Gli Appartamenti Reali della Reggia di Caserta
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Gli Appartamenti Reali
Lo Scalone, noto anche come "Scalone d'Onore", è stato lo scenario suggestivo dell'ingresso dei Capi di Stato per il Vertice G7 ripreso dalle televisioni di tutto il mondo, immette nel Vestibolo, negli Appartamenti Reali e nella Cappella Palatina al piano superiore. Si presenta con una grande rampa centrale che si sdoppia successivamente in due elementi paralleli, con 116 gradini composti ciascuno da un unico blocco di "lumachella" di Trapani. "Concepito e realizzato come spazio culminante di tutto l'edificio (come lo descrive il Soprintendente), presenta una graduale successione di tre diverse visuali, per ciascuna delle quali è prevista una conclusione prospettica. A metà del portico, la visione propone il fondale di marmo tra pilastri e arcate e le statue che lo sovrastano. Sono tre, in stucco, e raffigurano la Maestà Regia, il Merito e la Verità, è secondo il Vanvitelli erano destinate ad imprimere "con generoso aspetto, riverenza in chiunque" avesse salito lo Scalone (come si legge nelle "Dichiarazioni dei disegni del Real Palazzo" stilate dall'architetto) e significare anche "la forza della ragione e delle armi" che sostenevano il Regno del Borbone. Diversi gli artisti delle statue: a Tommaso Solari è dovuta la Maestà Regia (che la rappresenta a cavallo di un leone, simbolo di potenza), a Gaetano Salomone è attribuita la Verità (immaginata come una figura femminile che poggia con un piede sul mondo mentre con l'indice punta al sole), ad Andrea Violani, infine, è dovuto il Merito (armato di una spada poggiata su una spalla e di un libro nella mano destra). Furono realizzate tra il 1776 e il 1777. Al termine della rampa centrale si accede al primo pianerottolo, dove iniziano le rampe parallele "custodite" da due splendidi leoni in marmo bianco, opera di Solari e Persico. Se si volge lo sguardo all'indietro si coglie, con un'unica contemporanea visuale, l'esistenza dei due piani sovrapposti (quello del pianterreno dominato dalla statua di Ercole, e quello del Vestibolo. La doppia volta ellittica dello Scalone è affrescata con le Stagioni e con La Reggia di Apollo di Gerolamo Starace. Il cornicione che corre lungo la volta era destinato ad accogliere i maestri di musica durante i ricevimenti: una collocazione (o forse una disposizione) che anticipa il concetto della musica stereofonica proveniente da una fonte non visibile (l'orchestra, infatti, si trovava completamente coperta rispetto agli ospiti).
Il Vestibolo. Vi si accede da una delle rampe laterali dello Scalone. Il Vestibolo, che prende luce da quattro finestroni aperti sul cortile, è a pianta ottagonale, assumendo, però, un movimento circolare nella parte centrale, la cui volta, in spazi geometrici, è riccamente decorata. L'insieme dei pilastri e delle colonne segue rigorosamente la disposizione e la geometria del piano sottostante, ma con un gioco di luci e di colori che non lascia cogliere tale particolare a meno che non vi si ponga specifica attenzione. La definizione di "Vestibolo" pare sia dello stesso Vanvitelli in una lettera al fratello Urbano nel novembre del 1759; di certo, nei piani dell'architetto reale, si doveva trattare unicamente dello spazio dove terminavano le due rampe dello Scalone, ma la sua grandiosità e le ardite soluzioni architettoniche, che destarono l'ammirazione di Re Carlo e di sua moglie che lo videro nel corso di una visita ai lavori nel settembre del 1759, convinsero dell'opportunità di chiamarlo "Vestibolo della Cappella", in seguito ridotto al solo appellativo di "Vestibolo". Lo stesso Vanvitelli - da quanto risulta da un'altra lettera al fratello Urbano circa dieci anni dopo la visita dei reali - convintosi dell'importanza dell'opera, giunse al punto da far interrompere i lavori in corso nella parte sottostante perché il Vestibolo non era stato ancora ricoperto di volta".
