CRITICA LETTERARIA: DANTE

 

Luigi De Bellis

 
 
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La tradizione agiografica e la "Vita Nuova"
di V. BRANCA



La Vita Nuova non va tanto spiegata con la tradizione della lirica amorosa di Francia e di Provenza, né con i trattati medievali sull'amore e sull'amicizia, ma piuttosto con le biografie dei santi così diffuse in tutta la cultura del tempo. Questa proposta critica dà ragione degli aspetti celebrativi dell'opera e dello stesso procedimento che Dante attua di elevazione della donna a partecipe della divinità.

Nell'immagine di Beatrice, che domina i tre momenti decisivi della sua opera (Vita Nuova, Convivio, Divina Commedia), Dante ha voluto rappresentare esemplarmente la forza spirituale che deve sollecitare ogni uomo nell'itinerario della sua vita. Dall'amore carnale e dalla passione, figurati, all'inizio della Vita Nuova, si giunge negli ultimi capitoli alle espressioni dell'amore più elevato e divino, della caritas: quelle che rinvigorite dalle esperienze intellettuali del Convivio si sublimeranno nella Divina Commedia.

Ma già nel libretto giovanile, nel suo stessa titolo, quell'itinerario è chiaramente indicato. La « vita nuova » che Dante vuole scrivere attingendo al « libro de la memoria » è la storia del suo rinnovamento interiore. E' quella «vita nuova» che proprio in questo senso era stata cantata dal Salmista, proclamata appassionatamente da S. Paolo («in novitate vitae ambulemus»), legata poeticamente da S. Agostino e dai Vittorini al concetto stesso di uno «stile nuovo» («Canticum novum... vita nova»).

L'ideale e allusiva biografia di Beatrice vuole soprattutto rappresentare il «miracolo» operato sugli uomini, e in particolare su un uomo, da questa donna appunto «venuta da cielo in terra a miracol mostrare» (XXVI). Per delineare questa vita mirabile e beatificante Dante, nel suo noviziato di scrittore, aveva certo presenti modelli chiari e suggestivi. Non erano - come troppo esclusivamente è stato detto finora - i languidi o sensuali sospiri della lirica d'oltralpe e nostra, non erano i trattati medievali de amicitia. Erano gli unici testi del «genere biografico» correnti allora: le vite e le «legende» dei santi e delle sante, stilizzate nell'agiografia più divulgata. A chi voleva esaltare nell'amata una « donna de la salute» «piena di grazia» «reina de le virtudi» «distruggitrice di tutti li vizi», a chi voleva con novità ardita cantare Madonna ormai morta ed esaltarne la forza salutifera proprio in grazia della morte, dovevano naturali e suggestivi ricorrere alla mente i profili candidi e luminosi delle soavi ed eroiche donne fattesi «specula Christi», proprio come erano stati tracciati da quegli agiografi, devoti alluminatori di «vite nuove»: ad esempio quelli di S. Chiara, la prima discepola di S. Francesco, di S. Margherita, la sublime mistica cortonese, della beata Umiliana de' Cerchi e di S. Giuliana Falconieri, che si erano mosse nell'ambiente stesso di Beatrice (anzi Giuliana era imparentata proprio coi Portinari).

Tre note segnano l'avvio di quelle ieratiche «legende»: la pia e compiaciuta considerazione etimologica del nome da cui si traggono auspici di santità (Margherita è «margarita margaritarum», Chiara è «chiarezza del Perfetto Luce... chiara di nome e di virtú»), il senso non di nascita ma di apparizione e di «epifania» sottolineato dalla ripresa di una antifona della liturgia natalizia («Apparuit benignitas et beatitudo...»), l'impressione di miracolo vivente su questa terra («sembrava alla madre di aver partorito un'angiola non una figlia» è scritto di Giuliana; «era ricercata per contemplare in lei un miracolo» si dice di Margherita). Sono proprio i tre motivi che caratterizzano la presentazione di Beatrice nel II capitolo della Vita Nuova: «... chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare», « Apparuit iam beatitudo vestra», «quest'angiola... non parca figliuola d'uomo mortale ma di Deo» (e poi: «venuta da cielo in terra a miracol mostrare»).

