BATTAGLIA NAVALE  DI LEPANTO

NAVAL BATTLE OF LEPANTO

(7 OTTOBRE 1571)

IL TRIONFO DELLA FLOTTA CRISTIANA SULLA FLOTTA TURCA OTTOMANA

Don Gioanni d'Austria, M. Colonna e Venier   Papa Pio V   La battaglia navale di Lepanto  


La battaglia di Lèpanto fu uno scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell'Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato d'Urbino federate sotto le insegne pontificie.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d'Austria, su quelle ottomane di Müezzinzade Alì Pascià, che perse la vita nello scontro. Lepanto fu una vittoria morale, oltre che militare.  I Turchi Ottomani avevano terrorizzato l'Europa per decenni, e le vittorie di Solimano il Magnifico avevano creato serie preoccupazioni all'Europa cristiana. La sconfitta accelerò il processo di decadenza del potere ottomano sotto Selim, mentre i cristiani si rallegravano per il rovescio subito dagli infedeli.  La mistica del potere ottomano venne notevolmente infangata da questa battaglia, fatto che rinfrancò l'Europa cristiana.  Tuttavia, il potenziale politico che avrebbe potuto scaturirne non venne mai fuori: la Lega di Cognac ebbe vita breve, e la battaglia di Lepanto fu l'unico avvenimento brillante che la caratterizzò. Papa Pio V morì poco tempo dopo, e le macchinazioni degli uomini politici ripresero piede. Il re francese Carlo IX continuò a fare la parte dell'agitatore, fomentando altre rivolte protestanti nei Paesi Bassi e promuovendo un accordo di pace tra Venezia e l'impero ottomano, firmato segretamente nel marzo 1573; quando venne reso pubblico, la Lega di Cognac si sciolse. Quasi certamente, le rivalità politiche sarebbero rimaste troppo forti perchè la Lega potesse raggiungere un'unità a lungo termine. Nessun leader politico aveva la personalità per sostituirsi a papa Pio V, dopo la morte di questi, e Filippo di Spagna, a cui senza dubbio sarebbe piaciuto mettersi alla guida di una simile unione europea, alle sue condizioni, naturalmente, fu ancora una volta costretto a rivolgere l'attenzione altrove. Suoi nemici divennero di nuovo i protestanti, anzichè i musulmani, e furono quelli a dimostrarsi la sua rovina, alla fine: essi si sottrassero all'autorità della Spagna e del Sacro Romano Impero grazie alla vittoria ottenuta dall'Inghilterra nel 1588 sull'Armada spagnola e alla sanguinosa guerra dei Trent'anni ( 1618-1648) . Dal punto di vista della guerra navale, Lepanto segnò un punto di svolta. La galea dominava i mari già da prima di Cristo, ma i suoi giorni erano ormai contati. Le navi a vela comparse in questa battaglia rappresentavano il futuro: rispetto alle galee, si dimostravano più veloci sulla lunga distanza (anche se lo erano meno su tratti brevi), potevano portare un maggior numero di cannoni e tenevano molto meglio il mare. Lepanto costituì anche l'ultima occasione importante in cui una battaglia navale si svolse con soldati che combattevano in alto mare come se si trovassero sulla terraferma; 15 anni più tardi, infatti, lo scontro tra la Royal Navy inglese e l'Armada spagnola vide le spade e i rematori sostituiti da cannoni e vele.


CONTESTO STORICO

Dalla fine del XV secolo, la principale potenza europea era la Spagna. La ricchezza raccolta nelle colonie nelle Americhe costituì la base della sua potenza militare, e il fatto che il re Carlo 1 governasse anche il Sacro Romano Impero implicava il controllo da parte della Spagna sulla maggior parte dell'Europa occidentale, compresi i Paesi Bassi, l' Austria e alcune terre rivendicate nella penisola italiana. Carlo vedeva nella fede cattolica romana il collante per tenere insieme tutto questo, ma non gli mancavano i nemici.

La Francia cattolica non desiderava affatto che egli diventasse il campione della Chiesa cattolica, mentre papa Clemente VII temeva chiunque detenesse sufficiente potere politico per minacciare la sua autorità. 

Inoltre, anche la Francia aveva in Italia delle pretese che contrastavano con quelle spagnole.

Perciò, papa Clemente cercò di sfidare Carlo organizzando i suoi nemici nella Sacra Lega di Cognac, che venne però sconfitta nel maggio 1527, quando le truppe spagnole conquistarono e saccheggiarono Roma.

Dopo aver comprato i genovesi, suoi maggiori rivali marittimi, Carlo ottenne anche il controllo del Mediterraneo occidentale. Nel 1530, egli costrinse papa Clemente a riconoscerlo imperatore del Sacro Romano Impero e, nello stesso tempo, re d'Italia.

Tutte queste lotte interne furono una benedizione per i Turchi, che, nel frattempo, stavano consolidando il loro potere in Medio Oriente. Nei primi due decenni del XVI secolo, i Turchi Ottomani giunsero a controllare le terre dall'Iran all'Egitto, e quindi si volsero a occidente verso i litigiosi europei: Solimano I (detto "il Magnifico") fece marciare le sue truppe nei Balcani, conquistando Belgrado nel 1521, sconfiggendo gli Ungheresi a Mohacs nel 1526 e attaccando Vienna nel 1529.

