Gli Appartamenti Reali della Reggia di Caserta
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Gli Appartamenti Reali
Il Vestibolo. Vi si accede da una delle rampe laterali dello Scalone. Il Vestibolo, che prende luce da quattro finestroni aperti sul cortile, è a pianta ottagonale, assumendo, però, un movimento circolare nella parte centrale, la cui volta, in spazi geometrici, è riccamente decorata. L'insieme dei pilastri e delle colonne segue rigorosamente la disposizione e la geometria del piano sottostante, ma con un gioco di luci e di colori che non lascia cogliere tale particolare a meno che non vi si ponga specifica attenzione. La definizione di "Vestibolo" pare sia dello stesso Vanvitelli in una lettera al fratello Urbano nel novembre del 1759; di certo, nei piani dell'architetto reale, si doveva trattare unicamente dello spazio dove terminavano le due rampe dello Scalone, ma la sua grandiosità e le ardite soluzioni architettoniche, che destarono l'ammirazione di Re Carlo e di sua moglie che lo videro nel corso di una visita ai lavori nel settembre del 1759, convinsero dell'opportunità di chiamarlo "Vestibolo della Cappella", in seguito ridotto al solo appellativo di "Vestibolo". Lo stesso Vanvitelli - da quanto risulta da un'altra lettera al fratello Urbano circa dieci anni dopo la visita dei reali - convintosi dell'importanza dell'opera, giunse al punto da far interrompere i lavori in corso nella parte sottostante perché il Vestibolo non era stato ancora ricoperto di volta".
La Cappella Palatina. Del luogo destinato alla celebrazione dei Sacri Riti della famiglia reale s'era discusso già nel marzo del 1752 e poi a fine settembre dello stesso anno in un incontro concesso dai reali a Vanvitelli. Carlo e Maria Amalia avevano proprie idee a proposito delle colonne e soprattutto dei marmi da impiegare: lo confidava l'architetto al fratello Urbano, al quale aveva anche espresso certe proprie idee "ardite" a proposito della Cappella, che il re avrebbe voluto sul modello di quella di Versailles. "La Cappella mia di Caserta - scriveva infatti nel 1752 Vanvitelli - certamente sarà il miglior pezzo e quella di Versaglies è così cattiva, sproporzionata in tutto, quantunque piena di bronzi dorati, che assolutamente è una pessima cosa La Cappella, dunque, fu voluta da re Carlo, ma venne realizzata secondo gli schemi di Vanvitelli, che evidentemente sapeva come fingere di assecondarne i desideri e realizzare notevoli varianti. Queste riguardano, in particolar modo, la sua collocazione, l'interruzione all'abside del colonnato, lo sviluppo orizzontale, la divisione equilibrata degli spazi ("...ho ridotto il tutto in buona simmetria di Architettura...", scriverà lo stesso Vanvitelli).
Sala degli Alabardieri. Subito a sinistra del Vestibolo, si apre la prima delle cinque Anticamere' che precedono la Sala del Trono: la Sala degli Alabardieri. Sul progetto del padre, Carlo Vanvitelli la realizzò con stucchi e finti marmi su fondo giallo, affidandone la decorazione, nel 1789, a Domenico Mondo, Angelo Brunelli e Andrea Cali. Il primo realizzò l'affresco della volta: l'allegoria delle Armi Borboniche sostenute dalla Virtù. Brunelli e Cali eseguirono le decorazioni in stucco di trofei ed armi che si possono ammirare sulle sovrapporte. Allo scultore Tommaso Bucciano, infine, sono dovute le allegorie delle Arti Liberali: Otto busti femminili disposti intorno alla Sala. Il pavimento, in cotto dipinto a finti marmi, opera di artigiani napoletani che hanno fatto scuola fino ai nostri giorni, consente tuttora il restauro delle parti che vengono deteriorate. Notevole è l'arredamento. I grandi lampadari, eseguiti da artigiani napoletani dell'800, sono in bronzo dorato e vetro. Consolles e sgabelli sono del '700. I busti collocati sulle consolles sono quelli delle regine Maria Carolina, Maria Isabella, Maria Cristina, Maria Sofia.
