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Il
Parco della Reggia
Il Parco è l'unico, in Italia, a disporre di un servizio
pubblico su gomma per consentire ai visitatori di percorrerne da
un capo all'altro i suoi 120 ettari. Il suo splendore e la sua
vastità si annunziano fin dall'ingresso alla Reggia, quando il
verde a perdita d'occhio si inquadra tra le arcate della
galleria centrale ed i fasci di piloni dei cortili: una
simmetria assiale fortemente voluta dal Vanvitelli, che l'aveva
concepita per uno sviluppo di chilometri, a partire dal grande
Vialone col quale aveva collegato Napoli alla Reggia. L'idea di
Re Carlo di competere con Versailles consentì a Luigi Vanvitelli
di pensare in grande: basti ricordare che per portare l'acqua
alle fontane ed alla cascata, l'architetto - forte anche
dell'esperienza maturata con l'Acquedotto del Vermicino - fece
scavare "pozzi a profondità incredibili" (come cita in una sua
opera Antonio Marotta), forare montagne, innalzare a 60 metri un
possente viadotto lungo 528 metri, noto come "Ponti della
Valle", a somiglianza di quelli romani, realizzare, infine, i 41
chilometri dell'Acquedotto Carolino. L'impresa richiese ben
sedici anni di lavoro, ma alla fine il Parco disponeva di quella
massa d'acqua necessaria per vivificare la grande Cascata, le
numerose Fontane, la Peschiera Grande. Luigi Vanvitelli, però,
non poté che vedere i lavori soltanto avviati: fu il figlio
Carlo, con qualche modifica, ad ultimare il Parco. Il disegno,
fondamentalmente, è quello di Luigi Vanvitelli, cui è dovuta la
sua architettura. Nel 1773, anno della sua morte, l'ideatore non
aveva visto realizzata una sola delle fontane progettate, sicché
dovette essere Carlo a far eseguire da una folta schiera di
scultori le statue che dovevano ornarle, incastonandole nella
geometria dei prati verdi e delle vasche, dei filari di alberi e
dei boschetti di lecci. Ben sei le monumentali fontane:
Margherita, dei Delfini, di Eolo, di Cerere, di Venere e Adone,
di Diana e Atteone.La
Fontana Margherita
è la prima che si incontra imboccando il
Parco dalla Reggia, ed è la più "modesta", essendo decorata
unicamente dalla scultura di un cesto. Ben diversa è La Fontana
dei Delfini, dove un massa d'acqua compone un laghetto
circolare, ornato dalla scultura di Gaetano Salomone: due
delfini che fiancheggiano un mostro con testa e corpo di delfino
e braccia e artigli. Segue La Fontana di Eolo, dove si avverte
in pieno il senso di grandezza voluto dal re e dal suo
architetto per Caserta: 470 metri per 27 e 3 di profondità, con
un volume di 32.000 metri cubi d'acqua che giungono dal
Canalone. Un passaggio intorno all'emiciclo consente al
visitatore di "entrare" nel palazzo del Dio dei venti, tra archi
e porte posti dietro la cascata d'acqua. I rilievi della
facciata del palazzo (dovuti ad Angelo Brunelli, Paolo Persico,
Gaetano Salomone, Tommaso Solari e Andrea Violani) raffigurano
Lo sposalizio di Tetide e Peleo, Il Giudizio di Paride, Giove e
le tre Dee, Lo sposalizio di Paride. Zefiri e venti vengono
scatenati da Eolo contro Enea ed i Troiani. Sulla balaustra sono
scolpiti schiavi, alcuni dei quali incatenati a due a due
("forse il ricordo di quelli che lavorarono al Palazzo", afferma
il Soprintendente Jacobitti in una sua opera), che lottano sotto
il peso di massicce conchiglie. Al centro della vasca, statue di
ninfe e di giovani. "Quella di Eolo - ricorda Antonio Marotta -
è l'unica fontana del Parco che non fu completata. Nel suo
specchio d'acqua, infatti, non fu mai collocato il colossale
gruppo di Eolo e Giunone che il re aveva commissionato").
La
Fontana di Cerere. E' alimentata
da un bacino a sei vasche, disposte su piani diversi per
consentire la cascata d'acqua ed i suggestivi effetti che questa
crea. In testa alla vasca c'è la "Zampilliera" di Gaetano
Salomone: delfini e tritoni che lanciano potenti getti, Nereidi
che soffiano nelle bùccine, le statue dei fiumi Simeto e Oreto,
la Dea Cerere circondata da Ninfe e con un medaglione di
Trinacria nelle mani. La Fontana di Venere e Adone. Fu
realizzata tra il 1770 e il 1780 da Gaetano Salomone su un lungo
prato dove dodici piccole cascate formano altrettanti laghetti.