Anche se non riuscì a impadronirsi di Vienna, diede comunque ai Turchi il controllo dell'Europa sud-orientale.

Nel 1522 diresse anche la conquista dell'isola di Rodi, dopo di che le forze turche cacciarono da Creta i Cavalieri di San Giovanni, costringendoli a rifugiarsi a Malta.

Nel 1530, perciò, l'impero ottomano minacciava l'Europa sia per terra che per mare.

Carlo limitò l' estendersi dell' influenza della Turchia musulmana attaccando nel 1535 gli alleati di quest'ultima lungo il Mediterraneo meridionale, l' Algeria e la Tunisia.

Negli anni Trenta e Quaranta del XVI secolo, sporadiche battaglie navali mantennero un equilibrio di potere.

Nel 1556, Carlo abdicò sia dal trono di Spagna che da quello del Sacro Romano Impero, lasciando il primo al figlio Filippo Il e il secondo al fratello Ferdinando, mantenendo così tutto in famiglia. Sotto Filippo, la Spagna controllava i Paesi Bassi, la provincia della Franca Contea, al confine francese, la Sardegna e la Sicilia nel Mediterraneo, e la maggior parte della penisola italiana.

L'ambizione di riunire tutta l'Europa sotto il suo governo provocò l'ostinazione nazionalistica e religiosa dell'Europa settentrionale, soprattutto da parte degli olandesi. Verso la metà del XVI secolo, la Riforma era ormai in pieno sviluppo, e il protestantesimo costituiva una forza aggregante sia contro la Chiesa cattolica che contro il campione di questa, Filippo.

Per mantenere il controllo politico e annientare gli odiati protestanti, Filippo destinò alla guerra contro i suoi nemici religiosi e politici la maggior parte delle ricchezze provenienti dalle Americhe, facendole così uscire dalla Spagna e portandole nel resto d'Europa.

Mentre concentrava i propri sforzi sui Paesi Bassi, tuttavia, Filippo lasciò sguarnito il fronte nazionale, finendo per ritrovarsi tormentato dai musulmani che vivevano in Spagna.

Anche se il controllo sul Paese da parte dei Mori era cessato nel 1492, molti di essi vi erano rimasti e, dopo i11499, avevano dovuto scegliere tra l'esilio e la conversione al cristianesimo.

In larga maggioranza, scelsero quest'ultima alternativa, ma solo apparentemente, e furono chiamati moriscos: costoro videro nei problemi religiosi e politici di Filippo in Europa settentrionale un' occasione per promuovere la causa della Turchia musulmana e presero a tramare con gli Stati pirati della costa barbaresca del  Nord Africa e con agenti turchi.

Per incoraggiare ulteriormente i Turchi, il governo francese cominciò segretamente a fornire appoggio per i loro progetti in occidente; all'inizio, lo fece unicamente per colpire Filippo, ma l'influenza esercitata dalla Francia in Medio Oriente per tutto il xx secolo ebbe in gran parte inizio a quell'epoca.

Nel 1568, Filippo inviò il fratellastro, don Giovanni d' Austria, a reprimere la sollevazione moresca,e il suo successo portò nuovamente l'attenzione della Spagna sui Turchi.

Questi ultimi erano pronti alla battaglia, perchè il figlio di Solimano, Selim (che regnò dal 1566 al 1574) aveva molti consiglieri combattivi.

Anche se i Turchi erano alleati con lo Stato italiano di Venezia, Selim ambiva a impadronirsi di Cipro, ad essa appartenente.

Nell'aprile 1570, dopo aver udito la falsa notizia che un enorme incendio aveva distrutto gran parte di quella città e quasi tutta la sua flotta, egli inviò un rappresentante a Venezia per esigere la cessione di Cipro ai Turchi Ottomani.

Venezia si appellò per aiuto al resto d'Europa, ma trovò pochi sostenitori: dal momento che era una repubblica, le monarchie europee non la vedevano di buon occhio; lutti i cristiani la disprezzavano per gli accordi fatti con i Turchi; infine, le altre potenze navali la odia- vano per la sua flotta e il redditizio monopolio dei commerci con il Medio Oriente.

Soltanto papa Pio v si fece avanti: egli non poteva permettere che una potenza musulmana avanzasse pretese nei confronti di una cristiana; sperava inoltre, coordinando uno sforzo alleato, di far rivivere il fervore delle Crociate scomparso in Europa dal XIII secolo. Pio convinse Filippo, all'inizio riluttante, a fornire non solo le flotte di stanza nei suoi possedimenti nel Mediterraneo, ma anche soldati per la marina veneziana, e poi convocò un congresso per organizzare una lega di mutua difesa, che, dopo mesi di discussioni, final- mente venne formata nel maggio 1571.

Pur trovandosi in serie difficoltà, Venezia non volle che il controllo della Lega di Cognac fosse affidato agli spagnoli. Filippo chiese che venisse dato a Don Giovanni d' Austria, che aveva appena riportato una vittoria sui moriscos: fu accettato, a patto che non prendesse alcuna iniziativa senza il benestare dei responsabili di tutte le flotte alleate.