Sala delle Guardie. Vi si accede dalla Sala degli Alabardieri e presenta un meraviglioso colpo d'occhio per la ricca decorazione a stucchi della volta - nella quale spicca La gloria del Principe e le dodici Province del Regno di Girolamo Starace - contornata da un cornicione poggiato su lesène di ordine ionico. Dodici bassorilievi, che raffigurano episodi della Seconda Guerra Punica, si trovano allineati lungo le pareti. Questa Sala fu realizzata dal figlio di Luigi Vanvitelli, Carlo, che si mosse sui progetti paterni apportando di proprio le idee decorative. E' il caso, per esempio, delle opere degli scultori Tommaso Bucciano, Paolo Persico e Gaetano Salomone. Il primo realizzò i due rilievi La morte del console Marcello e La fuga di Annibale. Quattro bassorilievi sono dovuti a Paolo Persico, i restanti a Gaetano Salomone. Sulla parete di destra è posto il gruppo marmoreo cinquecentesco di Simone Moschino raffigurante Alessandro Farnese incoronato dalla Vittoria, portato a Caserta da Roma nel 1789. Il camino in marmo è di Carlo Beccalli, i lampadari sono della medesima manifattura di quelli della Sala degli Alabardieri, gli sgabelli in stile impero sono francesi. Sulle consolles napoletane del '700 si trovano i busti di Re Ferdinando I del Canova, di Re Francesco I di Del Nero e di Francesco Il e Ferdinando Il di autori ignoti.
Sala di Marte. Dopo la Sala di Alessandro, si accede alla Sala di Marte. Destinata ai "Titolati, Baroni del Regno, Uffiziali, Militari e Inviati Esteri", ancora più ricca e fastosa, venne realizzata durante il regno di Murat, in tal modo sottolineando l'interesse per la Reggia di Gioacchino e Carolina, che avevano provveduto a stanziare i fondi necessari. I lavori, su progetto del Primo Architetto di Corte, Antonio De Simone, furono eseguiti da De Lillo e Patturelli, archi-tetti, e riprendono l'obiettivo dominante delle decorazioni della Reggia: celebrare i fasti della casa regnante, esaltando però, stavolta, le virtù militari delle monarchie imposte da Napoleone, e principalmente quella murattiana. Il nome è dovuto alla decorazione, dedicata al Dio greco della Guerra, Ares (Marte per i latini). Sulla volta Antonio Galliano realizzò nel 1813 Il carro di Achille protetto da Marte travolge Ettore. Sempre sulla volta, e nella zona inferiore, si trovano i rilievi di divinita ed eroi omerici i trofei nella parte centrale e, infine, le allegorie delle Vittorie Alate e delle Virtù guerresche con i simboli della Prudenza e della Forza. Alle decorazioni furono chiamati Beccalli, D'Antonio, Lucchesi, Masucci e Monti, con intagliatori, stuccatori, indoratori e scagliolisti impegnati alle membrature architettoniche, agli stucchi ed ai rivestimenti in finto marmo giallo. La tazza in alabastro al centro della sala, di epoca romana, è un dono di Pio IX a Ferdinando Il di Borbone. Il pavimento geometrico in alabastro, vitulano e marmi verdi è opera di artigiani napoletani. L'arredo è completato da un vaso di porcellana con manici di bronzo dorato, da quattro candelabri di bronzo stile impero, da due consolles con piedi piramidali e ripiani in marmo, da Otto sgabelli a faldistorio di legno intagliato e dorato e da un orologio francese in stile impero.
Sala di Astrea. Oltre la Sala di Marte, proseguendo in direzione ovest, si apre la Sala di Astrea, destinata alla diplomazia: "Ambasciatori, Segretari di Stato, Gentiluomini di Camera". E' dovuta al progetto di Antonio De Simone e prende il nome dal dipinto di Giacomo Berger che vi raffigura la Dea della Giustizia, Astrea, appunto, che la esercita in nome degli Dei tra una folla di figure simboliche. La stessa Dea è ancora raffigurata nei bassorilievi dorati di Domenico Masucci nei padiglioni della volta. Astrea compare ancora nello altorilievo del gruppo tra Frcole e le Province del Regno. Su un'altra parete, opera di Valerio Villareale, si trova Minerva posta tra La Legge e La Ragione: tutti motivi che esaltano il potere del Re e il suo impegno per la Giustizia e l'Amministrazione del Regno. Geni alati e festoni retti da cigni conferiscono alla decorazione ricchezza non disgiunta da raffinata eleganza. Il pavimento è in marmo di Carrara e giallo di Siena, con un disegno labirintico voluto dal Borbone, rientrato dopo il Congresso di Vienna del 1815. L'arredo, molto ricco, è composto da due lampadari in bronzo dorato e cristallo di Boemia, dal camino in marmo decorato a stucchi dorati e da otto sgabelli.
