BATTAGLIA NAVALE  DI LEPANTO

NAVAL BATTLE OF LEPANTO

(7 OTTOBRE 1571)

IL TRIONFO DELLA FLOTTA CRISTIANA SULLA FLOTTA TURCA OTTOMANA

GIUDIZIO DELLO SHINANO

La battaglia navale di Lèpanto fu uno scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra per la difesa di Cipro, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell'Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato d'Urbino federate sotto le insegne pontificie.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d'Austria, su quelle ottomane di Müezzinzade Alì Pascià, che perse la vita nello scontro. Lepanto fu una vittoria morale, oltre che militare.  I Turchi Ottomani avevano terrorizzato l'Europa per decenni, e le vittorie di Solimano il Magnifico avevano creato serie preoccupazioni all'Europa cristiana. La sconfitta accelerò il processo di decadenza del potere ottomano sotto Selim, mentre i cristiani si rallegravano per il rovescio subito dagli infedeli.  La mistica del potere ottomano venne notevolmente infangata da questa battaglia, fatto che rinfrancò l'Europa cristiana.  Tuttavia, il potenziale politico che avrebbe potuto scaturirne non venne mai fuori: la Lega di Cognac ebbe vita breve, e la battaglia di Lepanto fu l'unico avvenimento brillante che la caratterizzò. Papa Pio V morì poco tempo dopo, e le macchinazioni degli uomini politici ripresero piede. Il re francese Carlo IX continuò a fare la parte dell'agitatore, fomentando altre rivolte protestanti nei Paesi Bassi e promuovendo un accordo di pace tra Venezia e l'impero ottomano, firmato segretamente nel marzo 1573; quando venne reso pubblico, la Lega di Cognac si sciolse. Quasi certamente, le rivalità politiche sarebbero rimaste troppo forti perchè la Lega potesse raggiungere un'unità a lungo termine. Nessun leader politico aveva la personalità per sostituirsi a papa Pio V, dopo la morte di questi, e Filippo di Spagna, a cui senza dubbio sarebbe piaciuto mettersi alla guida di una simile unione europea, alle sue condizioni, naturalmente, fu ancora una volta costretto a rivolgere l'attenzione altrove. Suoi nemici divennero di nuovo i protestanti, anzichè i musulmani, e furono quelli a dimostrarsi la sua rovina, alla fine: essi si sottrassero all'autorità della Spagna e del Sacro Romano Impero grazie alla vittoria ottenuta dall'Inghilterra nel 1588 sull'Armada spagnola e alla sanguinosa guerra dei Trent'anni ( 1618-1648) . Dal punto di vista della guerra navale, Lepanto segnò un punto di svolta. La galea dominava i mari già da prima di Cristo, ma i suoi giorni erano ormai contati. Le navi a vela comparse in questa battaglia rappresentavano il futuro: rispetto alle galee, si dimostravano più veloci sulla lunga distanza (anche se lo erano meno su tratti brevi), potevano portare un maggior numero di cannoni e tenevano molto meglio il mare. Lepanto costituì anche l'ultima occasione importante in cui una battaglia navale si svolse con soldati che combattevano in alto mare come se si trovassero sulla terraferma; 15 anni più tardi, infatti, lo scontro tra la Royal Navy inglese e l'Armada spagnola vide le spade e i rematori sostituiti da cannoni e vele. Dal punto di vista tecnico tra la battaglia di Azio e quella di Lepanto non vi fu infatti una grande differenza, nè tattica nè di materiali, l'unica grande novità fu l'impiego delle galeazze, le quali con il loro impressionante numero di cannoni scompaginarono la formazione musulmana nella fase iniziale della battaglia dando un vantaggio tattico ai cristiani che li portò ad una clamorosa vittoria dopo cinquant'anni di batoste subite sul "Mar Bianco" (Shinano).


L'AZIONE DECISIVA DELLE "GALEAZZE" VENEZIANE

Le due flotte erano ormai a tiro quando, inaspettatamente, l'ala sinistra della formazione cristiana, affidata a Gianandrea Doria, si allargò a vele spiegate verso l'alto mare dando ai turchi l'impressione di una fuga. E infatti Occhiali si lanciò subito all'inseguimento del presunto fuggiasco.

La manovra operata dal genovese non era prevista, tanto è vero che in seguito solleverà dubbi e sospetti, ma quello non era il momento per fare un processo alle intenzioni. Le altre due formazioni continuarono ad avanzare decisamente contro il nemico precedute dalle sei galeazze che, abbandonate dai rimorchi, ora si muovevano con estrema lentezza.