Fortunatamente per la Lega, tuttavia, il ventiseienne comandante riuscì a ottenere il rispetto e la fedeltà dei suoi subordinati: fatto positivo, dal momento che i vari governi della Lega di Cognac avevano ciascuno i loro programmi. Venezia voleva servirsi delle forze della lega per difendere Cipro dagli attacchi turchi, che erano già in atto; Filippo era intenzionato a usarle per sconfiggere i pirati barbareschi, così da poter controllare il Mediterraneo occidentale; Papa Pio desiderava che tutto il Mediterraneo fosse sotto il dominio europeo, ritenendo giustamente che, in tal modo, i possedimenti in Europa e in Africa dell'impero ottomano sarebbero rimasti divisi, indebolendo qualsiasi ulteriore offensiva turca in Europa. Alla fine, la chiave della vittoria fu la forza di carattere dimostrata sia dal papa che da don Giovanni.

Il punto di riunione fu il porto di Messina, in Sicilia, dove don Giovanni assunse il comando di oltre 300 navi, per più di metà spagnole, mentre le altre erano quasi tutte fornite da Venezia, anche se Filippo era stato costretto a procurare soldati ai veneziani, cosa che non glieli rendeva più graditi; il papa offrì 12 galee e 6 fregate.

In totale, la flotta era composta da 208 galee, 6 galeazze e più di 100 tra galeoni, fregate e brigantini.

Le galee dell'epoca navigavano a vela e a remi, e presentavano poche differenze con le antiche navi greche o romane; trasportavano soprattutto soldati.

I galeoni, le fregate e i brigantini erano a vela, e avevano a bordo più cannoni che truppe.

Le galeazze rappresentavano un ibrido dei tipi precedenti.

La flotta turca era formata quasi esclusivamente da galee.

Allora, in mare si combatteva in maniera non molto dissimile da quanto si faceva sulla terraferma: in battaglia, le navi si accostavano l'una all'altra, e i soldati che erano a bordo lottavano per difendere la propria e impadronirsi di quelle nemiche.

Di conseguenza, le imbarcazioni venivano più spesso catturate che distrutte.

Non c'è da meravigliarsi se al comando vi fosse don Giovanni, un generale, dal momento che le navi erano usate soprattutto per trasporto truppe e venivano manovrate in formazioni simili a quelle adottate sul campo di battaglia.

Mentre le forze della Lega di Cognac si stavano radunando, i Turchi erano occupati a Cipro: la principale città fortificata dell'isola, Famagosta, era sotto assedio dal maggio 1571; resistette fino al primo agosto, quando fu costretta ad arrendersi per mancanza di polvere da sparo.

Il comandante veneziano della città venne torturato a morte, e i suoi ufficiali trucidati: ciò servì sia a rendere la flotta turca disponibile per l'azione, sia a motivare i componenti della Lega, quando seppero del massacro.

I Turchi trascorsero le settimane successive a saccheggiare le isole greche, per poi radunarsi a Lepanto, nel golfo greco di Corinto.

Gli europei rimasero ormeggiati per un certo periodo a Corfù, quindi, venuti a conoscenza della sorte di Famagosta, salparono alla ricerca dei Turchi.

Alla notizia del loro avvicinarsi, la flotta turca al comando di Ali Pascià, rinforzata da alcuni vascelli algerini guidati da Uluch Ali, partì dirigendosi a ovest, verso il golfo di Patrasso.

All'alba del 7 ottobre 1571, le due squadre navali furono in vista l'una dcll'altra.

Don Giovanni affidò il contingente veneziano ad Augustino Barbarigo, sulla sinistra, con l'ordine di tenersi più vicino possibile ai bassi fondali lungo capo Scrophia; assunse egli stesso il comando del centro, mentre il celebre ammiraglio genovese Giovanni Andrea Doria guidava una flotta mista di vascelli genovesi e papali sul fianco destro.

Inoltre, don Giovanni lasciò una squadra di riserva diretta dal marchese di Santa Cruz e mise quattro delle sue ben armate galeazze in formazione avanzata per sfruttare la loro superiore potenza di fuoco contro gli avversari.

La disposizione di Ali Pascià rifletteva quella di don Giovanni, con Mahomet Sirocco che fronteggiava i veneziani lungo capo Scrophia, egli stesso al comando del centro e la flotta algerina di Uluch Ali sul fianco sinistro turco, di fronte ad Andrea Doria.

Quando le due flotte furono in formazione, don Giovanni salì su una piccola e veloce imbarcazione e percorse lo schieramento, urlando parole di incoraggiamento e ricevendo le acclamazioni dei suoi equipaggi.

Nel frattempo, Ali Pascià stava dicendo agli schiavi cristiani ai remi delle galee che la vittoria avrebbe significato la loro libertà.


STORIA

Per i cristiani gli scontri coinvolsero all'inizio il veneziano Barbarigo, alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa. Egli dovette parare il colpo del comandante Scirocco, impedire che il nemico potesse insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ebbe solo un parziale successo e lo scontro si accese subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventò teatro di un'epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo in seguito morì e le retrovie dovettero correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva guidata dal Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrarono e così Scirocco viene catturato, ucciso e immediatamente decapitato. Al centro degli schieramenti Alì Pascià cercò e trovò la galea di Don Giovanni d'Austria, la cui cattura avrebbe potuto risolvere lo scontro. Contemporaneamente altre galere impegnarono Venier e Marcantonio Colonna. Molti furono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galera toscana Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano fu quasi interamente ucciso, eccetto il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini.