Sala del Consiglio. Si trova immediatamente dopo la Sala del Trono, nella zona dove il maggior impulso ai lavori fu voluto da Gioacchino Murat, nota come "Appartamento Nuovo", è datata '800. Le dimensioni della Sala del Consiglio sono ben lontane da quelle maestose della Sala del Trono, ma le decorazioni sono ugualmente pregevoli. Vi lavorarono Agostino Fondi per gli ornati della volta e Giuseppe Cammarano che realizzò Pallade che premia le Arti e le Scienze per mezzo del Genio della Gloria. Il pavimento è a disegni geometrici. Alle pareti, quadri dell'inizio '800 dell'Accademia Napoletàna che raffigurano Abramo che scaccia Agar e Ismaele alla presenza di Sara e Isacco, dovuto a Raffaele Postiglione, Zingara che predice a Felice Peretti l'ascesa al Pontificato, dovuto a Tommaso De Vivo, e Cornelia madre dei Gracchi di Francesco Oliva. Il Cammarano, ritenendo che gli ornati della volta non armonizzassero col suo dipinto, chiese allo stesso Fondi di rifarli. I busti in marmo sono quelli di Francesco I e di sua moglie Maria Isabella. L'arredo si compone, oltre che del camino in marmo con intagli del Santangiolo, delle consolle in legno dorato, dei candelabri di bronzo a cinque quei lumi con la base in marmo, della specchiera, dei lampadari, di un tavolo neo-barocco di Raffaele Giovine con medaglioni in porcellana sul quale poggia una corbeille di Sèvres, di un vaso di bronzo dorato e cesellato con foglie di acanto e puttini alati.
Il Presepe. Carlo di Borbone e sua moglie Maria Amalia di Sassonia, e poi il figlio Ferdinando, avevano un profondo senso religioso, sicché furono fortemente partecipi della tradizione napoletana che ricreava la Natività di Gesù come si vuole l'abbia concepita per la prima volta San Francesco d'Assisi a Greccio la notte di Natale del 1223, ma con profondi riferimenti alla vita quotidiana dell'epoca. Da documenti risulta che gli stessi reali amavano rifinire le statuine, confezionarne i vestiti e dispone poi nelle scene del Presèpe. L'elogio funebre di Re Carlo, anzi, riferiva che questi "...con le sue regie mani" disponeva il sughero del paesaggio, del quale aveva ".. architettato le lontananze e situati i primi pastori". Sta di fatto che la Sala Ellittica fu destinata ad ospitare permanentemente una rappresentazione presepiale. La scena si trovava lungo le pareti e soltanto in epoca recente - e dopo un furto - è stata decisa l'attuale disposizione centrale. A lavorare ai presèpi i sovrani chiamarono Nicola Ingaldi, Matteo Bottiglieri, Francesco Celebrano, Lorenzo Mosca, Giuseppe Gori ed altri artisti come Luigi Ardia, Giuseppe De Luca, Vallone, Martino. Lo "scoglio" o "masso" (ovvero la scena rocciosa dove si apre la capanna della Natività) è il centro della raffigurazione, che si svolge circolarmente e senza intenzione, variando nei personaggi, nelle abitazioni, nelle scene. Le statuine sono tra le più artistiche e preziose della tradizione presepiale e rappresentano una folla viva, palpitante, popolana nelle manifestazioni: i venditori, le osterie con avventori e servitori, suonatori ambulanti, bestiame in cortile o al pascolo, figure sostanzialmente anacronistiche rispetto all'epoca della nascita di Gesù, ma - con un fondo di estremo realismo che trova analogie nell'iconografia del Caravaggio - perfettamente aderenti alla vita che si svolgeva in strada nel '600: un mondo brulicante e variegato dove dame e nobiluomini erano affiancati dal più infimo popolino. Il Presèpe, in definitiva, non è una "curiosità" da ammirare, ma costituisce uno spaccato di vita reale di un'epoca ormai lontana. Dopo la Sala Ellittica si aprono, a destra e a sinistra le due sale della Pinacoteca e, poi, quelle che prendono il nome dai dipinti o dall'arredamento che custodiscono: la Sala delle Cacce Reali, la Sala degli Spolverini, la Sala dei Porti (Iella Campania, la Sala dei Porti di Calabria e Sicilia, la Sala dei Porti della Puglia, la Sala delle Allegorie e le quattro Sale dei Ritratti dei Re.
La
Biblioteca.
Fu voluta da Maria Carolina, moglie di Ferdinando I, ed allestita in
poco più di tre anni, tra il 1780 e il 1783, per destinarvi le prime
cinque sale dell'ala orientale della Reggia. Due sale furono adibite
a lettura, le altre tre alla raccolta di decine di migliaia di
volumi: opere in tedesco che la regina, austriaca, faceva acquistare
a Vienna cui se ne aggiunsero altre negli anni seguenti ad opera
prima di Gioacchino Murat e poi di Ferdinando Il. Una gran parte dei
volumi (di storia, archeologia, botanica, letteratura, arte militare
e scienze varie) sono oggi conservate presso la Biblioteca di
Napoli, una parte sono ritornate a Caserta e costituiscono
attualmente il fondo, forte di oltre 50.000 pubblicazioni.
La I Sala
La III Sala
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