VIAGGI
Un’altra invenzione meravigliosa attribuita al
Siracusano è l’organo idraulico, che emetteva suoni melodiosi prodotti dal
movimento dell’acqua in tubi disposti in modo opportuno. Di tale strumento parla
Tertulliano nella sua opera De Anima, attribuendolo allo scienziato. Egli dice:
<<Guarda la portentosissima liberalità di Archimede: dico l’organo idraulico:
tante membra, tante parti, tante compagini, tante vie delle voci, tanti insiemi
di suoi, tante combinazioni di ritmi, tante file di flauti, e tutte queste cose
erano una sola grande costruzione.>>
Un’altra realizzazione è il loculo archimedeo.
Ne parlano Mario Vittorino scrittore vissuto nel IV secolo d.C. e Attilio
Fortunaziano che è di un secolo posteriore.
Quest’ultimo lo descrive così: <<Quel loculo archimedeo, che ha quattoridici
lamelle di avorio di varie forme geometriche che sono inserite in una forma
quadrata, rappresenta a noi che lo componiamo o in un modo o in un altro ora un
elmo ora un pugnale, o una colonna o una nave e realizza innumerevoli forme, e
soleva essere molto utile a noi fanciulli per rinsaldare la memoria.>> Si
tratta in realtà di un gioco molto diffuso nel corso dei secoli e non è altro
che un puzzle. Nel passato si riteneva dubbio che si trattasse di una
realizzazione di Archimede, pensando che la si dicesse “archimedea” perché
costruita con arte e ingegno,. Alla fine del secolo scorso, però, Suter scoprì
la traduzione araba di un libro del Siracusano che parlava di tale strumento:
sembra essere confermata la legittimità dell’attribuzione allo scienziato di
questa invenzione.
Un’altra straordinaria macchina attribuita ad
Archimede è una specie di cannocchiale. La notizia si trova nell’opera di Favaro
che parla della strana affermazione nella lettera che il fisico veneto Burattini
(XVII secolo) scrisse a Bouillaud. In essa il fisico dichiara di aver ricevuto
il disegno e la descrizione del “tubo catoptrico” cioè del telescopio a
riflessione di Newton sostenendo che nella città di Ragusa in Dalmazia esisteva
ancora al suo tempo una macchina grazie alla quale si potevano vedere le navi
che solcavano l’Adriatico alla distanza di 25-30 miglia. Per tradizione,
aggiunge, quella macchina veniva attribuita ad Archimede e conclude affermando
di credere che si trattasse della stessa che era stata posta sopra il faro di
Alessandria dai Tolomei e per mezzo della quale, secondo una leggenda araba, si
potevano vedere le navi uscire dai porti della Grecia.
Un’altra realizzazione di Archimede dovette
colpire particolarmente i suoi contemporanei: la costruzione della grande nave
di Gerone la cui descrizione è stata fatta, secondo Ateneo (II e III secolo d.C.)
da Moschione. Essa fu costruita con tanto legname quanto sarebbe occorso per
fabbricare sessanta galere, erano predisposti venti ordini di remi e al suo
interno i pavimenti erano ricoperti di mosaici che raffiguravano scene della
guerra di Troia. Possedeva una biblioteca, un bagno, cisterne, acquari e persino
stalle con cavalli. Era munita di poderosi strumenti e armi micidiali, non meno
di seicento uomini doveva imbarcare perché vi fossero svolte tutte le mansioni.
Questa nave venne usata per far giungere in
Egitto ricchissimi doni prodotti dalla terra di Sicilia, fu regalata dal re
Gerone a Tolomeo Evergete, che le cambiò il nome da Siracusa in Alessandria. Il
racconto di Ateneo è ricco di fantasia e quindi poco credibile. Afferma lo
storico che nonostante l’immenso peso: <<il solo Archimede ve la trasse con
pochi strumenti, avendo allestita l’elica per mezzo della quale ridusse in mare
una nave così smisurata.>> La stessa cosa è raccontata dal letterato
bizantino Tzetze il quale sostiene che il Siracusano: <<con una taglia a tre
carrucole, e da solo, con la mano sinistra riusciva a trascinare una nave
oneraria del peso di cinquantamila mediane.>>
Plutarco racconta un episodio simile: <<Archimede
scrisse un giorno al re Gerone, di cui era parente ed amico, che si poteva con
una certa forza sollevare un certo peso. Si dice che, preso d’entusiamo per il
vigore della propria dimostrazione, Archimede aggiunse che se fosse esistita
un’altra terra, egli avrebbe mosso questa trasferendosi in quella.