Con il vento a favore e producendo un rumore assordante di timpani, tamburi e flauti i turchi iniziarono l'assalto alle navi di Don Giovanni che erano invece nel più assoluto silenzio. Quando i legni giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalzò lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambiò direzione: le vele dei turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Don Giovanni d'Austria perciò puntò fulmineamente diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna diede per primo l'arrembaggio alla nave turca, che divenne il campo di battaglia: i musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa. Don Giovanni fu ferito ad una gamba. Più volte le navi avanzarono e si ritirarono, Venier e Colonna dovettero disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembrava avere la peggio assieme all'onnipresente Marchese di Santa Cruz. Alla sinistra turca, al largo, la situazione era meno cruenta ma un po' più complicata.

Giovanni Andrea Doria disponeva di poco più di 50 galee, quasi quante quelle del veneziano Barbarigo (circa 60) sul corno opposto ma davanti a sé trovò 90 galere, cioè circa il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in un'area molto più ampia di mare aperto; per questo pensò ad una soluzione diversa dallo scontro diretto. Giovanni Andrea Doria infatti, a un certo momento della battaglia, si sganciò con le sue navi genovesi facendo vela verso il mare aperto.


L'AVVICINAMENTO

Il 7 ottobre 1571 era domenica e sulle navi cristiane la santa messa fu celebrata con particolare solennità.

A capo scoperto, tutti gli uomini, dal comandante all'ultimo soldato, fecero la confessione generale e si comunicarono ricevendo dai cappellani di bordo l'assoluzione sacramentale con «la plenaria indulgenza di colpa e di pena». il cielo era sereno, il mare calmo, ma il vento sfavorevole aveva imposto l'uso dei remi. Cadenzati dai colpi di fischietto dell' aguzzino, i rematori vogavano di «scaloccio» alzando simultaneamente la schiena per poi ricadere sui banchi.

Dal castello di poppa della Real, i segnalatori trasmettevano con bandiere e fischietti le ultime disposizioni del comandante, che venivano ripetute di squadra in squadra fino a raggiungere le due estremità della formazione. (............) Verso le otto, la vedetta comandata sulla coffa della capitana di don Juan de Cardona, lanciò l'allarme: due vele latine erano in vista e tutti si affollarono sui ponti. Si trattava evidentemente dell'avanscoperta della flotta turca perchè nel giro di pochi minuti emersero lentamente dalla linea dell'orizzonte centinaia di galee a vele spiegate che
avanzavano a semicerchio, giungendo quasi a chiudere l'intera imboccatura del golfo di Patrasso.

La distanza fra le due flotte fu stimata di una quindicina di miglia, ossia circa tre ore di navigazione. C' era dunque il tempo necessario per ultimare i preparativi per la battaglia.

Don Giovanni convocò il consiglio di guerra e, dopo avere respinto sdegnato gli ultimi tentativi fatti dai suoi consiglieri più prudenti per indurlo a rinunciare allo scontro (..........) ingiunse a tutti di prepararsi allo scontro e dispose che bandiere e stendardi venissero ammainati. Soltanto il vessillo della Lega santa, donato dal papa: affinché fosse inalberato il giorno della battaglia, doveva sventolare sul pennone dell'ammiraglia.

Era il segnale. Quando il bianco vessillo salì al picco fra squilli di trombe e rulli di tamburo, un coro di ovazioni si levò anche dalle altre navi. Tornata la calma, don Giovanni ordinò che fossero liberati dai ceppi tutti i rematori cristiani, quale «caparra» della libertà che avrebbero ottenuto se lo scontro con gli infedeli si fosse concluso vittoriosamente. (................)
Più tardi vennero poi distribuiti vini generosi e abbondanti vivande «a tutte le genti di guerra, di capo e di remo, affinché potessero affrontare più ingagliardite il vicino conflitto».

Anche le galee dell'avanguardia di Juan de Cardona rientrarono nei ranghi, mentre le tre coppie di tozze galeazze, rimorcl1iate da dodici galee, raggiungevano lentamente la loro posizione, stabilita circa mezzo miglio davanti alle tre formazioni.
Indossata la sua armatura dorata, don Giovanni si imbarcò su un veloce palischermo per passare per l'ultima volta in rivista la sua squadra. Lo accompagnava il suo «secondo» Luis de Requesens, che da quel momento sarà sempre al suo fianco, leale e coraggioso. Levando in alto il crocifisso che impugnava come fosse una spada, il principe salutò tutti i capitani chiamandoli per nome e poi esortò alla battaglia gli uomini affacciati dalle tolde promettendo una vittoria sicura per grazia di Dio e gloria e
bottino per tutti. (.............)

Risalito a bordo della Real, don Giovanni appariva soddisfatto e di buon umore: l'approssimarsi della battaglia lo rendeva euforico. Tutti gli uomini erano ai loro posti di combattimento e i marinai spalmavano il sego sui ponti per far scivolare il nemico in caso di arrembaggio. Salito sul castello di poppa, il principe arringò ancora i suoi uomini, che gli risposero con dei fragorosi urrà, poi, colto da giovanile esuberanza, improvvisò con altri due cavalieri una danza concitata che gli spagnoli chiamavano «la gagliarda». (.................)

