CRITICA LETTERARIA: DANTE

 

Luigi De Bellis

 
 
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Il "Convivio"
di B. TERRACINI



L'esame del quarto trattato permette al Terracini di indicare il carattere di universalità che già il Convivio possiede, pur nella varietà dei temi e delle argomentazioni, anticipando così quell'espressione totale dello spirito e del sapere umano che si compie nella Commedia.

Si discusse a lungo per immaginare che cosa avrebbe contenuto il trattato secondo il disegno di Dante e i rimandi che egli fa. Da una parte si pensò allo schema di un vero e proprio trattato, se non dei vizi e delle virtù, come usava, per lo meno delle «virtù attive» (fortezza, temperanza, liberalità, ecc.). Dall'altra fra le canzoni dottrinali di Dante si cercarono quelle che, o per allusioni, o per la materia, avrebbero dovuto far parte dell'opera.

La discussione è importante per noi perché conferma quel carattere vivo di scienza vissuta e di esperienza che è il fondamento del Convivio. Non espressione di scienza pura, ma scienza viva legata intimamente a un sentimento di moralità.

Ardore di beneficare il lettore con il suo scritto, soprattutto sdegno contro il male e gli ignavi, già fanno capolino nel primo libro; ma sono elementi che si sviluppano in tutto il loro vigore nel IV del Convivio, dove, nei primi paragrafi, si aggiunge il cenno politico all'Imperatore e alla Storia di Roma che preludono alla Monarchia e alla Commedia. Insomma il mondo interiore di Dante nel Convivio è immensamente più complesso che nella Vita Nuova e annunzia decisamente quello della Commedia. Chi sostiene che il Convivio è rimasto interrotto perché Dante sentì l'esigenza di una più alta espressione di ciò che aveva nell'animo, ha torto, se pretende di opporre il Convivio come prosa, alla Commedia come poesia; ma ha pure ragione nel senso che la Commedia sale ad una tensione espressiva più alta. Nella Commedia, per es., Dante assume la funzione di vate; e il tono profetico pervade tutto il poema; nel Convivio esso certo non manca, ma è strettamente limitato al terreno formale dell'espressione.

Non solo da questo punto di vista il IV del Convivio è di importanza capitale per comprendere lo spirito di tutta l'opera. Esso intanto, nonostante la permanenza dello schema di commento alla canzone, riveste, tanto come il I, il carattere e la struttura di un trattato.
I primi paragrafi sono di carattere espositivo e riconoscono ampiamente l'autorità dell'imperatore cui Dante non vien meno se si dispone a confutare la sentenza d'uno di essi: che la nobiltà si ha per nascita e ricchezze. Segue la confutazione di questa sentenza. Viene poi la ricerca di che cosa sia la nobiltà, la quale porta che Dante si addentri nella teoria dell'anima umana e delle sue disposizioni e dell'appetito naturale alla virtù, in cui appunto la nobiltà consiste. A sostegno della sua tesi Dante si dilunga nel descrivere il vario aspetto di questa tendenza insita nell'uomo attraverso le sue quattro età. Il trattato si chiude con la confutazione di alcune possibili obbiezioni.

Ma oltre alla saldezza della strutturazione, molte pagine di questo libro sono atte a mettere in evidenza quella totalità unica dello spirito dantesco nella quale i motivi più diversi: scienza e poesia, terra e cielo, ardore e sdegno morale, e quindi le attitudini più diverse: di contemplazione, di ricerca, di dimostrazione, di racconto, ecc., confluiscono e si fondono in una armonia unica che costituisce il fascino e ad un tempo l'oscurità dello spirito dantesco; nel Convivio già come nella Commedia vi è l'espressione di un'universalità fatta di riposte armonie e atteggiata ad ogni momento a così diversi aspetti (trasmutabile son per tutte guise), che il rappresentarla con una formula che sia comprensiva e concreta ad un tempo è ricerca necessaria ai fini di un'analisi stilistica e linguistica, ma difficilissima. Come esempio di questa continua varietà di motivi intimamente armonizzati e sfumati l'uno nell'altro può valere la pagina dove è descritta la serenità della vecchiezza saggia e virtuosa e l'aspettazione della beatitudine eterna (Convivio, IV, XXVIII, 3-13): pagina nella quale i commentatori videro a ragione come un presagio degli ultimi canti del Paradiso.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it