Ventennio: le conquiste Italiane

L'argomento sullo sviluppo artistico e tecnologico applicato al quotidiano nel periodo fascista, viene lasciato ad autorevoli commentatori che ne hanno fatto, riteniamo, una lodevole trattazione. Di difficile reperimento sulla storiografia e saggistica ufficiale, merita oggi una più approfondita analisi. Chiunque voglia concorrere con sunti e precisazioni può indirizzare opinioni al sito via e-mail.

Ritratto di un'idea... di Vittorio Sgarbi, nel segno dell'Invenzione 1918-1930, nel segno del Razionalismo 1931-1945 

"Ritratto di un'idea. Arte e architettura nel fascismo" di V. Sgarbi

La mostra organizzata dalla "Galleria ..." negli spazi romani di Palazzo Valentini, offre un quadro complessivo di ciò che è stata la politica artistica del fascismo durante il Ventennio. Animo in fondo romantico, convinto dell'autonomia spirituale dell'arte, Mussolini aveva affermato nel 1923, sulle pagine de "Il Popolo d'Italia": "Dichiaro che è lungi da me l'idea di incoraggiare qualche cosa che possa assomigliare all'arte di Stato. Lo Stato ha un solo dovere, quello di non sabotarla...". Pare, quindi, che Mussolini, nei primi anni del fascismo, non fosse molto propenso a promuovere un'arte di stato e di regime! Poi, avrebbe cambiato idea, aiutato soprattutto da una donna, Margherita Sarfatti (scheda biografica nella seconda guerra mondiale fra i personaggi), che riesce a convincerlo sull'importanza che avrebbe avuto, anche ai fini della politica fascista, la promozione di uno stile che fosse allo stesso tempo nazionale e moderno. Mussolini voleva cambiare radicalmente l'Italia: voleva modernizzarla, evolverla economicamente e culturalmente, trasformarla in una potenza mondiale in grado di dettare legge come un tempo aveva fatto Roma. Quale strumento migliore dell'arte per costruire, diffondere, dare letteralmente "forma" a questa nuova identità? La Sarfatti lo aveva capito, anche se da un punto di vista culturale più che politico: se il fascismo voleva essere una nuova civiltà, come Mussolini affermava, non poteva esimersi dall'esprimere una sua arte. E così è stato; dopo le esitazioni iniziali, le ricorrenze per il decimo anniversario della Marcia su Roma (1932) hanno dato il via a un programma sempre più intenso e sistematico di iniziative promosse dal regime. Attraverso l'arte e l'architettura, il fascismo si avvia a diventare "immagine". Ma la Sarfatti non fa più parte del gioco, ingenerosamente liquidata dai gerarchi che si preoccupavano della sua influenza sul Duce. 

Prima ancora che il fascismo potesse stabilire una propria politica artistica, sono stati gli artisti a offrire la possibilità del proprio apporto al disegno culturale fascista; infatti, erano già arrivati a concepire uno stile moderno e nazionale, come ad esempio i pittori di "Novecento".  Bisognava fondare un nuovo ordine, un nuovo classicismo in cui da una parte si guardasse alla tradizione latina e rinascimentale, dall'altra al plasticismo cubista e alle atmosfere rarefatte della Metafisica. Da Novecento sarebbe emersa la personalità di Sironi, il maggior teorico di una nuova arte fascista della società di massa; ma Sironi è stato fascista per conto proprio, non ha direttive dall'alto, è totalmente convinto dell'utilità del progetto di Mussolini. E' in questa dialettica fra politici e artisti, che va inquadrata l'intera strategia del fascismo volta a creare un nuovo stile nazionale.  La politica dà l'ideologia, i progetti generali, i contenuti propagandistici; gli artisti hanno la "libertà", se così si può dire, di dare forma a quelle idee e a quei progetti secondo i loro propositi estetici, nella coscienza di dover concorrere a un obiettivo che è comune: la fondazione di una nuova civiltà italiana. A differenza di Hitler, Mussolini non era un mancato architetto, un artista fallito che si è preso le sue rivincite quando è salito al potere. Mussolini equiparava l'arte alla politica, come aveva fatto D'Annunzio; in entrambe le discipline bisognava essere geniali, creativi. Ecco perché non ha mai voluto entrare nelle questioni strettamente artistiche, imporre gusti personali: in questo senso i veri "capi" dell'arte italiana erano altri artisti (Sironi, Cipriano Efisio Oppo), altri architetti (Marcello Piacentini). Altri artisti si sono fatti conoscere (praticamente i migliori di quanto poteva offrire il panorama nazionale compresi gli "eretici" Fontana, Melotti, Mafai, valutati non per la loro fedeltà al credo fascista, ma per quello che sapevano fare. Bialetti moka mod. 33Non a caso, all'interno dello stile fascista, c'è stato spazio per il Neo-Rinascimento e per il Neo-Futurismo, per il Razionalismo e per l'Espressionismo, senza nessuna contraddizione. Certo, non sono mancati i casi in cui la propaganda (con l'arroganza dell'ideologia) ha sopraffatto la dignità della forma; ma non era la regola assoluta, non si doveva arrivare a tanto per compiere il proprio dovere! E' questa particolare dialettica che ha permesso all'arte del fascismo di essere la più evoluta (anche con tutti i suoi limiti) fra quelle promosse dagli altri regimi totalitari della stessa epoca, il nazista, lo stalinista, il franchista.

