La Regia
Dogana di Capitanata
La Regia Dogana o
Gran Dogana di Puglia o Dogana della mena delle pecore,
istituita nel 1447 da Re
Alfonso d’Aragona,
rappresentò una delle istituzioni che ha maggiormente
influito sulla storia economica – e non solo – della
città di Foggia e dell’intera
Capitanata.
La prima sede della Dogana fu Lucera, ma nel 1468
l’istituto venne trasferito a Foggia che da allora
cominciò ad accrescere la sua rilevanza negli equilibri
dello scacchiere economico del Regno di Napoli,
diventandone importante centro di intensi scambi
commerciali.
La nascita di questo istituto traeva origine dalla
necessità di regolare le attività legate alla pratica
della
transumanza
che aveva luogo in
Capitanata
sin dall’epoca romana di
Arpi.
I primi tentativi di regolarizzazione in merito furono
avviati da
Federico II.
Un indirizzo al quale si allinearono anche i sovrani
angioini,
i quali pur avendo dato prova – più volte durante il
loro regno - di stravolgere ogni “politica” adottata dal
sovrano svevo, non disdegnarono di utilizzare l’istituto
della Dogana per rimpinguare le casse della corona.
Durante la
dominazione angioina
fu infatti prestata particolare attenzione all’attività
della
transumanza.
Una prima riorganizzazione in merito fu adottata con uno
statuto del 1429 da
Giovanna II
la quale istituì una struttura burocratica in grado di
tutelare i notevoli interessi economici della corona
legati alla pastorizia transumante.
In continuità con questo indirizzo si posero anche i
sovrani aragonesi
ai quali, come si è detto, va comunque ricondotta
l’istituzione della Regia Dogana della mena delle pecore
del 1° agosto 1447.
L’intuizione di Alfonso
d’Aragona
fu quella di regolamentare
giuridicamente questa pratica, garantendo allo stesso
tempo notevoli risorse economiche alle casse statali.
L’intento fondamentale era quello di attrarre nelle
terre del Demanio Regio di Capitanata il
maggior numero di allevatori, per lo più provenienti
dalle province abruzzesi, garantendo loro, le necessarie
condizioni di sicurezza durante i trasferimenti degli
armenti in
Capitanata.
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Lo sviluppo e l’'intensità dei
traffici nel settore resero inevitabile l’esigenza di
regolamentare tutte le attività legate a questa
istituzione. E' in questo contesto che nel 1470
Ferrante d'Aragona
elevò la Dogana di Foggia a Tribunale, un
foro privilegiato al quale potevano appellarsi gli
utenti dei pascoli doganali con la garanzia di giudizi
più rapidi e meno onerosi di quelli delle corti
ordinarie.
Il primo rappresentante del
cosiddetto
Tribunale della Regia Camera della Sommaria
era il
Doganiere.
Il primo incarico venne affidato
al catalano Francisco Montluber, le cui direttive furono
seguite per tutto il ciclo di vita della Dogana (quasi 4
secoli), fino a quando il governatore napoleonico
Giuseppe Buonaparte
non abolì l’istituto
nel maggio del 1806. Il progetto di legge venne
elaborato dal legislatore foggiano
Saverio Barbarisi.
Oltre alla figura suprema del
Doganiere
(definito successivamente governatore doganale)
l’organizzazione burocratica prevedeva una serie di
stretti collaboratori ai quali venivano affidate
specifiche competenze.
Alfonso
d'Aragona, il sovrano aragonese che istituì
la Dogana |
Tra questi l’auditore
che rivestiva compiti prettamente giurisdizionali; il
credenziere
che curava gli
aspetti amministrativi; il
percettore, incaricato
di riscuotere i tributi e il
libro maggiore al
quale spettava l'onere delle registrazioni contabili
delle attività doganali.
Di livello inferiore erano i
mastrodatti, gli
archiviari,
i
cavallari ai quali
spettava il compito di vigilare gli spostamenti
dei
locati e i
compassatori (denominati
successivamente
regi agrimensori), la
cui funzione era quella di verificare lo stato dei territori delle
poste e dei tracciati
dei
tratturi, sempre
oggetto di appropriazioni indebita da parte dei
coltivatori.
L’intera tenuta dei pascoli
costituente la Regia Dogana comprendeva le vaste
proprietà possedute dalla Corona, oltre ad una serie
di territori appartenenti a feudatari, enti
ecclesiastici o comunità locali. Questi possedimenti –
le cosiddette
locazioni
raggiungevano una superficie ragguardevole che si
aggirava intorno ai 500 ettari. Le locazioni
erano a loro volta suddivise in appezzamenti più o meno
estesi (poste),
erano assegnate ai proprietari degli armenti (i
locati)
sulla base della qualità dei capi di ciascun allevatore.
Lo sviluppo
dell’istituzione doganale contribuì in maniera
determinante alle fortune delle casse del regno di
Napoli. Il governatore Francesco Montluber aveva ideato
infatti una complessa ma efficientissima “macchina” che
garantì alla Corona un gettito cospicuo (si stimano
circa 400 mila ducati all’anno).
Non va tuttavia
sottovalutato il fatto che le fortune economiche
derivanti dalle attività della Dogana non furono solo
ad appannaggio dello stato aragonese, ma investirono
tutto il sistema economico del territorio di
Capitanata.
Le mandrie che transitavano e
sostavano nel
Tavoliere
a quei tempi erano stimate intorno ai 2 milioni di capi.
Una consistenza tale da alimentare un circuito virtuoso
di attività collaterali (industrie e commerci di lane,
formaggi ad altre forme di scambi) tale da garantire
grandi ricchezze all’intero territorio di
Capitanata.
Anche se negli intenti
Alfonso d’Aragona
cercò di non trascurare del tutto gli interessi della
produzione cerealicola di una provincia ben nota per la
sua feracità, non si può non ammettere che con
l’istituzione della Dogana l’agricoltura e l’industria
forestale subirono un colpo non indifferente.
Nel corso dei 4 secoli di vita le
terre destinate a pascolo aumentarono vertiginosamente a
fronte di un costante detrimento della coltura
cerealicola. Molte masserie furono abbandonate e e molti
casali andarono in rovina, mentre i continui
straripamenti dei fiumi provocati dallo stato
d’abbandono degli stessi finirono alimentare la
formazine di enormi stagnazioni di acqua disseminate in
molte zone del
Tavoliere,
che divennero presto cagione di malaria, pestilenza e
miseria.
Gli ultimi decenni di
storia della Dogana si contraddistinsero per la grande
contrapposizione tra gli interessi delle attività legate
all’allevamento e quelli connessi allo sviluppo dei
mercati cerealicoli in forte espansione.
La carestia che sconvolse
il Regno di Napoli nell'inverno tra il 1763 e il 1764
alimento un grande dibattito sulla necessità di abolire
l’istituto della Dogana. Un fermento che coinvolse
illustri esponenti dell'Illuminismo meridionale, tra i
quali spicca la voce di
Ferdinando Galiani
L’avvento al potere dei
governatori
napoleonici
– come detto – sancì il definitivo tramonto
dell’istituzione doganale con l’emanazione di una
apposita legge elaborata durante la reggenza di Giuseppe
Buonaparte dal
legislatore foggiano
Saverio Barbarisi
A seguito del provvedimento tutte
le terre che rientravano nell’amministrazione Doganale
vennero cedute in
enfiteusi
agli antichi affittuari fino a quando con una successiva
legge del 26 febbraio 1865, il Parlamento italiano
decreto la vendita definitiva agli stessi. |