CRITICA LETTERARIA: DANTE

 

Luigi De Bellis

 
 
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Dante poeta del Medioevo
di F. DE SANCTIS



Per il De Sanctis la Commedia è il monumento epico del Medioevo, quel Medioevo che il critico romantico concepiva come dominato da astratte concezioni teologiche. Di qui dipendono, sempre secondo il critico, gli aspetti caduchi dell'opera dantesca, mentre la novità e la forza di questa poesia consistono nella suprema capacità di impossessarsi della realtà e della storia.

Che cosa è dunque la Commedia? È il medio evo realizzato, come arte, malgrado l'autore e malgrado i contemporanei. E guardate che gran cosa è questa! Il medio evo non era un mondo artistico, anzi era il contrario dell'arte. La religione era misticismo, la filosofia scolasticismo. L'una scomunicava l'arte, abbruciava le immagini, avvezzava gli spiriti a staccarsi dal reale. L'altra viveva di astrazioni e di formole e di citazioni, drizzando l'intelletto a sottilizzare intorno a nomi e alle vacue generalità che si chiamavano «essenze». Gli spiriti erano tirati verso il generale, più disposti a idealizzare che a realizzare: ciò che è proprio il contrario dell'arte. Ne' poeti semplici trovi il reale rozzo, senza formazione, come nei misteri, nelle visioni, nelle leggende. Nei poeti solenni trovi una forma o crudamente didascalica o figurativa e allegorica. L'arte non era nata ancora. C'era la figura; non c'era la realtà niella sua libertà e personalità.

Dante raccoglie da' misteri la commedia dell'anima, e fa di questa storia il centro di una sua visione dell'altro mondo. Tutta questa rappresentazione non è che senso letterale: la visione è allegorica, i personaggi sono figure e non persone; ma ciò che è attivo nel suo spirito lo porta verso la figura e non verso il figurato. La sua natura poetica, tirata per forza nelle astrattezze teologiche e scolastiche, ricalcitra e popola il suo cervello di fantasmi, e lo costringe a concretare, a materializzare, a formare anche ciò che è più spirituale e impalpabile, anche Dio. Quel mondo letterale lo ammalia, lo perseguita, lo assedia e non posa che non abbia ricevuta la sua forma definitiva e non è più lettera ma è spirito, non è più figura ma è realtà; è un mondo in sé compiuto e intelligibile, perfettamente realizzato. Visione e allegoria, trattato e leggenda, cronache, storie, laude, inni, misticismo e scolasticismo, tutte le forme letterarie e tutta la cultura dell'età sta qui dentro inviluppata e vivificata, in questo gran mistero dell'anima o dell'umanità; poema universale, dove si riflettono tutti popoli e tutti i secoli che si chiamano il «medio evo».

Ma questo mondo artistico, uscito da una contraddizione tra l'intenzione del poeta e la sua opera, non è compiutamente armonico, non è schietta poesia. La falsa coscienza poetica disturba l'opera di quella geniale spontaneità, e vi gitta dentro un tentennare, un non so che di mal sicuro e di non compiuto, una mescolanza e crudezza di colori. E pensiero, ora nella sua crudità scolastica, ora abbellito d'immagini che pur non bastano a vincere la sua astrattezza, vi ha troppo gran parte. Le sue figure allegoriche ricordano talora più i mostri orientali che la schietta bellezza greca; personificazioni astratte, anzi che persone conscie e libere. Preoccupato del secondo senso che ha in mente, spesso gli escono particolari estranei alla figura, che turbano e distraggono il lettore e gli rompono l'illusione. La presenza perenne di un altro senso, che aleggia al di sopra della rappresentazione ed introducevisi a quando a quando, ne turba la chiarezza e l'armonia. Anche lo stile, inviluppato alcuna volta in rapporti lontani e sottili, perde la sua lucidità e riesce intralciato e torbido.

Non è un tempio greco: è un tempio gotico, pieno di grandi ombre, dove contrari elementi pugnano, non bene armonizzati.

Ora rozzo, ora delicato. Ora poeta solenne, ora popolare. Ora perde di vista il vero e si abbandona a sottigliezze, ora lo intuisce rapidamente e lo esprime con semplicità. Ora rozzo cronista, ora pittore finito. Ora si perde nelle astrattezze, ora di mezzo a quelle fa germogliare la vita. Qui cade in puerilità, là spicca il volo a sopraumane altezze. Mentre tiene dietro a un sillogismo, brilla la luce dell'immagine; e mentre teologizza, scoppia la fiamma del sentimento. Talora ti trovi innanzi ad una fredda allegoria, quando tutto ad un tratto vi senti dentro tremare la carne. Talora la sua credulità ti fa sorridere, talora la sua audacia ti fa stupire. Fu un piccolo mondo, dove si rifletteva tutta l'esistenza, com'era allora. 1 contrari elementi, che fermentavano in una società ancora nello stato di formazione, contendevano in lui, e senza che ne avesse coscienza. Se guardi alle sue aspirazioni, tutto è armonia. Filosofo, pensa il regno della scienza e della virtú. Cristiano, contempla il regno di Dio. Patriota, sospira al regno della giustizia e della pace. Poeta, vagheggia una forma tutta luce e proporzione e armonia, «lo bello stile»: il suo autore è Virgilio. Maggiore era la barbarie e la rozzezza, e più si vagheggiava un mondo armonico e concorde. Ma il poeta è inviluppato egli medesimo in quella rozza realtà e in quelle forme discordi; e ne sente la puntura, e gli manca la serenità dell'artista. E gli esce dalla fantasia un mondo dell'arte in gran parte realizzato, ma dove pur trovi gli angoli e le scabrosità di una materia non perfettamente doma.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it