La Cappella Palatina. Del luogo destinato alla celebrazione dei Sacri Riti della famiglia reale s'era discusso già nel marzo del 1752 e poi a fine settembre dello stesso anno in un incontro concesso dai reali a Vanvitelli. Carlo e Maria Amalia avevano proprie idee a proposito delle colonne e soprattutto dei marmi da impiegare: lo confidava l'architetto al fratello Urbano, al quale aveva anche espresso certe proprie idee "ardite" a proposito della Cappella, che il re avrebbe voluto sul modello di quella di Versailles. "La Cappella mia di Caserta - scriveva infatti nel 1752 Vanvitelli - certamente sarà il miglior pezzo e quella di Versaglies è così cattiva, sproporzionata in tutto, quantunque piena di bronzi dorati, che assolutamente è una pessima cosa La Cappella, dunque, fu voluta da re Carlo, ma venne realizzata secondo gli schemi di Vanvitelli, che evidentemente sapeva come fingere di assecondarne i desideri e realizzare notevoli varianti. Queste riguardano, in particolar modo, la sua collocazione, l'interruzione all'abside del colonnato, lo sviluppo orizzontale, la divisione equilibrata degli spazi ("...ho ridotto il tutto in buona simmetria di Architettura...", scriverà lo stesso Vanvitelli).
Sala degli Alabardieri. Subito a sinistra del Vestibolo, si apre la prima delle cinque Anticamere' che precedono la Sala del Trono: la Sala degli Alabardieri. Sul progetto del padre, Carlo Vanvitelli la realizzò con stucchi e finti marmi su fondo giallo, affidandone la decorazione, nel 1789, a Domenico Mondo, Angelo Brunelli e Andrea Cali. Il primo realizzò l'affresco della volta: l'allegoria delle Armi Borboniche sostenute dalla Virtù. Brunelli e Cali eseguirono le decorazioni in stucco di trofei ed armi che si possono ammirare sulle sovrapporte. Allo scultore Tommaso Bucciano, infine, sono dovute le allegorie delle Arti Liberali: Otto busti femminili disposti intorno alla Sala. Il pavimento, in cotto dipinto a finti marmi, opera di artigiani napoletani che hanno fatto scuola fino ai nostri giorni, consente tuttora il restauro delle parti che vengono deteriorate. Notevole è l'arredamento. I grandi lampadari, eseguiti da artigiani napoletani dell'800, sono in bronzo dorato e vetro. Consolles e sgabelli sono del '700. I busti collocati sulle consolles sono quelli delle regine Maria Carolina, Maria Isabella, Maria Cristina, Maria Sofia.
Sala delle Guardie. Vi si accede dalla Sala degli Alabardieri e presenta un meraviglioso colpo d'occhio per la ricca decorazione a stucchi della volta - nella quale spicca La gloria del Principe e le dodici Province del Regno di Girolamo Starace - contornata da un cornicione poggiato su lesène di ordine ionico. Dodici bassorilievi, che raffigurano episodi della Seconda Guerra Punica, si trovano allineati lungo le pareti. Questa Sala fu realizzata dal figlio di Luigi Vanvitelli, Carlo, che si mosse sui progetti paterni apportando di proprio le idee decorative. E' il caso, per esempio, delle opere degli scultori Tommaso Bucciano, Paolo Persico e Gaetano Salomone. Il primo realizzò i due rilievi La morte del console Marcello e La fuga di Annibale. Quattro bassorilievi sono dovuti a Paolo Persico, i restanti a Gaetano Salomone. Sulla parete di destra è posto il gruppo marmoreo cinquecentesco di Simone Moschino raffigurante Alessandro Farnese incoronato dalla Vittoria, portato a Caserta da Roma nel 1789. Il camino in marmo è di Carlo Beccalli, i lampadari sono della medesima manifattura di quelli della Sala degli Alabardieri, gli sgabelli in stile impero sono francesi. Sulle consolles napoletane del '700 si trovano i busti di Re Ferdinando I del Canova, di Re Francesco I di Del Nero e di Francesco Il e Ferdinando Il di autori ignoti.
