Emilio CERASANI
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Lacus fucinus

 


Emilio Cerasani

Notizie intorno al lago di Fucino
Lago Fucino (Fucinus Lacus)

Il lago Fucino per la sua posizione e bellezza, situato tra ridenti colli e gli alti gioghi dell'Appennino, era un vero miracolo della natura. La più antica memoria del Fucino è in Licofrone, poeta greco, che lo nomina Forco, dio Marino.
Strabone così lo descrive: "Il lago, per ampiezza, somiglia ad un mare e tale pare veramente, perchè essendo di figura pressoché ellittica, non ha meno di sedici miglia di diametro, e, per vari seni e promontori, circa quaranta di circonferenza, quasi eguaglia il golfo di Napoli".
"Si eleva a circa 680 metri sul livello del mare e vi confluiscono i fiumi: Fonte Grande, Capodacqua, Sarcinale, Tavana, S. Marco, l'Aureo di Celano, il Mosino di Avezzano, le acque delle nevi dei vicini monti, nonché le molte sorgenti, supposte da Seneca e il fiume Giovenco; da quest'ultimo si dipartono, dopo le strette gole di Pescina, sonori e lieti rigagnoli. Il nome del primo è Forma di Civita che annunzia subito la vicinanza dalla principale città dei Marsi". Però Marruvio, meno fortunata del suo rivo e del suo nome, è scomparsa, e sulle sue rovine, rinasce, per la seconda volta, S. Benedetto dei Marsi, moderna cittadina che va espandendosi oltre i suoi antichi confini, in un vasto e panoramico orizzonte.
Due delle sorgenti summenzionate, ai piedi del paese, vanno ad alimentare, la prima la "Fonte Vecchia", la seconda il "Lavatoio pubblico" (Sciacquaturo) la terza, in prossimità del "Ponte Rosso", sul fiume Giovenco, va a dar vita al laghetto del Casino Sabatini e al rivo omonimo che sbocca sulla Circonfucense ad Ovest del paese; ad Oriente, appena fuori dell'abitato, s'incontrano altre due sorgive: la prima, origina un piccolo, ma vigoroso corso d'acqua, noto con 1a voce dialettale di Ritejje (alterazione di rivo, rivoletto, riello) che trae, forse, dal simbolico e poetico nome personificato di "Rideggio" (d = t, g = j), ruscello d'umor lieto e festoso che sembra ridere della sua metamorfosi; nelle sue acque limpide e pure, le ragazze da marito immergevano, secondo un'antica tradizione la biancheria nuziale, quasi a propiziarsi un roseo focolare domestico; 1a seconda, più in là, alimenta con le sue doviziose polle, il ridente laghetto dell'Arestina, rifugio un tempo delle barche dei pescatori, quando il Fucino, sconvolto da procellosi venti si faceva sinistramente minaccioso.
Più tardi le chiare e fresche acque dell'Arestina, divennero centro di attrazione della gioventù del luogo che soleva, ivi, trascorrere, lietamente, le fuggevoli ore della colazione conviviale, in campagna, (cumit = convito), del lunedì di Pasqua (Pasquetta), e dei dì festivi, al suono delle struggenti note della "Chitarra hawaiana" e del "violino zigano", in un'atmosfera di rapide delizie. Allo sciogliersi delle nevi che tutt'intorno cingono la conca, il lago andava spesso soggetto a grandi escrescenze, recando gravi danni alle colture e ai vicini abitanti.
La leggerezza e la trasparenza delle acque del Fucino celebrate da Virgilio, Orazio e Silio Italico, il piacevole mormorio delle sue onde al mare somiglianti,fecero riguardare le sue rive come il più gradito soggiorno ai primi abitanti di questi deliziosi luoghi. Marruvio, Angizia ed Archippe, le più antiche e cospicue città dei Marsi,con pochi villaggi di nome sconosciuto, erano situate sulla sua sponda ed i romani, edificandovi nei pressi magnifiche ville, condividevano le sue delizie di primavera ed autunno con le ridenti spiagge di Pozzuoli e di Baia.
Il lago alimentava una ristretta varietà di pesci, come tinche, barbi, lasche,azzoni, gamberi, e telline in abbondanza Plinio notava, con grande stupore, che viveva nel Fucino, un pesce con otto pinne.
Durante l'inverno si notavano più di trenta specie di uccelli acquatici, tra i quali candidi cigni, anatre, oche, folaghe, capoverdi e cormorani.
Escrescenze: L'inondazione più spaventosa che la storia ricordi, si verificò sotto il consolato di M. Emilio e C. Ostilio nel 128 a.C., in cui le acque strariparono per 5 miglia intorno alle sponde, raggiungendo tra le altre località la contrada di Apignanico presso Pescina, dove Gavio, Mesalla e Veredus innalzarono un'ara al dio Fucino per avere risparmiato le loro terre dalla furia delle sue acque.
Gli altri straripamenti si ebbero negli anni: 1349, 1670, 1740, 1780, 1783,1785, 1786, 1789, 1806 e nel 1816.
Nel 1789 il re Ferdinando IV di Borbone inviò ad Avezzano l'architetto napoletano Ignazio Stile, esperto in ingegneria idraulica per studiare un freno alle continue inondazioni durante le quali il Fucino si era innalzato di ben 4 metri. (dal 1783 al 1787). Poichè gli antichi divinizzarono i monti, le sorgenti, i fiumi e i laghi, il Fucino non mancò di quei divini onori. I Marsi che pur reputavano salutari le sue acque per curare alcune malattie, ne temevano le inondazioni, tanto che gli dovettero innalzare templi ed are per placarne l'ira funesta come ci ricorda la toccante elegia che il poeta Vincenzo Mancini di Tagliacozzo ci ripropone:

