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Storia della Calabria
Assalto alle terre e questione meridionale
Per valutare il vasto movimento migratorio della nostra
Regione basta essere presenti in una stazione ferroviaria
qualsiasi, come quella di Gioia Tauro, in prossimità delle
ricorrenze più importanti dell'anno o delle ferie estive.
Una moltitudine carica di bagagli invade ogni ambiente e,
mentre i treni passano veloci come il vento, i cuori di
ognuno si aprono alla speranza. Il fenomeno ha origini
remote e per meglio comprenderlo sarà bene rifarsi dagli
episodi più significativi del nostro Risorgimento, in quanto
"la questione meridionale" affonda le proprie radici fin
dalla nascita dello Stato unitario italiano.
La notte del 5 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi s'imbarcò a
Quarto, nei pressi di Genova, con Mille volontari e approdò
a Marsala in Sicilia.
Dopo aver sconfitto i Borboni a Calatafimi e a Milazzo,
proseguì la sua marcia nella penisola fino al Volturno
liberando dal nemico anche il Napoletano. Era l'inizio
dell'unificazione tra il Nord e il Sud d'Italia.
I contadini meridionali appoggiarono l'opera dell'Eroe dei
due Mondi, con l'illusione di potersi liberare dalla
secolare condizione di miseria in cui versavano.
Da parte sua il re Vittorio Emanuele II, deciso con Cavour
ad intervenire nella guerra e volendo nello stesso tempo
impedire a Garibaldi di conquistare Roma, incontrò a Teano
quest'ultimo che, oltre a consegnargli le terre conquistate
lo salutò come "Re d'Italia". Così il 18 febbraio 1861
s'inaugurò a Torino il primo Parlamento italiano ed un mese
più tardi venne costituito il Regno d'Italia.
L'impresa garibaldina poneva fine al potere quasi millenario
meglio conosciuto negli ultimi duecento anni come il Regno
delle due Sicilie.
Ma prima di vedere nel 1870 Roma riunita all'Italia l'Eroe
sarà sottoposto ad altre dure prove, come il ferimento in
Aspromonte e il ritiro dal Trentino con il conseguente
abbandono del territorio conquistato.
Se geograficamente l'Italia risultava unificata, non lo era
affatto nei riguardi del popolo. Mancava soprattutto una
coscienza nazionale e le condizioni del Mezzogiorno erano di
un'estrema arretratezza.
Con i Borboni almeno non si era gravati da tasse ed ora
bisognava pagare anche le spese del Governo piemontese per
le Regioni del Nord.
Gli agrari si accaparrarono le terre demaniali e quelle dei
poveri contadini che non possedevano capitali per
coltivarle.
Si crearono così le condizioni per la nascita del
brigantaggio e migliaia di proletari finirono fucilati o
condannati al duro carcere.
I latifondisti, che avevano aiutato lo Stato nella
repressione del banditismo, si allearono alla borghesia
industriale del Settentrione sicché la degradazione
economica spense le ultime speranze delle masse contadine
del Sud.
Le rivolte per la miseria in Sicilia furono represse con la
violenza e un'assemblea di proprietari terrieri aveva
addirittura avanzato la proposta al Governo di abolire le
scuole per le classi subalterne.
L'emigrazione segnò, quindi, l'unica via di salvezza.
All'inizio del secolo oltre mezzo milione di italiani varcò
l'Oceano e fino al 1914 circa 8 milioni abbandonarono la
Patria, metà dei quali costituita da meridionali in cerca di
fortuna negli Stati Uniti e nel Sud America.
Il tenore di vita migliorò allorquando incominciarono a
pervenire alle famiglie proletarie le rimesse di grandi
somme di danaro da parte dei congiunti emigrati e ciò
contribuì a risanare pure la bilancia commerciale nazionale.
In seguito con il Fascismo, precluso lo sbocco
dell'emigrazione, si poté soltanto scegliere l'arruolamento
tra i "volontari" dell'Etiopia.
Ad aggravare le cose sopraggiunse il secondo conflitto
mondiale, al termine del quale - nel 1945 - ebbero inizio le
lotte sociali e le invasioni delle terre.
