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Il Vesuvio è
il vulcano più famoso della terra, l’unico attivo dell’Europa continentale
ed è anche uno dei più pericolosi poiché il vasto territorio che si estende
alle sue pendici ha visto la costruzione di case fino a 700 metri di altura.
E’ un tipico esempio di vulcano a recinto costituito da un cono esterno
tronco, Monte Somma (1133 metri), con cinta craterica in gran parte demolita
entro la quale si trova un cono più piccolo rappresentato dal Vesuvio (1281
metri), separati da un avvallamento denominato Valle del Gigante, parte
dell'antica caldera, dove in seguito, presumibilmente durante l'eruzione del 79
d.C., si formò il Gran Cono o Vesuvio. La Valle del Gigante è suddivisa a sua
volta in Atrio del Cavallo ad ovest e Valle dell'Inferno ad est. Il recinto del
Somma è ben conservato per tutta la sua parte settentrionale, infatti è stato
nei tempi storici meno esposto alla furia devastatrice del vulcano, perché
riparato dall'altezza della parete interna che ha impedito il deflusso di lave
sulle sue pendici. I pendii, variamente degradanti, sono solcati da profondi
valloni radiali prodotti dall'erosione delle acque meteoriche. Le sue pareti
dalla parte del cono si presentano a picco. Tutta la sezione è poi disseminata
di spuntoni e dicchi di roccia vulcanica scura. Il vecchio orlo craterico è un
susseguirsi di cime dette cognoli. Mentre l'altezza del Somma ed il suo profilo
si sono conservati uguali nei secoli, l'altezza ed il profilo del Vesuvio hanno
subito variazioni notevoli, a causa delle successive eruzioni, con innalzamenti
ed abbassamenti. Il Vesuvio è un caratteristico vulcano poligenico e misto,
ossia costituito da lave di composizione chimica diversa (ad esempio trachiti,
tefriti, leucititi) e formato sia da colate di lava sia da depositi
piroclastici. Tutte le zone alle pendici della montagna sono da considerarsi
formate da terreni trasportati da lave di fango che scendono
dagli scoscesi pendii nelle stagioni piovose attraverso profondi e stretti
valloni detti alvei o più comunemente lagni. Gli alti argini sono formati da
cumuli di scorie laviche, che precipitati allo stato incandescente e dilagati
verso le basse pendici, si rivelano ora a causa del loro materiale fertile,
ricco di silicio e potassio, preziosi per la vegetazione. Nelle giornate più
fredde la condensazione dei vapori rende visibili le fumarole presenti in
numerosi punti della parete interna del cratere. Proseguendo lungo il bordo del
cratere, guardando verso il mare si coglie l'intera estensione della parte
meridionale del vulcano e, in giornate con buona visibilità, tutto il Golfo di
Napoli dalla Penisola Sorrentina e Capri fino a Capo Miseno, Procida e Ischia.
E' inevitabile notare anche la sconsiderata espansione urbanistica che risale
lungo le pendici del vulcano.
Le eruzioni
L'eruzione del 79 d.C.
L'eruzione
iniziò il 24 agosto del 79 d.C. verso mezzogiorno. La prima fase eruttiva fu
caratterizzata da forti esplosioni freatomagmatiche. Dopo questa fase,
esplosioni magmatiche si susseguirono fino al mattino del giorno seguente,
alimentando una colonna costituita prevalentemente da gas, pomici e ceneri che
si innalzò fino a 30 chilometri. La parte alta della colonna si espanse,
assumendo la forma della chioma di un pino, e fu spinta dai venti verso sud-est.
Le particelle in essa contenute caddero al suolo, formando uno spesso strato di
pomici che a Pompei e Oplonti raggiunse 2-3 m. di spessore. Parziali collassi
della colonna eruttiva generarono flussi piroclastici che scorsero ad alta
velocità lungo i fianchi del vulcano, raggiunsero e
distrussero Ercolano. La città di Pompei, molto più lontana, non venne
raggiunta e la maggior parte dei suoi abitanti sopravvisse. Durante le ultime
ore della notte l'intensità dell'attività eruttiva diminuì.
Alle prime ore del mattino dl 25 agosto, un'esplosione freatomagmatica generò
flussi piroclastici, turbolenti - i terribili "base-surge" - che,
viaggiando alla velocità di un uragano, scesero lungo le pendici del vulcano,
devastarono le aree circostanti fino a distanze di 15 chilometri e causarono
numerose vittime anche tra gli abitanti di Pompei che erano sopravvissuti alla
prima fase dell'eruzione. Nel corso della giornata la esplosioni diminuirono
d'intensità e, in serata cessarono del tutto, lasciando una grossa coltre di
ceneri e pomici su un'area vastissima. Le abbondanti piogge, provocate anche
dall'immissione nell'atmosfera di enormi quantità di vapore e di particelle
fini, mobilizzarono questo materiale, formando dense colate di fango che
discesero dai fianchi del vulcano e dei rilievi appenninici lungo le valli,
devastando ulteriormente il territorio dell'area vesuviana.
