TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

DOSSIER KENNEDY

di A. Petrozzi e M. Loi

 

 

JFK: SULLE TRACCE DEGLI ASSASSINI

Le indagini del procuratore distrettuale Jim Garrison e il coinvolgimento della CIA

 

CRONACA DI UN ASSASINIO

Il 22 novembre 1963 John F. Kennedy è vittima di un assassinio. Esce di scena un uomo che aveva fatto sperare l’America e il mondo con le sue idee innovative.

Sono le 11.40, ora del Texas, l’aereo presidenziale atterra all’aeroporto Love Field di Dallas. Fu soprattuto un’idea di Kennedy quella di voler tornare in Texas (non vi era più stato dal ‘60, anno della sua elezione a presidente), per raccogliere voti per il partito democratico. Uno splendido sole caldo dà il benvenuto al presidente e alla moglie Jacqueline, mentre una limousine è lì ad attenderli per dare inizio alla parata. Una grande folla attorno grida: "John... Jackie...", lui saluta, stringe la mano e distribuisce sorrisi passando lungo le transenne con Jacqueline sempre al suo fianco. Al seguito una Cadillac con 8 agenti del servizio segreto i quali hanno il compito di tenere d’occhio e sorvegliare il corteo che si snoda tra le vie di Dallas. Man mano che ci si avvicina al centro della città la folla cresce, i saluti sono più sonori e i volti più amichevoli; non poteva andare meglio in quel momento. Poi l’auto svolta e imbocca la Main Street, dove non c’è quasi più gente, per raggiungere la più affollata Houston Street. Giunti in una zona dove vi è un vasto spiazzo erboso, la Dealey Plaza, la Lincol presidenziale gira prima a destra e poi a sinistra. Mentre passa sotto un edificio di sei piani, il deposito di libri scolastici, è costretta a rallentare, la velocità è di 18 chilometri orari. Scende lungo la Elm Street. Nella frazione di qualche secondo c’è una rapida sequenza di spari. Il presidente si porta le mani al collo, sul suo viso è visibile una smorfia di dolore. Mentre la macchina continua il suo giro, parte il secondo sparo che lo colpisce alla schiena. Il governatore Connelly attirato dal rumore si gira verso il presidente, ma avverte una fitta alla schiena. Ha il tempo di accorgersi che è coperto di sangue e di dire: "Mio Dio ci uccideranno tutti!" e si accascia ferito in braccio alla moglie. Il corteo accelera per allontanarsi da quel luogo ed è in questo momento che si sente il terzo sparo. Lo scenario non è certo dei migliori, un uomo a carponi sbatte i pugni sul terreno, c’è gente distesa a terra in preda al panico per via degli spari. Non vede ma intuisce che è successo qualcosa. La testa di Kennedy va prima in avanti, un proiettile lo colpisce alla tempia destra e la testa va indietro. Mentre il cranio esplode i frammenti del suo cervello vengono proiettati sul bagagliaio della macchina con una parte della calotta cranica. Jacqueline inizia a gridare: "Dio mio ...il suo cervello sulle mie mani". Con uno slancio istintivo cerca di raccogliere i frammenti. Un agente dei servizi segreti, Clint Hill, scende dall’auto di corsa e respinge a forza Jackie sul sedile. Subito dopo la corsa verso l’ospedale Parkland, ma la ferita al capo non consente illusioni.

I primi bollettini dicono che qualcuno ha sparato al presidente. Intanto alle 12.45 al Trade Mart, dove il presidente avrebbe dovuto pranzare, c’è molta incertezza e panico tra i presenti poichè gira la voce che sia successo qualcosa di grave al presidente. Si sente dire che qualcuno è stato preso dalla polizia e che viene portato nel carcere situato poco lontano da lì, a circa un isolato di distanza. Alle 12.38 quando la macchina arriva all’ospedale viene circondata, qualcuno dice alla signora Kennedy: "Scenda, deve scendere...!" ma lei non ci riesce. Le condizioni del Presidente sono gravissime. Hill, un agente, si toglie la giacca per coprire la testa sfigurata di John appoggiata sulle ginocchia di Jacqueline. Kennedy viene portato in sala d’emergenza. L’attenzione dei chirurghi è concentrata sulla ferita alla fronte e alla testa e su un foro di circa sei millimetri nella parte anteriore del collo. Malcolm Perry, il chirurgo pensa si tratti di un foro d’entrata di una pallottola e lo allarga per farvi entrare un tubo tracheale e fare in modo che gli arrivi un pò di ossigeno. Cerca poi di praticargli un massaggio cardiaco, ma i tentativi chirurgici di salvarlo falliscono.

Mentre il paese è ancora in stato di choc, viene data la notizia che alle 13.00 il presidente è morto. La notizia si diffonde in tutto il mondo provocando una grande emozione. La bara intanto viene trasportata a Washington. Nell’aereo presidenziale Lindon Johnson tiene il giuramento che lo farà diventare trentaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Alla cerimonia è presente anche Jacqueline che indossa la camicia rosa ancora sporca di sangue e cosparsa di una sostanza grigiastra, probabilmente i brandelli di cervello. Albeggia quando il feretro viene posto sulla stessa impalcatura in cui 100 anni prima vi era quello di Lincoln. Il 25 novembre i funerali; un rullo di tamburi smorzato, il lungo corteo, le personalità e la gente che con una espressione di incredulità cerca di capire che cosa è successo. Qualcuno pensa subito ad un complotto, il primo pensiero è che i sovietici fossero coinvolti direttamente o indirettamente, in quanto ci si trovava all’apice della guerra fredda. A Dealey Plaza la polizia inizia le indagini, verranno arrestati alcuni individui sospetti, che dopo essere stati portati alla stazione di polizia verranno liberati; non rimane traccia delle loro dichiarazioni. In seguito alle prime testimonianze hanno inizio le ricerche verso il deposito di libri scolastici del Texas dove viene trovata una carabina italiana Mannlicher-Carcano munita di canocchiale. La polizia è decisa a chiudere in fretta il caso ed in breve tempo viene fornita l’identità dell’assassino. Si tratta di un uomo intorno ai 30 anni, impiegato al deposito di libri: Lee Harvey Oswald. E’ un ex marine che ha vissuto in Unione Sovietica con sua moglie Marina. Oswald viene descritto come un giovane solitario, di ideologia marxista, apparentemente frustrato. Quest’uomo viene accusato dell’assassinio del presidente e dell’uccisione dell’agente Tippit, che aveva cercato di arrestarlo. Ma qualcuno sta lavorando su un altro fronte e così la mattina del 24 novembre, Oswald viene ucciso con un colpo di pistola sparatogli da Jack Ruby, proprietario di locali notturni. E’ stato veramente Oswald ad uccidere Kennedy?

Il 29 novembre 1963, esattamente sette giorni dopo l’assassinio di Kennedy, il nuovo presidente Johnson costituisce una commissione presidenziale sotto la direzione del presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, Earl Warren (capo della giustizia). Ne fa parte anche l’ex capo della Cia, Allen Dulles. Sicuramente non a caso molti testimoni e giornalisti che indagano a Dallas sull’assassinio del presidente muoiono in circostanze strane oppure vengono minacciati. Dopo una serie di indagini, il 27 settembre del 1964 viene reso pubblico il rapporto della commissione Warren che sostiene quanto segue:

-i colpi sparati sarebbero stati tre.

-sarebbero stati sparati con un fucile Mannliche-Carcano.

- dal sesto piano del deposito di libri "Texas School Book Depository" che si affacciava sul corteo presidenziale a Dallas. Secondo la commissione Warren l’assassinio di Kennedy fu compiuto da un uomo che aveva sparato alle spalle del presidente. Uno dei colpi ha probabilmente mancato la vettura presidenziale ed i suoi passeggeri mentre un proiettile, entrato nella schiena di Kennedy sarebbe fuoriuscito dalla gola, avrebbe deviato e ferito il governatore Connelly che accompagnava il presidente nella parata.

Il rapporto afferma inoltre che "con tutta probabilità due soli proiettili causarono le ferite del presidente e del governatore Connelly; i tre colpi furono sparati in un intervallo di tempo variante da circa quattro a più di sette secondi". Alcuni esperti della commissione sono del parere che è impossibile sparare tre colpi in un tempo così breve, benché il bersaglio in movimento (la macchina andava a circa 18 km orari) si presentava favorevolmente. Inoltre "La commissione non ha raccolto alcun elemento che comprovi alcuna responsabilità dell’Unione Sovietica ovvero di Cuba nell’assassinio del presidente Kennedy. Se l’inchiesta della commissione può comprovare, in alcun modo, l’ipotesi secondo cui l’uccisione di Oswald da parte di Ruby sarebbe parte di un complotto."

Per quanto riguarda Lee Oswald la commissione Warren stabilì che era un tiratore scelto, la moglie testimoniò che Oswald si era esercitato spesso con un’arma da fuoco ( dichiarazione smentita successivamente) e che non vi era un movente particolare che l’avrebbe portato in seguito ad uccidere il presidente. Anche se aveva una certa ostilità verso l’ambiente. Nelle sue scelte di vita "la sua dedizione al marxismo aveva rappresentato un altro importante fattore".

Col tempo la versione ufficiale non resse, c’erano molte contraddizioni e testimoni che non potevano essere trascurati. Perché Oswald fu interrogato per circa dodici ore senza alcuna registrazione? Pare che intorno al 1967 l’opinione pubblica non accettasse più la conclusione che Lee Oswald fosse l’unico e solitario assassino.

