La colonia di San Leucio
E' l'esempio vivente del come i
Borboni
costruivano i nuovi borghi per sperimentarvi impianti industriali su basi di
assoluta autonomia aziendale. Nata da un capriccio di Ferdinando IV o forse
figlia dell'utopia sociale dell'età dei lumi, la Real Colonia ha comunque un
grande merito: aver dato l'avvio ad una tradizione serica che oggi è ancora
fortemente presente. Otto aziende operano attualmente nel distretto, una nicchia
di mercato protetta in continua crescita: seicentocinquanta addetti, un
fatturato annuo di sessanta miliardi, tecnologie produttive all'avanguardia. Il
sito acquistato nel 1750 da Carlo III di Borbone in cui Ferdinando IV volle
fondare la Real Colonia di San Leucio, piccolo nucleo urbano rappresentativo di
una città ideale (Ferdinandopoli) in cui dare attuazione ad un programma
innovativo di riforme sociali, introducendovi inoltre la manifattura della seta.
Il sovrano attuò il suo disegno in tappe successive, secondo una serie di
interventi forse non del tutto preordinata, che sfocierà comunque
nell'istituzione della Colonia e nell'affermazione della sua vocazione
manifatturiera: tra il 1773 ed il 1787 fece recintare il bosco di San Leucio,
ampliare l'antico Casino del Belvedere, edificare - secondo uno schema di lotti
abitativi disposti a schiera - i quartieri di San Ferdinando e San Carlo,
installare i filatoi per la lavorazione della seta nel cortile del Belvedere.
L'ultimo passo, determinante per
l'istituzione della Colonia, fu quello di riunire tutte le lavorazioni in un
nuovo opificio costruito da Francesco Collecini a ridosso del Belvedere. Accanto
alle maestranze locali, vennero impiegati a San Leucio artigiani francesi
(soprattutto di Lione), genovesi, piemontesi e messinesi. Interessante è
l'elencazione che Giovanni Tescione, nella sua monografia "L'arte della seta a
Napoli e la Colonia di San Leucio" (Napoli, 1932), fa delle produzioni
realizzate nella manifattura ferdinandea tra il 1790 ed il 1805: veli, nobiltà,
ormesini, pekins, rasi, saie e saioni, floranze, lame e lastre d'argento,
velluti, mussulmani, stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento, scialli,
fazzoletti, calze da uomo e da donna, guanti, gilets, calzoni, berrettini e
borse a maglia, vesti a merletti, merletti a filoscia, fettucce, a cui si
aggiunsero, a seguito del decennio francese e dell'influenza della moda
parigina, rasini, levantine, reps, mille punti, zeffiri, Virginie, pekin velluté,
batiste. Non è questa la sede per ripercorrere tutte le tappe della storia
aziendale di San Leucio da Ferdinando IV ai giorni nostri. Basti accennare al
fatto che, in realtà, l'unico periodo felice della Reale Manifattura fu quello
iniziale, affidato alla gestione del cavaliere Domenico Cosmi, ufficiale
maggiore della Real Segreteria di Casa Reale. Le successive gestioni, nonostante
l'introduzione di innovazioni tecniche (telaio Jacquard e macchina del lisage)
ed i contratti di concessione stipulati con imprenditori tessili del Nord (Wallin
e Maranda, De Welz, Baracco) non riuscirono a portare in attivo la manifattura
borbonica. Con l'unità d'Italia i beni mobili ed immobili dell'opificio
passarono al demanio e l'attività produttiva venne data in concessione ai
francesi Pascal prima ed ai Mezzacapo di Cava de' Tirreni poi. Ma al di là delle
vicende imprendioriali dell'opificio borbonico, bisogna riconoscere a Ferdinando
IV il merito di aver dato avvio, alla fine del XVIII secolo, ad una tradizione
serica che a San Leucio è ancora fortemente presente: verso la fine del XIX
secolo, mettendo a frutto l'esperienza lavorativa maturata nella seteria
ex-borbonica, un certo numero di operai particolarmente intraprendenti diede
vita a piccole aziende familiari, alcune delle quali (Setificio Cicala, 1883;
Antico Opificio Serico De Negri, 1895) esistono ancora oggi, accanto ad altre
seterie fondate in epoche successive. |
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