Storia e Folklore Calabrese
di Domenico Caruso



Indice

Folklore calabrese

Poesia dialettale

S.Martino: un paese e un Santo

Fatti straordinari in Calabria

Ricordi di scuola

L'autore

Lettere e contributi

La nostra Piana

Da libri, giornali e riviste

Storia della Calabria

Il Beato Padre Catanoso

Don Giulio Celano

Francesco Sofìa Alessio

La bella Lucrezia

Donna Vincenza Femìa

In ricordo di Gerhard Rohlfs

Storie, aneddoti e curiosità

Toscana chiama Calabria

La Madonna di Polsi

Assalto alle terre e questione meridionale

Il SS. Crocifisso di Terranova

Maria SS. della Montagna

Calabria, croce e delizia

Leonida Repaci

Vincenzo De Cristo

Fortunato Seminara

Papa Wojtyla e la Calabria

Raffaele Sammarco

Stefano De Fiores

Storia della Calabria

Toscana chiama Calabria

Come ha affermato nel 1883 lo storico francese F. Lenormant: "La Calabria offre un'infinità di meravigliosi spettacoli della natura, nonché uomini illustri che la resero grande nel mondo". Fra questi ultimi, ricordiamo l'abate e predicatore Gioacchino da Fiore, nato a Cèlico (Cosenza), un paese sulla via della Sila (1130-1136) e morto probabilmente nel 1202.
La sua fama giunse fino a Dante. Nella "Divina Commedia", infatti, accanto ai beati francescani si annovera:

    "il calavrese abate Giovacchino,
    di spirito profetico dotato".
    (Par. XII, 140-141)

Il fraticello, che si rese caro a Dio, con espressioni poetiche annunziava un futuro di pace e di giustizia in questo mondo, a conclusione del processo storico dell'umanità e prima ancora della venuta del Regno di Dio.
Ben diversa è la posizione dell'arcivescovo Bartolomeo Pignatelli che, per ordine di Papa Clemente IV, infierì sul cadavere del re Manfredi - ucciso in battaglia presso Benevento nel 1266. Il corpo di quest'ultimo, infatti, giacente vicino al ponte sotto cui scorre il fiume Calore, venne estratto e gettato con una lugubre cerimonia notturna in terra sconsacrata sulle rive del Garigliano - in balìa della pioggia e del vento:

    "Se il pastor di Cosenza, che alla caccia
    di me fu messo per Clemente, allora
    avesse in Dio ben letta questa faccia,
    l'ossa del corpo mio sarieno ancora
    in co del ponte presso a Benevento,
    sotto la guardia della grave mora.
    Or le bagna la pioggia e move il vento
    di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
    dov'è le trasmutò a lume spento".
    (Purg. III, 124-132)

Sia nel bene che nel male, la Calabria ha sempre varcato i suoi angusti confini!

Località calabresi nella "Divina Commedia"

Come possiamo rilevare, Dante conosceva molto bene la nostra Terra, anche se nessun biografo ci ha mai riferito di sue peregrinazioni nell'estremo Meridione.
Carlo Martello nella "Divina Commedia", dopo aver espresso al poeta la simpatia nutrita per lui, circoscrive la parte d'Italia di cui sarebbe stato padrone se non fosse morto anzitempo.
Così ricorda le mancate corone di Provenza, d'Ungheria, di Sicilia e del Regno di Napoli,

    e quel corno d'Ausonia che s'imborga
    di Bari, di Gaeta e di Catona
    da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
    (Par. VIII, 60-63)

(Quella parte estrema d'Italia che ha tra le sue città Bari, Gaeta e Catona, e dalla quale sboccano nel mare il Tronto e il Garigliano).
A Dante era noto che nella cittadina calabrese stette a campo Carlo d'Angiò, padre del principe C. Martello, durante l'assedio di Messina.
Anche nelle sue suggestive similitudini, Dante dimostra di apprezzare la Calabria.
Gli avari e i prodighi - infatti - si battono da forsennati, gli uni contro gli altri, come fanno le onde dello Stretto di Messina frangendosi tra Scilla e Cariddi:

    Come fa l'onda là sovra Cariddi,
    che si frange con quella in cui s'intoppa,
    così convien che qui la gente riddi.
    (Inf. VII, 22-24)

(Come là, sopra gli scogli di Cariddi, le onde si frangono, scontrandosi vorticosamente con quelle opposte di Sicilia, così avviene che qui le anime compiano un doloroso ballo a tondo).
Il Divino Poeta non cessa mai di stupirci!

(continua)


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