Come tutte le altre fontane è ispirata alla mitologia
Greco-Romana, in questo caso al mito dell'amore di Venere e
Adone. La dea, inginocchiata, prende la mano di Adone per
scongiurarlo d'essere prudente nella caccia, mentre Adone,
ignaro di quanto gli accadrà, la rassicura. Alla coppia fanno da
corona Ninfe e putti, mentre in basso si leva, aggressivo, il
cinghiale che ucciderà Adone (in realtà, secondo il mito, era un
Dio geloso, Marte o Vulcano, mutatosi in cinghiale). La
Fontana di Diana e Atteone.
Conclude, a tre chilometri dall'ingresso al Parco, "la grande
architettura formata da spalliere di lecci, dai filari di alberi
di canfora e dagli specchi d'acqua" (Antonio Marotta) ed è opera
di Paolo Persico, Pietro Solari e Angelo Brunelli. E' di forma
semiellittica e, dietro il laghetto formato dal salto d'acqua,
ha i due gruppi di Diana (a destra) e di Atteone (a sinistra),
mentre questi, dopo aver visto la Dea nuda, viene sbranato dai
suoi stessi cani e trasformato in cervo, come vuole il mito. La
fontana è preceduta da balaustre ornate da 14 statue di
cacciatori e Ninfe. Proprio in questo bacino si riversava
l'Acquedotto Carolino, sgorgando da una grotta a 80 metri più in
alto e precipitando di balza in balza. Alla grotta si accede da
una delle due rampe laterali. Quanto all'acqua, oggi, richiesta
da usi moderni, questa non giunge più dall'Acquedotto Carolino,
ma, come ricorda il Soprintendente Gian Marco Jacobitti, da "un
impianto di ricircolo delle acque della cascata e delle vasche
che, mediante pompe, spinge l'acqua a monte per ricreare
l'effetto cascata, senza sprecare il prezioso liquido". Le
Fontane vennero solennemente inaugurate il 7 giugno del 1769.
Nell'angolo orientale del Parco, a settentrione del Bosco
Vecchio, si trova la Peschiera Grande, un lago di metri 270x205,
dove il sovrano di Borbone simulava, tra la folla di cortigiani,
nobili e dignitari, battaglie navali e arrembaggi: un "gioco di
società dell'epoca', se si preferisce, o un antesignano "war
game". Nell'angolo a mezzogiorno si trova, invece, La
Castelluccia. Si tratta di una fortezza in miniatura, costruita
per il divertimento e l'educazione alle armi dell'Erede al
Trono.
Il
Giardino Inglese.
Dopo
la Grande Cascata ha inizio Il Giardino Inglese, che si sviluppa
ortogonalmente rispetto alla linea del grande percorso d'acqua e
in gran parte orientato verso est. Voluto (come la Biblioteca
Palatina) da Maria Carolina d'Austria, moglie di Ferdinando IV
(salito al trono delle Due Sicilie come Ferdinando I nel 1815),
fu progettato e realizzato da Andrea Gràfer, un botanico
paesaggista inglese. La decisione di Maria Carolina venne dopo
la morte di Luigi Vanvitelli, sicché il Giardino non era nel
progetto vanvitelliano; ciononostante, nel 1782, quando il
tracciato fu ultimato e le piante collocate, la scelta ne
rispettò il disegno fondamentale, e si rivelò felice anche per
la fertilità del terreno: 30 ettari di dolci pendii con
intricati sentieri che conducono a zone di verde con cipressi,
salici, magnolie, pini e piante grasse e acquatiche. La
competenza botanica di Gràfer e la ferma volontà della regina
fecero sì che il Giardino si arricchisse di piante d'ogni genere
(alcune fatte venire anche dall'oriente) e prendesse il nome di
"Giardino Botanico della Real Casa", rompendo con la tradizione
del "giardino all'italiana", con la sua composizione unitaria,
prospettica e geometrica, ed introducendo - appunto - quello
"all'inglese", che metteva al bando le forme geometriche e
inclinava verso una "naturale libertà" del verde. Quasi
all'inizio del Giardino Inglese, a sinistra dei Ruderi del
Tempio Dorico, si trova Il Teatro all'aperto Aperia, di forma
classicheggiante e recentemente restituito alla sua funzione di
spazio destinato agli spettacoli ed alla cultura. Proseguendo
lungo il sentiero, si incontrano Il Canale d'acqua, poi La
fontana del Pastore antico, lo spazio del Cedro del Libano, Il
Bagno di Venere, cui segue Il Criptoportico: un finto rudere