Rinnovamento e tradizione, classicismo e modernità: questi sono stati i termini fondamentali entro i quali si è mossa la politica artistica del fascismo. Molti ritengono, giustamente, che l'architettura sia stata la più emblematica e coerente espressione dello stile fascista. Nella mostra di Palazzo Valentini, si evidenzia infatti la maggiore aderenza dell'architettura ad alcune delle imprese più simboliche della politica fascista (la creazione delle nuove colonie nell'Agro Pontino -Latina--Sabaudia, a Carbonia, in Africa; la preparazione dell'E.U.R.); la stessa pittura, attraverso Sironi, aveva accettato questo primato accettando di produrre decorazioni nelle grandi commesse pubbliche. Un elemento comune ha tenuto salda l'architettura italiana del Ventennio come nessun altro: la "scoperta" del Razionalismo, interpretato in modo più entusiastico e "internazionale" da alcuni (Pagano, Libera, Michelucci, Moretti), in modo più cauto e in parziale conciliazione con l'eclettismo accademico da altri (Piacentini, La Padula, Montuori, Del Debbio). In passato si è molto insistito sulla positività del primo Razionalismo e sulla negatività del secondo; oggi credo sia più interessante rilevare la complementarietà fra l'uno e l'altro, all'interno di un unico stile fascista (non si dimentichi che niente si poteva costruire senza il volere del potere), dove ciò che veniva permesso all'uno era compensato da ciò che faceva l'altro. 

Estratto da "La Storia del design industriale" : Electa Editrice 3° volume. 

George Kubler - da Storia dell'Arte a Storia delle Cose. .. si può dire che all'insaputa di molti storici del design si offrì un primo chiaro quadro di riferimento in cui inserire la cultura del design....La Storia delle Cose intende riunire idee (cultura mentale) e cose sotto la rubrica di "forme visive" includendo in questo termine sia i manufatti (prodotti lavorati) che le opere d'arte, le repliche e i pezzi unici, in breve tutte le materie lavorate dalla mano dell'uomo o da cose fatte da macchine prodotte dall'uomo. I prodotti dell'uomo includono sempre utilità e arte in varie proporzioni e non possiamo concepire un oggetto senza l'uno o l'altro di questi ingredienti. Alla sfera dell'arte lasceremo quelle cose che non sono attrezzi e ci occuperemo dei prodotti concepiti per un mercato di bisogni e desideri. In questa complessa prova di osservazione del sistema produttivo italiano nel periodo fascista  indicheremo soltanto alcuni passaggi salienti.

