiore di B.>>
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