LETTERATURA ITALIANA: IL SETTECENTO

 

Luigi De Bellis

 


  HOME PAGE

L'arcadia

La commedia dell'arte

Pietro Metastasio

Illuminismo

Carlo Goldoni Giuseppe Parini Vittorio Alfieri Cesare Beccaria Pietro Verri Il Settecento


Iscriviti alla mailing list di Letteratura Italiana: inserendo la tua e-mail verrai avvisato sugli aggiornamenti al sito

   
   

Iscriviti
Cancellati




Il Settecento


Vittorio Alfieri: opere varie

Tra le sue numerose opere sono da ricordare due trattati che esaltano la libertà e rivendicano l'indipendenza degli artisti dal potere politico (contro il mecenatismo):

"Della tirannide" (1777) Trattato in due libri, composto nel 1777, riveduto fra il 1786 e il 1789, pubblicato nel 1789 a Kehl, nel Baden. Nel primo libro l'Alfieri esamina la tirannide come si è costituita in Europa, da un punto di vista non tanto storico-giuridico quanto etico-politico, e, attraverso acute analisi psicologiche (si può dire che sono qui sintetizzate le situazioni delle tragedie), ne addita la base nella paura sia del tiranno sia dei sudditi, gli strumenti nella milizia e nella religione, i sostegni nel falso onore, nella nobiltà e nel lusso; afferma che sotto la tirannide non si può aver moglie né figli e l'uomo giunge ad amare smodatamente solo se stesso. Nel secondo libro esamina come si può sopportare la tirannide e come liberarsene, senza peraltro indicare quale governo potrebbe succedere, ché al suo pensiero non era dato spingersi oltre questa appassionata rivendicazione della libertà, senza la quale non v'è vera patria e all'uomo degno non resta che pensare, dire, scrivere.

"Del principe e delle lettere" (1786).Trattato in tre libri, ideato nel 1778, svolto in più tempi fino al 1786, pubblicato nel 1789 a Kehl (Baden). In esso l'Alfieri, riprendendo in parte la materia del secondo libro Della tirannide svolge ampiamente il problema dei rapporti fra il principe e lo scrittore, e delinea i motivi essenziali della propria poetica e del proprio credo morale e politico. Dopo aver dimostrato come fra il principe e il letterato non possa esservi alcuna compatibilità e come quindi sia da respingersi ogni forma di mecenatismo, egli traccia la figura ideale del libero scrittore, concepito come un creatore, che possiede la "scienza dell'uomo", che è impegnato nella sua opera con la sua totalità di uomo, e nelle cui mani la penna può diventare un potente strumento d'azione. Il trattato termina, come il Principe del Machiavelli, con un capitolo intitolato Esortazione a liberar l'Italia dai barbari, nel quale l'Alfieri guarda alla futura Italia libera con una fiducia che non ritorna in nessun'altra sua opera.

Vita scritta da esso, autobiografia divisa in quattro epoche di complessivi sessantun capitoli. Scritta di getto a Parigi, in parte sulla base dei Giornali, nei quali lo scrittore aveva annotato i casi della sua vita, e condotta fino al 1790, ebbe la sua continuazione e conclusione nel 1803 e reca nell'ultimo capitolo come data finale: 14 maggio. Ce ne è giunta anche una prima importante redazione pubblicata solo di recente. Nei cinque capitoli dell'epoca prima sono narrati episodi di "nove anni di vegetazione", dalla nascita a quando il poeta fu "ingabbiato" nell'Accademia di Torino; nei dieci capitoli dell'epoca seconda gli "otto anni di ineducazione", dall'ingresso nell'accademia al primo viaggio per l'Italia; nei quindici capitoli dell'epoca terza il decennio di viaggi e dissipazioni dal 1766 al 1775; nei trentun capitoli dell'epoca quarta il trentennio circa dedicato alla creazione poetica e agli studi, confortato dal "degno amore" per la contessa d'Albany. Pur legandosi alla letteratura memorialistica in auge nel Settecento, l'Alfieri concepì la sua autobiografia come un esame di coscienza, fortemente drammatizzato, secondo una concezione plutarchiana della missione dello scrittore impegnato nella conquista della sua libertà interiore, ma anche con felicissimi abbandoni, specialmente nelle prime due epoche, all'incanto della memoria. La Vita è l'opera in prosa più geniale e artisticamente complessa dell'astigiano, e uno dei capolavori della pur ricca memorialistica moderna.

Il "Misogallo" opera il cui titolo significa "odio contro i Galli". Vi sono raccolte cinque prose (Alla passata presente e futura Italia, Ragione dell'opera, Traduzione delle ultime parole pronunziate dal Re Luigi XVI innanzi la Convenzione Nazionale al dì 11 dicembre 1792, Dialogo fra un uomo libero e un liberto, Dialogo fra l'ombre di Luigi XVI e di Robespierre), 46 sonetti, 63 epigrammi, 1 ode, 30 epigrafi, composti fra il 1789 e il 1798; fu pubblicata postuma. L'Alfieri dà qui libero sfogo al suo odio contro i Francesi, riaffermando il proprio ideale di libertà, tradito ai suoi occhi da coloro che l'avevano proclamato. Isolato nel suo atteggiamento sdegnoso, egli dimostra pari odio contro i Francesi e contro i loro nemici, e può distaccarsi dalla violenta polemica solamente in pochi momenti in cui si affaccia alla sua mente la visione di una futura Italia unita.

Le "Rime" Divise in due parti, la prima pubblicata nel 1789 e la seconda postuma nel 1804, comprendono fra sonetti, canzoni, epigrammi, capitoli in terzine e stanze 351 componimenti, scritti dal 1776 al 1799. Ultima in ordine di tempo, e concepita come un congedo dalla poesia, è una sorta di canzone pindarica intitolata Teleutodia, ossia l'ultimo canto. A parte alcuni vigorosi epigrammi, il metro più congeniale all'Alfieri lirico fu il sonetto. Meno convincenti sono quelli d'amore, composti in giovinezza e giudicati dall'autore stesso semplici esercitazioni letterarie; ma anche l'amore per la contessa d'Albany gli ispirò una poesia più sua dove egli trattò il tema della lontananza dalla donna dando accento drammatico a quel sentimento della solitudine che sentiva come una condanna, ma, al tempo stesso, come segno della propria superiorità morale e intellettuale. Nella seconda parte delle Rime più che la ricerca di temi nuovi (da notare però l'insistenza con cui ritorna il pensiero della morte), importa la tendenza a dare forma sentenziosa e contenuta ai temi espressi drammaticamente nelle liriche della prima parte.

Le commedie sono sei e tutte prive di valore artistico. Due sono di argomento moralistico ("Finestrina" e "Divorzio") e quattro di argomento politico: "L'Uno" (contro il governo assolutistico), "I Pochi" (contro il governo oligarchico), "I Troppi" (contro la demagogia dei governi popolari) e "l'Antidoto" (nella quale approva, come forma di governo accettabile, quella monarchico-costituzionale).

Le "Satire" sono sette e sono rivolte contro i cicisbei, la tirannide dei sovrani assoluti o della plebaglia inferocita, la filosofia illuministica, la pedanteria dei critici letterari, ecc.



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it