Nel segno dell'Invenzione 1918-1930 - Il primato dei carrozzieri italiani

L'apparato industriale produttivo riconvertito in bellico aveva conosciuto una grande espansione e si era raffinato nei processi produttivi della siderurgia, energia e aeronautica con meccanica di precisione a scapito di altri beni di uso comune. La grande crisi seguita alla fine della guerra venne con misure draconiane risolta entro il 1925 con il pareggio di bilancio. La nuova forza della lira e la caparbia volontà della sua rivalutazione voluta da Mussolini (quota 90) portò ad una recessione che coincise con restrizioni creditizie pari a quelle del 29 in america. (lira rivalutata esportazioni difficili) Erano si andate in crisi grandi industrie e banche che le spalleggiavano alla fine del conflitto, ma erano sopravvissute piccole e grandi realtà che producevano beni di consumo con tecniche semi artigianali e si riferivano ancora al pezzo unico o oggetto primo. L'oggetto veniva spesso progettato su misura, (La Fiat forniva chassis e motori a carrozzieri che le vestivano su misura del cliente come una sartoria), e dell'azienda, era l'imprenditore la sua immagine: vedi Olivetti, Guzzi, Lancia, Caproni etc... nei rispettivi settori. La produzione di moto a Torino passava attraverso 350 assemblatori che davano al telaio altrettante versioni e personalizzazioni. Se consideriamo la formazione dei progettisti possiamo affermare che siamo alla presenza di una cultura scientifico-tecnica uscita dai politecnici di Milano e Torino  rafforzata dalla conoscenza di quanto si andava facendo nelle officine di nazioni industrialmente più avanzate dell'Italia. Siamo dunque di fronte a un progettista che, benché le dimensioni produttive fossero a volte non irrilevanti, si poneva di fronte all'oggetto con l'atteggiamento di un artista. Questo comportamento non era dissimile da quello di un'artista tradizionale. Nascono in questo periodo le biennali e triennali d'arte etc, per comunicare idee alla gente. Esponente classicista di questo periodo Gio Ponti (rivista Domus) direttore artistico (oggi lo chiameremo designer) della Richard Ginori (Ceramiche) che passava indifferentemente da porcellane a mobili, posate, vagoni ferroviari e ville.   Isotta Fraschini 8A 1923
La Fiat, che per anni non produsse macchine finite, dopo aver lanciato la 1500 del ’35, presenta la più piccola utilitaria del mondo, la 500, con carrozzeria aerodinamica. Nell’universo delle piccole carrozzerie emergevano i nomi di Battista Pinin Farina che inizio la sua attività a Torino nel 1926, brevettando i telai in lega leggera. Un capitolo a parte merita la Zagato di Milano, che risale addirittura al 1919. Dalla collaborazione tra questa carrozzeria e l’Alfa Romeo, cominciata nel ’23, nascerà la P2 da corsa che si aggiudicherà il primo Campionato del mondo. E poi, nel 1928, l’Alfa 6C 1500, una macchina leggendaria, che vinse per quattro volte la Mille Miglia. La 6C 1750,
"The greatest sport car off all time" come gli inglesi amano ancora ricordarla, è invece del ’30(29). Il suo motore sei cilindri in linea a teste emisferiche e doppio albero a camme in testa, disegnato da Vittorio Jano, è considerato una pietra miliare nella storia del motore a scoppio.
 Un modello 1750, che nascondeva nella sua coda a pinna la "stufa" del gassogeno (vedi foto sotto un po’ goffa, ma abbastanza in linea con la carrozzeria disegnata da Zagato,  che così appariva poco ingombrante),  concluse i 6000 chilometri del giro dimostrativo d'Europa in 7 giorni. La guidava Sergio Ferraguti, (Il ragazzo aveva appena 18 anni, ma dimostrò una buona stoffa. In guerra diventerà pilota di caccia e negli anni '40, giungerà primo di categoria in altre edizioni della Mille Miglia) figlio di Mario Ferraguti professore di Agraria che aveva inventato qualche anno prima l’alimentazione con gas derivati dalla combustione di carbone di legna: velocità media di 51 km/h. Il Duce stesso mise  disposizione la sua Alfa 6c 23oo spider, modificata ad alcol per la Mille Miglia del 36 (Xa edizione Brescia -Roma-Brescia), collaudatore Guidotti, piloti Boratto e Mancinelli, che tenne la ragguardevole velocità media di 93 km/h. La Moretti di Torino (carrozzeria), la cui attività risale al 1925, diede inizio alla costruzione di autocarri elettrici nel 1939. Non si sa se derivati dai bus o piccoli autocarri derivati da berline. Si rilevano da immagini camion elettrici in Valtellina al lavoro per le dighe dell'Aem su percorsi definiti col sistema di alimentazione del Trolley (vedi Autarchia in sezione secondo conflitto mondiale) . Nel 1922 la Casa torinese della famiglia Lancia apre le porte dell’innovazione tecnica con la Lambda. Bassa e slanciata, fu la prima auto al mondo ad adottare la scocca portante: a fare da telaio era la stessa carrozzeria . La Lambda era inoltre la prima vettura con sospensioni anteriori a ruote indipendenti, soluzione questa in seguito adottata su tutte le automobili di rango. Sono Citroen le prime carrozzerie realizzate in acciaio ed è ancora Citroen la prima auto di serie a trazione anteriore (la Traction Avant del ’34). A Torino, la Fiat realizza nel 1921 un nuovo stabilimento, il Lingotto. La nuova fabbrica venne sviluppata su cinque piani e sul tetto aveva una pista di collaudo. Da qui esce la prima utilitaria di grande serie, la "509" presentata nel 1925. Un anno importante: con la fondazione della Sava (Società Anonima per la Vendita di Automobili), viene introdotta la vendita a rate. 

