I GALLEGGIANTI
Il principio di Archimede è descritto dal
Siracusano in una delle due opere, tra quelle pervenute, che sono dedicate allo
studio dei fenomeni meccanici. Si tratta dei “Galleggianti” in cui si tratta di
quel ramo della meccanica che è la statica dei liquidi e di cui Archimede fu il
vero fondatore. L’opera ha avuto travagliate vicende. Dopo che nel XIII secolo
Guglielmo di Moerbeke (collaboratore filologico di San Tommaso d’Aquino) ne fece
una versione latina strettamente fedele all’originale, il testo greco andò
perduto. Tartaglia, il grande matematico del Cinquecento, servendosi di quella
versione, pubblicò lo scritto per primo nell’epoca moderna, seguito qualche anno
dopo da Commandino che cercò pure di migliorarne il testo. Agli inizi del nostro
secolo Heiberg, scienziato e storico della scienza, profondo conoscitore di
Archimede. Ebbe la straordinaria fortuna di ritrovare a Costantinopoli un
manoscritto contenente il testo greco di varie opere di Archimede, tra cui
quella fondamentale intitolata il Metodo. Tra quelle opere c’era il testo –
purtroppo non completo dei Galleggianti, che così potè tornare ad essere letto e
studiato nella stesura originale.
Tornando all’opera del Siracusano si trovano
premesse due postulati e due preposizioni la seconda delle quali, come afferma
il Frajese, è di carattere geografico. Essa sostiene che se un liquido è in
riposo, la sua superficie ha la figura di una sfera avente il centro nel centro
della Terra. Detto in altre parole, questo significa, che
tutti i punti della Terra il livello del mare è lo stesso, cioè dista egualmente
dal suo centro. Si tratta di una verità che dopo Archimede fu abbandonata e solo
molto più tardi, in epoca ormai vicina alla nostra, fu ripresa e dimostrata come
vera. Dopo queste preposizioni, nei Galleggianti per la prima volta viene
definito il concetto di peso specifico. Se questo, nel solido, è uguale a quello
del liquido, si avrà equilibrio, nel senso che il solido stesso resterà
immobile, senza discendere né emergere; se invece avrà peso specifico minore del
liquido, il solido emergerà in parte di esso, se infine il suo peso specifico
sarà superiore, si immergerà nel liquido, andando a fondo, ma venendo
alleggerito di quanto è il peso del liquido spostato. In questo modo Archimede
enuncia il suo principio: <<Un corpo più pesante del liquido nel quale lo si
immerge discenderà al fondo e il suo peso, nel liquido, diminuirà d’una quantità
misurata da ciò che pesa un volume di liquido uguale a quello del corpo.>>
* * *
SULL’EQUILIBRIO DEI PIANI
E’ l’altra opera di Archimede che è giunta sino
a noi e dedicata a problemi fisici. Poiché in essa Archimede usa il concetto di
gravità senza definirlo esplicitamente, c’è chi pensa che egli abbia scritto
un’altra opera su argomenti analoghi e che proprio in essa abbia dato quella
definizione. L’esistenza di tale scritto è negato da altri interpreti.
“Sull’equilibrio dei piani” è una delle prime
opere del siracusano, come si può argomentare in base alle sue stesse
affermazioni. In particolare sembra verosimile che tra la stesura del primo e
secondo libro di essa va cronologicamente posta la composizione della
“Quadratura della parabola”, nella cui introduzione Archimede rivolgendosi a
Dositeo parla della morte di Conone come di un fatto avvenuto da poco e che ci
fa collocare lo scritto agli inizi della sua produzione scientifica.
Ciò porterebbe a concludere che all’inizio
Archimede abbia speso le sue energia verso la matematica applicata argomento,
appunto, dell’opera “Sull’equilibrio dei piani”. La stesura della “Quadratura
della parabola”, con la sua dose di matematica pura, servì ad Archimede per
risolvere gli argomenti meccanici del secondo libro dell’opera “Sull’equilibrio
dei piani”. Si può dedurre che Archimede sin dai suoi primi studi si
allontanasse dal metodo euclideo prettamente teoretico anche se, come dice
Frajese il distacco non è così netto. Infatti la meccanica applicata nelle opere
di Archimede riguarda solo corpi geometrici: nell’opera “Sull’equilibrio dei
piani” egli prende in considerazione le figure piane aventi cioè due dimensioni.
Se consideriamo la settima proposizione del I libro dove trattando delle
condizioni di equilibrio della leva prende in considerazione il caso delle
grandezze incommensurabili ci rendiamo conto di come ciò abbia alto valore
teorico, ma nessun senso concreto.
In altre parole, come dice Plutarco, Archimede
si tiene lontano dal considerare nei suoi scritti le applicazioni pratiche vere
e proprie limitandosi a considerare i presupposti teorici e rimanendo così
fedele alla concezione platonica della scienza. Come sostiene Frajese si può
stabilire una linea di continuità tra l’opera di Archimede ed Euclide, anche se
il Siracusano non si lasciò paralizzare dal platonismo dell’epoca dedicandosi
sia alle ricerche di matematica pura sia alle realizzazioni pratiche. Si può
concludere che in Archimede non è possibile separare lo scienziato teorico
dall’ingegnere e dal tecnico. “Sull’equilibrio dei piani" insieme ai
“Galleggianti” pone i fondamenti della statica.
* * *
STUDI DI ASTRONOMIA
Essendo probabilmente figlio di un astronomo, Archimede fu in grado di
padroneggiare anche in astronomia. Tra gli autori che danno testimonianza della
sua attività in questo campo vi è Ipparco di Nicea, astronomo vissuto nel II
secolo a.C. e fondatore della vera astronomia d’osservazione. Lo cita Tolomeo
“nell’Almagesto”: <<rispetto ai solsitizi spero che Archimede ed io non ci siamo
ingannati sino a un quarto di girono tanto nelle osservazioni quanto nel
calcolo.>>
Troviamo testimonianza anche in Tito Livio e
Plutarco, come pure in Microbio che dice: <<anche Archimede credette di aver
scoperto il numero degli stadi della distanza della Luna dalla superficie della
Terra, di Mercurio dalla Luna, di Venere da Mercurio, del Sole da Venere, di
Marte dal Sole, di Giove da Marte, di Saturno da Giove, ma ritenne di aver anche
calcolato ogni spazio dal cerchio di Saturno, fino allo stesso cielo stellato.>>
E’ “nell’Arenario“ che
Archimede descrive dettagliatamente il metodo da lui usato per misurare il
diametro apparente del Sole e pur rimanendo lontano dal vero raggiunse
un’approssimazione molto maggiore dei suoi
predecessori. Probabilmente lo scienziato parlò delle sue osservazioni
astronomiche in due opere che però sono andate perdute, la “Sferopea” e la
“Catottrica”. |