A dare il via alla battaglia fu un colpo isolato di cannone sparato dalla Sultana al quale rispose un altro colpo isolato sparato dalla Real. Ali aveva lanciato la sfida, don Giovanni l'aveva accettata.  (.........................)

Le prime a essere raggiunte dai turchi furono le galeazze, ma Ali, ignorando l'effettiva funzione di quei mostri galleggianti, comandò di ignorarli e di proseguire direttamente contro la squadra nemica: di quelle goffe imbarcazioni si sarebbe occupato più tardi.

Ma quando le galeazze vennero a trovarsi al centro della formazione nemica, parvero esplodere come una polveriera. Un inferno di fuoco investì non soltanto le galee di prora, come accadeva tradizionalmente con i «cannoni di corsia , bensì tutte quelle che stavano attorno, davanti, dietro, a dritta e a manca delle galeazze. Più di duecento cannoni di calibro diverso avevano aperto simultaneamente il fuoco e l'effetto fu terrificante.

Decine di unità furono colpite, affondate o gravemente danneggiate, però il grosso della flotta turca, benché disordinato, proseguì la sua corsa superando le sei fortezze galleggianti avvolte ormai da una fitta cortina di fumo.

Circa gli effetti prodotti dal collaudo di questa «arma segreta veneziana, i giudizi degli storici coevi risulteranno, per ovvie ragioni politiche, assai contrastanti. I veneziani attribuirono alle loro galeazze un ruolo decisivo per il risultato finale della battaglia. (....................)

Gli storici spagnoli sostennero invece che le galeazze, salvo rendersi utili nella fase iniziale, «stettero poi per lo più in mezzo all'acqua a vedere. In realtà, come ha osservato Romano Canosa, le galeazze svolsero effettivamente un ruolo decisivo soltanto all'inizio del combattimento in quanto, più tardi, quando le galee si avvinghiarono l'una all'altra, non poterono più fare uso dei loro cannoni temendo le conseguenze devastanti del «fuoco amico». Ma quell'effetto iniziale condizionò l'intero scontro. (................)


LO SCONTRO DECISIVO AL CENTRO

Anche al centro si era intanto formata un' altra grande «isola» di legno avvolta in una nube di fumo. Attorno alle ammiraglie di don Giovanni e di Ali, incastrate di prora, una trentina di galee si erano imbrigliate in un groviglio inestricabile di rostri, di reti e di sartiame. (.....................)

La capitana pontificia di Marcantonio Colonna aveva arrembato la galea di Pertev Pascià, un soldato di ventura europeo cui era affidato il comando delle milizie turche, e lo stesso principe, spadone in pugno, menava fendenti a dritta e a manca sul ponte della nave nemica.
Intanto, sulla capitana veneziana, che si era accostata alla Real per portarle aiuto, Sebastiano Venier, corazzato da capo. alle caviglie (...................)

La battaglia stava intanto raggiungendo il suo culmine. Sulla sinistra del fronte cristiano la squadra di Barbarigo era ancora impegnata in una lotta feroce con le galee di Maometto Scirocco, mentre Gianandrea Doria, sul lato destro, faticava a disimpegnarsi da Occhiali che l'inseguiva.

Ma era al centro, e in particolare sulle due ammiraglie avversarie, che si svolgeva lo scontro decisivo. Dopo che gli archibugieri sardi avevano respinto per due volte gli attacchi dei giannizzeri (erano giunti fino al pennone di prua dove era issato lo stendardo della Lega e lo stesso don Giovanni era stato ferito leggermente alla gamba), i cristiani erano passati al contrattacco. I primi a saltare sulla Sultana furono gli archibugieri del tercio di Sardegna e del tercio di Castiglia. (...................)

Dall'ammiraglia cristiana il combattimento si era dunque trasferito su quella turca, ma l' esito era ancora incerto. Ai decimati giannizzeri si erano uniti altri uomini inviati dalle galee turche per portare soccorso al Kapudan. La stessa cosa era accaduta anche sulla Real: entrambe le ammiraglie ricevevano infatti da poppa i rinforzi di truppe fresche. Dopo oltre un' ora di lotta sanguinosa, era ormai evidente che sul ponte della Sultana si sarebbe decisa la partita.