IL RAPPORTO WARREN

Venerdì 22 novembre 1963 Jim Garrison stava lavorando alla sua scrivania presso la sede del tribunale, quale procuratore distrettuale, quando il vice procuratore spalancò la porta gridando: "Hanno sparato al presidente!" Tra l’incredulità e la speranza che John Fitzgerald Kennedy, il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, fosse stato soltanto ferito, Jim Garrison ascoltò attentamente la cronaca televisiva presso un ristorante poco lontano dal suo ufficio: due notizie sconvolsero e fecero reagire la popolazione americana quel giorno, la morte del suo giovane presidente e l’arresto di un uomo: Lee Harvey Oswald accusato di essere il suo assassino.

Non poteva di certo sfuggire all’abile procuratore che Oswald aveva trascorso tre mesi nella sua città e che dalle prime indagini risultò che era stato in contatto con un certo David Ferrie, un personaggio eccentrico noto per le sue abilità di pilota e coinvolto nella fallita invasione di Cuba alla Baia dei Porci e in varie attività anticastriste.

Risultava inoltre che il giorno precedente all’attentato al presidente, Ferrie aveva intrapreso un viaggio precipitoso in Texas, ma non era questo l’unico motivo per sospettare di lui. C’era anche da considerare la testimonianza di Jack Martin un ex agente segreto alle dipendenze di Guy Banister, ex agente speciale dell’ FBI, e vicecommissario della polizia di New Orleans. Il giorno dell’assassinio di Kennedy, Banister e Martin avevano avuto un violento battibecco nel quale Jack aveva ricordato al suo capo che non si era dimenticato del via vai di cubani, armi, volantini e Dave Ferrie nel suo ufficio quell’estate. Di tutta risposta Banister lo aveva quasi ammazzato di botte con la sua Magnum 357. Garrison, che conosceva abbastanza bene Banister per via del loro comune passato all’FBI, si era sorpreso di quella violenta aggressione da parte di un uomo rispettato e dalla reputazione di intransigente difensore della legge e dell’ordine.

In base a questi dati, Garrison decise di interrogare Ferrie. Alla domanda se avesse mai conosciuto Lee Harvey Oswald rispose di no, tuttavia ritenne che dovevano essere svolte ulteriori indagini su quello strano individuo e ordinò che fosse registrato e trattenuto al fine di farlo interrogare dall’FBI che lo rilasciò.

Senza neanche osare dubitare della serietà di un’indagine dell’FBI, Garrison visse i restanti tre anni nella tranquillità che Lee Oswald fosse l’unico assassino del presidente Kennedy, tanto più che quella prima incriminazione fu confermata dai 26 volumi redatti dalla "Commissione Warren" istituita dal presidente Johnson a sette giorni dalla scomparsa del suo predecessore.

Poi, un giorno d’autunno del 1966, Garrison ebbe una conversazione del tutto casuale con il senatore della Louisiana Russel Long. Caduti sull’argomento Kennedy egli esordì con una frase che cambiò completamente la vita di Garrison: " Quei colleghi della commissione Warren si sono maledettamente sbagliati...non c’era nessuna possibilità a questo mondo, per un uomo solo, di colpire Jack Kennedy in quella maniera".

Sorpreso dalle dichiarazioni di un uomo che considerava tra i più intelligenti del Senato, il procuratore distrettuale ordinò immediatamente tutti i volumi dei lavori della commissione Warren: le udienze, la documentazione e la relazione finale della commissione. In attesa dell’arrivo dei volumi, Garrison fece qualche ricerca per scoprire come si era arrivati alla nomina degli uomini della commissione.

Cinque giorni dopo l’attentato Charles Goodell, deputato di New York, chiese che un comitato congiunto delle due camere conducesse un’indagine. Il comitato doveva essere composto da sette deputati e sette senatori. Due giorni dopo, prima che il Congresso avesse potuto discutere la proposta di Goodell, il presidente Lyndon Johnson annunciò che aveva già costituito una commissione d’inchiesta e scelto sette membri. Per evitare le possibili critiche di voler escludere il Congresso dalla faccenda, incluse due rappresentanti per ognuna delle due camere.

Dando un occhiata ai dati biografici dei prescelti, Garrison si rese conto immediatamente di come il gruppo fosse fornito di uomini dalle caratteristiche pro servizi di informazione e pro ambienti militari. Allen Dulles era stato direttore della CIA per nove anni, il deputato della camera Gerald Ford veniva definito dal "Newsweek" il " migliore amico della CIA in seno al congresso", il senatore Richard Russel presiedeva il comitato senatoriale per le forze armate e capitanava i servizi di informazione, John J. McCloy aveva ricoperto l’incarico di vice segretario alla difesa e quello di alto commissario del governo degli Stati Uniti nella Germania occupata, alla fine della seconda guerra mondiale. Ai tempi della commissione Warren, veniva generalmente considerato come il massimo esponente dell’establishment della politica estera americana. Completavano la commissione il presidente della corte suprema Earl Warren, da cui il nome, il deputato della Louisiana Hale Boggs e il senatore John Sherman Cooper del Kentucky.

Il procuratore Garrison non ebbe bisogno di molto tempo prima di rendersi conto che le indagini erano state svolte con una trascuratezza inaudita, in alcuni casi violando i più elementari principi costituzionali.

Una volta ottenuto il rapporto Warren, la prima cosa che lo colpì fu l’assoluta mancanza di considerazione di moltissime testimonianze, per altro concordanti, rilasciate da numerosi cittadini di Dallas presenti alla parata sulla Dealey Plaza. Come noto, la Commissione Warren concluse che il presidente Kennedy era stato ucciso da un solo uomo che lo aveva colpito alle spalle dal sesto piano del deposito libri.

Una serie interminabile di testimoni però sosteneva di aver udito più di tre spari provenienti da diverse direzioni, in modo particolare dalla palizzata in legno dietro la collinetta erbosa.

La commissione presidenziale ignorò completamente la maggior parte di queste dichiarazioni e in alcuni casi Garrison scoprì che erano state modificate se non interamente alterate.

Per esempio Julia Ann Mercer, un’ impiegata di una ditta di distributori automatici, stava dirigendosi in auto nei pressi della collinetta erbosa sulla Elm Street. Finita in un ingorgo di traffico, si trovò bloccata a fianco di un camioncino parcheggiato parzialmente sul marciapiede. Vide un giovane con un fucile inserito nella custodia, scendere dal camioncino e arrampicarsi lungo il pendio. Incuriosita guardò l’uomo che era invece rimasto nell’automezzo. Il giorno dopo, quando vide la televisione, lo riconobbe nell’uomo che aveva ucciso Lee Harvey Oswald; Jack Ruby. In seguito Garrison scoprì che, il giorno seguente l’assassinio, Julia Ann aveva riferito questo sconcertante episodio sia al locale ufficio dell’FBI sia all’ufficio dello sceriffo di Dallas, la sua deposizione era stata alterata. Lee Bowers, l’ultimo addetto al controllo degli scambi del deposito ferroviario, poteva avere una veduta completa della collinetta erbosa dalla cabina di vetro posta a un’altezza di quattro metri e mezzo dal piano dello scalo ferroviario. Stando alla sua testimonianza, poco prima della sparatoria notò due uomini che non conosceva che se ne stavano dietro le assi in cima alla collinetta, in attesa dell’avvicinarsi del corteo. In precedenza aveva visto un individuo a lui non familiare guidare un’auto nei pressi dello scalo ferroviario dietro la collinetta. Sembrava che l’uomo stesse parlando in un microfono che teneva in mano.

In una dichiarazione giurata sottoscritta nell’ufficio dello sceriffo, J.C. Price, un operaio edile, seguendo la direzione da cui veniva la scarica di colpi disse: "...vidi un uomo correre verso i vagoni passeggeri lungo i binari... Aveva qualcosa in mano. Non posso essere certo, ma potrebbe essere stata la canna di un fucile".

Alcuni testimoni, contrariamente alle conclusioni della commissione Warren, non solo udirono i colpi provenire dalla palizzata, ma videro del fumo, prodotto da uno sparo, sollevarsi dal boschetto. Come J.C. Price, molte persone ne avevano avuto l’impressione netta, dopo la sparatoria, dirigendosi verso lo scalo ferroviario. Joseph Smith, un agente di polizia che era di scorta in motocicletta a fianco dell’auto del presidente, salì di corsa il pendio della collinetta in direzione della palizzata. SM. Holland, il supervisore degli impianti di segnalazione della Union Trade Railroad descrisse la sparatoria in questo modo:

"Udii un terzo sparo e ho contato quattro colpi e...in questo gruppo di alberi...c’è stato uno sparo, uno scoppio; non so se fosse uno sparo. Non posso dirlo. Ed è venuto fuori uno sbuffo di fumo all’altezza di circa due metri o due metri e mezzo da terra proprio da sotto quegli alberi...Non ho alcun dubbio d’aver visto quello sbuffo di fumo venire fuori dagli alberi...Ho visto distintamente lo sbuffo di fumo e sentito lo scoppio proveniente dagli alberi..."

O.V. Campbell, il presidente del deposito libri, dichiarò che la sparatoria "veniva dall’area erbosa in questa direzione" indicando la direzione verso cui avanzava il corteo una volta superato il deposito dei libri. Aggiunse; "Ho sentito che i colpi venivano esplosi da un punto che pensai fosse nei pressi dei binari ferroviari...".

