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Cosa è o non è Jazz

Come abbiamo già visto, è difficile dare una formula universale per poter distinguere cosa è o non è Jazz. E’ anche molto arduo poter stabilire con precisione quali sono gli elementi caratteristici che lo contraddistinguono..
Tuttavia, nel corso degli anni, c’è stato un tentativo di definire, di codificarne gli elementi costitutivi, sebbene sia facile rendersi conto di quanto sia arduo appiccicare un’etichetta ad una forma d’arte.
Secondo il critico Marshall Stearn il Jazz è il risultato di una commistione attuata negli Stati Uniti nel corso di tre secoli, delle tradizioni musicali dell’Europa e dell’Africa Occidentale e i suoi ingredienti predominanti sono un’armonia di origine Europea, una melodia Euro –Africana e un ritmo Africano. Dal canto suo Nat Hentoff ha individuato le caratteristiche fondamentali dello Jazz in:
"un ritmo pulsante, un senso dell’improvvisazione (è possibile scrivere del jazz in modo così idiomatico che le note scritte sembrano improvvisate), una tecnica strumentale di tipo vocale e per converso una tecnica vocale che sembra imitare il suono di uno strumento, l’uso di timbri e di poliritmi radicati nella musica folklorica afroamericana di tre secoli."
Devo però dissentire dall’opinione del critico Italiano Arrigo Polillo, forse il miglior critico di Jazz Italiano, pur non dimenticando i nomi di Giancarlo Testoni, Giuseppe Barazzetta, Franco Fayenz ed altri, quando dice che "il jazz è l’espressione musicale in continua e rapidissima trasformazione di una certa cultura, quella dei negri che vivono nelle grandi città degli Stati Uniti".
Questa citazione è tratta dal suo libro "Jazz " che probabilmente è il miglior testo di storia del Jazz tra quelli scritti da Italiani, malgrado la sua ponderosa mole di circa 800 pagine. E’ stato edito nel 1975 , pertanto doveva tenere conto di quei movimenti di avanguardia che in quegli anni furoreggiavano in Italia, sebbene negli USA fossero stati superati ormai da tempo. In America si era tornati all’Hard-bop con il "New Hard bop" quando in Italia si continuavano ad ascoltare concerti di "Free jazz" e di "new entry".
Per onestà devo ricordare che all’incirca nel 1980, nel corso di un colloquio privato, lo stesso Polillo mi aveva manifestato forti perplessità sul free e sui suoi esecutori, ma la moda corrente gli imponeva di esprimersi in un certo modo.
E’ comunque abbastanza facile individuare delle caratteristiche costanti, delle tendenze apparentemente insopprimibili le quali trovano il loro fondamento in una particolarissima concezione dell’espressione musicale.
In linea di principio, sebbene non sempre, nel jazz la figura del creatore e quella dell’esecutore della musica si fondono nella figura del solista che improvvisa, basandosi su un canovaccio, normalmente dato da un tema, che ha il valore di punto di riferimento per lui e per chi collabora con lui nella creazione – esecuzione musicale. Che poi tale tema venga inventato sul momento da chi improvvisa, oppure sia stato composto in precedenza dallo stesso solista che lo esegue, oppure da altri, non ha grande rilevanza. Anche quando l’elaborazione si risolve soltanto in variazioni sul tema e non, come accade spesso, nella invenzione di linee melodiche che abbiano in comune con quello soltanto la struttura armonica, essa produce sempre musica originale personalizzata cioè con le caratteristiche stilistiche impressevi dal suo autore-esecutore.
Mi spiego meglio, è frequente nel Jazz utilizzare un giro armonico magari di uno standard, di un brano molto conosciuto, per ricavare una nuova melodia, quasi sempre improvvisata e che spesso non ha punti di contatto con la melodia primitiva. Ciò che conta quindi, nel jazz è lo stile individuale del solista improvvisatore, la sua personalità musicale, che si riconosce attraverso una serie di particolarità , come la voce dello strumento, il modo di pronunciare o di vibrare le note, la maniera di svolgere e risolvere le frasi, la peculiare concezione armonica e ritmica ecc.
Inoltre è importante non dimenticare, cosa che purtroppo in Europa accade sovente, che l’impiego nel Jazz di strumenti tradizionali della musica colta Europea, è del tutto casuale, per necessità, imposta soltanto dalla condizione di sottomissione e di oppressione anche economica in cui vivevano i negri Americani.