Frattanto, la flotta nemica si era avvicinata e distava appena un paio di miglia, tanto che già si udivano anche gli strepiti e le grida dei turchi che si preparavano allo scontro. A questo punto, il vento invertì improvvisamente la sua direzione e le vele triangolari dei turchi si afflosciarono mentre si gonfiavano quelle delle galee cristiane. L' evento fu salutato con altre manifestazioni di esultanza: tutti lo avevano interpretato come un segno della protezione divina.
Sulle navi ottomane, quando ancora navigavano col vento in poppa, all'apparire della flotta nemica, Alì aveva convocato li suo ultimo consiglio di guerra. Non tutti erano d'accordo sulla tattica da seguire. Occhialì (.........) che al riguardo era forse li più acuto stratega dell'armata, aveva suggerito con insistenza di operare una finta ritirata per attirare gli avversari dove il golfo si restringeva, così da costringerli a modificare e sconvolgere il loro ordine di battaglia. Ma l' orgoglioso Ali non gli aveva voluto prestare ascolto. (..................) 

Fu il suo primo errore. Confermò infatti le disposizioni così come erano state prestabilite. Alla sua destra, Maometto Scirocco doveva utilizzare le navi più leggere per aggirare la squadra di Barbarigo, Occhialì, alla sua sinistra, doveva vedersela con quella di Gianandrea Doria, lui avrebbe attaccato dal centro della «mezzaluna» .

Mentre le navi si apprestavano allo scontro, anche Ali si rivolse ai suoi rematori, che erano quasi tutti schiavi cristiani (sulla 'flotta turca ce n'erano più di quindicimila). «Amici» disse loro esprimendosi in sabir, «mi attendo da voi che oggi facciate li vostro dovere in cambio di quanto io ho fatto per voi. Se vinco, vi prometto la libertà. (....................)  Poi, impugnato li potente arco corto, la sua arma preferita, raggiunse il posto di comando.


LA BATTAGLIA INIZIA

Le due flotte erano ormai a tiro quando, inaspettatamente, l'ala sinistra della formazione cristiana, affidata a Gianandrea Doria, si allargò a vele spiegate verso l'alto mare dando ai turchi l'impressione di una fuga. E infatti Occhiali si lanciò subito all'inseguimento del presunto fuggiasco.

La manovra operata dal genovese non era prevista, tanto è vero che in seguito solleverà dubbi e sospetti, ma quello non era il momento per fare un processo alle intenzioni. Le altre due formazioni continuarono ad avanzare decisamente contro il nemico precedute dalle sei galeazze che, abbandonate dai rimorchi, ora si muovevano con estrema lentezza.

A dare il via alla battaglia fu un colpo isolato di cannone sparato dalla Sultana al quale rispose un altro colpo isolato sparato dalla Real. Ali aveva lanciato la sfida, don Giovanni l'aveva accettata.  (.........................)

Le prime a essere raggiunte dai turchi furono le galeazze, ma Ali, ignorando l'effettiva funzione di quei mostri galleggianti, comandò di ignorarli e di proseguire direttamente contro la squadra nemica: di quelle goffe imbarcazioni si sarebbe occupato più tardi.

Ma quando le galeazze vennero a trovarsi al centro della formazione nemica, parvero esplodere come una polveriera. Un inferno di fuoco investì non soltanto le galee di prora, come accadeva tradizionalmente con i «cannoni di corsia , bensì tutte quelle che stavano attorno, davanti, dietro, a dritta e a manca delle galeazze. Più di duecento cannoni di calibro diverso avevano aperto simultaneamente il fuoco e l'effetto fu terrificante.

Decine di unità furono colpite, affondate o gravemente danneggiate, però il grosso della flotta turca, benché disordinato, proseguì la sua corsa superando le sei fortezze galleggianti avvolte ormai da una fitta cortina di fumo.

Circa gli effetti prodotti dal collaudo di questa «arma segreta veneziana, i giudizi degli storici coevi risulteranno, per ovvie ragioni politiche, assai contrastanti. I veneziani attribuirono alle loro galeazze un ruolo decisivo per il risultato finale della battaglia. (....................)

Gli storici spagnoli sostennero invece che le galeazze, salvo rendersi utili nella fase iniziale, «stettero poi per lo più in mezzo all'acqua a vedere. In realtà, come ha osservato Romano Canosa, le galeazze svolsero effettivamente un ruolo decisivo soltanto all'inizio del combattimento in quanto, più tardi, quando le galee si avvinghiarono l'una all'altra, non poterono più fare uso dei loro cannoni temendo le conseguenze devastanti del «fuoco amico». Ma quell'effetto iniziale condizionò l'intero scontro. (................)