James Tague, un piazzista di Dallas che venne ferito alla faccia forse da un proiettile di rimbalzo, affermò: " La mia prima impressione è stata che su da...da quello che chiamate il monumento o quel che è...c’era qualcuno che sparava dei petardi...e la polizia stava correndo in quella direzione".

Bill Lovelady, un dipendente del deposito libri che stava facendo uno spuntino sui gradini di fronte, si rammentò che gli spari provenivano " dritti qui dai paraggi di quella zona in cemento su quella collinetta...fra il sotto passaggio e l’edificio su quella collinetta".

Abraham Zapruder, che divenne famoso per aver ripreso in un film la sparatoria, era in piedi su una soletta di cemento sul pendio della collinetta erbosa, con la schiena rivolta alla palizzata. Descrisse i poliziotti che correvano accanto a lui diretti alle due spalle dietro l’area della collinetta. Quanto alla direzione da cui provenivano gli spari, aggiunse: " Ho anche pensato che provenissero da dietro di me."

Forrest Sorrels, il responsabile del Secret Service locale, stava in testa al corteo. Testimoniò che, quando sentì gli spari "un tantino troppo forti per essere petardi", guardò al di là di " questa parte del costone, perché il suono era tale da sembrare provenire da dietro e da più in alto in quella direzione".

William Newmann, ingegnere progettista di Dallas, stava osservando il corteo con la sua famiglia dal marciapiede situato alla base della collinetta erbosa a breve distanza dalla palizzata. Newmann dichiarò: "Noi stavamo in piedi sul bordo del marciapiede guardando l’auto che veniva verso di noi e tutto d’un colpo ci fu un rumore secco, apparentemente quello di uno sparo. Il presidente sobbalzò sul sedile. Sembrò come se un petardo fosse scoppiato e pensai che anche lui se ne fosse reso conto. Fu proprio come un’esplosione e come se lui si sollevasse. In quel momento stava direttamente davanti a noi e io stavo guardando verso di lui quando venne colpito alla testa...Allora ci buttammo giù distesi sull’erba in quanto ci sembrava di stare proprio nel mezzo degli spari. Ho creduto che i colpi venissero dal boschetto, proprio dietro di me. Non ricordo di aver guardato in direzione del deposito libri della Texas School. Ho guardato indietro in prossimità del boschetto."

L.C. Smith dell’ufficio dello sceriffo stava in Main Street quando sentì i colpi. Corse "più veloce possibile verso Elm Street in direzione ovest rispetto alla Houston Street". Qui una donna gli disse che il " presidente era stato colpito alla testa e che i colpi erano venuti dalla palizzata sul lato nord di Elm Street", riferendosi alla palizzata di assi all’interno dell’area della collinetta erbosa.

Malcolm Summer, proprietario di un servizio postale locale, ricordò così il momento in cui la sparatoria terminò: "A quel punto tutta la gente cominciò a correre verso il costone in alto. Ognuno si stava dirigendo verso i binari ed era chiaro che lì avevano intrappolato qualcuno...".

Una signora, Jean Hill, inseguì effettivamente uno degli uomini. Ammise di non essere stata ben certa di quello che avrebbe fatto se lo avesse raggiunto. Testimoniò che vide l’uomo andare "verso i binari in direzione ovest".

Sulla base del racconto della Hill, lo scalo ferroviario, in alto sulla destra rispetto a dove il presidente venne colpito, era evidentemente la destinazione degli uomini che provenivano dal luogo dell’assassinio.

Riesaminando poi la deposizione di Lee Bowers, l’addetto agli scambi, che aveva dichiarato di aver bloccato almeno uno dei treni in modo da consentire il fermo di alcuni passeggeri, Garrison rimase attonito nel costatare che un fatto che "...avrebbe fatto rizzare le orecchie a qualsiasi buon giudice istruttore", venne praticamente ignorato dall’imperturbabile consigliere della commissione. Lo stesso avvenne con l’interrogatorio del sergente D.V. Harkness, addetto alla perquisizione dei treni in partenza. Al consigliere Belin era appena stato riferito che numerosi estranei stavano per lasciare in treno la zona nella quale il presidente era appena stato assassinato e lui, invece di approfondire l’argomento, decise di cambiare discorso. Non solo, non chiese mai cosa il teste avesse inteso con "portati alla stazione e interrogati" dal momento che presso l’ufficio dello sceriffo di Dallas nè presso il dipartimento di polizia vi era copia e alcuna documentazione del loro interrogatorio.

Allo stesso modo non ci si interessò affatto delle prove altrettanto importanti sul fatto che potevano esserci stati degli individui che si spacciavano per agenti del Secret Service.

Joe M.Smith, l’agente che dirigeva il traffico all’incrocio della Elm Street con la Houston Street, a cui una donna aveva detto che la sparatoria proveniva dal boschetto, abbandonò il suo posto e si diresse su per la collinetta fin dietro la palizzata posta in cima. Interrogato rispose che aveva estratto la sua pistola dalla fondina, così, istintivamente, senza nessun motivo specifico e che l’aveva rimessa immediatamente a posto dopo che un uomo si era fatto riconoscere mostrandogli il tesserino del Secret Service. Ciò che non quadrava affatto era che stando al rapporto della commissione Warren, tutti gli agenti del Secret Service assegnati al corteo si erano allontanati insieme, in direzione dell’ospedale. Il Secret Service dichiarò ufficialmente che nessuno dei suoi agenti si trovava sul luogo dell’assassinio, a parte quelli che stavano passando con il corteo, e tutti sparirono in qualche minuto. Questo significava che o il Secret Service stava mentendo, o che si sbagliava, oppure che l’uomo incontrato dall’agente Smith non era realmente un agente del Secret Service. Diverse furono le testimonianze di questo tipo.

La commissione Warren e il suo staff non erano stati gli unici a condurre indagini in quel modo così poco ortodosso. Anche il dipartimento di polizia di Dallas, che chiuse il caso immediatamente aveva svolto un‘inchiesta notevolmente irregolare. Per esempio, dopo il suo arresto, Lee Harvey Oswald, fu interrogato mentre era sotto la custodia del capitano Will Fritz, capo della divisione omicidi di Dallas.

"Come accusatore, sapevo che la verbalizzazione di interrogatori del genere è prassi normale anche in caso di reati minori. Eppure stando a quanto leggevo sul resoconto delle sedute della commissione Warren, il sospetto omicida del presidente degli Stati Uniti era stato interrogato per dodici ore senza alcuna registrazione su nastro o resoconto stenografico. Non c’era nessun legale rappresentante. Pensai che non poteva trattarsi di semplice trascuratezza." Man mano che procedeva nella lettura, Garrison si rendeva conto della gravità degli eventi accaduti per insabbiare le indagini sulla morte di Jack Kennedy.

Allo stesso modo anche l’FBI aveva chiuso le sue ricerche nel giro di qualche settimana confermando la tesi della colpevolezza di Oswald.

Incredulo per quanto lui stesso stava leggendo, Garrison decise di iniziare, anche se non a livello ufficiale, quelle investigazioni che avrebbero destato il popolo degli Stati Uniti dal torpore del sogno americano. Prima di sfidare la concezione del mondo, però, Garrison dovette affrontare se stesso, la sua formazione e la caduta di quel concetto di Stato che si era costruito in anni di fedele servizio, prima come valoroso combattente, poi come uomo di legge.

Lee Harvey Oswald e il suo soggiorno a New Orleans dovevano essere il suo punto di partenza.

LEE HARVEY OSWALD

Il 9 agosto 1963 era stato arrestato per aver causato una zuffa con numerosi cubani anticastristi mentre distribuiva volantini pro-Castro. Sui volantini era stampato un indirizzo: 544 Camp Street.

Garrison decise di recarsi sul posto. Si accorse quasi immediatamente che il portone di Camp Street dava su un unico locale dal quale si accedeva anche da Lafayette Street al 531. Sulla porta un’unica scritta " GUY BANISTER ASSOCIATES, INC. INVESTIGATORS". Come tre anni prima rispuntava il nome di Guy Banister e non senza complicate contraddizioni. Banister, infatti nel suo tempo trascorso all’FBI, aveva condiviso il pensiero di J. Edgar Hoover, capo dell’FBI a Chicago, contro i comunisti ed aveva partecipato ad operazioni anti-comuniste di ogni genere oltre ad essere tra i capi della Anti-Communist League of Carabbean. Probabilmente non gradì affatto la mossa di Oswald di mettere il suo indirizzo su quei volantini tanto che nei successivi non vi era più. Se si considera poi che dopo l’arresto qualcuno si era dato da fare per far partecipare il presunto filo-castrista ad una trasmissione radiofonica presso la WSDU, durante la quale Oswald si era presentato come marxista, è facile comprendere come ci fossero molti lati oscuri in questa vicenda. Inoltre al momento dell’arresto Oswald chiese di vedere un agente dell’FBI, John Quigley, che dopo averlo interrogato, bruciò gli appunti presi durante il colloquio.

" Questo fatto è contrario all’abituale procedura del Bureau. Per consuetudine questi appunti vengono conservati nello schedario d’ufficio, insieme con il rapporto riguardante il caso. Un simile trattamento speciale per un individuo che passava per essere un comunista sembrava inspiegabile, a meno che Oswald non stesse lavorando effettivamente per Guy Banister, un ex funzionario di alto rango dell’FBI, il quale avrebbe potuto facilmente sistemare ogni cosa."

