Tra
le sue numerose opere sono da ricordare due trattati che esaltano la
libertà e rivendicano l'indipendenza degli artisti dal potere politico
(contro il mecenatismo):
"Della
tirannide" (1777) Trattato in due libri, composto nel 1777,
riveduto fra il 1786 e il 1789, pubblicato nel 1789 a Kehl, nel Baden. Nel
primo libro l'Alfieri esamina la tirannide come si è costituita in
Europa, da un punto di vista non tanto storico-giuridico quanto
etico-politico, e, attraverso acute analisi psicologiche (si può dire che
sono qui sintetizzate le situazioni delle tragedie), ne addita la base
nella paura sia del tiranno sia dei sudditi, gli strumenti nella milizia e
nella religione, i sostegni nel falso onore, nella nobiltà e nel lusso;
afferma che sotto la tirannide non si può aver moglie né figli e l'uomo
giunge ad amare smodatamente solo se stesso. Nel secondo libro esamina
come si può sopportare la tirannide e come liberarsene, senza peraltro
indicare quale governo potrebbe succedere, ché al suo pensiero non era
dato spingersi oltre questa appassionata rivendicazione della libertà,
senza la quale non v'è vera patria e all'uomo degno non resta che
pensare, dire, scrivere.
"Del
principe e delle lettere" (1786).Trattato in tre libri, ideato
nel 1778, svolto in più tempi fino al 1786, pubblicato nel 1789 a Kehl (Baden).
In esso l'Alfieri, riprendendo in parte la materia del secondo libro Della
tirannide svolge ampiamente il problema dei rapporti fra il principe e lo
scrittore, e delinea i motivi essenziali della propria poetica e del
proprio credo morale e politico. Dopo aver dimostrato come fra il principe
e il letterato non possa esservi alcuna compatibilità e come quindi sia
da respingersi ogni forma di mecenatismo, egli traccia la figura ideale
del libero scrittore, concepito come un creatore, che possiede la
"scienza dell'uomo", che è impegnato nella sua opera con la sua
totalità di uomo, e nelle cui mani la penna può diventare un potente
strumento d'azione. Il trattato termina, come il Principe del Machiavelli,
con un capitolo intitolato Esortazione a liberar l'Italia dai barbari, nel
quale l'Alfieri guarda alla futura Italia libera con una fiducia che non
ritorna in nessun'altra sua opera.
Vita scritta da
esso, autobiografia divisa in quattro epoche di complessivi
sessantun capitoli. Scritta di getto a Parigi, in parte sulla base dei
Giornali, nei quali lo scrittore aveva annotato i casi della sua vita, e
condotta fino al 1790, ebbe la sua continuazione e conclusione nel 1803 e
reca nell'ultimo capitolo come data finale: 14 maggio. Ce ne è giunta
anche una prima importante redazione pubblicata solo di recente. Nei
cinque capitoli dell'epoca prima sono narrati episodi di "nove anni
di vegetazione", dalla nascita a quando il poeta fu
"ingabbiato" nell'Accademia di Torino; nei dieci capitoli
dell'epoca seconda gli "otto anni di ineducazione",
dall'ingresso nell'accademia al primo viaggio per l'Italia; nei quindici
capitoli dell'epoca terza il decennio di viaggi e dissipazioni dal 1766 al
1775; nei trentun capitoli dell'epoca quarta il trentennio circa dedicato
alla creazione poetica e agli studi, confortato dal "degno
amore" per la contessa d'Albany. Pur legandosi alla letteratura
memorialistica in auge nel Settecento, l'Alfieri concepì la sua
autobiografia come un esame di coscienza, fortemente drammatizzato,
secondo una concezione plutarchiana della missione dello scrittore
impegnato nella conquista della sua libertà interiore, ma anche con
felicissimi abbandoni, specialmente nelle prime due epoche, all'incanto
della memoria. La Vita è l'opera in prosa più geniale e artisticamente
complessa dell'astigiano, e uno dei capolavori della pur ricca
memorialistica moderna.
Il "Misogallo"
opera il cui titolo significa "odio contro i Galli". Vi sono
raccolte cinque prose (Alla passata presente e futura Italia, Ragione
dell'opera, Traduzione delle ultime parole pronunziate dal Re Luigi XVI
innanzi la Convenzione Nazionale al dì 11 dicembre 1792, Dialogo fra un
uomo libero e un liberto, Dialogo fra l'ombre di Luigi XVI e di
Robespierre), 46 sonetti, 63 epigrammi, 1 ode, 30 epigrafi, composti fra
il 1789 e il 1798; fu pubblicata postuma. L'Alfieri dà qui libero sfogo
al suo odio contro i Francesi, riaffermando il proprio ideale di libertà,
tradito ai suoi occhi da coloro che l'avevano proclamato. Isolato nel suo
atteggiamento sdegnoso, egli dimostra pari odio contro i Francesi e contro
i loro nemici, e può distaccarsi dalla violenta polemica solamente in
pochi momenti in cui si affaccia alla sua mente la visione di una futura
Italia unita.
Le "Rime"
Divise in due parti, la prima pubblicata nel 1789 e la seconda postuma nel
1804, comprendono fra sonetti, canzoni, epigrammi, capitoli in terzine e
stanze 351 componimenti, scritti dal 1776 al 1799. Ultima in ordine di
tempo, e concepita come un congedo dalla poesia, è una sorta di canzone
pindarica intitolata Teleutodia, ossia l'ultimo canto. A parte alcuni
vigorosi epigrammi, il metro più congeniale all'Alfieri lirico fu il
sonetto. Meno convincenti sono quelli d'amore, composti in giovinezza e
giudicati dall'autore stesso semplici esercitazioni letterarie; ma anche
l'amore per la contessa d'Albany gli ispirò una poesia più sua dove egli
trattò il tema della lontananza dalla donna dando accento drammatico a
quel sentimento della solitudine che sentiva come una condanna, ma, al
tempo stesso, come segno della propria superiorità morale e
intellettuale. Nella seconda parte delle Rime più che la ricerca di temi
nuovi (da notare però l'insistenza con cui ritorna il pensiero della
morte), importa la tendenza a dare forma sentenziosa e contenuta ai temi
espressi drammaticamente nelle liriche della prima parte.
Le commedie sono sei e tutte prive di
valore artistico. Due sono di argomento moralistico
("Finestrina" e "Divorzio") e quattro di argomento
politico: "L'Uno" (contro il governo assolutistico), "I
Pochi" (contro il governo oligarchico), "I Troppi" (contro
la demagogia dei governi popolari) e "l'Antidoto" (nella quale
approva, come forma di governo accettabile, quella
monarchico-costituzionale).
Le "Satire" sono sette e
sono rivolte contro i cicisbei, la tirannide dei sovrani assoluti o della
plebaglia inferocita, la filosofia illuministica, la pedanteria dei
critici letterari, ecc.