versione dialettale

versione italiana

immagini del libro

presentazioni:

L.Farinaci

I.G.Cerasani

presentazione del libro di Duiglje a Roma

presentazione di O.G Bernardi a Roma

Presentazione di IGINIO G. CERASANI



Nella presentazione della precedente opera di Duig je ( Duilio De Vincentis ) "Zitte, zitte, ca mò te racconte... " mi chiedevo se c'era bisogno di un nuovo libro di poesie, epperdippiù in "vernacolo" marsicano. La risposta positiva, allora, era fornita dall'Autore nel momento in cui porgeva alla nostra attenzione un grande affresco storico della nostra terra dal terremoto del 1915 ad oggi, (ricordi, sensazioni, personaggi, usanze, costumi ecc.), con lo scopo precipuo di salvare il dialetto marsicano, di cui quello sambenedettese (nostra patria) non è che un rivolo. Ma evidentemente il Poeta sapeva, da sempre, che la sua musa gli stava ispirando ben altra opera, che è quella che andremo ora a leggere e gustare insieme. La sua musa poetica è essenzialmente l'amore per il Fucino e la sua storia, l'ambiente cioè dove il destino ci ha fatto nascere e vivere e della sua personale esperienza di vita, cerca di riportare e rappresentare nei 202 sonetti di questo volume in cui esprime tutta la passione e tutto l'amore per la propria terra. Questa terra che tale è diventata per opera di uomo, da Lago che era. Non dal manifesto "tutte nire" delle celebrazioni del centenario del prosciugamento del Lago Fucino e del venticinquennale della Riforma Agraria. E "La storje de Fucene" è la storia di grandi e innumerevoli sofferenze dei nostri " tatoni"( nonni in italiano), dei nostri padri e di madri contro i disagi della natura e per il riscatto umano di loro stessi contro il Lago apportatore di lutti e miserie, contro il Principe che, una volta prosciugato, lo sfruttava per i suoi guadagni (anche se, senza di lui, probabilmente, sarebbe rimasto lago chissà per quando), anche contro l'Ente della Riforma (l'Ente, per antonomasia) per il rispetto dei propri diritti nati dal sudore della fronte e dalle schiene ricurve dalla fatica dei campi: la terra!!, "magnénne pane i spute i ammanzelite!". L'Ente... quanti sonetti sono dedicati alla sua opera: potrebbero far pensare ad un atteggiamento adulatorio, forsanche dettato inconsciamente dal Suo esserne stato dipendente, quando era
in... età lavorativa. Ma provate, proviamo ad immaginare cosa sarebbe stato il Fucino senza: ridurre un reticolo di proprietà da trentamila a novemila circa, assicurando una quota minima vitale per le famiglie affamate del dopoguerra; promuovere l'associazionismo, le nuove colture e le nuove tecniche colturali... e nei ricordi... i corsi di addestramento professionale, la cultura dispensata al popolo, le attrezzature, i borghi residenziali... Ci pensate, le biciclette della Riforma! (marca "Cinghialino"): un mito, per tanti, troppi, abituati solo ad andare a piedi o su miseri carretti (i trajne), "gènte lavoratrice, sénza vante".Altri meglio diranno se tutto questo è vera poesia e a quali livelli: ne sambenedéttése (perdipiù con vincoli... di parentela) non può giudicare in tal senso, perché direbbe - ricordando - che senz'altro lo è: soprattutto perché è scritta nel "suo" dialetto e perché ríattraversando la storia si accorgerebbe che "i témpe bbrutte ormaje sò passate" e questi ricordi vuole consegnare alle future generazioni, ai propri figli perché non dimentichino. Non dimentichino se ora "Fucene è deventate `n gíardine" che "lacrime e sangue" lo hanno díssodato; non dimentichino la loro storia, e soprattutto il loro dialetto, l'origíne della Lingua. Quanti vocaboli ritroveranno, quanti pensavano non fossero mai esistiti o usati: se li avessero dimentícatí, se già, ahimé, non li conoscono più, il Poeta questa volta li aiuterà, perchè ha "tradotto" la poesia e il dialetto in prosa e in lingua. I più attenti vedranno allora comparire ai loro occhi, assonanza e reminiscenze di altri popoli che hanno attraversato e dominato questa terra: la pronuncia alla francese, gli innumerevoli francesismi ( i Borboni, nostri antichi padroni, e Torlonia non era forse di origine transalpina?) i termini di remote derivazioni (pensate che "sprócce" - sprócce de cíce, de fascjuie -, cioè della parte di arbusto o pianta deriva dal Longobardo "sproh"=germoglio, in antico italiano e dialetto toscano "sprocco": vedere il Devoto - Olí per credere!...), l'intima poesia di tante parole: la casarciole, i manoppje, la strine, la restòppje, i tatone, i frascaréjje...
E per non dimenticarle, per non mandarle definitivamente disperse, l'Autore stà già preparando per le stampe il "vocabolario dei dialetto sambenedettese", perché anche i nostri figli possano "sèmpre raccuntà" (raccontare, tramandare oralmente: oh, quanto ce ne sarebbe bisogno di questi tempi così... televisivi, di realtà virtuale, di navigazione in internet che - purtroppo, però - fanno dimenticare anche cose e fatti elementari!) la "stòrja nòstre" tramandata da `jí padre de ji padre de ji padre".


 

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