realizzato perfettamente, con pareti parzialmente ricoperte di
finti marmi, con crepacci, rotture ad arte che lasciano
intravedere un opus reticulatum e la volta sfondata (anch'essa
ad arte) per aprire due visioni del cielo. Proseguendo
ulteriormente, e lasciandosi guidare dal sentiero, si incontra
una cascata d'acqua che sgorga impetuosa da una finta roccia ed
il Canale Inferiore, cui seguono Il Ponte e Il Canale superiore
che si conclude con Il Lago dei Cigni, donde si scorge la statua
di Venere, scolpita da Tommaso Solari. Al cento del Lago vi sono
isolette e finti Ruderi. Il lungo sentiero si protende, a est,
fino al limite del Giardino, dove si trovano Il Tempietto
Circolare ed ex Labirinto, per tornare con un'ampia curva tra il
verde verso l'ingresso, prima di giungere al quale si
incontrano, in successione, il Vivaio, la Ex Scuola di Botanica,
le Serre, la Vasca con rampe, la Grande Serra, il Casino Inglese
(dove abitò Andrea Gràfer) e, infine, I Mulini. Un tuffo ed un
incontro tra storia, mitologia, vegetazione e mille suggestioni
che hanno ispirato artisti e fatto sognare intere generazioni,
ed ancora conservano, intatto, il loro fascino. Anzi, a
giudicare dai dati statistici che indicano la Reggia di Caserta
e il suo Parco i monumenti più visitati d'Italia (e secondo
soltanto agli Scavi Archeologici di Pompei), che continuano ad
ispirare e far sognare.
Peschiera Grande. Questo grande
bacino lungo quasi mezzo chilometro serve da vasca alla Fontana
dei Delfini, ma la sua funzione non è solo decorativa. Cosi come
a Villa d'Este (e Vanvitelli non poteva non conoscerla) la vasca
aveva (ed ha ancora la funzione di vivaio ittico per fornire di
pesce le reali cucine. Nelle acque della peschiera si riflette
il verde del parco con effetti bucolici indimenticabili. Forse
per questo la vasca è chiamata anche lo Specchio.
La Castelluccia.
Questo castello in miniatura venne costruito per i principi del
sangue perché potessero esercitarsi militarmente alle opere di
offesa e di difesa. Essa è una una piccola costruzione ottagonale
del 1769 in forma di castello munito di fortificazioni, opere di
difesa, ponte levatoio e fossato. A quel tempo il re doveva
essere anche un buon soldato e ciò che veniva appreso nei libri
di teoria andava verificato sul terreno sia pure al riparo dai
pericoli.
La Peschiera
Vecchia si trova nel cosiddetto Bosco Vecchio e fu
realizzata nel 1769 da Francesco Collecini seguendo un progetto
di Vanvitelli. Lunga 270 metri, ha al centro un'isoletta folta
di vegetazione che veniva raggiunta in barca dalla famiglia
reale nelle giornate di caldo. Una famiglia di cigni e un folto
gruppo di anatre selvatiche rallegrano il tranquillo specchio
d'acqua.
La Fontana dei
Delfini fu costruita fra il 1776
e il 1779 da Carlo Vanvitelli. Lo scopo evidente fu di immettere
il flusso idrico dell'Acquedotto Carolino nella grande
peschiera, tenendo conto del dislivello del terreno. La
soluzione trovata è ammirevole e Ferdinando I ne fu talmente
entusiasta da dare, nel 1781, una grande festa all'aperto
attorno alla fontana e ai lati della peschiera.
La Fontana di Eolo
e la Grotta dei Venti è un monumento monco perché manca delle
statue di Giunone ed Eolo. La sua vasca. lunga metri 42,35 e
larga 34,65 sarebbe troppo grande per la quantità d'acqua che
riceve, ma l'emiciclo a portico detto Grotta dei Venti
alleggerisce tutto il complesso. Le statue di schiavi poste sulle
balaustre delle rampe sono forse un omaggio agli schiavi
musulmani catturati nel Mediterraneo ed impiegati in buon numero
nei lavori della Reggia.
Fontana di Venere.
In questo stupendo gruppo scultoreo, pieno di movimento e di
grazia, Venere cerca di dissuadere Adone d'andare a caccia
perché sa che cosi facendo troverà la morte. Intorno, Ninfe,
fanciulli ed animali sembrano partecipare all'angoscia della dea
come un classico coro greco. Viene creata così un'atmosfera
altamente drammatica appena smorzata dall'acqua quasi
pretestuale.
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