"Chi numerar può i danni che già ai Marsi Inferse il lago?
E mura e templi e case
Involse e tombe,uomini e dèi coll'onde
L'acqua invadeva i campi e l'ara istessa
Di verdi zolle, era sommersa ... a Giove!
"

Descrescenze : il livello delle acque del Fucino diminuì negli anni 1752, epoca in cui vennero allo scoperto le statue di Claudio, Agrippina e di altri personaggi di cui abbiamo fatto cenno in altra parte del libro, decrescenze che si ripeterono, secondo gli storici, negli anni 1783, 1822, 1835.
Nella stagione rigida, quando la neve cadeva in abbondanza e i gelidi venti del nord spiravano con estrema violenza, la temperatura raggiungeva punte molto basse, allora il Fucino soleva tutto gelarsi di uno spesso strato di ghiaccio.
Secondo le notizie che ci sono pervenute dalle antiche cronache, questo fenomeno ebbe a verificarsi negli anni 1167 e 126, tanto che si poteva attraversare liberamente il lago da una parte all'altra cori carri trainati da buoi. Le conseguenze di quei rigidi inverni dovettero essere assai gravi per le popolazioni rivierasche.
Altre otto volte le acque del lago gelarono dal 1584 al 1726, ma quella del 1709 fu certamente la più memorabile per la stretta insolita del freddo in quasi tutta Europa, e in cui gelarono persino le acque della laguna veneta.
La stessa cosa si verificò nel 1816 e 1835, quando il lago rimase gelato per un intero mese tanto che si poteva camminare liberamente sulla spessa lastra di ghiaccio che interamente lo ricopriva, senza correre alcun pericolo.
Sul prosciugamento del Fucino si è molto parlato nelle opere specifiche dei vari autori.
Noi ci limiteremo, perciò, a dare solo pochi cenni per non eludere le attese di quanti ancora amano conoscere le vicende della loro terra. '
Il Fucino era per estensione il terzo lago d'Italia, dopo il Garda e il lago Maggiore, ma il primo tra quelli dell'Appennino centrale.
Il lago si estendeva, nell'epoca glaciale, fino ai Campi Patentini dove scaricava parte delle sue acque nella Valle del Salto. Dopo il periodo glaciale, le grandi precipitazioni diminuirono e il lago si ridusse al suo bacino orientale. Sulle sue rive si insediarono popolazioni neo eneolitiche e dell'età del ferro (1000 1500 a.C.). Qui, i Marsi stabilirono i primi insediamenti e fondarono la loro capitale Marruvium.
Il Fucino divenne allora un lago chiuso senza emissari, in una regione prevalentemente calcarea.
Una parte delle sue acque si disperdevano attraverso inghiottitoi, e parte, per evaporazione. Perciò, il regime del lago era estremamente mutevole e soggetto a notevoli variazioni di livello e di estensione con un'escursione, in altezza,
di 12 metri. Nella massima escrescenza, la sua superficie era circa 170 kmq, nella minima 135 (1835), sicchè circa 35 kmq delle campagne adiacenti erano soggette alla minaccia delle inondazioni dovute anche ai torrenti in piena che sottraevano fior di terra alle montagne e alle colline circostanti che fecero ricco il fondo del lago, formandovi degli strati impermeabili tanto che, in 18 secoli, la base del Fucino si elevò di circa 8 metri, con conseguente inondazione dei contigui terreni e abitati, talchè il malcontento delle popolazioni ripuarie giunse fino a Roma.
Il primo progetto di prosciugamento del lago risale a G. Cesare. Ma solo Claudio 1o eseguì: si scavò una galleria sotto il monte Salviano che limita a Ovest la zona e si smaltirono le acque del Fucino nel Liri, opera che richiese undici anni di lavoro, con l'impiego di 30.000 schiavi.
La galleria sotterranea risultò lunga 5653 m., con una sezione variabile dai 5 ai 10 m2.
L'emissario funzionò.
Restaurato al tempo di Adriano, si mantenne in uso, almeno, fino a VI secolo.
