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Archimede

 Nascita, famiglia e prima formazione

        Una strana sorte ha voluto che della vita dei matematici dell’antichità ci pervenissero scarsissime notizie. A questa regola sembra sfuggire Archimede. Di lui ci hanno parlato alcuni dei massimi storici dell’antichità: Tito Livio, Plutarco, Polibio. Le testimonianze sulla sua vita sono numerose, se però le esaminiamo meglio, vediamo che molte sono poco attendibili perché frutto di fantasia, spesso stimolata, dalle sue strabilianti invenzioni.

L’unica notizia certa della sua vita, anche se può sembrare paradossale, concerne la data della sua morte: l’anno 212 a.C. che vide la conquista da parte del console Marcello di Siracusa, durante la seconda guerra punica.

Il bizantino Tzetze, vissuto nel XII secolo, ci dice che Archimede morì quando aveva 75 anni, per cui si può risalire alla probabile data di nascita che andrebbe collocata nell’anno 287 a.C..

Secondo l’interpretazione del grande filologo Friedrich W. Blass, che però non è del tutto certa, Archimede stesso ci darebbe il nome del proprio padre in un passo della sua opera intitolata Arenario, dove ricorda gli astronomi che prima di lui avevano tentato la misura del diametro apparente del Sole. Tra essi, dice <<Fidia, nostro padre, affermò che era 12 volte maggiore di quello della Luna.>>

Le notizie della sua condizione familiare sono contrastanti: Plutarco, che è lo storico che parla di Archimede con maggiore ricchezza di particolari, sostiene che egli fu parente ed amico di Gerone. Cicerone lo definisce <<omuncolo di modesta condizione>> che seppe conquistarsi fama e prestigio grazie ai suoi studi.

Una notizia curiosa sulla discendenza del Siracusano è sostenuta da David Rivault nella biografia premessa all’edizione delle opere di Archimede da lui curata e pubblicata a Parigi nel 1615. Egli racconta che un eruditissimo greco, traduttore delle vite delle sante e dei santi siciliani, gli aveva raccontato di aver letto in esse che la famosa santa Lucia apparteneva alla stirpe del grande scienziato.

Sui primi anni della formazione di Archimede sono fiorite leggende. Una di queste è dovuta a Mirabella, il quale sostiene che il filosofo fu discepolo di Platone al tempo in cui questi dimorò a Siracusa: cosa evidentemente assurda se si pensa che quando Archimede nacque Platone era già morto da circa cinquant’anni. Altrettanto assurda la notizia di origine araba secondo la quale lo scienziato sarebbe stato figlio di Pitagora, il matematico e filosofo vissuto oltre due secoli prima di lui.

* * *

ALESSANDRIA D’EGITTO

 Non si sa nulla di certo. Se è vero che fu figlio di un astronomo, non è azzardato pensare che abbia ricevuto dal padre i primi insegnamenti nelle scienze matematiche. L’ambiente di Siracusa e lo stesso re Gerone II erano favorevoli alla promozione culturale di chi avesse capacità e possibilità di dedicarsi agli studi. Archimede, compiuti i primi studi nella propria città, si recò ad Alessandria d’Egitto, la quale al tempo, era il più grande centro di studi esistente allora, sia per la quantità di testi disponibili, sia per gli strumenti e le strutture di cui potevano disporre gli studiosi, sia per la qualità degli scienziati che vi operavano.

Il merito di tanta grandezza andava alle due istituzioni della città – il Museo e la Biblioteca – volute da Tolomeo I Sotere. Risalgono certamente a questo periodo le amicizie ed i legami che intrecciò con altri scienziati della scuola, a cui invierà, dopo la morte di Conone, i propri lavori, una volta tornato a Siracusa. Nella decisione del Siracusano di tornare a Siracusa deve aver avuto la sua parte il richiamo della città natale. Non dimentichiamoci l’amicizia del re Gerone che spinse Archimede a dedicarsi alle applicazioni tecniche delle sue scoperte. Plutarco afferma che fu il re Gerone che per primo sollecitò e convinse Archimede a rivolgere un poco della sua tecnica dalle cognizioni teoretiche alle cose concrete.

Il motivo per cui Archimede non rimase ad Alessandria può tuttavia essere anche un altro, più profondo e decisivo. La sua personalità e la sua stessa attività scientifica furono così originali e diversi dalla scienza alessandrina da far pensare che egli abbia lasciato il Museo perché consapevole che non vi avrebbe avuto seguito adeguato. La sua fu infatti una figura del tutto nuova rispetto a quella del dotto alessandrino, poiché fu scienziato ma anche tecnico, riuscendo a riunire in una sintesi armonica la ricerca teorica e le applicazioni pratiche. In questo senso fu veramente unico nell’antichità.

La scienza alessandrina era legata, invece, ad un’influenza ideologica di origine platonica che determinarono il grande sviluppo della matematica e dell’astronomia, ma dall’altra il progressivo abbandono delle scienze naturali e fisiche. Unica vera eccezione in questo senso fu la medicina che si sviluppò in modo notevole, soprattutto in Egitto dove la tradizione di mummificare i cadaveri aveva prodotto già vaste conoscenze anatomiche.

La costruzione di macchine fu condizionata dal pregiudizio filosofico che negava utilità e valore alla scienza applicata e finì con l’essere ridotta alla sola funzione di meravigliare e divertire. I nomi dei celebri ingegneri alessandrini che vissero tra il III ed il I secolo a.C. come Ctesibio, Filone di Bisanzio e lo stesso Erone, sono legati alla costruzione di meravigliosi giocattoli semoventi, teatrini meccanici, orologi ornamentali, congegni mossi dalla forza del vapore o dalla pressione dell’acqua. Famosa è la cosiddetta “Fontana di Erone” che era un dispositivo meccanico e idraulico grazie al quale si aprivano e si chiudevano da sole le porte di un tempio quando, rispettivamente, si accendeva o si spegneva il fuoco sull’altare della divinità.

Tra scienza e società si determinò una netta separazione. Lo scienziato alessandrino passava il suo tempo circondato di privilegi e attenzioni in un’istituzione che gli dava tutto ciò che gli serviva per la sua attività. Era uno scienziato puro le cui ricerche erano come diceva Aristotele “disinteressate”. Disdegnando gli scopi pratici. Vi furono, a dire il vero, ad Alessandria tecnici valenti, come l’architetto Dinocrate di Rodi, che diresse la costruzione della città, e il suo successore Sostrato di Cnido, artefice del celebre faro della capitale egiziana. Ma il tecnico non era considerato un vero scienziato ed occupava nella società un gradino inferiore perché vendeva la sua opera dietro compenso, degradandola così a merce.