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Echi di storia

Fiume

Città dell’Istria situata sul Golfo del Quarnaro. (in serbo– croato Rijeka), è entrata a far parte della Repubblica Croata dal 1991.
Fu occupata militarmente l’8 settembre 1920 dal poeta - soldato Gabriele D’Annunzio alla guida di un piccolo esercito di volontari.
La “Reggenza del Carnaro”, instaurata dal Vate fu, tuttavia, travolta nel sangue a seguito di uno scontro cruento tra i legionari fiumani e i reparti regolari del Regio Esercito Italiano del Generale Enrico Caviglia (Natale di Sangue del 1920).
Fiume fu annessa ufficialmente all’Italia nel 1924 (Patti di Roma).
Con l’avvento del fascismo nel 1922, l’intera area della Venezia Giulia, già provata dal crisi economica post bellica, divenne improvvisamente instabile politicamente.
Trieste, Pola, Fiume e Zara furono teatro di scontri sempre più cruenti tra fascisti di confine e nazionalisti croati e sloveni, non disposti a sottomettersi pacificamente alla campagna forzata per la snazionalizzazione voluta dal regime fascista attuata attraverso la soppressione della stampa locale,
dei circoli culturali, l’italianizzazione dei cognomi e delle insegne, l’obbligo della lingua italiana, del saluto romano, etc...
A seguito della caduta del governo jugoslavo avvenuta il 28 aprile 1941 ad opera delle potenze dell’Asse (Operazione Castigo), anche la Slovenia fu annessa allo Stato italiano come del resto Selenico, Ragusa, Cattaro, Spalato, tutto il litorale dalmata e le isole e la regione della Carniola.
Tuttavia, proprio nelle zone controllate dal Regio Esercito Italiano cominciarono a registrarsi i primi fuochi di resistenza alimentati da gruppi partigiani di diversa etnia e colore politico e le atrocità commesse dai nazisti e dagli ustascia croati nei confronti della popolazione serba, musulmana o degli ebrei.
Quest’ultimi per sfuggire alla deportazione nei campi di sterminio tedeschi sfruttarono, finché fu possibile, il canale di salvezza lasciato volutamente sguarnito dai soldati italiani sul fiume Eneo, che divideva proprio il territorio fiumano delle zone controllate dal R.E.I. per riparare a Fiume e sperare nell’aiuto di persone come il Dott. Palatucci che, pur sfidando la Gestapo e le leggi razziali fasciste, cercavano di aiutare come potevano gli Ebrei.
Dopo l’8 settembre 1943 e il conseguente sfaldamento del Regio Esercito Italiano, il territorio di Fiume, fu incorporato nel cosiddetta zona d’operazione del “Litorale Adriatico” (ufficialmente dal 15 ottobre 1943), vera e propria regione militare sotto il controllo del plenipotenziario della Carinzia Friedrich Rainer, estesa dalla provincia di Udine a quella di Lubiana, all’interno della quale i poteri della stessa RSI erano pressoché inesistenti.
Ogni segno esteriore delle presenza italiana sul Litorale fu gradatamente cancellato.
Fu impedita addirittura l’esposizione del tricolore e l’uso di gagliardetti e le insegne dei reparti militari della RSI che operavano a fianco delle truppe tedesche nella regione.
Per dare la caccia agli ebrei, che la bonaria amministrazione fascista aveva, fino a quel momento, risparmiato, fu chiamato il generale delle SS, Odilo Globocnik, triestino di nascita, già direttore del campo di sterminio di Treblinka.
Fiume fu liberata dall’armata jugoslava di liberazione di Tito il 3 maggio del 1945, dopo un aspro combattimento con i pochi reparti della Decima Mas, rimasti a difendere la città dopo la ritirata tedesca.
Seguirono subito dopo massacri , infoibamenti, fucilazioni e deportazioni operati dalla polizia segreta OZNA con l’appoggio di bande paramilitari, che indussero molti italiani a lasciare le loro case e i loro averi per riparare in Italia.
Con il Trattato di Parigi del 1947 Fiume fu incorporata alla Jugoslavia.