Milano-Laghi, prima autostrada del mondo

Il macadam, pavimentazione di pietrisco rullata e amalgamata col suo stesso detrito fine o sabbia di frantoio (non ancora asfalto), fino ai primi anni del 900, pavimentava tutta le rete stradale italiana *. La diffusione delle auto mise in crisi questo sistema, poiché le strade accusarono un eccessivo logorio delle massicciate con la conseguente formazione di buche profonde e pericolose, se non riparate in tempo, a cui si aggiungeva il sollevamento della polvere originato dall’aumentata velocità dei veicoli a motore. Si iniziò dunque una ripavimentazione delle strade con applicazione di catrame all'ultimo strato, che in Italia venne usato per la prima volta nel 1900 a Lugo di Romagna. Con la legge 17/5/28 era stata creata l’A.A.S.S. (Azienda Autonoma delle Strade Statali ora Anas). Il compito dell’A.A.S.S. era quello di gestire le strade più importanti, dette “statali” o SS e numerate da 1 (la via Aurelia) a 137, per un totale di 20.622 km. In pratica, si trattava di provvedere alla manutenzione ordinaria, alle riparazioni straordinarie e alle sistemazioni generali. E’ all’ingegner Piero Puricelli, grande imprenditore di costruzioni stradali e industriali, che si deve la realizzazione del concetto di autostrada, idea quasi nuova, di creare delle grandi strade da riservare al solo traffico automobilistico: si sarebbe trattato di strade a pedaggio, in concessione 50ennale, ideate e costruite per un traffico veloce. La “pubblica utilità” del progetto ne favoriva, in caso di bisogno, l’acquisizione per esproprio delle aree utili alla realizzazione. I lavori del primo tratto di autostrada d’Italia (e del mondo), la Milano-Laghi, iniziarono regolarmente il 26 marzo 1923 con la posa della prima pietra da parte del Duce, con una durata totale dei lavori di sedici mesi !!!. (Ndr: inconcepibile e non si aggiunge altro per decenza…oggi i tempi lunghi servono solo per costruire tangenti). Ad eccezione delle ultime due, a bitume, le altre furono pavimentate in calcestruzzo. Questa tecnica si basava su un’esperienza già affermata (a differenza dei conglomerati asfalto bituminosi, ancora poco sperimentati) a cui il cemento nazionale autarchico dava una mano. Dal 1927 al 1935 furono quindi completate.