Garrison scoprì poi che per distribuire i volantini, Oswald si recava nell’ufficio di collocamento dove assoldava uomini per aiutarlo nel lavoro. "Uno di questi giovanotti comparsi nelle foto dell’arresto assomigliava molto al figlio di un ufficiale artigliere che stava con me nella Guardia Nazionale". Chiamò Charles Steele ed ebbe la conferma che si trattava di suo figlio Charles Junior. Parlò allora con il ragazzo che gli disse che Oswald aveva dato due dollari l’ora a lui e agli altri per distribuire i volantini fino quando i fotografi non se ne fossero andati.

" Questo metodo di reclutamento era altamente improbabile nel caso di un vero gruppo marxista. La maggior parte di questi gruppi ha degli aderenti che svolgono gratuitamente l’opera di volantinaggio. Invece, il Fair Play for Cuba Commitee di Oswald, che non aveva apparentemente altri soci oltre lui, aveva sufficiente denaro per poter impiegare dei disoccupati."

"Questa era la prima prova trovata da me che Lee Harvey Oswald non era stato né un comunista né un marxista di alcun genere. Quello che risultava molto più probabile, ora che avevo visto l’ubicazione della sede al 544 di Camp Street, era che Guy Banister, o qualcuno dei suoi soci, avesse utilizzato Oswald come agente provocatore."

Cominciava a delinearsi nella mente di Garrison l’idea che vi fosse un piano per costruire un’immagine pubblica di Oswald come comunista.

Costituito un team ufficioso di collaboratori, fece recuperare tutte le informazioni disponibili su Oswald, e a sorpresa, non più molta a dire la verità, scoprì che la maggior parte della documentazione riguardante la vita del killer del presidente era classificata top secret e per la prima volta l’accesso veniva negato anche alla procura per motivi di sicurezza nazionale.

Ciò che Garrison riuscì a sapere, però, fu sufficiente per cominciare ad intravedere i primi pezzi dell’ intricato puzzle che di lì a poco avrebbe dovuto comporre.

Il primo indizio che fece "fischiare le orecchie" del procuratore fu apprendere che durante l’istruzione militare di Oswald compariva un misterioso esame di russo.

Per Garrison, ufficiale di stato maggiore della Guardia Nazionale proprio in quegli anni, fu chiaro che Lee Oswald, a partire dal 1959, venisse addestrato dai servizi di intelligence, in particolare dall’ ONI (Office of Naval Intelligence).

Non era dunque un caso che durante il suo giro tra Camp Street e Lafayette Street, avesse notato la grande sede della posta centrale di New Orleans: "appariva come qualcosa di maestoso e di eterno, all’opposto del quartiere circostante in degrado e segnato dal tempo. L’edificio ospitava la sede operativa del New Orleans Secret Service. E così mi venne il mente che ai piani superiori c’era il quartier generale di New Orleans dell’Office of Naval Intelligence, l’organizzazione sulla quale avevo avuto modo di riflettere la notte precedente, in relazione all’addestramento dei servizi segreti ricevuto dal marine Oswald. Poteva essere soltanto una coincidenza, mi chiesi, che Guy Banister, il quale aveva iniziato la sua carriera durante la seconda guerra mondiale nell’ ONI avesse scelto un ufficio nella stessa strada proprio di fronte ai suoi ex colleghi? La stessa coincidenza dovetti supporre, per la quale il suo precedente ufficio di detective privato si era venuto a trovare, nella stessa strada, proprio di fronte agli uffici di New Orleans della CIA e dell’FBI".

Garrison esaminò le dichiarazioni dei vari commilitoni di Oswald durante la carriera militare e tutti, fatta eccezione per uno, affermarono di non averlo mai sentito parlare di politica e di socialismo e ancor di più, Nelson Delgado, che gli era stato vicino più di tutti non solo giurò che Oswald " non aveva mai fatto dichiarazioni sovversive...", ma anche che era un pessimo tiratore. La commissione Warren sembrò non aver nemmeno letto queste testimonianze, perché tenute separate, negli atti, da quella di Kerry Thornley che non era stato in servizio con Oswald così a lungo come parecchi altri, ma che aveva testimoniato delle sue tendenze marxiste.

Ripensando all’esame di russo presso la base di El Toro, Garrison effettuò ulteriori controlli sul periodo di servizio militare per trovare conferme alla sua intuizione: Lee Harvey Oswald poteva essere un doppio-agente segreto al servizio degli Stati Uniti. Quanto scoprì in seguito avvalorò la sua tesi minando alla radice la credibilità del rapporto Warren.

Prima di tutto Oswald aveva le caratteristiche che i militari richiedono per le reclute da destinare a quel genere di lavoro. Veniva da una famiglia di militari; anche un fratello era stato nei marine e un altro in aviazione. Era una persona che teneva la bocca chiusa per natura e che possedeva un livello di intelligenza superiore alla media."

L’assegnazione nella base di Astugi in Giappone nel 1957, prima del suo arrivo a El Toro era coerente con la possibilità che avesse lavorato nei servizi segreti militari, infatti Astugi era la base di tutti i voli supersegreti di spionaggio degli U-2 sulla Cina. L’unità antiaerea di Oswald richiedeva un alto livello di segretezza, consisteva nel servizio di guardia agli hangar degli U-2. I documenti per saperne di più, sfortunatamente, erano però, proprio quelli protetti da segreto nazionale ai quali la procura di New Orleans non ebbe accesso.

Forse la scoperta più sconcertante sulla vita di Oswald riguardava il suo trasferimento in Russia nel 1959 dove riuscì ad ottenere una serie di contatti con alcuni funzionari sovietici. Dopo due settimane di soggiorno a Mosca, consegnava all’ambasciata americana il suo passaporto di cittadino statunitense e annunciava di aver promesso ai sovietici che avrebbe dato loro informazioni relative al corpo dei marine e alle operazioni radar altamente segrete alle quali aveva preso parte.

Nel 1960, Oswald vivrà a Minsk una delle sei città in cui di solito vengono inviati i disertori politici e gli venne dato un lavoro come meccanico in una fabbrica di radar; con una chiara dimostrazione di riconoscenza gli diedero anche un appartamento confortevole e un salario relativamente alto. Un anno dopo fece richiesta di ritornare in America con la sua nuova moglie, figlia di un tenente colonnello dei servizi di informazione interni dell’Unione Sovietica. Il governo americano non fece alcuna obiezione, anzi nel giro di pochi mesi gli concedette un prestito di quattrocentotrentasei dollari, rilasciato dall’ambasciata americana, nell’interesse dello stato, e un passaporto nuovo di zecca.

"Solitamente quando un cittadino americano se ne va e commette un’azione che comporta una certa lealtà verso un altro paese, in particolare se si tratta dell’Unione Sovietica, l’ufficio passaporti automaticamente dispone una scheda di segnalazione nel caso in cui costui tenti di avere un nuovo rilascio. Nessuna scheda di questo genere venne mai predisposta per Oswald. Come l’ambasciata americana, così anche l’ufficio passaporti diede a questo transfuga un certificato di " tutto a posto".

Il trattamento preferenziale non sarebbe finito con l’arrivo di Oswald a New York con la moglie e la figlioletta. Ad attenderli vi era il segretario generale dell’ American Friends of the Anti-Bolshevik Nations INC., un’associazione privata anticomunista con estesi rapporti con i servizi segreti. Raikin inoltre lavorava per la Traveler’s Aid Society, a cui, stando alla commissione Warren, il dipartimento di Stato aveva chiesto di andare incontro a Oswald e di dare loro tutto il necessario.

Si trasferirono nel Texas, ad una cinquantina di chilometri da Dallas, dove viveva il barone George de Mohrenschildt , membro del Dallas Petroleum Club anomalo amico di Oswald. Il lavoro che trovò quasi immediatamente non è da meno quanto a improbabilità: la Jagger-Stovall-Chiles, sulla base di un contratto con il Pentagono, produceva carte geografiche e mappe per uso militare. Lo scrittore Henry Hurt ha osservato che parte del lavoro sembrava essere connesso con le missioni top secret degli U-2, alcune delle quali prevedevano voli su Cuba. A Lee Harvey Oswald non solo fu dato il lavoro una sola settimana dopo il suo arrivo a Dallas, ma fu anche consentito l’accesso a vari documenti classificati come segreti.

" Se fosse stato vero che Oswald non aveva nessun rapporto con il mondo dell’Intelligence, se veramente avesse avuto tendenze comuniste, come il nostro governo ci aveva assicurato, allora la disinvoltura dei sistemi di sicurezza posti a protezione del lavoro della Jagger-Stoval-Chiles (che poteva stabilire le sigle, i nomi sulle mappe usate dagli U-2 nella ricerca delle basi dei missili sovietici a Cuba) poteva proprio essere considerata come dell’ottimo materiale da film comico andato sprecato."

Per essere un comunista dichiarato, era stato accolto a braccia aperte dalla comunità della Russia Bianca di Dallas ovvero da quei cittadini sovietici, per lo più nobili o proprietari terrieri che erano stati cacciati dalle loro terre dal regime e che vivevano nella speranza della caduta del comunismo per ritornare in patria, primo tra tutti George de Mohrenschildt. La sua famiglia era scappata dopo la rivoluzione del 1917, lui aveva lavorato per i servizi segreti francesi. A Dallas era diventato un consulente geologo grazie alla sua laurea in commercio internazionale e al master in ingegneria petrolifera e geologia. Frequentava un ristretto gruppo di amici tra cui il presidente della mastodontica Schlumberg Corporation che aveva stretti legami con la CIA, e in Jugoslavia aveva passato un intero anno come rappresentante della International Cooperation Administration , una ben nota sigla di facciata della CIA con sede a Washington. Era stato in Guatemala quando, per strana coincidenza, vi si svolgeva gran parte del lavoro della CIA di addestramento dei cubani anticastristi che si preparavano all’invasione della Baia dei Porci.