Il Governo fu costretto a varare le leggi di riforma agraria
e a creare la "Cassa del Mezzogiorno", con risultati
insoddisfacenti.
A risolvere il problema sarà ancora l'emigrazione,
intensificatasi specialmente verso l'Europa e l'Italia del
Nord.
L'episodio più emblematico riguardante l'occupazione delle
terre incolte fu l'eccidio di Melissa (prov. di Crotone) nel
1949, dove - oltre ai feriti - tre giovani caddero colpiti
dalle forze dell'ordine. Quel sabato 29 ottobre erano giunti
con i propri compagni nella zona di Fragalà, muniti soltanto
di attrezzi agricoli e con una frugale cibaria, per
coltivare un pezzo di terra e sfamare i propri familiari. Ma
l'ideale di uguaglianza e di libertà che ritenevano d'aver
raggiunto veniva infranto dai poliziotti chiamati ad
intervenire dallo strapotere degli agrari.
Nella stessa provincia, precedentemente, avevano invaso le
terre migliaia di altri lavoratori a Crotone, Strongoli e
Isola Capo Rizzuto. In quest'ultima località trovò la morte
il promotore del movimento.
Non si trattava di casi limitati poiché dappertutto si
verificarono atti di occupazione.
Nel 1948, dopo diciotto anni di notorietà internazionale,
per conto della Mondadori si pubblicò in Italia il volume
"Fontamara" di Ignazio Silone, che narra la storia di un
paese della Marsica in Abruzzo, scelto come simbolo
dell'universo contadino.
Il romanzo, divenuto la vicenda corale di tutti gli
emarginati, è il documentario della lotta tra "cafoni" e
borghesi. Esso rappresenta una denuncia dell'oppressione e
dei soprusi subiti dalla classe contadina. Come si legge
nella prefazione del libro: "Su Fontamara non vi sarebbe da
dire, se non fossero accaduti gli strani fatti che sto per
raccontare…Per vent'anni il solito cielo, circoscritto
dall'anfiteatro delle montagne che serrano il Feudo come una
barriera senza uscita; per vent'anni la solita terra, le
solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite
feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la
solita miseria: la miseria ricevuta dai padri, che l'avevano
ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non
è mai servito proprio a niente. Le ingiustizie più crudeli
vi erano così antiche da aver acquistato la stessa
naturalezza della pioggia, del vento, della neve. La vita
degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così
racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa
delle montagne e dalle vicende del tempo".
Dopo la strage di Melissa, nel 1950, l'occupazione si estese
fino ad Arasì, Barritteri, Bova, Cannavà, Cannavò, Canolo,
Caulonia, Focà, Gioia Tauro, Melicuccà, Messignadi,
Molochio, Ortì, Palizzi, Palmi, Polistena, Rosarno, S.
Ferdinando, S. Martino, Seminara, Stignano, Straorino,
Taurianova e Tresilico.
In un volantino firmato "Il Contadino", distribuito nella
Piana di Gioia Tauro, si legge testualmente: "Compagni,
contadini della provincia di Reggio Calabria!
Lunedì 6 marzo i vostri fratelli di fatica e di speranza di
Rosarno, S. Ferdinando, Gioia Tauro,…per la prima volta
nella nostra provincia sono scesi in lotta per rivendicare
il diritto al pane e al lavoro occupando le terre incolte e
malcoltivate, gli uliveti e gli agrumeti dei grossi
proprietari delle loro zone, così come hanno fatto i vostri
fratelli di Catanzaro e Cosenza.
Essi chiedono la vostra solidarietà e vi invitano ad unirvi
nella lotta in modo che sia certa la vittoria contro gli
agrari sfruttatori delle loro e delle vostre fatiche e sia
dato inizio alla riforma agraria, contemplata nella
Costituzione Repubblicana, ma negativi della Democrazia
Cristiana e dal governo dei ricchi".
