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L’uomo per gli altri
“Padre, se vuoi, allontana da me
questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Luca
22,42). Quante volte a Giovanni Palatucci sarà venuto in mente questo passo
del Vangelo? Infinite volte, in particolar modo nei momenti d’angoscia e di
maggiore lacerazione interiore che l’avranno assillato nei tremendi ultimi anni
trascorsi alla Questura di Fiume (dal 1939 al 1944, anno del suo arresto).
Disobbedire alle leggi umane per obbedire a Dio era diventato per lui un
imperativo morale, quasi un comandamento, che lo portava naturalmente a
sottovalutare i rischi personali e ad Amare il prossimo più della sua stessa
vita. Il peso di questa sua scelta radicale fu sopportato in piena libertà,
in adesione perfetta ai comandamenti evangelici. “Vogliono farci
credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello
che il cuore e la nostra religione ci dettano”, così si esprimeva
lapidario il nostro Giovanni quasi a giustificare il suo agire, testimoniando la
sua fede in Cristo. E proprio quel cuore e quella religione che erano stati
il sale e il pane della sua esistenza, quando oramai tutto sembrava privo di
senso e valore, continuavano a guidarlo nelle asperità e brutture della realtà
che si trovava costretto, suo malgrado, a fronteggiare. Educato fin da
piccolo alle cose grandi dello Spirito dalla nonna materna, Carmela, terziaria
francescana, morta in concetto di santità, e dagli zii Antonio e Alfonso e
Giuseppe Maria, tutti consacrati alla vita religiosa, Palatucci non poteva fare
altro che assecondare la sua naturale vocazione al Bene, facendosene docile
strumento, Servo di Dio, per l’appunto. “Ex fructibus eorum cognoscetis eos”
(Matteo 7,20) si trova scritto nel Vangelo e mai passo poteva essere più
calzante di questo per esprimere il valore della missione provvidenziale di
Giovanni. Un’ebrea salvata con suo marito dallo sterminio, grazie
all’intervento di Palatucci, così lo ricorda in una sua lettera: “ ….Non appena
arrivammo a Fiume, sentimmo dire che il capo dell’ufficio stranieri, il dott.
Palatucci, faceva di tutto per alleviare la sorte dei profughi. Potemmo
constatarlo subito. Il primo giorno di carcere, la porta si aprì ed entrò il
Dott. Palatucci; ci consolò e promise di fare il possibile per aiutarci (….).
Con il suo aiuto fummo liberati e potemmo salvarci la vita...”. Chi era
Palatucci e cosa stesse facendo a favore dei profughi Ebrei, non era, quindi, un
mistero per coloro che arrivavano senza più speranza a Fiume; e non doveva
esserlo neppure per quanti, spiavano già, da tempo, le mosse di
Giovanni. Eppure, incredibile a credersi, nessuno osò tradirlo se non nel
giorno del suo arresto, avvenuto il 13 settembre 1944, quando la sua opera
fruttuosa poteva considerarsi oramai conclusa e il progetto, che Dio aveva su di
Lui, adempiuto. Giovanni, fino allo stremo delle forze, si prodiga per
l’altro; addirittura la sua esistenza ha un senso solo “per gli altri”, per i
più poveri, per gli emarginati, gli “ultimi” di qualsiasi razza ed estrazione
sociale. Quando non può assisterli di persona, li affida ai pochi
collaboratori di cui si fida ciecamente, esortandoli alla carità verso il
prossimo. In un’occasione avrà modo di dire ad uno di loro: “Questa è la
signora Scwartz. Trattala, ti prego, come se fosse mia sorella. Anzi no:
trattala come se fosse tua sorella, perché in Cristo è tua sorella”. Mancando
poco alla sua cattura, Palatucci, che forse già prefigura la propria fine,
decide di rimanere al suo posto, oramai abbandonato da tutti, sapendo di
immolarsi per le cose in cui è stato educato e ha creduto. Ad uno dei suoi
più stretti collaboratori che l’aveva esortato a scappare da Fiume per mettersi
finalmente in salvo, Palatucci gli risponderà, fissandolo con gli occhi lucidi
di commozione: “Dite a tutti gli Amici che fin tanto che sventolerà quel
tricolore io rimarrò qui al mio posto” (estate 1944). Il Card. Camillo Ruini,
all’apertura del processo canonico, tenutasi nel Vicariato di Roma, in maniera
esemplare ha riassunto, nel passo che segue, il “martirio per la carità”
sofferto da Giovanni Palatucci “…E mentre l’ideologia totalitaria postula
l’affermazione della nazione fino a diventare violenza sugli altri, la fede
provoca i Giusti a “esistere per gli altri”, come l’Ebreo Gesù di Nazareth,
nostro Signore e Maestro. E quanti fanno come Lui, preparano quella Umanità
nuova che l’ultimo Questore di Fiume italiana anticipò proprio donandosi, in
continuazione e fino al sacrificio estremo, per gli altri. Perciò, nei
quattro anni drammatici ma esaltanti vissuti in quella città “la sua anima era
già amica dell’infinito”, le forze del male che lo portarono via non riuscirono
a estinguerla fede in un mondo nuovo che “in spe contra spem” (Rm 4,18)
il Servo di Dio aveva dentro di sé”.
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Foto realizzata da Andrea D'Amore
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