"Quest’uomo ovviamente un capitalista e un anticomunista di ferro, era l’amico più intimo a Dallas di quel giovanotto che invece la commissione Warren aveva scoperto essere un marxista militante".

"La mia conclusione che de Mohrenschildt fosse stato un baby-sitter inconsapevole di Oswald non derivava soltanto dalle prove rese pubbliche, ma dalle mie conversazioni con lui e sua moglie. Alcuni anni dopo l’assassinio, dopo che la mia indagine era stata avviata, stabilii un contatto telefonico con de Mohrenschildt. Per evitare i controlli, avevamo concordato una certa regola per cui io l’avrei chiamato presso il Petroleum Club di Dallas e lui mi avrebbe lasciato un messaggio presso il New Orleans Athletic Club. Entrambi furono molto espliciti nell’affermare che l’attentato contro il presidente o, atti del genere, semplicemente non erano nel carattere di Oswald. Erano assolutamente convinti che era stato il capro espiatorio. Ero particolarmente colpito dalla profondità del loro dolore per quello che era stato fatto non solo a John Kennedy, ma anche a Lee Oswald."

Nella primavera del ‘63 Oswald si trasferì a New Orleans, dove venne impiegato presso la Reily Coffee Company che si trovava, tra le altre cose, proprio sul lato opposto della posta centrale, nelle vicinanze dell’ufficio di Banister.

Qui ha inizio la sua attività anti-castrista, pubblica.

Uno degli assistenti di Garrison, Louis Ivon, fece luce su un’altra vicenda oscura attorno alla vita di Oswald. Un certo "Oswald" si era recato al concessionario Bolton il 20 gennaio 1961 e aveva chiesto un preventivo per acquistare dieci camioncini Ford. I due commessi, Fred Sewall e Oscar Deslatte, testimoniarono che Oswald si era presentato con un altro uomo ed entrambi sostenevano di rappresentare un’organizzazione chiamata Friends of Democratic Cuba, di cui, tra i fondatori, ritornava l’onnipresente nome di Guy Banister.

Come tutti ormai sanno, Oswald, in quel periodo era in Unione Sovietca, quindi il fatto che Banister stesse usando il suo nome per acquistare camioncini per l’invasione della Baia dei Porci fece sospettare Garrison e compagni che la preparazione dell’omicidio potesse risalire ad alcuni anni prima.

Probabilmente per creare la figura del perfetto capro espiatorio Oswald era stato mandato da Dallas a New Orleans perché un comunista marxista non poteva certo apparire amico intimo dei nobili russi espatriati a causa del regime; qualche mese trascorso a distribuire i volantini pro-castro sarebbe stato molto più indicato.

 GUY BANISTER

Una volta raccolti sufficienti elementi per poter stabilire che con pochissime probabilità Oswald aveva ucciso il presidente come risultato di un isolato gesto di follia, occorreva scoprire chi aveva organizzato il complotto per uccidere Kennedy e per incastrare Lee Harvey Oswald.

Il nome che ricorreva in continuazione era quello di Guy Banister, ma al momento dell’indagine questi era già morto, quindi gli unici in grado di ricostruire gli avvenimenti di quegli anni erano Jack Martin e ancora David Ferrie. Superato il primo shock iniziale, Garrison dovette arrendersi all’evidenza che il suo governo, quello stesso governo per il quale lavorava e che aveva sempre ritenuto il garante dei valori per i quali aveva combattuto e per i quali aveva lavorato da sempre, era coinvolto con le sue agenzie di Intelligence nell’assassinio di John Kennedy.

Infatti Banister, secondo la testimonianza di Jack Martin, era il cervello dell’operazione anti-castro legata per motivi politici, militari ed economici alla morte del presidente.

Così rispose all’interrogatorio di Garrison:

"Quello di cui ho bisogno è un piccolo chiarimento a proposito del giorno in cui Guy Banister ti colpì alla testa con la sua Magnum. Ricordi?"

"Come potrei dimenticarmelo, mi ha quasi ammazzato".

"Ecco il mio problema, Jack", spiegai, " Mi avevi detto che con Guy eravate buoni amici da più di dieci anni quando ciò è successo".

"Almeno dieci. Forse di più".

"E non ti aveva mai colpito prima."

"Mai toccato"

"Eppure il 22 novembre 1963, il giorno dell’assassinio del presidente, ti ha martellato con una Magnum 357. Il rapporto della polizia afferma che la ragione per cui Banister ti ha colpito era perché c’era stato un litigio con lui sull’ammontare della bolletta del telefono, allora, secondo te, come può una semplice lite per la bolletta del telefono apparire come una spiegazione attendibile?" chiesi.

Aspettai. Poi, con aria assente, scosse lentamente la testa e ammise: " No, in effetti c’era qualcosa di più."

"Quanto di più?"

Di nuovo aspettai. Respirò profondamente.

"Cominciò come una cosa da nulla", iniziò." Ce ne stavamo a bere al Katzenjammer, forse qualcosa più del solito, per via dell’assassinio e così via. Banister specialmente. Bene, quando tornammo in ufficio, Banister cominciò a lamentarsi di una cosa e poi dell’altra. In un modo meschino. Poi tutto di un colpo mi accusò di ficcare il naso nel suo schedario privato. Ora io non ho mai ficcato il naso nel suo archivio personale, proprio mai. E questo fu davvero il massimo...Credo di essere esploso, e fu proprio quando gli dissi che sarebbe stato meglio che non mi parlasse in quel modo, che aggiunsi che mi ricordavo bene della gente che aveva bazzicato per l’ufficio quell’estate. E così, a quel punto lui mi colpì. Veloce come un fulmine, tirò fuori la sua enorme Magnum e cominciò a picchiarmi sulla testa con quella."

" Solo perché ti ricordavi delle persone che avevi visto nel suo ufficio durante l’estate?" domandai.

" Eh sì, questo è tutto. A quel punto andò su tutte le furie".

" E chi erano mai queste persone che avevi visto nell’ufficio quell’estate?"

" Ce ne erano un bel po’. Era una specie di circo. C’erano tutti quei cubani, che andavano e venivano. A me sembravano tutti uguali".

Tirò un lungo sospiro e poi riprese. "Poi c’erano tutti quegli altri tipi. C’era Dave Ferrie che voi già conoscete".

"Veniva spesso?" mi informai.

"Spesso? Praticamente viveva lì".

Poi Martin divenne silenzioso. Vidi dal suo sguardo che stava per fermarsi del tutto.

"E Lee Harvey Oswald?" soggiunsi.

Jack deglutì, poi assentì. Era come se provasse sollievo a essersi finalmente liberato di un fardello.

"Ah, sì, c’era anche lui. Qualche volta si incontrava con Guy Banister con la porta chiusa. Altre volte chiacchierava con lui insieme a David Ferrie. E a lui stava bene."

"Che cosa faceva Guy Banister mentre tutto questo accadeva?"

"Diavolo, era lui che gestiva il circo".

"Che cosa stava accadendo nell’ufficio di Banister?"

Fece un gesto con la mano." Non posso rispondere a questo" affermò con decisione. "Non posso assolutamente entrare in questo argomento" si alzo e si diresse verso la porta.

"Siediti Jack. Che problema c’è a parlare di quello che stava accadendo nell’ufficio di Banister?"

"Che problema c’è? Il problema è che finiremmo per avere addosso il dannato governo federale. Ho forse bisogno di dirtelo? Potrei essere ucciso, e così anche tu."

 CLAY SHAW  DAVID FERRIE

Proseguendo nella lettura del rapporto Warren, Garrison si imbattè nel nome di Dean Andrews, un noto avvocato che sarebbe stato chiamato da un certo Clay Bertrand nell’estate del 1963 per risolvere alcuni problemi legali con l’ufficio immigrazioni della moglie di Oswald.

Considerato che si conoscevano già in precedenza, Garrison lo invitò a pranzo per chiedergli chi fosse quel Clay Bertrand. Così come aveva risposto alla commissione Warren, Andrews, dapprima mentì sulla statura del suddetto Bertrand e poi disse che in realtà non lo aveva mai visto di persona. Spazientito il procuratore lo minacciò di farlo arrestare, Andrews si alzò da tavola urlando: " Hai la minima idea di quello in cui ti stai cacciando, grand’uomo? Vuoi metterti a fare a cazzotti con il governo? E’ questo che vuoi? Allora accomodati. Ma te la passerai male, ti dico che sarà dura."

Garrison e il suo staff dunque ricominciarono da zero la ricerca sull’identità di questo Clay Bertrand. Visto che Andrews era un assiduo frequentatore del quartiere francese, il team del procuratore al quale si era aggiunto Andrew Sciambra cresciuto proprio in quella circoscrizione, decise di indagare presso i vari bar e night che Dean era solito bazzicare. Inizialmente nessuno dei gestori o abituali clienti sembrava conoscere questo nome, però, dopo una telefonata del vecchio zio di Sciambra, il barista di Cosimo’s disse tranquillamente che Clay Bertrand era Clay Show e che tutti, nel quartiere lo sapevano.