L'eruzione del 1631
L'eruzione del
1631 è stata la più violenta e distruttiva della storia del Vesuvio
nell'ultimo millennio. Dopo un lungo periodo di quiescenza, circa 5 secoli,
preceduto da una serie di fenomeni precursori, quali terremoti e sollevamenti
del suolo, il vulcano si risvegliò causando la morte di circa 6.000 persone e
la
devastazione di un'area di quasi 500 Km.2
L'eruzione iniziò alle 7 del mattino del 16 dicembre, con la formazione di una
colonna eruttiva di circa 15 Km., da cui cominciarono a cadere pomici e ceneri
nell'area a est del Vesuvio. Alle 10 del mattino del 17 dicembre, dal cratere
centrale si generarono flussi piroclastici, nubi di gas cariche di frammenti di
magma che, scorrendo a grande velocità lungo i fianchi occidentale e
meridionale del vulcano, distrussero tutto ciò che incontrarono nel loro
cammino. Nella notte tra il 16 e il 17, e nel pomeriggio del 17, le abbondanti
piogge mobilizzarono la copertura di ceneri incoerenti causando la formazione di
colate di fango. Le colate scesero sia dai fianchi del vulcano, sia dalle
pendici dei contrafforti appenninici a nord e nord-est.
La fase parossistica dell'eruzione durò tre giorni, suscitando un enorme panico
tra la popolazione. Vi furono per le strade di Napoli confessioni pubbliche di
peccati, accompagnate da straordinarie manifestazioni di penitenza, e furono
organizzate processioni con la statua e il sangue di S. Gennaro, affinché il
patrono placasse quella collera divina di cui l'esplosione del Vesuvio sembrava
l'indubitabile segno.
Il conte di Monterrey, viceré di Napoli dal gennaio di quell'anno, inviò
alcune navi a raccogliere i sopravvissuti di Torre del Greco e Torre Annunziata.
Dopo qualche mese, profondamente turbato dall'evento, fece apporre a
Portici una lapide che esorta i posteri a non dimenticare la natura della
montagna, e a riconoscere prontamente i precursori di un'eruzione vulcanica.
L'eruzione del 1944
Il 18 marzo
del 1944, durante l'occupazione delle truppe alleate, iniziò l'ultima eruzione
del Vesuvio, che concluse un periodo
di attività cominciato nel 1914, durante il quale si erano verificate soltanto
modeste eruzioni dal cratere centrale.
Tra il 1914 e il 1944, le lave e le scorie prodotte dal vulcano avevano riempito
il cratere, largo 720 m. e profondo 600 m., che si era formato durante la
precedente eruzione del 1906.
Un conetto di scorie emergeva dal cratere.
13-17 marzo
Il conetto di scorie comincia a franare e l'attività sismica diviene più
intensa. Si forma e subito collassa un nuovo cono di scorie.
18 marzo
L'eruzione inizia nel pomeriggio con lanci di scorie. Alle 16.30 una colata
lavica tracima dalla parte settentrionale del cratere e raggiunge la Valle
dell'Inferno alle 22.30. Quasi contemporaneamente un'altra colata trabocca dalla
parte meridionale del cratere. Alle 23 si ha anche una fuoriuscita di lava dalla
parte occidentale del cratere: la colata costeggia il binario della funicolare e
interrompe la ferrovia.
19 marzo
Alle 11 la lava si riversa lungo il Fosso della Vetrana.
20 marzo
Tra il pomeriggio e la notte, nuove colate tracimano dalla parte settentrionale
del cratere. Tutta l'attività effusiva è accompagnata da tremore sismico con
ampiezza crescente fino a metà della giornata.
21 marzo
La colata meridionale si arresta a una quota di circa 300 m. sul livello del
mare. Nella notte, la colata settentrionale raggiunge S. Sebastiano e
Massa di Somma e si divide in due rami che avanzano in direzione di Cercola, da
cui in serata distano circa 1,5 km. S. Sebastiano e Massa di Somma vengono
evacuati e i 10.000 abitanti trasferiti a Portici. Intorno alle 17, iniziano a
formarsi spettacolari fontane di lava, l'ultima delle quali dura circa 5 ore e
raggiunge un'altezza di quasi 1.000 m. Frammenti di lava e ceneri spostati dai
venti in quota, si depositano sulle aree sud-orientali del vulcano, tra Angri e
Pagani. I frammenti più piccoli raggiungono distanze di oltre 200 km. verso
sud-est. Scorie fino a un chilogrammo di peso raggiungono l'abitato di Poggiomarino,
a circa 11 km. dal cratere. Grandi quantità di scorie ancora calde si
accumulano sui fianchi del Gran Cono. Continua il tremore sismico, con massimi
di ampiezza in coincidenza con l'emissione delle fontane di lava.
22 marzo
Verso le 13 l'eruzione raggiunge la massima intensità. Una colonna di gas e
cenere sale fino a un'altezza di circa 6 km. La parte alta della colonna viene
spinta dal vento verso sud-est, cenere e scorie cadono sui versanti
sud-orientali del vulcano. Parziali collassi della colonna eruttiva formano
piccoli flussi piroclastici che scorrono lungo i fianchi del cono. Un intenso
tremore sismico accompagna tutta questa fase, durante la quale il cratere si
allarga progressivamente.
23 marzo
Una serie di esplosioni sono causate dall'ingresso di acqua nel condotto
vulcanico e si verificano sciami di terremoti. Le esplosioni generano colonne di
cenere, che vengono spinte dal vento verso sud-ovest, e piccoli flussi
piroclastici scorrono lungo i fianchi del cono.
29 marzo
L'eruzione termina. La morfologia dell'area sommitale del cono risulta
profondamente modificata con una nuova grande depressione craterica, la stessa
visibile oggi.
L'eruzione del ' 44, benché di energia moderata, causò la morte di alcune
decine di persone per il crollo dei tetti e determinò gravi danni a S.
Sebastiano e Massa di Somma.
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