CRITICA LETTERARIA: DANTE

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

La tradizione agiografica e la "Vita Nuova"

L'esperienza delle "Rime"

Il "Convivio"

La coscienza della lingua nel "De vulgari Eloquentia"

Il "Monarchia" di Dante

La "fedeltà" di Dante

Dante, poeta del Medioevo

La cultura del tempo di Dante

Introduzione alla poesia della "Commedia"

Struttura e poesia nella "Commedia"

L'interpretazione "figurale" della "Commedia"

La "complessità" della "Commedia"

Il "duplice" viaggio di Dante

Universalità ed evidenza della poesia dantesca: la lingua e l'allegoria

La realtà terrena della "Commedia"

Cronaca e storia nella "Commedia"

Il "Paradiso" come epica della grazia

L'ultima pagina della "Commedia"


Iscriviti alla mailing list di Letteratura Italiana: inserendo la tua e-mail verrai avvisato sugli aggiornamenti al sito


Iscriviti
Cancellati





 


Universalità ed evidenza della poesia dantesca: la lingua e l'allegoria
di T. S. ELIOT



Il grande poeta e saggista indica qui le ragioni della chiarezza della poesia dantesca: da usa lato, l'uso di una lingua direttamente nata dal latino medievale, che era lingua comune della cultura e dello spirito europeo; dall'altro, l'uso del, metodo allegorico, che è per Eliot uno dei procedimenti costitutivi della poesia, alla quale conferisce evidenza di immagini e ricchezza di significati.

Quel che appare sorprendente circa la poesia di Dante è che essa, in un certo senso, è assai facile a leggersi. Non intendo dire che scriva un italiano molto semplice, perché accade proprio il contrario, o che il suo contenuto è semplice o sempre semplicemente espresso, ma spesso è rappresentato con tale forza di condensazione che, per esser spiegati, tre versi richiedono un paragrafo, e le loro allusioni una pagina di commento. Quel che intendo dire, è che Dante è il più universale dei poeti di lingua moderna. Il che non vuol dire che è «il più grande», o che è il più comprensivo: c'è più grande varietà e particolarità in Shakespeare. L'universalità di Dante non è solo un fatto personale. L'italiano, e specialmente quello dell'età di Dante, molto acquista dall'essere l'immediata derivazione del latino universale. C'è alcun che di più locale nella lingua in cui si espressero Shakespeare e Racine. Tuttavia questo non significa che l'inglese o il francese siano inferiori all'italiano, come mezzi di poesia, ma il volgare italiano dell'ultimo medio evo era ancora molto vicino al latino come espressione letteraria perché uomini come Dante, che lo adoperavano, erano stati ammaestrati, in filosofia e in tutte le scienze astratte, col latino medioevale. Ora il latino medioevale era una bellissima lingua; con essa si scriveva una bella prosa e una bella poesia, ed aveva la qualità di un esperanto letterario altamente sviluppato. Quando leggiamo la filosofia moderna, in inglese, francese, tedesco, e in italiano, siamo subito colpiti dalle differenze di pensiero nazionali e di razza: le lingue moderne tendono a separare il pensiero astratto (la matematica è ora la sola lingua universale); ma il latino medioevale tendeva a concentrare quel che pensavano uomini di varie razze e paesi.

L'italiano di Dante, sebbene in modo essenziale italiano d'oggi, non è per questo una lingua moderna. La cultura di Dante non apparteneva ad un solo paese europeo ma all'Europa; l'italiano di Dante è più vicino nel significato al latino medioevale, e fra i filosofi medioevali che Dante lesse, e che erano letti pure dai dotti del suo tempo, c'erano, per esempio, S. Tommaso che era italiano, Alberto predecessore di S. Tommaso, che era tedesco, Abelardo che era francese, Ugo e Riccardo di San Vittore che erano scozzesi.

Ma la semplicità di Dante ha un'altra ragione specifica. Egli non solo pensava in un modo in cui ogni uomo della sua cultura nell'intera Europa allora pensava, ma usava un metodo che era comune e comunemente compreso in tutta l'Europa. Non intendo entrare nell'argomento delle contestate interpretazioni dell'allegoria dantesca. Quel che importa al mio scopo è il fatto che il metodo allegorico era un metodo ben determinato non limitato all'Italia; e il fatto, in apparenza paradossale, che il metodo allegorico genera semplicità e intelligibilità. Noi tendiamo a considerare l'allegoria come un noioso indovinello. Tendiamo ad associarla con scialbi poemi (nel migliore dei casi, al Roman de la Rose), e ad ignorarla come irrilevante in un gran poema. Quel che noi non conosciamo è, in un caso come quello di Dante, il suo speciale effetto di chiarezza di stile.

Non raccomando, alla prima lettura, il primo canto dell'Inferno che stanca con l'identità della Lonza, del Leone o della Lupa. In realtà è meglio, all'inizio, di non sapere o curarsi che cosa significhino. Quel che considereremo non è tanto il significato delle immagini, quanto il processo contrario, cioè quel che porta un uomo che ha un'idea ad esprimerla con immagini. Dobbiamo considerare il tipo di mente che per natura e per pratica tendeva ad esprimersi con l'allegoria; e per un poeta competente, allegoria significa chiare immagini visive. E le chiare immagini visive ricevono assai più intensità dal fatto d'avere un significato - non è necessario che noi sappiamo quale sia questo significato, ma nella nostra consapevolezza dell'immagine dobbiamo accorgerci che c'è pure il significato. L'allegoria è solo uno dei metodi della poesia, ma è un metodo che offre molti grandi vantaggi.

L'immaginazione di Dante è visiva. È visiva in un senso diverso da quella d'un pittore moderno di nature morte: è visiva in quanto egli viveva in un'età in cui gli uomini avevano ancora visioni. È un abito psicologico, un vezzo che abbiamo dimenticato, ma buono come qualcuno dei nostri. Noi non abbiamo altro che sogni, e abbiamo dimenticato che l'aver visioni - una pratica ora relegata agli anormali e agli illetterati - una volta era un modo di sognare più significativo, interessante e disciplinato. Noi riteniamo come concesso che i nostri sogni provengono più dal profondo e in conseguenza forse la qualità di essi ne soffre.

Quel che pretendo dal lettore, a questo punto, è di liberarsi la mente, se può, da ogni preconcetto contro l'allegoria, e ammettere almeno che essa non era un espediente per mettere in grado i non ispirati di scrivere versi, ma davvero un abito mentale, che quando veniva elevato all'altezza del genio. poteva produrre un gran poeta come un gran mistico o un gran santo. Ed è l'allegoria che rende possibile al lettore, che non sia neppure un buon italianista, di gustare Dante. Varia la lingua, ma i nostri occhi restan gli stessi. E l'allegoria non era una consuetudine italiana locale, ma era un metodo europeo universale.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it