La vita si svolge poi per queste sante, come per Beatrice, tutta regolata su moduli allusivi ternari e nonari. anzi, appunto a nove anni è stabilita per loro la prima rivelazione, quando, come Cristo fanciullo, crescono «in grazia... de le genti»: crescono «vestite d'umiltà», «viole piene d'odor d'umiltà» come Beatrice, «d'umiltà vestuta».

La fama di queste «reine delle virtudi» attrae l'ammirazione non solo dei vicini ma anche dei lontani, proprio come.quella di Beatrice («da ogni parte accorrevano per vedere lei»: «le persone correvano per veder lei»). E tale è l'ardenza spirituale e beatificante che «De li occhi suoi, come ch'ella li mova / escono spirti d'amore infiammati»; proprio come Chiara: «sembrava che dai suoi occhi emettesse scintille infiammate dell'amore del suo cuore» (XXX). Tale è la purezza di Beatrice che «li occhi no l'ardiscon di guardare... E par che de la sua labbia si mova / un spirito soave pien d'amore, / che va dicendo all'anima: sospira»; come la luminosa castità della beata Taore il cui «volto e bellezza facevano abbassare gli occhi di chiunque la guardava... e usciva dal suo volto una virtú dolcissima d'amore che traeva a sé tutto il cuore dell'uomo».

La santità mirabile di questi angeli in terra può sorridere così anche ai malvagi, può fare entrare nei loro cuori una stilla di tenerezza e un raggio di luce: fa intravedere, come quella di Beatrice, ai «malnati... la speranza dei beati»: «Ti feci - dice Cristo a Margherita - luce nelle tenebre, speranza dei malnati... affinché la mia misericordia si dimostri».

Questi e simili moduli, splendidi e consolanti, decorano sino alla fine insieme la Vita Nuova e quelle «legende» dorate. Il ritorno in cielo di Beatrice è preannunciato da un lutto familiare (la morte del padre: e dal sogno premonitore del suo fedele: XXIII); proprio come quello di Chiara e quello di Giuliana dalla morte della madre e dalla visione di una devota che «stando con molte lacrime» come Dante, ha il presagio funesto. Ma più direttamente la morte è prelusa, anzi invocata, per Beatrice e per quelle sante dagli angeli e dal cielo. La sacra rappresentazione che si svolge nella più famosa delle canzoni della Vita Nuova: «Angelo clama in divino intelletto... Lo cielo che non have altro difetto / che d'aver lei al suo Signor la chiede / e ciascun santo ne grida merzede», è anticipata puntualmente in quei testi devoti: «suplimare la povera pellegrina Chiara nel superno regno già accelera la corte degli angeli; desidera già lei...»; « tutta la corte celeste sollecita il giorno del transito [ di Margherita] ... chiede che sia affrettata la sua elevazione dalla terra».

Ma per Beatrice, come per quelle sante, la fine non è uno sfacimento, ma un trionfo celeste: «e vedea, che parean pioggia di manna, li angeli che tornavan suso in cielo. E una nuvoletta avean davanti» (l'anima di Beatrice); «e un frate... vide l'anima sua Chiara, come stella lucente, circondata da una nuvoletta bianchissima, portata ritta in cielo dagli angeli».

E dopo questa assunzione si allargano in quelle «legende» tutta una serie di visioni celesti, fino a rapimenti estatici: proprio come lo svolgimento della Vita Nuova dopo la scomparsa di Beatrice è un mistico itinerario sino alla visione ultraterrena delle righe estreme, che preannuncia direttamente la Divina Commedia e la sua conclusione nella contemplazione dell'«Amor che move il sole e l'altre stelle».

Vari poeti, prima di Dante, avevano stabilito e cantato, più o meno madrigalescamente la sequenza, anzi la discendenza da Dio alla donna sua creatura, al poeta devoto della donna; ma nessuno ancora aveva osato rovesciarla e delineare l'ascensione dal poeta, alla donna, a Dio. Nessuno, se non i devoti scrittori di «legende» e di laudi, aveva impostato la sua opera di esaltazione e di lode soltanto dopo che la morte era intervenuta; nessuno, se non quegli assorti narratori di santità, aveva identificato nella morte l'inizio di una «vita nuova». Fisso a questa aurea tradizione Dante, quando volle scrivere per la prima volta della donna che gli era apparsa come «miracolo», che aveva suscitato in lui una «vita nuova», delineò chiaramente e volutamente una «legenda di Santa Beatrice».

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it