E’ mia opinione che la maggior parte dei giudizi sulla tecnica strumentale dei negri, che spesso vengono espressi con sufficienza da famosi critici di musica classica o da strumentisti classici, soffrano della incapacità di comprendere tale musica che contraddistingue questi signori, unita alla loro arroganza e spocchia intellettuale. Cioè, in poche parole, parlano di argomenti che non conoscono, arrogandosi il diritto di critica, partendo da presupposti errati.
E’ importantissimo capire che l’uso che i negri fanno degli strumenti è completamente diverso da quello classico tradizionale. Questa banale considerazione non è così immediata come può sembrare a prima vista, prova ne sia che è difficilissima da far comprendere ad un musicista Europeo.
Ricordo una accesa e lunghissima conversazione con il pianista concertista Cesare Poggi anche lui appassionato di Jazz, sulla tecnica strumentale di Fats Waller, che egli riteneva complicata soltanto per le difficoltà armoniche e di diteggiatura, quindi di pura manualità, mentre io sostenevo che Fats Waller ha proprio una diversa concezione del tocco, della timbrica del pianoforte e della stessa posizione delle mani, oltre che ritmica, rispetto a quella della musica Europea. Tutto ciò si evince anche dal fatto che molti musicisti con studi di conservatorio oppure con cultura classica, quando tentano di suonare Jazz, quasi sempre riescono ad assimilarne la forma esterna, come le successioni armoniche, ma quasi mai l’intima essenza e la grande capacità di esprimere sentimenti che ha questa musica e nello stesso tempo sono incapaci di riprodurne correttamente i ritmi, le pause, le sincopi.
Per i neofiti, la sincope è quella particolarità tipica del Jazz, di dividere il tempo in maniera non perfettamente regolare, ma di suonare le note a coppie. Mi faccio capire meglio: se prendiamo un tempo molto comune, il 4/4 (si legge "quattro quarti" è un tempo in cui una battuta è divisa proprio in quattro parti da un quarto ciascuna) generalmente le note vengono suonate con la stessa distanza tra di loro, qualunque sia il loro numero nella battuta. Ovviamente se sono tante, avranno un loro particolare valore e quindi saranno suonate più rapidamente, però sempre tutte sempre con lo stesso intervallo l’una dall’altra. Questo nella musica Europea. Nel Jazz, no. Si suona sincopato cioè le note vengono eseguite a coppie e si aumenta la distanza tra le coppie per poter rimanere a tempo. E questo qualunque sia il ritmo.
Quelli di voi che sanno di teoria musicale mi perdoneranno il linguaggio pedestre, ma devo far capire il concetto.
Riallacciandomi al discorso di prima, comprenderete facilmente come questa maniera di suonare produce un ritmo strano, saltellante, in cui gli accenti cadono in posizioni diverse rispetto alla musica nostra. Per darvi un esempio, pensate al booge-wooge. Sarebbe meglio quello pianistico di Albert Ammons, ma può andar bene anche quello conosciuto da tutti ,di Glenn. Miller. Oppure fate caso a come suona Louis Armstrong, sempre per rimanere su artisti famosi.
Ultima peculiarità importantissima di questa musica è l’accentazione. Quella Europea accenta il battere, il Jazz il levare. Vediamo cosa significa e poi per oggi basta.
Se fate caso a qualsiasi canzone Italiana di musica leggera che conoscete, il primo accento di ogni battuta in cui è diviso il brano, cade sempre sul colpo di cassa della batteria oppure sulla prima nota del contrabbasso. Ad es. se pensiamo ad un tempo di 4/4 e cercando di pronunciarlo, viene fuori un suono del tipo: "tùm-ta- tùm-ta; nel jazz invece avremo "tum-tà, tum-tà " ecc. vale a dire l’accento cade sui piatti della batteria o sul rullante, non sulla cassa.
Credo di aver detto tutte le cose importanti necessarie a contraddistinguere questa musica. Adesso dovremmo procedere più speditamente. Continueremo colla nostra storia e parleremo delle epoche e degli stili diversi.
So che è stata una lettura difficile da digerire ma credo che sia stata importante proprio per avere le idee chiare su ciò di cui stiamo parlando.
Scusate la noia e a presto.
Jelly alias giuseppe

 

Su gentile concessione di Jellyroll
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