Ali Pascià, dopo essersi reso conto a sue spese della potenza di fuoco di quei goffi navigli da lui disprezzati, certamente avrà perduto gran parte dell'ottimismo che lo animava quando era salpato convinto di sistemare una volta per tutte quei cani infedeli. La sua perfetta avanzata «a mezzaluna» era stata infatti sconvolta. Tuttavia non si era perduto d'animo e, risistemato il fronte d'attacco, aveva proseguito l'avanzata giungendo rapidamente a contatto col nemico. Dopo l'intenso fuoco delle artiglierie, già
molte navi si erano avvinghiate fra loro con catene e ramponi, mentre gli arcieri turchi lanciavano nugoli di frecce e gli archibugieri cristiani appostati sulle murate rispondevano con le loro scariche micidiali che spazzavano via le ciurme avversarie ammucchiate sulle coperte.
A quell'epoca era consuetudine che durante le battaglie navali le ammiraglie assumessero posizioni più riparate per meglio guidare le operazioni, ma questo non accadde a Lepanto (..............).

Quasi simultaneamente, l'uno si era lanciato contro l'altro imponendo la massima velocità ai rematori che già addentavano i «tappi» per lo sforzo. Le due ammiraglie si scontrarono infatti di prua e l'urto fu terribile. Il rostro metallico della Sultana penetrò
profondamente nella prora amputata della Real, mentre le corde uncinate e i ramponi avvinghiavano le due galee in un nodo inestricabile.

I turchi furono i primi a tentare l'abbordaggio, ma furono imbrigliati dalle reti e quindi respinti dalle scariche dei quattrocento archibugieri del tercio di Sardegna che li attendevano a piè fermo. La battaglia era appena agli inizi.


LO SCONTRO SUL LATO SINISTRO

Agostino Barbarigo, comandante della squadra gialla, era frattanto alle prese con la squadra di Maometto scirocco composta di un numero superiore di galee, galeotte e veloci feluche. (..............)  Ma dopo una serie di manovre ingannevoli, l'ammiraglio turco, che disponeva di piloti esperti di quei rischiosi fondali, si era spinto lui stesso con i navigli più leggeri a ridosso della costa, con lo scopo evidente di aggirare il nemico e coglierlo anche alle spalle.

Intuito il pericolo, Marcantonio Querini, che operava all'estrema sinistra, si era però subito spinto verso terra per frustrare la temuta minaccia, sia pure a rischio di finire arenato in qualche secca. Ma, nonostante il fuoco di sbarramento dei veneziani che affondarono alcune feluche e ne spinsero altre contro gli scogli, Scirocco riuscì comunque a effettuare l'aggiramento sfilando agilmente con i legni più leggeri fra la costa e lo schieramento di Querini.

Ora la squadra gialla si trovava fra due fuochi e i turchi ne approfittarono per attaccarla contemporaneamente dall'una e dall'altra parte, infilandosi abilmente nei varchi che la manovra di allargamento aveva creato nelle sue file.

Entrambi gli schieramenti andarono ovviamente in frantumi e le galee avvinghiate avevano creato delle «isole» di legno sulle quali i combattenti si battevano come fossero sulla terraferma.
Mentre il fumo provocato dalle artiglierie copriva interamente la zona della battaglia, la capitana di Barbarigo era stata attaccata da quattro unità nemiche, mentre altre sei o sette galee veneziane erano state nel frattempo affondate o circondate e abbordate. Sulla galea di Barbarigo lo scontro fu lungo e durissimo. Per due volte i giannizzeri, col volto dipinto di rosso per nascondere le ferite, l'assaltarono e per due volte furono respinti. Al terzo assalto, Agostino Barbarigo, rendendosi conto che i suoi ordini si
perdevano nel fragore della battaglia, per farsi meglio udire dai suoi uomini alzò istintivamente la celata dell' elmo e quel gesto gli fu fatale. Gli arcieri turchi erano addestrati a mirare nei punti non protetti dalle armature e uno di essi non si lasciò sfuggire quella favorevole occasione: un dardo metallico si conficcò nell'occhio destro del veneziano che cadde riverso sul ponte. Trasportato nel suo alloggio di poppa, Barbarigo si strappò con le sue stesse mani il ferro dalla fronte, ma per lui non restava nulla da fare. (................)
Mentre la battaglia continuava a infuriare altre galee veneziane si erano accostate. Andrea Barbarigo, nipote dell'ammiraglio caduto, assunse provvisoriamente il comando, ma anche lui venne ucciso poco dopo e fu a sua volta sostituito da Federico Nani. Per la capitana veneziana, la situazione era dunque disperata: i giannizzeri stavano progressivamente avanzando sul ponte trattenuti a fatica dagli esausti difensori quando, proprio in quei convulsi minuti, le galee veneziane rimaste inattive all'estremità destra del loro settore, piombarono alle spalle di Maometto Scirocco aprendo, per così dire, un terzo fronte, cui si aggiunse la galeazza dei fratelli Bragadin che, a forza di remi, erano riusciti a portarsi nel centro della battaglia. Ma a far precipitare gli eventi a favore delle armi cristiane intervenne un fattore inaspettato. Approfittando della confusione e della sorveglianza allentata, gli schiavi cristiani della galea di Scirocco riuscirono a liberarsi dai ceppi e subito si gettarono nella mischia roteando le catene spezzate, impugnando le armi dei caduti e sgozzando e uccidendo con furia vendicativa i loro antichi padroni.
A questo punto i turchi furono costretti a passare sulla difensiva e i combattimenti si trasferirono sulle loro galee.
Maometto Scirocco, che col peggiorare della situazione si era buttato coraggiosamente nel corpo a corpo, dopo essere stato più volte ferito cadde accidentalmente in acqua dove sarebbe certamente affogato se alcuni veneziani, riconosciutolo per gli abiti sfarzosi, non lo avessero tratto in salvo. Condotto successivamente davanti a Marcantonio Querini, questi si rallegrò molto per la prestigiosa cattura.
Ma, come racconterà un pietoso cronista, «viste le gravi condizioni del prigioniero, ordinò che gli fosse inferto un misericordioso colpo di grazia e Scirocco fu rapidamente decapitato».