Le Leggi razziali

Il fascismo originariamente non fu né razzista né antisemita.
Una vera e propria politica razziale, infatti, il regime l’avviò solo dopo la conquista d’Etiopia (1936) con l’instaurazione di un regime di apartheid nelle colonie africane; mentre la radicalizzazione del razzismo in termini antisemiti fu conseguenza dell’adesione dell’Italia all’Asse Roma - Berlino dell’ottobre 1936 e della condivisione piena dei principi del nazismo hitleriano
Alle leggi razziali del novembre 1938 si arrivò dopo una massiccia e mirata campagna di stampa antiebraica, orchestrata fin dalla fine del 1936, dai gerarchi fascisti più oltranzisti per guadagnare il più vasto consenso dell’opinione pubblica.
I principi della politica di discriminazione razziale, che verrà in seguito adottata dal regime nei confronti degli Ebrei, furono abbozzati nel manifesto degli studiosi fascisti sui problemi della razza, pubblicato su tutti il giornali il 14 luglio 1938 (ribaditi dal PNF nel comunicato sulla razza il 26 luglio successivo).
Agli inizi di settembre delle stesso anno, seguirono due provvedimenti legislativi: R.D.L. nr.1390 e il R.D.L. nr. 1381, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, coi quali si vietava agli ebrei per l’anno 1938/1939 l’iscrizione e l’insegnamento nelle scuole del Regno e si revocava la cittadinanza italiana agli ebrei stranieri che l’avessero ottenuta dopo il 1^ gennaio 1919 (facendoli diventare, di fatto, apolidi).
Il 6 ottobre successivo, il Gran Consiglio del Fascismo stabilì quali dovessero essere i cardini della nuova politica della razza, che furono poi trasfusi nelle disposizioni del Regio Decreto Legge del 17 novembre 1938 nr. 1728, intitolato Provvedimenti per la difesa della razza italiana.
Con esse venivano proibiti i matrimoni misti tra cittadini italiani e persone di altra razza; limitati i diritti di proprietà degli ebrei. Questi ultimi non potevano assumere alla proprie dipendenze cittadini italiani di razza ariana; non potevano essere imprenditori e impiegati di uffici pubblici o amministrazioni comunali e provinciali; non potevano essere iscritti al PNF e ai sindacati.
Da queste discriminazioni furono, tuttavia, escluse alcune categorie di persone come ad esempio le famiglie dei volontari che avevano partecipato alla Grande Guerra, alle campagne militari in Libia, Etiopia, Spagna, quelle dei caduti, mutilati e invalidi per causa fascista etc…
Nei quattro anni successivi la legislazione antisemita fu ulteriormente inasprita con norme attuative e circolari che decretavano l’espulsione degli Ebrei dall’Esercito, il loro allontanamento degli Ordini Professionali, la limitazione delle loro attività lavorative e commerciali.

I campi d’internamento italiani

Studi recenti hanno evidenziato che anche in Italia, prima dell’8 settembre 1943, erano attive numerose strutture concentrazionarie, allestite nella parte centro meridionale, nelle zone d’occupazione e nelle colonie africane.
La costituzione dei campi fu ufficialmente prevista con legge il 21 maggio 1940; mentre la disciplina dell’internamento era stata già predisposta nel lontano 1925, nell’ambito di un piano generale per il periodo bellico.
Prima dell’occupazione nazista, sulla nostra Penisola furono attivati 51 campi d’ internamento, gestiti del M.I destinati agli internati civili di guerra (es: Campagna (SA), Ferramenti di Tarsia (CS), Fraschette d’Alatri, Ponza) e sette campi di concentramento dell’Esercito Italiano, riservati ai deportati civili jugoslavi.
L’internamento nei campi di concentramento, già previsto dalle convenzioni internazionali come forma di tutela nei confronti dei sudditi nemici e di coloro che potevano compiere atti di sabotaggio e di spionaggio contro la nazione in guerra, venne inizialmente utilizzato dal regime fascista come strumento di oppressione politica per colpire gli oppositori politici o per isolare le minoranze etniche e religiose: fu preferito alla misura confino perché di più rapida applicazione .
A partire dalla fine di settembre del 1939, il ricorso a questo istituto ebbe un ruolo importante nella politica antisemita, condotta dal regime fascista.
Con l’Ordine di polizia nr. 5 del 30 novembre 1943 fu disposto l’allestimento di campi di concentramento provinciali per gli ebrei (es: Fossoli di Carpi (MO), Balzano Gries, Borgo San Dalmazzo).
Da molti di questi campi, definiti di “transito”, gli Ebrei verranno poi deportati a quelli di sterminio tedeschi.

La Risiera di San Sabba

E’ l’unico campo di sterminio italiano.
Venne allestito nei mesi di ottobre/novembre 1943 in una vecchia fabbrica per la lavorazione del riso, nel rione di San Sabba, a Trieste.
A gestirlo fu una squadra speciale delle SS, capeggiata dal generale delle SS Odilo Globocnik, responsabile dell’operazione Reinhard in Polonia con la quale si pianificò la morte di milioni di ebrei nei lager di Belzec, Sobibor e Treblinka, Chelmno.
Al suo interno entrò in funzione un forno crematorio ricavato dai veterani di Treblinka da una vecchia caldaia usata per l’essiccazione del riso.

Il Campo di concentramento di Dachau

Fu inaugurato il 22 marzo del 1933, nei pressi di Monaco di Baviera, in una ex fabbrica di munizioni.
Inizialmente vi furono confinate le “teste dure”, gli indesiderabili: comunisti, socialisti, monarchici bavaresi, nazisti dissidenti e nemici, dichiarati e occulti, del regime e della razza tedesca.
Nel 1936 fu, poi, ampliato e riorganizzato per corrispondere, in pieno, alla esigenze dettate dalla “soluzione finale” del problema ebraico.
Era costituito da quindici baracche o blocchi, due baracche ospedaliere, uno spaccio e una baracca di lavoro, un forno crematorio e una camera a gas.
Fu denominato il campo “dei preti” per le migliaia di sacerdoti, in gran parte di nazionalità tedesca e polacca, ivi internati.
Il raduno dei preti nel campo avvenne per tappe per completarsi nell’ottobre del 1944, su ordine del Reichfuhrer Heinrich Himmler. Circa 2.000 di essi vi perirono.
I deportati erano adibiti ai lavori di cava o alle piantagioni, veri e propri bagni penali.
Molti di essi furono usati come cavie umane per esperimenti sul salvataggio e la rianimazione degli aviatori caduti in mare e per ricerche biochimiche.
Il Campo di Dachau fu liberato dalle truppe americane il 29 aprile del 1945.
Secondo i documenti del Servizio Internazionale di Ricerche vi perirono 31591 deportati e molte altre migliaia di vittime non registrate, giustiziate sommariamente dalla SS.

 

 

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