Le testimonianze che infatti vennero raccolte erano tantissime. Tutti, in pratica sapevano che Clay Bertrand era Clay Shaw. E Clay Shaw era il presidente della International Trade Mart di New Orleans, uno degli uomini più rispettabili e in vista della città.

Proseguendo nell’indagine sulla vita di Oswald due degli uomini di Garrison si recarono a Clinton dove la maggior parte della cittadinanza se lo ricordava bene per una vicenda assai particolare. In quel giorno, per la prima volta nella storia del profondo Sud, era in corso un censimento generale degli elettori, ed era la prima volta che anche la popolazione di colore era stata ammessa. Moltissime persone testimoniarono di aver visto il volto dell’uomo più odiato d’America tra la folla di neri che, in fila, si presentava a reclamare il suo diritto al voto.

Pare infatti che Lee stesse cercando lavoro nella cittadina e che più di una persona, un barbiere, in particolare, assolutamente certo che fosse proprio lui il ragazzo a cui aveva tagliato i capelli, gli consigliò di registrarsi nelle liste elettorali per avere più opportunità di ottenere un impiego.

Ma quello che segnò una profonda svolta nelle indagini fu la scoperta che Lee Oswald non si recò a Clinton da solo, ma in compagnia di due individui, uno alto, capelli grigi, un uomo elegante e distinto: Clay Shaw; l’altro basso con una vistosa parrucca e ciglia finte, decisamente un tipo estroso: David Ferrie. Uno sceriffo del luogo fece controllare l’insolita vettura e dalla targa risultò che fosse proprietà della International Trade Mart di New Orleans.

Clay Shaw era un uomo molto potente, non era il caso di affrontarlo frontalmente, occorreva rintracciare David Ferrie.

Nel ‘62 e nel 63’ aveva lavorato come investigatore part-time da Wray Gill, uno dei migliori avvocati della città. Wray si ricordava molto bene di Ferrie per le salate bollette telefoniche che gli aveva lasciato da pagare. Garrison si fece dare da Gill tutte le fatture e, per caso, quelle del mese di novembre del ‘63 erano sparite, la segretaria non seppe spiegarsi come, ad eccezione del fatto che Ferrie aveva ancora accesso all’ufficio. Il procuratore confrontò tutte le chiamate con quelle registrate nella commissione Warren, una coincideva perfettamente. Il numero corrispondeva ad una certa Jean Aase, il cui vero nome era Jean West. Stando all’FBI aveva dichiarato che la sera del 21 novembre al Carousel Club aveva conosciuto Jack Ruby, proprietario del locale, uomo in stretto contatto con gli ambienti malavitosi di Dallas e con i più ricchi petrolieri, nonché l’assassino di Oswald. Nel frattempo, nei pressi di New Orleans, Louis Ivon aveva individuato un ex motorista d’aereo di nome Jimmy Johnson che aveva lavorato per Ferrie e lo aveva persuaso a tornare a lavorare per lui e a tenersi in contatto con l’ufficio del procuratore. In breve tempo riferì allo staff di Garrison che Ferrie aveva ricevuto una grossa quantità di denaro in una scatola che egli stesso aveva dovuto recuperare da una misteriosa auto.

Scoprirono poi che nelle settimane precedenti all’omicidio del presidente, Ferrie aveva depositato settemila dollari in contanti sul suo conto.

Ferrie era stato anche alle dipendenze della Eastern Air Lines ed era stato oggetto di indagini da parte di un’agenzia privata; nel rapporto risultava che si recava spesso in visita ad un uomo di nome Dante Marachini. Dopo una breve ricerca risultava che questi risiedeva al 1309 di Dauphine Street, la porta subito accanto era quella di Clay Shaw.

Quel nome, Dante Marachini, era riemerso anche nella lista dei colleghi di lavoro di Oswald alla Reily Company. Quasi tutti i colleghi di lavoro di Oswald se ne andarono poco dopo di lui e coincidentemente andarono a lavorare alla NASA.

"Forse è un puro caso che questi uomini associati a David Bertrand, Clay Shaw e Lee Oswald siano finiti tutti a lavorare per la NASA, ma ne dubitavo."

Lo staff della procura si era reso conto di quanto fosse difficile provare all’opinione pubblica un’amicizia tra un uomo serio e rispettato come Clay Shaw e un individuo " scarmigliato e bizzarro" come David Ferrie. La prova venne da un certo Jules Ricco Kimble, un estremista di destra che testimoniò di essere stato a casa di Clay Shaw più volte per "prestazioni particolari" e di aver partecipato ad alcuni festini insieme ad entrambi. Disse anche di aver sentito altre persone presentare Clay Shaw come Clay Bertrand e che nel periodo in cui aveva frequentato Ferrie e Shaw aveva avuto contatti con diversi agenti della CIA: Steinmeyer, Natt Brown, e un terzo agente chiamato Red, di cui non conosceva il cognome. Questi agenti gli lasciavano spesso delle istruzioni presso una casella postale alla sede centrale della posta di Lafayette Street.

Un altro uomo, Raymond Broshears, un amico di vecchia data di Davie Ferrie, raccontò di essere stato presentato a Shaw da Dave stesso e che avevano cenato insieme una volta. Testimoniò poi che Dave non parlava mai del suo coinvolgimento nell’assassinio Kennedy, tranne quando era ubriaco. Gli aveva rivelato che il suo incarico consisteva esattamente nell’attendere a Houston, il giorno dell’ omicidio, fino a quando non sarebbero arrivati due degli assassini da Dallas. Uno di loro era un tale di nome Carlos che avrebbe dovuto attenderlo alla pista di pattinaggio a Houston, ma non si presentò. Entrambi erano esiliati cubani convinti che Kennedy li avesse venduti ai comunisti.

Con tutti questi agganci Clay Shaw e David Ferrie vennero a sapere che il procuratore distrettuale stava facendo domande su di loro in relazione alla tragedia del 22 novembre; cercarono di assoldare un killer per ucciderlo, ma questi, saputo il bersaglio, si rifiutò.

Dopo le numerose testimonianze, Garrison era riuscito a rintracciare Dave Ferrie che, terrorizzato, aveva confermato tutti i suoi sospetti. Una domenica di febbraio del 1967, il procuratore aveva invitato i suoi collaboratori nella sua casa di Lakeview, nella zona ovest di New Orleans. Insieme stavano decidendo se portare Ferrie davanti al Gran Jury per fargli raccontare tutto quello che sapeva. Mentre discutevano giunse una telefonata, Ferrie era stato ritrovato morto nel suo appartamento dove aveva lasciato due lettere a conferma del suo atto suicida. Le cause della morte erano tuttavia molto misteriose.

Rimaneva solo da fare un altro passo: incriminare Clay Shaw.

 IL PROCESSO CLAY SHAW

Il 1° Marzo 1967 Clay Shaw venne arrestato tra le mille critiche e polemiche che nel frattempo si erano scatenate contro la procura.

Contro le aspre accuse di voler incriminare un uomo rispettabile come Clay Shaw solo per egoistici scopi di carriera, Garrison chiese l’intervento di una giuria speciale costituita da tredici uomini che dovevano stabilire se si dovesse rinviare Shaw a giudizio tramite un’udienza preliminare. Il 14 marzo 1967, per la prima volta nella storia della Louisiana, l’accusa chiedeva questo procedimento nell’interesse dell’imputato.

Sentiti i testimoni e preso atto delle prove, Clay Shaw fu rinviato a giudizio con l’accusa di aver cospirato in un complotto contro il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti: John Fitzgerald Kennedy.

Il 29 gennaio 1969 il processo "Lo stato della Louisiana contro Clay Shaw" ebbe inizio.

A causa delle festività carnevalizie venne riaggiornato ai primi di febbraio, quando finalmente il procuratore distrettuale Garrison presentò i capi di accusa e spiegò come le indagini lo avevano portato a credere fermamente nella teoria del complotto.

Prima di tutto questo, però, vale la pena di sottolineare che nel momento stesso in cui Garrison accusò Clay Shaw, il Ministro della Giustizia degli Stati Uniti Ramsey Clark e il presidente della Corte Suprema Earl Warren si schierarono clamorosamente contro la sua inchiesta. Niente del genere era mai accaduto prima in America.

Lo staff della procura superò le varie calunnie e i vari attacchi che ovviamente venivano sia dal governo che dalla stampa e presentò i suoi testimoni.

Vennero ascoltati alcuni dei cittadini della piccola città di Clinton che ricordarono di aver visto Clay Shaw in compagnia di Lee Harvey Oswald e di David Ferrie nel ‘63 in occasione del censimento, ma i veri assi nella manica dell’accusa furono: Perry Russo e Vernon Bundy.

Il primo disse di essersi recato a casa di Ferrie nel settembre del 1963, dove una specie di party stava per volgere al termine. Lì conobbe un uomo alto distinto con i capelli bianchi, un certo Bertrand, Clay Bertrand e un giovane che veniva chiamato Leon Oswald. (Russo non fu mai totalmente certo che fosse Lee Harvey Oswald).

Dopo che se ne furono andati tutti rimasero "Oswald", Bertrand, Ferrie e Russo e la conversazione cadde sulla politica, sulla liberazione di Cuba. Ferrie, era ipertiroideo e quando si agitava diventava più loquace. Parlò della possibilità di eliminare Castro, aprì una cartina di Cuba sul tavolo e indicò una baia dove si sarebbe potuto sbarcare. Russo era un giovane molto determinato, con le idee chiare e visto che condivideva, in linea di principio, le idee di Ferrie erano diventati molto amici, per tanto nel momento in cui si passò da Castro a Kennedy, fu ammesso tranquillamente alla conversazione. Kennedy sembrava molto più accessibile di quanto non lo fosse il dittatore cubano, Ferrie parlava di una " triangolazione di fuoco incrociato" per cui sarebbe stato molto più facile colpirlo.