Ali Pascià, circondato dalla sua guardia personale attorno all'albero maestro, si batteva come un leone saettando il nemico col suo arco e impartendo ordini concitati. (..................) Approfittando del momento critico, altre galee cristiane si erano avventate contro la Sultana, cannoneggiandola e interrompendo così l'afflusso da poppa delle truppe mandate in suo soccorso.

Contemporaneamente, altri duecento archibugieri del tercio di Sicilia si erano uniti agli uomini di don Giovanni ribaltando definitivamente le sorti dello scontro.  Ora la Sultana, investita da più parti e circondata dai relitti che impedivano l'accesso ai soccorritori, era chiaramente condannata e tuttavia i turchi, rimasti in molti casi senza munizioni e senza frecce, continuavano a resistere con le unghie, con i denti (.............).

Vistosi ormai perduto, Ali si mise coraggiosamente alla testa dei sopravvissuti e si gettò contro don Giovanni che stava avanzando verso di lui. Ma non ci fu tra i due ammiragli un cavalleresco scontro finale: un colpo di archibugio freddò il turco che cadde riverso sui banchi dei rematori con in pugno la scimitarra.  Senza perdere tempo, un «buonavoglia» gli staccò la testa dal busto e, infilzatala su una alabarda, andò a gettarla ai piedi di don Giovanni.

La morte del Kapudan demoralizzò i superstiti i quali si affrettarono ad abbandonare la nave. Pochi minuti dopo, lo stendardo con il nome di Allah ripetuto quasi trentamila volte (per l'esattezza 29.900) veniva ammainato dal pennone della Sultana e sostituito dal vessillo con l'immagine di Sant'Andrea, simbolo del tercio. A questo punto, soldati e galeotti avidi di preda si precipitarono nelle stive dell'ammiraglia turca per il consueto saccheggio. Ne risultò un bottino impressionante: oltre i ricchi arredi e le suppellettili, Ali Pascià si era portato appresso tutta la sua intera fortuna onde evitare il rischio della confisca nel caso che, perduta la battaglia, fosse caduto in disgrazia presso il sultano. 


CARTINA DELLA BATTAGLIA NAVALE DI LEPANTO  (MAPS OF THE NAVAL BATTLE OF LEPANTO)


RIASSUNTO DELLA BATTAGLIA DI LEPANTO


GALEE


GALEAZZE


FOTO (PHOTOES)


STORIA DELLA BATTAGLIA NAVALE DI LEPANTO  (SUMMARY OF THE NAVAL BATTLE OF LEPANTO)


RIASSUNTO  DELLA BATTAGLIA NAVALE DI LEPANTO (HISTORY OF THE NAVAL BATTLE OF LEPANTO)


GLI AMMIRAGLI

FLOTTA CRISTIANA

Don Gioanni d'Austria, M. Colonna e Venier

FLOTTA MUSULMANA

Ammiraglio Don Giovanni d'Austria: comandante in capo

Ammiraglio Sebastiano Venier: comandante della flotta veneziana

Ammiraglio Gianandrea Doria: comandante flotta genovese

Ammiraglio Marcantonio Colonna: comandante flotta pontificia

Ammiraglio Alì Pascià: comandante in capo

Mehmed Pascià: comandante flotta egiziana (ala destra)

El Louk Ali (Occhialì), corsaro: comandante ala sinistra

Carascosa, corsaro luogotente di Occhialì


FORZE IMPEGNATE

FLOTTA CRISTIANA

FLOTTA MUSULMANA

FLOTTA VENEZIANA: 105 NAVI

FLOTTA IMPERIALE : 80 NAVI

VARIE : 22 NAVI


LINEA DI BATTAGLIA

LATO SINISTRO (AGOSTINO BARBARIGO):

53 galee in gran parte veneziane (insegna color giallo)

2 galeazze (insegna color giallo)

SETTORE CENTRALE (DON GIOVANNI D'AUSTRIA):

58 galee spagnole, veneziane e pontificie (insegna color azzurro)

2 galeazze (insegna color azzurro)

LATO DESTRO (GIANANDREA DORIA) :

50 galee spagnole, veneziane, maltesi, sabaude, genovesi e toscane

2 galeazze (insegna color verde)

RETROGUARDIA (MARCHESE SANTA CRUZ)

38 galee (insegna color bianco)

 

FLOTTA MUSULMANA: 282 NAVI


 

 

LINEA DI BATTAGLIA

LATO SINISTRO (MEHMED SULIK PASCIA'):

60 galee

2 galeotte

SETTORE CENTRALE (MEHMET ALI' PASCIA'):