Sala di Alessandro. E' posta all'estremità del braccio e si apre a metà della facciata del Palazzo. Fra l'Anticamera destinata ai non-titolati perché la prima dopo quelle destinate ai militari di guardia e la più lontana dal Trono. Deve il suo nome all'affresco sulla volta raffigurante Le Nozze di Alessandro Magno e Roxane di Mariano Rossi. Luigi Vanvitelli aveva previsto l'impiego del pittore Fedele Fischetti, ma nel 1787 e dopo la sua morte, il figlio Carlo, per volere del sovrano, aveva chiamato il Rossi che operò nel pieno rispetto dell'iconografia della Reggia, ovvero con allegorie che celebrassero gloria e fasti dei Borbone. I bassorilievi delle sovrappone, con episodi della vita del condottiero macedone, sono di Tito Angelini e Gennaro Cali. A Carlo Beccalli sono dovuti il medaglione in marmo bianco, sul camino, col profilo di Alessandro Magno e la due Sfingi in basalto ai suoi lati. La decorazione appare più ricca rispetto alle Sale precedenti: in alto, a sinistra, infatti, c'è il quadro di Gennaro Maldarelli della Abdicazione di Carlo in favore del figlio Ferdinando e, di fronte, a destra, quello di Camillo Guerra Carlo alla Battaglia di Velletri. Il pavimento in marmo è dell'immediato ultimo dopoguerra e riprende l'originaria decorazione realizzata su cotto. Alla Sala di Alessandro si lavorò anche durante il decennio francese del 1806-1815, quando venne adibita a Sala del Trono, ma le relative opere andarono del tutto perdute. Le due poltrone con pomelli di avorio e poggiapiedi, poste accanto al monumentale orologio napoletano in stile impero, furono infatti adoperate da Gioacchino Murat e da sua moglie Carolina Bonaparte, mentre le sedie provengono dalle Tuileries. L'arredamento è completato da sei candelabri lignei.
Sala di Marte. Dopo la Sala di Alessandro, si accede alla Sala di Marte. Destinata ai "Titolati, Baroni del Regno, Uffiziali, Militari e Inviati Esteri", ancora più ricca e fastosa, venne realizzata durante il regno di Murat, in tal modo sottolineando l'interesse per la Reggia di Gioacchino e Carolina, che avevano provveduto a stanziare i fondi necessari. I lavori, su progetto del Primo Architetto di Corte, Antonio De Simone, furono eseguiti da De Lillo e Patturelli, archi-tetti, e riprendono l'obiettivo dominante delle decorazioni della Reggia: celebrare i fasti della casa regnante, esaltando però, stavolta, le virtù militari delle monarchie imposte da Napoleone, e principalmente quella murattiana. Il nome è dovuto alla decorazione, dedicata al Dio greco della Guerra, Ares (Marte per i latini). Sulla volta Antonio Galliano realizzò nel 1813 Il carro di Achille protetto da Marte travolge Ettore. Sempre sulla volta, e nella zona inferiore, si trovano i rilievi di divinita ed eroi omerici i trofei nella parte centrale e, infine, le allegorie delle Vittorie Alate e delle Virtù guerresche con i simboli della Prudenza e della Forza. Alle decorazioni furono chiamati Beccalli, D'Antonio, Lucchesi, Masucci e Monti, con intagliatori, stuccatori, indoratori e scagliolisti impegnati alle membrature architettoniche, agli stucchi ed ai rivestimenti in finto marmo giallo. La tazza in alabastro al centro della sala, di epoca romana, è un dono di Pio IX a Ferdinando Il di Borbone. Il pavimento geometrico in alabastro, vitulano e marmi verdi è opera di artigiani napoletani. L'arredo è completato da un vaso di porcellana con manici di bronzo dorato, da quattro candelabri di bronzo stile impero, da due consolles con piedi piramidali e ripiani in marmo, da Otto sgabelli a faldistorio di legno intagliato e dorato e da un orologio francese in stile impero.
Sala di Astrea. Oltre la Sala di Marte, proseguendo in direzione ovest, si apre la Sala di Astrea, destinata alla diplomazia: "Ambasciatori, Segretari di Stato, Gentiluomini di Camera". E' dovuta al progetto di Antonio De Simone e prende il nome dal dipinto di Giacomo Berger che vi raffigura la Dea della Giustizia, Astrea, appunto, che la esercita in nome degli Dei tra una folla di figure simboliche. La stessa Dea è ancora raffigurata nei bassorilievi dorati di Domenico Masucci nei padiglioni della volta. Astrea compare ancora nello altorilievo del gruppo tra Frcole e le Province del Regno. Su un'altra parete, opera di Valerio Villareale, si trova Minerva posta tra La Legge e La Ragione: tutti motivi che esaltano il potere del Re e il suo impegno per la Giustizia e l'Amministrazione del Regno. Geni alati e festoni retti da cigni conferiscono alla decorazione ricchezza non disgiunta da raffinata eleganza. Il pavimento è in marmo di Carrara e giallo di Siena, con un disegno labirintico voluto dal Borbone, rientrato dopo il Congresso di Vienna del 1815. L'arredo, molto ricco, è composto da due lampadari in bronzo dorato e cristallo di Boemia, dal camino in marmo decorato a stucchi dorati e da otto sgabelli.