Shaw, molto più calmo e composto disse che in quella occasione loro sarebbero dovuti essere molto lontano dalla zona d’azione, fu in quel momento che Russo si rese conto che si stava parlando seriamente di colpire il presidente.

Qualche mese più tardi, nel marzo del 64, Russo disse di aver visto Ferrie parlare con un uomo alto, distinto, dai capelli bianchi; in aula, senza la minima esitazione, Russo identificò Clay Shaw. (Prima del processo avevano tentato di corrompere il testimone promettendogli soldi e carriera a Los Angeles.)

Benché la difesa avesse cercato di smontare la deposizione di Russo, appellandosi principalmente al fatto che per verificare se stesse dicendo la verità l’accusa aveva sottoposto il teste al trattamento ipnotico con il Sodium Pentothal, cercarono di far credere che lo avessero drogato e condizionato a rilasciare quella testimonianza.

Anche le dichiarazioni di Vernon Bundy suscitarono parecchio scalpore a favore di Garrison. Si trattava di un pregiudicato che era andato a drogarsi sulla diga di cemento del lago Pontchartrain; stava preparando la sua dose di eroina quando vide una berlina a quattro porte avvicinarsi. Diffidente, osservò un uomo alto e distinto uscire dall’auto, lo riconobbe come l’imputato e disse che si trovava in compagnia di Lee Oswald al quale possibilmente aveva consegnato un rotolo di banconote. A sorpresa il teste si spostò dal banco dei testimoni, si sedette sulla predella al di sotto della postazione del giudice e chiese se Shaw avesse potuto camminare dal fondo dell’aula verso la sua direzione e domandò se volevano sapere come poteva essere così sicuro che si trattasse proprio di lui. Allora Bundy fece notare all’assemblea l’impercettibile andatura zoppicante di Shaw di cui nemmeno Garrison si era accorto.

Si susseguirono altre e altre dichiarazioni, ma ne fu sufficiente una sola per demolire l’intera impalcatura dell’accusa. Poco prima dell’inizio del processo, si era offerto testimone spontaneo un certo Charles Spiesel che aveva detto di aver sentito Clay Shaw, Oswald e Ferrie parlare della cospirazione contro il presidente. Di fatto interrogato dalla difesa che misteriosamente sapeva quali domande rivolgere al teste, risultò che Spiesel era una specie di paranoico che prendeva le impronte digitali alla figlia quando partiva per il college e quando ritornava per essere sicuro che fosse sempre lei.

In maniera completamente incomprensibile il giudice Edward Haggerty non consentì al poliziotto Aloysius, al quale Clay Shaw, una volta portato in questura disse di usare il soprannome di Clay Bertrand di testimoniare.

A Garrison non fu permesso nemmeno di interrogare agenti dell’intelligence e testimoni dell’ambito governativo.

La giuria assolse Clay Shaw, ma nella mente degli americani, ora cominciava a farsi strada l’ipotesi del complotto.

 BUON GIORNO AMERICA

La vera, ma amara vittoria di Jim Garrison fu quella di aver dimostrato e convinto gran parte della popolazione statunitense che il rapporto Warren non aveva niente a che fare con la realtà dei fatti svoltasi a Washington.

Prima di tutti evidenziò che Oswald non aveva mai sparato al presidente perché era risultato negativo al test al nitrato che consente di stabilire se una persona sia venuta a contatto con un arma da fuoco nelle ventiquattro ore precedenti.

La celebre fotografia che confermò la natura violenta di Oswald ritratto con due fucili si rivelò essere un clamoroso falso. Uno di quei due fucili era un Mannlicher-Carcano, l’arma del delitto ritrovata al sesto piano del deposito di libri da dove sarebbero partiti i tre colpi che secondo la commissione avrebbero ucciso Kennedy.

Ma il vero colpo al cuore della nazione venne dal filmino di Abraham Zapruder, ignorato completamente dalle indagini governative. Il motivo risiede nel fatto che senza più dubbio la pellicola provava che il colpo fatale alla testa del presidente veniva da davanti. La commissione Warren, invece, aveva decretato che il solo Oswald, dal sesto piano del deposito dei libri aveva sparato tre colpi con un intervallo di 5,6 secondi e con un proiettile avrebbe colpito alla testa il presidente, mentre una seconda pallottola avrebbe trafitto la spalla, per poi conficcarsi nella gola, uscire e infilarsi nella spalla del governatore Connelly scalfirla di dodici centimetri, uscire, fratturargli le ossa del polso ferirgli la gamba e cadere a terra intatto. La "pallottola magica" sarebbe stata poi ritrovata praticamente intatta su una barella all’ospedale.

In sede dibattimentale Garrison mostrò in che stato si trovava una pallottola dopo essere stata sparata attraverso il polso di un cadavere all’obitorio: era completamente distrutta.

Illustrò poi lo scenario più plausibile in base al documento Zapruder e alle testimonianze inascoltate dei testimoni presenti sulla Dealey Plaza. E’ stata una "triangolazione di fuoco incrociato" a colpire il presidente, e gli spari sono provenuti dalla palizzata in cima alla collinetta erbosa, dal deposito di libri e dal palazzo della Dal-Tex dove alcuni testimoni avrebbero visto due uomini alla finestra, uno dei quali aveva un fucile. "Saranno del secret Service" avevano pensato.

Come se non bastasse il percorso del corteo presidenziale era stato modificato all’ultimo momento. Lo staff di Garrison si era chiesto come e chi avrebbe potuto avere tanto potere da intervenire in un così delicato compito governativo. Il sindaco di Dallas era nel ‘63 Earle Cabell, fratello di Charles Cabell pezzo grosso della CIA liquidato da Kennedy, insieme a Allen Dulles (membro della commissione Warren) per lo scandalo alla Baia dei Porci.

Se il corteo presidenziale avesse proseguito per la Main Street i killer dal deposito dei libri avrebbero avuto persino più tempo per sparargli, ma non potevano essere così sicuri come con un fuoco incrociato tanto più che la macchina di Kennedy, per svoltare sulla Elm Street ha dovuto rallentare ad una velocità minima di 18 km/h, un bersaglio facile per dei professionisti.

La notte del 17 novembre 1963 un impiegato dell’ufficio del FBI ricevette un comunicato in cui si diceva di diramare la notizia che a Dallas ci sarebbe potuto essere un attentato al presidente, già a Miami Kennedy aveva rinunciato ad un corteo per simili minacce, ma a Dallas nessuno si preoccupò di proteggere il presidente, nè la CIA, nè l’FBI, nè la polizia, nessuno. La copia originale di quel comunicato sparì misteriosamente.

 COLPO DI STATO

"Credo che quello che è successo nella Dealey Plaza di Dallas il 22 novembre 1963 sia stato un colpo di stato. Ritengo che sia stato proposto e programmato con notevole anticipo da fanatici anticomunisti membri della intelligence degli Stati Uniti; che sia stato realizzato, molto probabilmente senza un’approvazione ufficiale, da individui della CIA appartenenti agli apparati delle operazioni segrete e da altri collaboratori esterni, non appartenenti direttamente alle agenzie governative, e mascherato da gente con le stesse opinioni politiche del FBI, del Secret Service, del dipartimento di polizia di Dallas e degli ambienti militari; e pensò infine che il loro scopo sia stato quello di impedire a Kennedy di portare a termine la sua politica di distensione con l’Unione Sovietica e con Cuba, e di mettere fine alla guerra fredda".

Queste in sostanza furono le conclusioni tratte dal procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison. Egli in particolare si concentrò sulla congiura messa in atto dagli organi governativi e in particolare sull’azione della CIA.

" Col passare del tempo e raccogliendo maggiori indizi, le prove cominciarono sempre di più a far girare l’ago in direzione della CIA. Per esempio, uno dei protagonisti, Guy Banister, aveva avuto in passato legami con l’ONI e con l’FBI, ma il suo lavoro a New Orleans con i guerriglieri cubani doveva essere CIA. David Ferrie, era noto, aveva addestrato dei guerriglieri per l’invasione della Baia dei Porci un’operazione CIA. E Jules Ricco Kimble, che aveva volato insieme a Ferrie e a Shaw da Montreal, aveva ammesso di prendere ordine da funzionari della CIA.

L’impersonificazione di Oswald nel gennaio 1961 da concessionario Bolton Ford, i cui camion erano stati acquistati per l’invasione dei porci, sapeva molto di CIA, così come il coinvolgimento di George de Mohrenschildt con Lee Oswald. Il cambiamento del percorso del corteo a Dallas, insieme ad altri indizi relativi alla CIA erano stati tenuti nascosti dalla commissione Warren e questo conduceva all’uomo addetto ai problemi dell’intelligence, l’ex direttore della CIA, Allen Dulles. Tutto conduceva a Cuba, alla Baia dei Porci, e alla CIA." Per quanto riguarda Clay Shaw " ...fu solo molto più tardi, che scoprimmo il complesso ruolo internazionale svolto da Shaw come esponente della CIA. La vita segreta di Shaw come uomo dell’agenzia a Roma, che tentava di riportare il fascismo in Italia, venne rivelata da alcuni articoli della stampa italiana, che noi ottenemmo tramite Ralph Schoemann, segretario del filosofo Bertrand Russel, che era stato uno dei primi sostenitori della nostra indagine. Stando a quegli articoli, la CIA, che evidentemente per un certo periodo aveva portato avanti una propria politica estera, aveva cominciato a realizzare un piano per l’Italia fin dall’inizio degli anni sessanta. La struttura organizzativa, chiamata Centro Mondiale Commerciale, inizialmente si era trasferita a Roma nel 1961. Venimmo a sapere che fra i membri del suo consiglio di amministrazione c’era un certo Clay Shaw che veniva da New Orleans. Uno dei maggiori azionisti del Centro era un certo maggiore L.M. Bloomfield, residente a Montreal e in precedenza di nazionalità americana, ex agente dell’Office of Strategic Services, la struttura da cui poi gli Stati Uniti avevano ricavato la CIA."

