1984: Craxi, Berlusconi e i pretori

16 ottobre 1984: il resoconto degli accadimenti che cambieranno per sempre la televisione italiana, scritto magistralmente da Giuseppe Fiori, già biografo di Antonio Gramsci e capogruppo della sinistra indipendente nella commisione parlamentare di vigilanza RAI per tre legislature.

Il 1° decreto Berlusconi

Martedì 23 ottobre si riunirà alla Camera il comitato ristretto che lavora alla riduzione a un testo unitario dei progetti di legge sull'emittenza commerciale presentati da diversi partiti (non democristini nè socialisti). E se, di fronte al fatto nuovo delle interconnessioni disattivate, le forze politiche sinora irremovibili nel blocco di qualsiasi iniziativa di regolamentazione avessero cambiato idea e si fossero persuase che ormai un sistema di regole converrebbe anche alla Fininvest, e il governo venisse alla riunione con una sua proposta? Qualcuno ci spera, ma sbaglia. Intervistato dal «Corriere della Sera» il martedì dei decreti pretorili, neanche nell'emergenza Berlusconi è parso disponibile a rinunziare ai vantaggi del regime che il garante dell'editoria Giuseppe Santaniello ha definito di a-regulation. Domanda Paolo Calcagno: «Pensa che questo caso condurrà finalmente a una svolta nella regolamentazione per le televisioni private?». Divagante la risposta: «Penso che il seguito del caso dovrà essere sostenuto dall'opinione pubblica, dall'incontro tra stampa e Paese reale, e penso che i politici debbano giungere a cose concludenti nell'interesse della gente».

La «ggente». A Berlusconi preme la revoca immediata della proibizione di trasmettere su scala nazionale, nient'altro. La legge gli va storta per due motivi. Primo, richiede tempo — settimane, mesi — e intanto c'è il rischio d'un allineamento d'altri pretori sulla decisione dei primi tre: i grandi inserzionisti potrebbero ritirarsi, e ciò proprio nel momento in cui ha comprato Retequattro svenandosi. Secondo, una legge conterrà verosimilmente misure antitrust, trasparenza della proprietà, non più di tot reti, la pubblicità vincolata. Accettabile? Il liberismo a la facon de Berlusconi è l'inesistenza dei limiti e dei controlli.

Craxi, che ha ricevuto l'imprenditore amico a Palazzo Chigi mercoledì pomeriggio, è in partenza per Londra, in visita di Stato. Vorrebbe veder chiuso il caso alla svelta. Ha chiesto al ministro delle Poste Gava un provvedimento urgente anti-pretori. Ma vi sono resistenze, la maggioranza è divisa, da una parte la linea Gelli-Berlusconi-Craxi («dissolvere la rai in nome della libertà d'antenna ex art. 21 Costituzione»), dall'altra la posizione di De Mita a sostegno del servizio pubblico. Gava resiste alla pressione, risponde: «Sarebbe un errore agire in termini di conflitto con l'autorità giudiziaria, che interpreta le norme esistenti [...] Soltanto martedì mattina, quando si riunirà il Consiglio dei ministri, si può definire l'orientamento in base al quale il ministero dovrà muoversi».

Martedì mattina? Craxi non tollera insubordinazioni e rinvii. Ha deciso l'immediata riaccensione dei network e così dev'essere. Da Londra comunica d'imperio che il Consiglio dei ministri è anticipato di tre giorni, si riunirà in seduta straordinaria sabato 20 ottobre alle 10,30, appena dopo il suo ritorno a Roma; al primo punto dell'ordine del giorno l'affare Berlusconi, un decreto che «ripristini il dominio del buonsenso». Ironizza il deputato comunista Antonio Bernardi: «Non sapevo che Berlusconi, oltre che Silvio, si chiamasse anche Buonsenso». Nemmeno per l'alluvione in Polesine e per i terremoti nel Belice, in Friuli e in Irpinia era avvenuto che il governo si muovesse con tanta fretta. Trasecolano i dc più vicini a De Mita; il senatore Nicola Lipari reagisce all'ipotesi di decreto definendolo «uno scempio, un assurdo giuridico, un inaccettabile favore reso agli interessi economici di un singolo». Ora il PCI mette meglio a registro la sua linea; dichiara Veltroni: «II decreto che si va profilando è assurdo e incostituzionale, poiché legittimerebbe quel monopolio privato che la Corte costituzionale ha respinto sin dalla sentenza del 1976. Se fosse riconosciuto per decreto legge l'impero di Berlusconi, sappiamo tutti che la regolamentazione non si farebbe più, perché le stesse forze politiche che hanno bloccato la legge per favorire il costituirsi del monopolio privato, una volta questo fosse addirittura legittimato, non avrebbero più interesse a regolare il sistema».

Nulla ferma il cingolato Craxi. Non l'evidenza della forzatura dei limiti posti dall'art. 77 della Costituzione, assolutamente chiaro nel ridurre il campo d'intervento con decreti-legge ai «casi straordinari di necessità e d'urgenza». Non l'irrequietezza degli alleati di governo recalcitranti. Messi di fronte all'alternativa secca o sì al decreto lampo o crisi ed elezioni anticipate, i vertici DC arretrano, cedono. In fondo, s'affrettano a dire per frenare la caduta d'immagine, in Consiglio dei ministri è passato un provvedimento «eccezionale e temporaneo», valido un anno, solo il tempo occorrente a disciplinare l'intero sistema con una legge organica. Berlusconi cessa la serrata e riprende a trasmettere su scala nazionale già domenica 21 ottobre.

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Berlusconi vince

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