Ristrettasi così la sua superficie, le colture aumentarono e la Marsica divenne, ben presto, una regione floridissima, tanto che Antonio Pio vi mandò, nel 149 d.C., una colonia per coltivare le terre di Alba Fucense e, le colline intorno al lago, divennero luoghi ambiti di villeggiatura dei romani.
Con la decadenza medioevale, il Fucino tornò alle condizioni di lago chiuso con regime irregolare. Progetti di restauro si fecero in diverse riprese da Federico II, Alfonso I d'Aragona, Ferdinando IV di Napoli, finchè Carlo Afan de Rivera, incaricato da Francesco I (1826 1835), eseguì i lavori preliminari, ponendo le basi del progetto di restauro dell'antica opera.
Il prosciugamento, iniziato, da una Società francese, fu continuato nel 1854 dal principe A. Torlonia, il quale si avvalse dell'opera dei più insigni ingegneri del tempo, come il Montricher, il Brisse e il Bermont, direttore dei lavori.
L'ardore e l'interessamento che tutti mettevano per il felice esito dell'impresa erano pure dovuti all'esempio dello stesso Principe che affrontava disagi e pericoli di ogni genere, scendendo nell'Emissario attraverso passaggi che appena possono immaginarsi dai non addetti ai lavori.
Dopo il prosciugamento del lago avvenuto nel 1862, con esultanza di tutte le popolazioni della Marsica, furono necessarie opere di bonifica che si protrassero fino al 1876 e che impegnarono ben 4.000 operai al giorno, con una spesa di oltre 30.000.000, somma da capogiro, all'epoca.
L'Emissario, portato a compimento dopo ben 22 anni, dal giorno di inizio dei lavori, risultò lungo m. 6301 con un dislivello di m. 6,05, una sezione di mq. 19,6 e una capacità effettiva di smaltimento di circa 33 m3 al minuto secondo che si mostrò sufficiente per il completo svuotamento del lago. Poi si iniziarono i lavori per la sistemazione idraulica del bacino. Fu scavato un grande canale lungo più di 11 km. largo m. 15 che scarica le sue acque nell'inghiottitoio "Incile". A distanza di 1 km. l'uno dall'altro, furono scavati i canali laterali, perpendicolari al collettore principale. Una strada di 52 km. circonda il bacino; da questa si dipartono 46 carrozzabili parallele, perpendicolari fra loro e ai canali laterali; in totale, una rete stradale lunga 272 km., 100 canali principali e 681 canali secondari e fossati. Dei 16.500 ettari sottratti al dominio dell'acqua, 2.500 furono dati, parte agli abitanti, e parte agli Enti dei comuni rivieraschi; il resto rimase proprietà assoluta del Principe Torlonia e fu diviso in poderi di 25 ettari ciascuno.
I coloni vi giunsero da tutto l'Abruzzo, dalle Marche e persino dalla Romagna. Le produzioni agricole della zona sono costituite principalmente dalla coltivazione delle barbabietole da zucchero, dalle patate e cereali. Intenso era una volta, l'allevamento del bestiame concentrato in località denominata "Bergamina", presso Ortucchio, lungo la strada n. 28 che conduce a "Telespazio", una delle più importanti stazioni di tutta Europa.
Dopo la seconda guerra mondiale, l'Ente Fucino, subentrando nell'Agro al posto dell'Amministrazione Torlonia, vi esercitò in conformità della legge stralcio di Riforma Fondiaria, tutte le funzioni relative alle espropriazioni, trasformazioni ed assegnazioni dei terreni ai contadini dei territori compresi nei Comuni di Avezzano, S. Benedetto de Marsi, Luco dei Marsi, Trasacco, Ortucchio, Pescina, Celano, Cerchio, Collarmele ed Aielli, dove vivono più di 50.000 abitanti.
L'opera di riconversione fondiaria dell'Ente, assegnando circa 14.000 ettari ai 9.150 proprietari, ha consentito un sicuro lavoro agli agricoltori della zona che, con le loro famiglie, coltivano quei fertilissimi campi, in luogo dei 200 pescatori che conducevano sulle rive del lago, un'esistenza incerta e grana.

 

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