87 galee

 

LATO DESTRO (CORSARO OCCHIALI', ULUCH ALI'):

61  galee

32 galeotte

 

RETROGUARDIA (AMURET DRAGUT RAIS)

8  galee

22 galeotte

 


FORZE IMPEGNATE (FORCES)


LATO DESTRO


LATO SINISTRO


SETTORE CENTRALE


RETROGUARDIA


BILANCIO DELLA BATTAGLIA

FLOTTA CRISTIANA

FLOTTA MUSULMANA

NAVI PERSE :

GALEE : 14 di cui:

VENEZIANE : 10

MALTA : 1

DUCATO DI SAVOIA : 1

REGNO PONTIFICIO : 1

GENOVA : 1

CADUTI : 7.000 DI CUI 4.800 VENEZIANI

FERITI : 5.000

GALEOTTI CRISTIANI LIBERATI : 14.000 DI CUI

10.000 ITALIANI

NAVI PERSE :

GALEE E GALEOTTE : 180

 

 

 

 

 

CADUTI : DA 25.000 A 30.000

PRIGIONIERI: 10.000

 


RIASSUNTO DELLA BATTAGLIA

Pur trovandosi in serie difficoltà, Venezia non volle che il controllo della Lega di Cognac fosse affidato agli spagnoli. Filippo chiese che venisse dato a Don Giovanni d' Austria, che aveva appena riportato una vittoria sui moriscos: fu accettato, a patto che non prendesse alcuna iniziativa senza il benestare dei responsabili di tutte le flotte alleate.

Fortunatamente per la Lega, tuttavia, il ventiseienne comandante riuscì a ottenere il rispetto e la fedeltà dei suoi subordinati: fatto positivo, dal momento che i vari governi della Lega di Cognac avevano ciascuno i loro programmi. Venezia voleva servirsi delle forze della lega per difendere Cipro dagli attacchi turchi, che erano già in atto; Filippo era intenzionato a usarle per sconfiggere i pirati barbareschi, così da poter controllare il Mediterraneo occidentale; Papa Pio desiderava che tutto il Mediterraneo fosse sotto il dominio europeo, ritenendo giustamente che, in tal modo, i possedimenti in Europa e in Africa dell'impero ottomano sarebbero rimasti divisi, indebolendo qualsiasi ulteriore offensiva turca in Europa. Alla fine, la chiave della vittoria fu la forza di carattere dimostrata sia dal papa che da don Giovanni.

Il punto di riunione fu il porto di Messina, in Sicilia, dove don Giovanni assunse il comando di oltre 300 navi, per più di metà spagnole, mentre le altre erano quasi tutte fornite da Venezia, anche se Filippo era stato costretto a procurare soldati ai veneziani, cosa che non glieli rendeva più graditi; il papa offrì 12 galee e 6 fregate.

In totale, la flotta era composta da 208 galee, 6 galeazze e più di 100 tra galeoni, fregate e brigantini.

Le galee dell'epoca navigavano a vela e a remi, e presentavano poche differenze con le antiche navi greche o romane; trasportavano soprattutto soldati.  I galeoni, le fregate e i brigantini erano a vela, e avevano a bordo più cannoni che truppe.  Le galeazze rappresentavano un ibrido dei tipi precedenti.

La flotta turca era formata quasi esclusivamente da galee.

Allora, in mare si combatteva in maniera non molto dissimile da quanto si faceva sulla terraferma: in battaglia, le navi si accostavano l'una all'altra, e i soldati che erano a bordo lottavano per difendere la propria e impadronirsi di quelle nemiche.

Di conseguenza, le imbarcazioni venivano più spesso catturate che distrutte.

Non c'è da meravigliarsi se al comando vi fosse don Giovanni, un generale, dal momento che le navi erano usate soprattutto per trasporto truppe e venivano manovrate in formazioni simili a quelle adottate sul campo di battaglia.

Mentre le forze della Lega di Cognac si stavano radunando, i Turchi erano occupati a Cipro: la principale città fortificata dell'isola, Famagosta, era sotto assedio dal maggio 1571; resistette fino al primo agosto, quando fu costretta ad arrendersi per mancanza di polvere da sparo.

Il comandante veneziano della città venne torturato a morte, e i suoi ufficiali trucidati: ciò servì sia a rendere la flotta turca disponibile per l'azione, sia a motivare i componenti della Lega, quando seppero del massacro.