Scrive Enzo Ciconte nel suo libro: "All'assalto delle terre
del latifondo" - Comunisti e movimento contadino in Calabria
- (1943 - 1949) - (F. Angeli Ed. MI - 1981): "Presero parte
all'invasione delle terre circa 14.000 lavoratori, uomini e
donne. Sono state occupate terre, in maggior parte oliveti,
per una estensione di circa 8.000 ettari di cui sono stati
richiesti in data precedente alla invasione 2.142 ettari
tramite tre cooperative, mentre la rimanente estensione è da
richiedere. In totale il movimento, dal 6 al 12 marzo 1950,
si è esteso in 45 Comuni e ad esso ha preso parte una massa
di circa 25.000 lavoratori.
La lotta è stata condotta con entusiasmo da parte dei
lavoratori a cui non sempre corrispose quello dei dirigenti.
In alcuni centri come Rosarno, Palmi e S. Ferdinando la
lotta ha assunto aspetti drammatici per i continui soprusi
della polizia che spesso intervenne violentemente per
spezzare il movimento nei centri più combattivi.
La polizia, non essendo in condizioni di controllare e
comunque dominare il movimento, ha cercato di decapitarlo
fermando ed arrestando i dirigenti sindacali ed i lavoratori
più combattivi".
In particolare a S. Martino di Taurianova, organizzati dalla
Camera del Lavoro, una ventina di contadini si recarono
nella località "Figurelle". Quivi giunti limitarono un vasto
appezzamento di terreno con dei pioli ed iniziarono a potare
gli olivi. Ma, in serata, furono dispersi dai Carabinieri
che riuscirono a rilevare i nomi di alcuni lavoratori per
denunciarli.
Dopo il processo e la delusione, cessarono nella Piana le
invasioni delle terre.
La verità è che, purtroppo, non c'è mai stato l'impegno
politico di voler risolvere gli annosi problemi del
Meridione, che lo Stato ha eluso con i palliativi dei
finanziamenti vari e degli interventi assistenziali. Si sono
sempre formulate ipotesi di sviluppo, ma non si è ancora
data una risposta obiettiva in merito.
Oltre mezzo secolo fa - dunque - i nostri contadini,
affamati di terra e pieni di fiducia nelle istituzioni, si
erano recati nelle proprietà degli agrari per lavorare e
sopravvivere. Furono scacciati con le armi ed i campi si
macchiarono di sangue. Hanno, quindi, intrapreso in massa la
via dell'esilio - rappresentata dall'emigrazione - con le
valigie legate con lo spago; hanno sbattuto sul suolo i
tacchi per liberarsi delle ultime tracce di terra e per non
tornare; hanno conservato nel portafogli le immagini dei
propri cari e quelle dei loro Santi. Sono partiti arrabbiati
e con le lacrime agli occhi, ma fieri delle loro antiche
origini. Sono rimasti i vecchi e i bambini a pregare e ad
implorare un prossimo ritorno.
Sullo stesso treno ma in prima classe, perciò lontano da
occhi indiscreti, il deputato si recava a Roma per riferire
che si era liberato dei "cafoni" dopo aver loro sottratto il
voto. La nostra penna - intanto - rendeva certa la speranza
dei diseredati, dei "cafoni" che avevano ragione dei ricchi:
"'Gnuri e pezzenti"
Amaru (misero) cu' non havi 'nu pertusu (una casa)
e 'nu lavuru pe' tirari avanti,
veni trattatu da cani rugnusu
puru da li perzuni 'nteressanti.
Su' propriu chisti 'gnuri (padroni) senza cori
chi 'nci fannu provari gran dolori:
ma veni 'n jornu chi la rota gira
e lu pezzenti arriva la so' mira!
Finalmente il giorno è arrivato: grazie alla loro tenacia e
alla loro capacità i nostri emigranti, oltre a fare fortuna,
hanno onorato la Calabria nel mondo!
(Il servizio di Domenico Caruso è stato pubblicato su
"Calabria Letteraria" - Soveria Mannelli CZ - Anno XLIX - n.
7/9 Luglio-Sett. 2001 e su "Arianova Metropolipiana" -
Taurianova RC - Anno VI n. 34 - Giugno/Agosto 2001).
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