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Fuori dagli schemi.
G-Stadt.
Una scommessa vinta.
Genesi di un poliziotto.
Il fratellino di Schimanski.
Il professionista.
La voce di Max.
Una vita da commissario.
Il professor Pfaff.
Faber in Italia.
Il Catalogo.

Le avventure dell'investigatore Faber sono ambientate nella periferia di una grande città, un luogo ideale, da romanzo noir, una metropoli con i suoi sobborghi dormitorio, una fantomatica G-Stadt, una città di cui nessuno conosce il nome, dove i palazzi sono tutti uguali e le auto sono targate "G", un imprecisato capoluogo, in tedesco "Großstadt".

Georg Feil: «L'idea dell'emittente che ci aveva commissionato la serie, la WDR di Colonia, era quella di ambientare le storie nella Ruhr, un'area vastissima che inizia a Duisburg e finisce a Padeborn e che conta almeno una cinquantina di centri significativi ma, d'altra parte, tutti molto chiaramente riconoscibili. Così optammo per un luogo "qualsiasi" indicato sulle targhe delle auto con la lettera G. Dopo la riunificazione, però, quella lettera non indicava più un posto qualsiasi ma identificava la città di Gera, in Turingia; così aggiungemmo alla G una X ed inventammo Gleixen. Il nome deriverebbe dal fiume Gleixe, un piccolo corso d'acqua della Germania centrale che bagna la città. Ma, che io sappia, in Germania non esiste un fiume con questo nome».

Negli uffici di polizia - per confondere ancora di più le idee allo spettatore - campeggiavano sulle pareti cartine di città diverse. Nelle prime stagioni (con Klaus Wennemann) si trattava della mappa di Hannover, mentre con i successivi commissari la cartina era quella della città di Bochum. In occasione di dettagli, invece, sono state usate più volte carte della zona di Monaco prendendo, però, in considerazione dettagli non riconducibili al capoluogo bavarese.

Racconta Dietrich Mattausch, il commissario Rick: «Fu l'ARD a chiedere espressamente che la serie, sebbene girata in Baviera, non fosse ambientata a Monaco. Lì erano già ambientate due serie ZDF di successo: "Derrick" e "Der Alte". Si pensò, così, ad una città immaginaria che però non sarebbe mai stata nominata espressamente. Quando nel 1997 la produzione si trasferì a Colonia la domanda che si pose immediatamente fu: "Possiamo ambientare le nuove puntate in questa città?". Ma ancora una volta la risposta fu negativa. "Der Fahnder" deve rimanere una serie che non abbia una location specifica ed identificabile».

A fare da palcoscenico alle riprese si è prestata, ancora una volta, la città di Monaco che però nel telefilm perde ogni connotazione propria atta a renderla identificabile. L'Olympia Stadium o la Münchner Freiheit; Schwabing o Grünwald qui non sono riconoscibili, complice un'ambientazione notturna che spesso caratterizza gli esterni.

Werner Masten, regista della fortunata serie, racconta: «Giravamo nei quartieri di Heidhausen, Schwabing, nella zona intorno alla stazione. Fortunatamente Monaco non è una città con molti elementi caratteristici che non si possano nascondere, questo ci ha facilitato molto il lavoro. Il "Treff", invece, il locale di Susanne era effettivamente un bar. Si trattava di un esercizio che era chiuso al pubblico, per fallimento credo, e che la produzione aveva affittato riadattandolo a set cinematografico. Non fu difficile, perchè all'interno c'era già quasi tutto quello che poteva servire per l'ambientazione».

Dominik Graf: «Filmavamo le periferie, i non luoghi di Monaco. "G" era là dove Monaco sembrava qualsiasi altra città tedesca. Niente simboli bavaresi, niente Frauenkirche, né le guglie del municipio, né l'Olympiastadion. I nostri sfondi erano piuttosto la caserma McGraw, il mercato all'ingrosso, la pista di gokart a Gauting, la Goethestraße e la Schillerstraße con tutti i suoi locali intorno alla stazione centrale. Il nostro nemico naturale si chiamava "Derrick", con quella sua aria un po' zombie e il suo eterno domandare alibi in salotti che sapevano ancora di dopoguerra. La giusta direzione l'aveva presa Schimanski tre anni prima del nostro debutto. Ma con "Der Fahnder" volevamo una figura di poliziotto che non fosse legata al pathos della Ruhr».

 

 

Che città rappresenta la G?.
Il sogno di Dominik.

Dominik Graf, uno degli autori e registi più significativi nella storia di «Der Fahnder», racconta il suo ultimo incontro con Faber.

«Il mio personale addio furono due puntate del 1991 in cui Klaus Wennemann aveva a che fare con due donne, una volta con Maja Maranow ed una con Claudia Messner. Gli anni Ottanta si erano conclusi con la caduta del Muro. Malgrado tutti gli sforzi quella città chiamata "G" era andata perduta. In uno dei miei ultimi "Fahnder" mostrai chiaramente la sede della Hypobank nella Richard-Strauss-Straße e dal tetto di quell'edificio lasciai intravedere il grande grattacielo BMW. Era ormai chiaro che si trattava di Monaco. Quell'episodio, "Nachtwache" del 1991, fu senz'altro la mia "Fahnder" apoteosi. Cos'altro potevo chiedere? Era un sogno allo stato puro».

 

Claudia Messner.