I Turchi trascorsero le settimane successive a saccheggiare le isole greche, per poi radunarsi a Lepanto, nel golfo greco di Corinto.  Gli europei rimasero ormeggiati per un certo periodo a Corfù, quindi, venuti a conoscenza della sorte di Famagosta, salparono alla ricerca dei Turchi.

Alla notizia del loro avvicinarsi, la flotta turca al comando di Ali Pascià, rinforzata da alcuni vascelli algerini guidati da Uluch Ali, partì dirigendosi a ovest, verso il golfo di Patrasso. All'alba del 7 ottobre 1571, le due squadre navali furono in vista l'una dell'altra.

Don Giovanni affidò il contingente veneziano ad Augustino Barbarigo, sulla sinistra, con l'ordine di tenersi più vicino possibile ai bassi fondali lungo capo Scrophia; assunse egli stesso il comando del centro, mentre il celebre ammiraglio genovese Giovanni Andrea Doria guidava una flotta mista di vascelli genovesi e papali sul fianco destro.  Inoltre, don Giovanni lasciò una squadra di riserva diretta dal marchese di Santa Cruz e mise quattro delle sue ben armate galeazze in formazione avanzata per sfruttare la loro superiore potenza di fuoco contro gli avversari.

La disposizione di Ali Pascià rifletteva quella di don Giovanni, con Mahomet Sirocco che fronteggiava i veneziani lungo capo Scrophia, egli stesso al comando del centro e la flotta algerina di Uluch Ali sul fianco sinistro turco, di fronte ad Andrea Doria.  Quando le due flotte furono in formazione, don Giovanni salì su una piccola e veloce imbarcazione e percorse lo schieramento, urlando parole di incoraggiamento e ricevendo le acclamazioni dei suoi equipaggi.  Nel frattempo, Ali Pascià stava dicendo agli schiavi cristiani ai remi delle galee che la vittoria avrebbe significato la loro libertà.

Mentre le due flotte si avvicinavano l'una all'altra, le galeazze sparsero il primo sangue, perchè i cannoni a lunga gittata di cui erano armate superavano tutti quelli turchi; ciò impedì alle navi di Ali Pascià, al centro, di avanzare, mentre i contingenti laterali remavano in avanti, rompendo così lo schieramento turco.

Mahomet Scirocco conosceva quelle acque meglio del suo avversario Barbarigo: navigando ancora più sottocosta di lui, riuscì ad aggirare i veneziani sull'ala; Barbarigo rimase ucciso, e la sua nave ammiraglia venne perduta e ripresa due volte.  Solo la cattura di Scirocco dalla sua nave che stava affondando impedì ai Turchi di continuare ad avanzare nei bassi fondali.

Sulla sinistra, nel frattempo, Uluch Ali stava tentando di aggirare il fianco meridionale di Andrea Doria: costringendo le navi genovesi ad accostare per fronteggiare la manovra, provocò un vuoto tra esse e la squadra di centro di don Giovanni; Uluch Ali fu pronto a sfruttare la situazione con le sue galee, che vennero però respinte dal tempestivo arrivo delle navi di riserva al comando del marchese di Santa Cruz.

Al centro, la squadra di don Giovanni si trovava in vantaggio su quella di Ali Pascià, perché poteva contare su cannoni più numerosi e di maggiore efficacia per provocare danni da lunga distanza.

A distanza ravvicinata, la superiore potenza di fuoco dei fucili a miccia usati dai soldati europei produsse effetti micidiali tra i Turchi, che persero un gran numero di uomini prima che le navi riuscissero ad avvicinarsi.

Infine, prevalsero la superiorità numerica e la maggiore aggressività delle truppe spagnole.

La battaglia più cruenta fu Combattuta per la cattura della nave di Ali Pascià: furono necessari tre assalti, prima che gli spagnoli riuscissero ad abbordare la nave ammiraglia turca e rimanere a bordo.

Ormai con le spalle al muro, Ali Pascià implorò di essere lasciato in vita, promettendo un enorme riscatto, ma un soldato spagnolo lo decapitò.

La vista della testa di Ali Pascià infilzata su una picca demoralizzò i Turchi, che, dopo la morte del loro comandante, smisero ben presto di Combattere.

Uluch Ali fuggì con le sue navi per mettersi Sotto la protezione dei cannoni della fortezza di Lepanto (l'odierna Navpaktos), riuscendo però, mentre si ritirava, a infliggere qualche grave danno agli europei che lo inseguivano.


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