Sala del Trono. É la più ampia del piano, occupa buona parte della mezza facciata ad ovest e segue immediatamente la Sala di Astrea. Esclusa dai lavori durante il periodo francese, non venne completata nemmeno da Ferdinando I nonostante che questi ne avesse incaricato appositamente Bianchi, che gli aveva presentato il progetto, vedendoselo anche approvare. Nel 1845, infine, l'allestimento venne realizzato da Gaetano Genovese e la Sala inaugurata per il VTI Congresso Internazionale delle Scienze. Un'iscrizione su una delle due figure muliebri della Storia in stucco dorato, dovute a Tito Angelini e Tommaso Arnaud, riporta le sigle FII e MT (Ferdinando II e Maria Teresa) e la dicitura: "Ferdinando II - nell'anno XV dal suo Regno - fece compiere questa sala". Splendido il pavimento a disegni geometrici e rosoni in ottagoni, con le decorazioni in stucco dorato che staccano cromaticamente sul rosso vivo delle due enormi passatoie allineate sotto la pareti e dei ricchi sgabelli con sostegni in legno dorato. Alla base delle decorazioni vi sono stemmi e nomi delle dodici Province del Regno, mentre sui cornicioni vi sono 46 medaglioni raffiguranti i Re di Napoli. Completano l'arredamento quattordici appliques in bronzo dorato e cristallo di Boemia. La volta, illuminata a finestre semicircolari, è a botte ed affrescata nel 1845 da Gennaro Maldarelli con La cerimonia della posa della prima pietra della Reggia di Caserta, cerimonia risalente al 20 gennaio del 1752, come detto in precedenza. Sul fondo della Sala, sotto un altorilievo dorato, si trova il Trono. Posto su un piano rialzato, è in legno intagliato, con braccioli a forma di leoni alati, dietro i quali si trovano figure di sirene. E' dovuto ad esperti artigiani napoletani del primo '800.
Sala del Consiglio. Si trova immediatamente dopo la Sala del Trono, nella zona dove il maggior impulso ai lavori fu voluto da Gioacchino Murat, nota come "Appartamento Nuovo", è datata '800. Le dimensioni della Sala del Consiglio sono ben lontane da quelle maestose della Sala del Trono, ma le decorazioni sono ugualmente pregevoli. Vi lavorarono Agostino Fondi per gli ornati della volta e Giuseppe Cammarano che realizzò Pallade che premia le Arti e le Scienze per mezzo del Genio della Gloria. Il pavimento è a disegni geometrici. Alle pareti, quadri dell'inizio '800 dell'Accademia Napoletàna che raffigurano Abramo che scaccia Agar e Ismaele alla presenza di Sara e Isacco, dovuto a Raffaele Postiglione, Zingara che predice a Felice Peretti l'ascesa al Pontificato, dovuto a Tommaso De Vivo, e Cornelia madre dei Gracchi di Francesco Oliva. Il Cammarano, ritenendo che gli ornati della volta non armonizzassero col suo dipinto, chiese allo stesso Fondi di rifarli. I busti in marmo sono quelli di Francesco I e di sua moglie Maria Isabella. L'arredo si compone, oltre che del camino in marmo con intagli del Santangiolo, delle consolle in legno dorato, dei candelabri di bronzo a cinque quei lumi con la base in marmo, della specchiera, dei lampadari, di un tavolo neo-barocco di Raffaele Giovine con medaglioni in porcellana sul quale poggia una corbeille di Sèvres, di un vaso di bronzo dorato e cesellato con foglie di acanto e puttini alati.