 *Il Macadam, pietrisco e materiale collante compresso (rullato), collante rappresentato dall’acqua (indurimento della sabbia da frantoio), dal bitume (affioramenti rintracciabili un po’ ovunque) o dall’asfalto (che contiene catrame e che sarà l’inizio della fase successiva) è una tecnica costruttiva ideata dall’ingegnere scozzese John Loudon McAdam nel 1820 con cui si possono realizzare sia strati di fondazione che pavimentazioni stradali più scorrevoli. In Italia la tecnica di costruzione delle strade introdotta da MacAdam sostituisce quella di Trésaguet, che aveva il difetto di impedire il deflusso delle acque piovane a causa dell’utilizzo di due grosse file di pietre poste ai margini della massicciata e del fondo che non era impermeabile. Questo, la curvatura del fondo e le fosse laterali permettevano di far filtrare l’acqua in profondità mantenendo sempre una pista asciutta. La tecnica Macadam è usata ancora per molti campi da tennis in terra battuta. http://www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/strade/asfalto.htm
By 1910, refined petroleum asphalt had gained its permanent market supremacy over the producers of rock, natural and sheet asphalt. The oil companies could manufacture asphalt superior to that mined from the natural deposits in Trinidad Lake and Bermudez Lake (Bitume affiorante). In the bituminous macadam pavement, the foundation is macadam, upon which a bituminous material that penetrates at least 2 inch (pollici o 5 cm) into the foundation is poured, forming an impervious binder. In the bituminous-mixed macadam pavement, a mixture of crushed rock, ground glass and other additives, and bituminous binder is spread over a macadam foundation and rolled into a compact mass.
http://curbstone.com/_macadam.htm foto e storia

Classificazioni dei materiali  per coperture stradali

Per bitume si intende una miscela di idrocarburi naturali o residuati derivanti dalla distillazione o raffinazione del greggio simile all'asfalto ma meno caro perché residuo non altrimenti utilizzabile per il momento. Per catrame si intende invece un materiale bituminoso, derivante dalla distillazione secca del carbone fossile, in particolare del litantrace (cokerie). L'asfalto è una roccia calcarea porosa, naturalmente impregnata di bitume (evaporazione del petrolio).Solo dal XVIII secolo si cominciò a impiegare l'asfalto come materiale da costruzione. La roccia veniva frantumata e macinata per ricavarne un mastice che, eventualmente addizionato con materiale inerte fino, veniva colato a caldo per pavimentare marciapiedi poi strade. L'odierno materiale da costruzione utilizzato per la pavimentazione stradale, finto "asfalto", è in realtà un conglomerato bituminoso artificiale ottenuto miscelando opportune quantità di inerti grossi (ghiaia), fini (sabbia e filler) e bitume.
 

