La
vite costituisce da sempre una costante nell’agricoltura della Valtellina
e la sua coltura ha assunto durante i secoli un ruolo determinante nella
storia di questa Valle, modificandone il paesaggio agrario e condizionando
la vita economica dei suoi abitanti. Furono probabilmente i Celto-Liguri,
che appresero le tecniche dagli Etruschi, ad iniziare la coltivazione
della vite nella Valle.
I Romani apprezzavano l’uva Retica; Plinio e Strabone, raccontando di
queste zone, indicavano botti di legno, per la conservazione del vino,
grandi come case.
Più
tardi, in epoca carolingia, le popolazioni germaniche iniziarono il commercio
dei vini attraverso le strade romane che attraversavano i passi alpini
e lungo la valle del Reno raggiungevano grandi città come Zurigo, Amburgo
e quelle della Germania settentrionale. Addirittura i Visconti e gli Sforza,
pur di non rimanere senza il prezioso nettare di Valtellina, elargirono
privilegi particolari alle popolazioni della Valle e lo stesso Leonardo
da Vinci, parlando dei vini della Valtellina, li definì “vini potenti
e assai”.
Oltre dieci secoli di storia e tradizione enologica, durante i quali letterati
e poeti, tra cui il Carducci, ebbero modo di magnificare i vini della
Valtellina nelle loro
opere immortali. Lungo il versante denominato Retico e meglio esposto
al sole, si mostra uno scenario inconsueto dove appare evidente, a confronto
con i boschi e il fondovalle pianeggiante, come l’opera dell’uomo abbia
saputo trasformare il paesaggio in un reticolo di vigneti, un saliscendi
di terrazzi, un imponente castello di paletti di castagno: la grande civiltà
del vino.
Una viticoltura “eroica” come la definì il padre dell’enologia italiana
Arturo Marescalchi, un lavoro sovrumano di generazioni di viticoltori
che non hanno mai pensato di abbandonare questa terra.
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