La sua testa fu poi issata su una picca, e i turchi a quella lugubre visione si persero d'animo e cercarono scampo gettandosi in acqua o fuggendo lungo il «ponte» formato dalle galee avvinghiate che giungeva fin quasi alla spiaggia.

Non molti tuttavia riuscirono a scamparla: la sete di vendetta dei veneziani era grande e il recente ricordo di Famagosta era ancora vivo. Ebbe così inizio un feroce tiro al bersaglio da parte degli archibugieri che spararono senza pietà contro i fuggiaschi facendone strage.

La battaglia sul lato sinistro dello schieramento cristiano si era dunque conclusa con la vittoria dei veneziani.


LO SCONTRO AL CENTRO

Anche al centro si era intanto formata un' altra grande «isola» di legno avvolta in una nube di fumo. Attorno alle ammiraglie di don Giovanni e di Ali, incastrate di prora, una trentina di galee si erano imbrigliate in un groviglio inestricabile di rostri, di reti e di sartiame. (.....................)

La capitana pontificia di Marcantonio Colonna aveva arrembato la galea di Pertev Pascià, un soldato di ventura europeo cui era affidato il comando delle milizie turche, e lo stesso principe, spadone in pugno, menava fendenti a dritta e a manca sul ponte della nave nemica.
Intanto, sulla capitana veneziana, che si era accostata alla Real per portarle aiuto, Sebastiano Venier, corazzato da capo. alle caviglie (...................)

La battaglia stava intanto raggiungendo il suo culmine.
Sulla sinistra del fronte cristiano la squadra di Barbarigo era ancora impegnata in una lotta feroce con le galee di Maometto Scirocco, mentre Gianandrea Doria, sul lato destro, faticava a disimpegnarsi da Occhiali che l'inseguiva.

Ma era al centro, e in particolare sulle due ammiraglie avversarie, che si svolgeva lo scontro decisivo. Dopo che gli archibugieri sardi avevano respinto per due volte gli attacchi dei giannizzeri (erano giunti fino al pennone di prua dove era issato lo stendardo della Lega e lo stesso don Giovanni era stato ferito leggermente alla gamba), i cristiani erano passati al contrattacco. I primi a saltare sulla Sultana furono gli archibugieri del tercio di Sardegna e del tercio di Castiglia. (...................)

Dall'ammiraglia cristiana il combattimento si era dunque trasferito su quella turca, ma l' esito era ancora incerto. Ai decimati giannizzeri si erano uniti altri uomini inviati dalle galee turche per portare soccorso al Kapudan.

La stessa cosa era accaduta anche sulla Real: entrambe le ammiraglie ricevevano infatti da poppa i rinforzi di truppe fresche.

Dopo oltre un' ora di lotta sanguinosa, era ormai evidente che sul ponte della Sultana si sarebbe decisa la partita.

Ali Pascià, circondato dalla sua guardia personale attorno all'albero maestro, si batteva come un leone saettando il nemico col suo arco e impartendo ordini concitati. (..................)

Approfittando del momento critico, altre galee cristiane si erano avventate contro la Sultana, cannoneggiandola e interrompendo così l'afflusso da poppa delle truppe mandate in suo soccorso.

Contemporaneamente, altri duecento archibugieri del tercio di Sicilia si erano uniti agli uomini di don Giovanni ribaltando definitivamente le sorti dello scontro.

Ora la Sultana, investita da più parti e circondata dai relitti che impedivano l'accesso ai soccorritori, era chiaramente condannata e tuttavia i turchi, rimasti in molti casi senza munizioni e senza frecce, continuavano a resistere con le unghie, con i denti (.............).

Vistosi ormai perduto, Ali si mise coraggiosamente alla testa dei sopravvissuti e si gettò contro don Giovanni che stava avanzando verso di lui. Ma non ci fu tra i due ammiragli un cavalleresco scontro finale: un colpo di archibugio freddò il turco che cadde riverso sui banchi dei rematori con in pugno la scimitarra.

Senza perdere tempo, un «buonavoglia» gli staccò la testa dal busto e, infilzatala su una alabarda, andò a gettarla ai piedi di don Giovanni.

La morte del Kapudan demoralizzò i superstiti i quali si affrettarono ad abbandonare la nave.

Pochi minuti dopo, lo stendardo con il nome di Allah ripetuto quasi trentamila volte (per l'esattezza 29.900) veniva ammainato dal pennone della Sultana e sostituito dal vessillo con l'immagine di Sant'Andrea, simbolo del tercio.

