Associazione Giovanni Palatucci

 
Home Page
Descrizioni
La Vita
Un Uomo per gli altri
Rosita e Mirka
Martire per Amore
Preghiera
Origini

Montella

La Famiglia

Eventi
Echi di Storia
Riconoscimenti ed Intitolazioni
Beatificazione
Canonizzazione
Lo ricordo anch'io
Archivio
Bibliografia
Foto e Documenti
Approfondimento
Links
Hanno scritto di lui
L'angolo dell'artista
L'associazione risponde
Notiziario
Rassegna Stampa
Suggerimenti / Risposte
Adesioni e Offerte
Martire per Amore

Servo per Amore e di nessun’altra passione terrena: questo fu, dunque, Giovanni Palatucci!
lI suo, come è stato scritto, fu un martirio che non si consumò istantaneamente ma maturò lentamente a partire dagli anni trascorsi a Fiume fino alla deportazione nel lager di Dachau; da lui consapevolmente temuto, alla fine, accettato in nome della Fede: martire che ha vissuto in grado eroico la Carità.
Al dilacerante dilemma: disobbedire alla legge iniqua dell’uomo o seguire i comandamenti di Dio, Giovanni non esita a dare una risposta precisa e ad agire conseguentemente.
Obbedisce alla sua coscienza, aderendo, senza ripensamenti, alla chiamata del Padre che si fa sempre più chiara ed inequivoca.
La sua è un’obiezione di coscienza intransigente, perché totale, che lo porterà inevitabilmente al sacrificio di sé per gli altri.
Mentre tutti scappano (1943), Giovanni decide di rimanere a Fiume per scongiurare che altri “fratelli” Ebrei cadano nelle mani della Gestapo.
Si ha l’impressione che voglia, da solo, ingaggiare una lotta contro il Male che dovunque, intorno a lui, sta obnubilando le coscienze.
Sa che non potrà vincere, ma non per questo è disposto a desistere.
L’amore per il prossimo e soprattutto quello verso i fratelli maggiori nella fede del Padre Abramo, gli infonde coraggio.
Ma la vera forza Giovanni l’attinge dalla Fede in Cristo, dal suo quotidiano avvicinarsi alla santa Eucarestia nella Chiesa dei Cappuccini di Fiume.
Giovanni si separa dagli amici, dagli affetti a cui è legato con commozione struggente ma senza rimpianti: la via che gli è stata tracciata è altrove e non può fare a meno di seguirla.
La sua sofferenza cresce nella misura in cui il peso della croce, che ha deciso di portare, si fa più insopportabile.
“La Grazia è sempre a caro prezzo” e Dio “non ci salva mediante l’onnipotenza ma con la debolezza” scrive D. D. Bonhoeffer nel suo libro Resistenza e resa, e queste poche parole bastano, da sole, a illuminare il calvario vissuto liberamente da Giovanni.
Un collaboratore, suo corregionale, lo ricorda pensieroso e malinconico nel suo ufficio, nel periodo in cui più si stava prodigando per la salvezza dei profughi ebrei.
Sembrava che sul suo volto fosse all'improvviso scomparso il sorriso e la giovialità che, da sempre, l’avevano contraddistinto.
Il Sig. Albertino R. di Campagna (SA) così prosegue nel suo racconto: “Devo subito affermare che in questi incontri era sempre pensieroso e malinconico quindi esprimeva grande preoccupazione. Era sempre solo, io non l’ho mai incontrato con nessuno, ma dato il suo posto in Questura, questo atteggiamento poteva essere ragionevole”.
Solo, quindi, ma sicuro di dover andare avanti senza tentennamenti.
Un’altra testimonianza de auditu sottolinea ancora meglio lo stato di prostrazione di Giovanni, da lui vissuto con cristiana rassegnazione.
Le parole di Giovanni, in questo caso, sono dirette all’amica Feliciana, conosciuta a Fiume per ragioni di lavoro e sono riportate dalla nipote di quest’ultima: “…..mi accorgo di essere diventato diffidente, infatti anche gli amici più cari non godono più della mia fiducia, ti sembrerà strano ma dentro di me incomincia a regnare la certezza che sarà proprio un amico a tradirmi ed io farò la fine che ha fatto Cristo con Giuda”.
Giovanni è consapevole di vivere un’esperienza singolare nell’imitazione di Cristo.
Ogni sua parola, ogni sua azione, richiamando la presenza di Gesù, sembrano tradire la sua sete d’Assoluto.
Giovanni confessa all’amica il proprio dramma senza eroismi né vittimismi di sorta: si fà docile e umile, perché così esige la Carità!
“….La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta…….(…) Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità” (1Cor 13,4)
Giovanni Palatucci morirà il 10 febbraio 1945, dopo quattro mesi di privazioni e sevizie inaudite.
L’ultimo ricordo che si ha di lui ci viene testimoniato dal Dott. Ricciardelli, amico e collega di Giovanni, anch’egli deportato a Dachau per essersi adoperato per la salvezza di molti ebrei e antifascisti quando era alla guida l’Ufficio Politico della Questura di Fiume.
All’interno dell’infermeria del lager, Giovanni, oramai all’estremo delle forze e gravemente ammalato (con molta probabilità è affetto da tifo petecchiale), gli sorrise dolcemente ricordando il tanto bene fatto assieme.
Nessuna accusa nei confronti dei carnefici e neppure rassegnazione in Giovanni che, prossimo alla fine, continua a trasmettere Amore al prossimo con un sorriso che è già perdono.
Coerente fino al martirio, dunque, il Venerabile Giovanni Palatucci non smette di ispirarsi all’esempio di Gesù che sulla croce invocò perdono per coloro che non sapevano quello che stavano facevano.

 

 

Chi siamo

Come Contattarci

Lo Statuto

 
 

sito ottimizzato per la risoluzione 1024x768

Copyright © 2005 Pina Allocca Tutti i diritti riservati.

Per comunicazioni scrivere a: p.allocca@associazionegiovannipalatucci.it