Camera di Francesco. È la parte angolare del corpo di fabbrica e si presenta ricca in ogni elemento, a cominciare dal pavimento. Il nome le fu dato dal successore di Ferdinando Il, salito al trono il 1859 e sovrano per un breve periodo (fino al 1860), ma la sua realizzazione risale agli anni del regno di Murat. La volta fu affrescata, con un effetto di arazzo su drappo retto da lance, da Giuseppe Cammarano con Il riposo di Teseo dopo la lotta col Minotauro. Il fregio sottostante è opera di Gaspare Mugnai (Putti che giocano con le armi) Gennaro Bisogni e Agostino Fondi. I quadri alle pareti sono di Raffaele Postiglione (Gesù guarisce l'indemoniato e Cristo che placa la tempesta) e di un ignoto (Francesco Il e Maria Sofia). L'arredo si compone dei mobili (di stile impero) in mogano e con applicazioni di bronzo dorato. Il letto, a baldacchino, ha la doppia testata affiancata da leoni alati e culmina con le teste di Pallade, Marte e di un Genio alato in doppia configurazione: una fa segno di tacere, mentre l'altra riposa. Di fianco al letto ci sono due comodini a pilastro, il cui disegno richiama quello dei due cassettoni che si trovano nella medesima Sala. Davanti al letto si trova un tavolo rotondo con base triangolare sulla quale poggiano sfingi alate dorate. A destra ci sono la scrivania (in legno rosa intarsiato e copertura a calatoia) ed una poltrona in mogano finemente lavorato. Poltrone, consolle e specchiera sono di artigiani napoletani. Infine, c'è la credenza: di ispirazione francese ma realizzata a Napoli, ha gli sportelli rivestiti di seta gialla e ai lati le colonne di bronzi dorati.
La Camera di Murat. Le dimensioni sono identiche alle precedenti due, ma l'ambiente è molto più interessante. I mobili sono quelli della camera da letto che Murat aveva nella Reggia di Portici e che furono trasferiti a Caserta quando questa divenne sede dell'Università di Napoli. Il letto è in stile impero: con ricche guarnizioni in bronzo dorato poggia su una pedana, col padiglione retto su lance e terminante a cupola rettangolare in mogano dorato. Quattro ricchi teli avorio bordati e con cimasa azzurra drappeggiata con fiori argentati e frangia fanno da cortina. Nella sala si trovano, inoltre, due cassettoni (francesi o di stile francese) decorati con corone di alloro ed angeli che reggono festoni, due comodini in mogano decorati con bronzo dorato, una credenza pure in mogano e con piano mosaicato di marmo, la scrivania (in mogano, con decorazioni in bronzo dorato, piano movibile e rivestimenti in velluto rosso). Completano l'arredamento le poltrone dorate dalle spalliere con frecce intrecciate e i sedili imbottiti con la "G" di Gioacchino ricamata. I quadri rappresentano, uno, Gioacchino Murat a bordo della Fregata 'La Cérés' di ignoto, e Il generale Massena e Giulia Clary e le figlie, entrambi del Wicor.
Il Presepe. Carlo di Borbone e sua moglie Maria Amalia di Sassonia, e poi il figlio Ferdinando, avevano un profondo senso religioso, sicché furono fortemente partecipi della tradizione napoletana che ricreava la Natività di Gesù come si vuole l'abbia concepita per la prima volta San Francesco d'Assisi a Greccio la notte di Natale del 1223, ma con profondi riferimenti alla vita quotidiana dell'epoca. Da documenti risulta che gli stessi reali amavano rifinire le statuine, confezionarne i vestiti e dispone poi nelle scene del Presèpe. L'elogio funebre di Re Carlo, anzi, riferiva che questi "...con le sue regie mani" disponeva il sughero del paesaggio, del quale aveva ".. architettato le lontananze e situati i primi pastori". Sta di fatto che la Sala Ellittica fu destinata ad ospitare permanentemente una rappresentazione presepiale. La scena si trovava lungo le pareti e soltanto in epoca recente - e dopo un furto - è stata decisa l'attuale disposizione centrale. A lavorare ai presèpi i sovrani chiamarono Nicola Ingaldi, Matteo Bottiglieri, Francesco Celebrano, Lorenzo Mosca, Giuseppe Gori ed altri artisti come Luigi Ardia, Giuseppe De Luca, Vallone, Martino. Lo "scoglio" o "masso" (ovvero la scena rocciosa dove si apre la capanna della Natività) è il centro della raffigurazione, che si svolge circolarmente e senza intenzione, variando nei personaggi, nelle abitazioni, nelle scene. Le statuine sono tra le più artistiche e preziose della tradizione presepiale e rappresentano una folla viva, palpitante, popolana nelle manifestazioni: i venditori, le osterie con avventori e servitori, suonatori ambulanti, bestiame in cortile o al pascolo, figure sostanzialmente anacronistiche rispetto all'epoca della nascita di Gesù, ma - con un fondo di estremo realismo che trova analogie nell'iconografia del Caravaggio - perfettamente aderenti alla vita che si svolgeva in strada nel '600: un mondo brulicante e variegato dove dame e nobiluomini erano affiancati dal più infimo popolino. Il Presèpe, in definitiva, non è una "curiosità" da ammirare, ma costituisce uno spaccato di vita reale di un'epoca ormai lontana. Dopo la Sala Ellittica si aprono, a destra e a sinistra le due sale della Pinacoteca e, poi, quelle che prendono il nome dai dipinti o dall'arredamento che custodiscono: la Sala delle Cacce Reali, la Sala degli Spolverini, la Sala dei Porti (Iella Campania, la Sala dei Porti di Calabria e Sicilia, la Sala dei Porti della Puglia, la Sala delle Allegorie e le quattro Sale dei Ritratti dei Re.
Teatro di Corte. Dalla lettura dei documenti d'epoca si apprende che il progetto originario di Luigi Vanvitelli prevedeva un grande Teatro pubblico da realizzare nel Parco, prossimo alla Reggia ed a questa, anzi, collegato. Re Carlo, però, non gradì questa soluzione: voleva che il Teatro si trovasse all'interno del palazzo, ed il suo architetto, quindi, dovette rinunziare alla propria idea, ripiegando sull'attuale collocazione: all'incrocio tra la facciata occidentale della Reggia con uno dei bracci mediani. La struttura, con un colpo d'occhio che ricorda il grande Teatro voluto a Napoli dal re, il San Carlo, ha una forma a ferro di cavallo e dispone di 41 palchi disposti su cinque ordini, l'ultimo dei quali si trova proprio sotto la volta, la platea è alla quota più bassa. La volta è retta da dodici colonne di alabastro, in stile corinzio, che poggiano su pietra rosa. Festoni maschere, trofei e putti, opera di Gaetano Magri, lo decorano. La volta è affrescata con l'allegoria di Apollo-Ferdinando IV che calpesta il Pitone-Vizio dovuta a Crescenzo Gamba. Un portone, a livello del Parco, che può essere sfruttato come scenario naturale, chiude il fondo del palcoscenico. Completato anche di decorazioni quando Luigi Vanvitelli era ancora vivo (e si tratta dell'unica opera ultimata con l'architetto in vita), il Teatro venne inaugurato dalla coppia reale - Ferdinando IV e Maria Carolina - in occasione del Carnevale del 1769. Notevole è la raccolta dei libretti d'opera (conservati nella Biblioteca Palatina), a testimonianza sia del notevole uso che i Borbone fecero del Teatro (dove si replicavano sistematicamente gli spettacoli dati al San Carlo) e sia del loro amore per la musica.
La
Biblioteca.
Fu voluta da Maria Carolina, moglie di Ferdinando I, ed allestita in
poco più di tre anni, tra il 1780 e il 1783, per destinarvi le prime
cinque sale dell'ala orientale della Reggia. Due sale furono adibite
a lettura, le altre tre alla raccolta di decine di migliaia di
volumi: opere in tedesco che la regina, austriaca, faceva acquistare
a Vienna cui se ne aggiunsero altre negli anni seguenti ad opera
prima di Gioacchino Murat e poi di Ferdinando Il. Una gran parte dei
volumi (di storia, archeologia, botanica, letteratura, arte militare
e scienze varie) sono oggi conservate presso la Biblioteca di
Napoli, una parte sono ritornate a Caserta e costituiscono
attualmente il fondo, forte di oltre 50.000 pubblicazioni.
La I Sala
La II Sala
La III Sala
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Mykonos è l'isola della trasgressione Mare cristallino e notti da delirio |
La Penisola del Sinai ti accoglie con fondali incantevoli, un clima |
Pagine personali di Michelino. |