A questo punto, soldati e galeotti avidi di preda si precipitarono nelle stive dell'ammiraglia turca per il consueto saccheggio. Ne risultò un bottino impressionante: oltre i ricchi arredi e le suppellettili, Ali Pascià si era portato appresso tutta la sua intera fortuna onde evitare il rischio della confisca nel caso che, perduta la battaglia, fosse caduto in disgrazia presso il sultano.  (........................)


LO SCONTRO SUL LATO DESTRO

Quando il vessillo di Sant' Andrea era stato innalzato sul pennone della Sultana e la squadra azzurra di don Giovanni come quella gialla dei veneziani cantavano vittoria, quella verde di Gianandrea Doria era ancora in alto mare impegnata nelle sue "manreuvres enigmatiques", come le definirà Jurien de La Gravière.

Il comportamento tenuto a Lepanto da Gianandrea Doria non è mai stato del tutto chiarito. Per gli storici genovesi «fu di grandissimo danno ai turchi», per quelli veneziani invece, il genovese «ancora obbediva alle istruzioni di Filippo II». Certo è comunque che se il Doria agì in maniera sospetta, altrettanto va detto per il corsaro Occhialì che si gettò al suo inseguimento abbandonando anche lui il grosso della squadra.

Qualcuno ha voluto persino insinuare che i due capitani, entrambi scaltri calcolatori e gelosi delle proprie navi che «affitta-
vano» alloro signore, leggendosi reciprocamente nella mente, avrebbero scelto di rispettarsi a vicenda per salvaguardare il loro bene più prezioso: le galee, appunto. (........)

Dopo che, all'avvicinarsi della flotta di Alì, Gianandrea Doria aveva allargato alla destra dello schieramento cristiano, Occhialì si era dunque gettato al suo inseguimento. Sfruttando il vento favorevole, la squadra verde, la cui ultima galea avrebbe dovuto procedere a circa quaranta passi dalla prima galea della squadra azzurra, si era invece rapidamente allontanata di oltre quattro miglia aprendo così un vasto spazio nel quale Occhialì avrebbe potuto facilmente infilarsi per cogliere alle spalle la formazione
cristiana centrale. (............)

Mentre la squadra verde si allontanava dal punto nevralgico dello scontro, la sua retroguardia, composta da sedici galee non genovesi (dodici erano veneziane, due spagnole, una di Savoia e una di Malta), per iniziativa del suo comandante e comunque senza un ordine diretto di don Giovanni, virò improvvisamente per dirigersi contro il fianco destro della squadra di Occhialì che stava sopraggiungendo. Evidentemente il comandante, temendo che il Doria si accingesse a un vero e proprio sganciamento, aveva autonomamente deciso di portare le sue navi a coprire lo spazio lasciato aperto dal genovese.

Occhialì non mancò di approfittare della nuova situazione venutasi a creare: con una brillante manovra si gettò contro la piccola squadra cristiana evi giunse rapidamente addosso con tutte le sue forze. Lo scontro fu breve e cruento. (................)

In quel momento di grave crisi, Gianandrea Doria, che aveva assistito da lontano allo scontro, mostrò per alcuni storici il meglio delle sue qualità marinare, mentre per altri vi fu costretto per forza di cose. Si fosse o no allontanato per un suo disegno tattico o per altre ragioni, egli non esitò infatti a far compiere un'ampia virata alle sue trentacinque galee per dirigersi sul luogo dello scontro, dove giunse però circa mezz' ora dopo la fine del combattimento. Il suo avvicinamento indusse tuttavia il rinnegato calabrese a modificare la sua strategia. Avendo anche avuto modo, nel frattempo, di rendersi conto che Ali Pascià stava perdendo la partita, Occhiali decise infatti di disimpegnarsi e fischiò l'ordine di ritirata a tutte le sue galee.

Ma non gli andò bene. Inseguito dalle galee di Marcantonio Colonna, nel frattempo sopraggiunte, il corsaro fischiò ancora più forte l'ordine di sganciamento e fu costretto a ordinare il taglio delle cime dei rimorchi che rallentavano la sua fuga. La galea dei cavalieri, abbandonata a se stessa, fu poi raggiunta e abbordata dalla Guzmana del capitano Ojeda che vi trovò Pietro Giustiniani incatenato, ferito, ma ancora in vita. Attorno a lui giacevano i cadaveri dei suoi cavalieri circondati da quelli dei circa trecento turchi che essi avevano ucciso prima di essere abbattuti. (....)

Perduta la preda e anche il prigioniero, a Occhialì rimase tuttavia il vessillo con l'odiata croce da portare in omaggio al suo sultano insieme alle quaranta preziose galee. Le sue navi furono le uniche a rientrare a Costantinopoli. Tutte le altre erano andate perdute, insieme ai loro comandanti, nella battaglia combattuta in quel mare Mediterraneo che, da allora in poi, non sarebbe più stato un lago musulmano. Il mito dell'invincibilità della flotta ottomana era definitivamente infranto.

Alle quattro del pomeriggio di quella domenica 7 ottobre 1571, festa di Santa Giustina, la battaglia di Lepanto era terminata.

Erano bastate appena cinque ore per cambiare il destino del mondo. In un conflitto che metteva a confronto due civiltà, le potenze europee unite sotto l'unica bandiera della Lega santa avevano vinto.

Era la prima volta, ma sarebbe anche stata l'ultima.


BATTAGLIA NAVALE DI LEPANTO


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