Gerone trasecolò per la scoperta fatta
dall’amico e lo pregò di ridurre in pratica la sua proposizione, mostrandogli
qualche grosso oggetto mosso da una piccola forza. Archimede prese un mercantile
di tre alberi della flotta reale, che fu tirato in secco con grande fatica e
l’impiego di molte persone, v’imbarcò molti uomini e il suo carico abituale, poi
si sedette lontano e senza nessuno sforzo, muovendo tranquillamente con una mano
un sistema di carrucole, lo fece avvicinare a sé dolcemente e senza sussulti,
come se volasse sulle onde del mare.>>
Evidentemente il grande scienziato siracusano deve essersi servito di vari
congegni: l’asse della ruota, l’argano, la girella mobile, la puleggia, tutte
macchine che combinate insieme possono moltiplicare le forze nella misura che si
vuole.
Fu considerata meravigliosa un’altra
realizzazione archimedea: la Sfera. Si trattava di un vero e proprio planetario
che riproduceva il moto dei corpi celesti del sistema solare allora conosciuto
(Sole, Luna e cinque pianeti), la formazione delle eclissi e vari fenomeni come
il tuono e i fulmini. Pare che lo scienziato abbia descritto in un libro questa
sua opera, ma purtroppo non è giunta sino a noi e nulla si sa di preciso. In un
epigramma Claudiano, poeta latino vissuto tra il IV e V secolo d.C., tradotto
dal poeta Marini, così descrive l’opera di Archimede: <<Ecco ogni Sfera in
picciol globo ha chiusa l’ingegnoso ingegner di Siracusa. De’ Poli i siti e
della Luna torta gradi, immagini e segni ivi trasporta. Con certi giri entro
l’augusta mole corre e l’anno misura il finto Sole; e con lucenti ed argentate
corna al nuovo mese suo Cintia ritorna. Né meno han delle stelle i moti e i
seggi dall’industria del Fabbro ordini e leggi.>> Lattanzio, scrittore
cristiano vissuto tra il III e IV secolo d.C., crede che la Sfera sia di rame.
:<<Il Siciliano Archimede potè realizzare con una sfera di rame un Mondo
artificiale, nel quale dispose il Sole e la Luna in modo tale che producessero
moti disuguali e simili alle orbite celesti quasi in ogni giorno e quel mondo
nel girare mostrasse non solo il crescere e il calare del Sole o le fasi della
Luna, ma anche i differenti corsi delle stelle.>> Cicerone sostiene: <<Quando
Archimede applicò a una Sfera i movimenti della Luna, del Sole e dei cinque
pianeti, fece la stessa cosa del Dio di Platone che nel Timeo costruì il Mondo
in modo che un solo corpo reggesse moti diversissimi per velocità: neppure nella
Sfera Archimede avrebbe potuto imitare gli stessi moti senza un ingegno divino.>>
C’è da dire che Archimede non fu certo
l’inventore della Sfera, avendo altri prima di lui rappresentato i globi
celesti. Fu il primo che raffigurò in modo meccanico i moti. Si discusse a
lungo, senza trovare un accordo, sul modo in cui venivano prodotti i movimenti.
Secondo Cardano Archimede avrebbe riprodotto con la sua Sfera un sistema
cosmologico simile a quello che oggi chiamiamo copernicano, in cui anche la
Terra era fatta come un piccolo globo che si muoveva. Anche Mazzuchelli sostenne
che nel piccolo globo della Terra doveva essere nascosto un artificio di ruote
che muoveva la Terra stessa attorno al Sole.
Un’altra realizzazione di
Archimede fu quella degli specchi ustori: il primo a riferirne fu lo scrittore
greco Luciano di Samosata vissuto nel II secolo d.C.. Egli afferma che il
Siracusano con un semplice artificio distrusse le trireme nemiche senza far
cenno però agli specchi. Un’altra testimonianza è di Galeno, il famoso medico
nato a Pergamo e vissuto a Roma nel II secolo d.C. che afferma: <<In questo
modo, ritengo, dicono che anche Archimede abbia incendiato con specchi ustori le
navi dei nemici.>> Ne parla anche Zonara dicendo: <<Infine bruciò
mirabilmente tutta la flotta dei Romani. Infatti con uno specchio sospeso in
direzione del Sole raccolse i suoi raggi.>> Lo stesso Tzetze ne parla
sostenendo che Archimede costruì uno specchio esagonale con altri piccoli
specchi che
venivano mossi in modo particolare, collocandolo
in una posizione tale che, riflettendo i raggi del sole, fece sviluppare un
formidabile incendio che ridusse in cenere le navi nemiche, nonostante si
trovassero alla distanza di un lancio di freccia. |