Molto presto furono in molti ad accorgersi di quanti vantaggi aveva portato la morte di John Kennedy: i trafficanti di quelle armi che Kennedy avrebbe voluto eliminare in un mondo di pace, il grande business del nucleare che il presidente avrebbe voluto abolire, quei petrolieri a cui aveva ridotto i vantaggi economici; i grandi signori della guerra, della malavita e del potere.

Garrison non si risparmiò le accuse neanche per gli uomini che salirono al potere subito dopo la scomparsa del presidente della Nuova Frontiera. "Non vi è nessuna prova che Johnson, Hoover, Dulles o Warren fossero venuti a conoscenza in anticipo del piano dell’assassinio o che vi fossero coinvolti, ma non esiterei a definire questi uomini successivamente complici".

Anche la mafia, secondo Garrison, aveva collaborato con la CIA al complotto, di fatto quel Kennedy, affiancato dal suo ministro della giustizia Robert Kennedy, si era firmato la condanna non schierandosi contro Castro che a Cuba aveva cacciato tutta la malavita dei casinò e del traffico illegale delle armi e della droga. Senza contare che Robert aveva intrapreso una vera e propria campagna di attacco alla criminalità organizzata.

Così, dopo la morte dei due Kennedy, di Martin Luther King e di Gandhi l’uomo del pianeta terra si è perso l’ennesima occasione di vivere in un mondo di pace e di giustizia, i popoli addormentati da uno standard di vita alienante, forse non se ne sono nemmeno resi conto. Intanto chi siede dietro le quinte delle varie CIA, FBI, MAFIA, ecc. gioca a confondere la realtà e la menzogna corrompendo, tramando, cospirando, tradendo. In una sola frase il poeta inglese Sir John Harlington diede una spiegazione molto breve, ma esplicita della metodologia di potere:

"Il tradimento non ha mai successo: Per quale ragione? Perché se ha successo, nessuno osa chiamarlo tradimento".

   

LE CONFERME

Come accenneremo, le indagini di Gianni Bisiach, che si basano sul complotto mafia - Cia nell’uccisione del presidente John F. Kennedy, sono state confermate dal Rapporto Stokes della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, o meglio Select Committee on Assassinations of the U.S. House of Representatives (Investigation of the Assassination of President John F. Kennedy) il quale, nel suo Rapporto Finale afferma:

"Alla fine del 1962 e all’inizio del 1963 l’operazione Cia -mafia si arenò perché il crimine organizzato non aveva più interesse ad assassinare Fidel Castro. L’influenza sovietica a Cuba rendeva la prospettiva dei mafiosi di riconquistare l’Avana meno probabile, tanto più che c’era da raccattare la fortuna col gioco d’azzardo e il resto nelle Bahamas e dintorni. Si può ragionevolmente ritenere che la Mafia ha continuato a simulare la sua partecipazione ai complotti politici per mantenere i rapporti con la Cia, nella speranza di evitare persecuzioni contro i capi della Mafia coinvolti in quei complotti.

Questa teoria è comprovata dalle azioni di Robert Maheu, un agente dell’Fbi, che poi diventò investigatore privato e mantenne i contatti fra Cia e mafia, in particolare con John Roselli.

Roselli partecipò al complotto, secondo questa Commissione, per evitare la propria estradizione dagli Stati Uniti nel 1966 e nel 1971, e per sfuggire all’incriminazione per attività illegali nel gioco d’azzardo, nel 1967. E’ stato John Roselli che ha fornito le informazioni relative al ‘Cambio di obbiettivo’ del complotto Mafia -Cia, dall’uccisione di Castro all’uccisione di Kennedy. Nel 1963 i capi del crimine organizzato coinvolti dalla Cia nei complotti politici potevano aver perduto la motivazione di assassinare Castro. Ma potevano avere sufficienti motivi, in seguito al programma del Dipartimento della Giustizia contro il crimine organizzato, per eliminare il presidente Kennedy.

Le investigazioni di questo comitato hanno rivelato che i boss della Mafia sono degli ‘Uomini d’Affari’ pragmatici, che adeguano le loro alleanze, e cambiano amicizie a seconda dei loro interessi. Nel 1963 anche gli esuli cubani che si opponevano più duramente a Castro erano rimasti frustrati dalla politica dell’amministrazione Kennedy. E molti di loro sono giunti alla conclusione che il presidente Kennedy era un ostacolo che doveva essere eliminato anche più urgentemente che non il dittatore cubano Fidel Castro".

(Rapporto Stokes, conclusioni, p. 131)

Nel maggio del 1992, Bisiach invitò a Roma Sam Giancana junior, nipote del boss Sam Giancana, che, come scrive lo stesso Bisiach "partecipò al mio ‘speciale TG Uno’ sulla morte di Marilyn Monroe, per testimoniare sulla parte che vi aveva avuto lo zio. Sam Giancana junior confermò sia la tesi del film ‘I due Kennedy’, sia quanto ho scritto nel libro ‘Il Presidente’ ". Giancana Jr. raccontò che a suo padre Chuck, il fratello minore del boss di Chicago, Sam rivelò: "Abbiamo sistemato Kennedy in combutta con la Cia". Nel libro scritto da Chuck e Sam Giancana Jr. tra le altre cose si legge: "Mooney (nomignolo con il quale veniva chiamato Sam Giancana ndr.) rivelò a Chuck di essersi servito di Roselli come tramite personale con Marcello, Trafficante e la Cia, istruendo contemporaneamente i suoi luogotenenti di affidare a Ruby il compito di sovrintendere alla partecipazione dell’Organizzazione all’attentato di Dallas, collaborando con gli agenti del governo […] Ruby, disse Mooney a Chuck, era stata la scelta logica. Aveva già dimostrato in precedenza la sua estrema lealtà e capacità a cooperare con la Cia durante la preparazione dell’invasione della Baia dei Porci. […] Mooney disse che il ‘presunto tiratore solitario’ Lee Harvey Oswald, al pari di Ruby, era legato sia all’Organizzazione che alla Cia. […] Tornato a New Orleans con la moglie russa, venne indirizzato dalla Cia ad un personaggio ben noto a Mooney, l’ex agente dell’Fbi di Chicago Guy Banister".

New York. Un sicario di Cosa Nostra, Johnny Roselli, sarebbe stato il vero assassino del presidente Kennedy a Dallas secondo le memorie di un boss mafioso, Bill Bonanno, appena pubblicate negli Stati Uniti. In ‘Bound by Honour, a Mafioso’s Story’, il libro stampato dalla St. Martin Press, l’erede di una delle più celebri famiglie criminali d’America afferma anche di sapere che fine fece il cadavere del leggendario capo del sindacato dei camionisti Jimmy Hoffa e perfino le ragioni segrete dietro la guerra del Vietnam: sarebbe stata combattuta dal governo degli Stati Uniti per proteggere gli introiti del lucroso traffico di eroina dal sud est asiatico. "Io conosco i fatti", ha scritto Bonanno jr. raccontando di aver ascoltato in carcere dalla bocca dello stesso Roselli che questi avrebbe personalmente sparato il colpo mortale contro Kennedy su ordini del boss Sam Giancana. Lo stesso Roselli avrebbe riferito la sua rabbia quando l’auto che avrebbe dovuto servire a lui e ai suoi complici per la fuga era scomparsa. Ma i gangster al completo, tranne Oswald che era stato destinato a fare da capro espiatorio, sarebbero riusciti a lasciare Dallas indisturbati con il fucile del delitto che Roselli avrebbe poi nascosto in una fattoria nello stato di New York.

Di recente è stata diffusa negli Stati Uniti una videocassetta dal titolo " Confession of an assassination" in cui un detenuto della prigione di Joliet, negli USA, James E. Files, confessa di essere stato uno degli assassini del presidente John Kennedy. Si è venuti a conoscere questo testimone grazie al lavoro di indagine svolto dall’investigatore privato di Houston, Joe West che aveva ricevuto una soffiata da un agente anonimo dell’FBI.

West aveva dedicato tre lunghi anni alla ricerca di ulteriori indizi che potessero fare luce sui reali esecutori del delitto Kennedy, poi aveva convinto Files a parlare, ma proprio quando ci stava riuscendo è morto a causa di una malattia. Dopo più di un anno i collaboratori di West sono riusciti ad ottenere un’intervista da Files in cui egli ammette di aver sparato al presidente nel periodo in cui aveva contatti con la malavita. Coinvolti nell’esecuzione dell’omicidio, Johnny Roselli, che avrebbe sparato direttamente a Kennedy, Charles Nicoletti e il boss mafioso Sam Giancana.

 

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