progetto topolino 24.9.1927 Milano-Bergamo  km 50,007 

  (costo) 57 milioni 

la 1750 alfa a gasogeno
3.6.1929 Napoli-Pompei

 km 23,347

         42 milioni

agosto 1931   Bergamo-Brescia

 km 47,647

         40,5 milioni

ottobre 1932   Torino-Milano  km 127,000

         110 milioni

agosto 1933 Firenze-Mare

 km 81,333

ottobre 1933 Padova-Mestre

 km 24,600

            28 milioni

ottobre 1935 Genova-Serravalle

 km 50,040

La prima grande area di servizio fu costruita presso il casello di Genova, dove oltre ad ampie zone adibite alle operazioni di smistamento e trasbordo merci (molte delle quali dovevano passare dai camion alle navi del porto), e al rifornimento di carburante, venne realizzato un fabbricato destinato al ristoro dei viaggiatori ed alle attività direzionali. Questa struttura comprendeva ristorante, albergo diurno, ufficio di posta e telegrafo, rivendita di giornali, bar, stanze di riposo, uffici di controllo e alloggio dei dirigenti della stazione e stazione di pedaggio. Lo sviluppo delle prime autostrade italiane è indissolubilmente legato al particolare clima politico nel quale l’impresa nacque, ovvero il fascismo. Gli storici quindi, tenendo presente la tendenza fascista a gloriarsi delle imprese nazionali, hanno cercato di ridimensionare la retorica delle autostrade come “creazione italiana”. Per il regime fascista le autostrade furono un grande vanto, una grandiosa anticipazione italiana all’avanguardia nel mondo. Secondo Bortolotti e De Luca, che trattano anche l’attribuzione dell’invenzione delle autostrade a Puricelli come un’amplificazione del regime: la maggior novità delle autostrade è l’idea del pedaggio, che tuttavia non era completamente originale. Probabilmente il primo tratto “autostradale” a pedaggio è americano e risale al 1904: l’Holland Tunnel, che collegava a pagamento Long Island e il New Jersey, sotto lo Hudson River. (Ndr. Ma era solo un tunnel o come succedeva da noi nel medioevo potevi pagare anche passando da un ponte). Comunque già nel 1906 l’ingegner Giuseppe Spera lanciò l’idea di una “autovia”, una “strada per uso esclusivo automobili”, da realizzare sul tratto Roma-Gaeta-Napoli, corredandola di un progetto tecnico abbastanza sostenibile. La critica degli autori riconosce comunque a Puricelli il vanto di primo realizzatore e le sue indubbie capacità tecniche. Già prima del regime fascista e parallelamente all’ingegno dei singoli uomini e alle iniziative governative, operava un altro organismo che fu importante per lo sviluppo delle autostrade e va ricordato: il Touring Club Italiano**: Questa organizzazione fece della modernizzazione delle strade il suo cavallo di battaglia. (Dal Touring proveniva anche Piero Puricelli). “Puricelli non ottiene, e probabilmente non chiede, posizioni di potere nell’apparato statale, e non diventa segretario di confederazioni e corporazioni, come altri grandi impresari. Il suo comportamento è quello di altri fra i maggiori industriali, che più che servire al fascismo se ne servirono”. Il parlamento prese poi a dimostrarsi chiaramente ostile alle imprese autostradali per gli appetiti che avevano scatenato.

** Il Touring Club Italiano viene fondato l'8 novembre 1894 da un gruppo di 57 velocipedisti, con l'intento di diffondere i valori ideali e pratici del velocipedismo, e del viaggio. Nel 1897 avvia la realizzazione e l'impianto di cartelli stradali turistici e con l'avvento del nuovo secolo e dell'automobile il T.C.I. si apre a tutte le nuove forme di turismo e diventa istituzione di prestigio nazionale. Propone la scoperta e la rivalutazione delle regioni poco conosciute a livello turistico e realizza la prima "Guida d'Italia per Stranieri" nel 1922 e la prima guida gastronomica d'Italia nel 1931.

Lo dimostra per esempio, nel 1930, la cronaca di una seduta di discussione sul bilancio preventivo dei lavori pubblici in cui il deputato Francesco Caggese, ingegnere irpino, venne applaudito a più riprese mentre affermava che “le autostrade non sono assolutamente necessarie… salvo casi particolari sarebbe meglio che lo Stato devolvesse quei denari al miglioramento della rete stradale già esistente”. (Ndr: si sentono ancor oggi dibattiti simili estesi a tutti i campi del trasporto. In politica non si inventa nulla da 1000 anni). Nel 1923 circolavano complessivamente sulle strade italiane 84.687 autoveicoli, di cui 57.000 automobili (1/100 di quelle americane), 25.000 autocarri e 2.687 autobus. Il colpo di grazia sullo sviluppo automobilistico, prima della tragedia bellica su un quadro già precario, si ebbe nel 1935 a causa delle sanzioni. Discorso autostrade chiuso. 

Nel segno del Razionalismo 1931-1945.  

Toccato il fondo della crisi del '29 (1.300.000 disoccupati) l'economia italiana risalì grazie all'intervento dello stato (IRI 1933). In questo contesto la grande e media industria italiana cercò alla fine degli anni venti di ristrutturarsi secondo regole e schemi di produzione provenienti dagli Usa da dove era partita la bolla speculativa. Gli Stati Uniti d'America avevano sostituito la Francia e la Germania nell'immaginario collettivo grazie al Cinema, alla Musica e ai Fumetti (Topolino). I metodi di produzione di massa volenti o nolenti erano entrati dunque nel costume italiano. Così la Fiat passava dalle medie e grosse cilindrate alle piccole (Balilla e Topolino) crescendo al proprio interno i progettisti che si formavano nei vari reparti (Ferrovia, Aviazione, mezzi militari) scambiandosi anche i ruoli e le esperienze. La Topolino ad esempio nasce dall'ufficio Avio. La diffusione della radio nelle case, dei quotidiani, del cinema in distretti rurali, la scolarizzazione di massa diede accesso all'informazione a interi strati della popolazione che prima non avevano mai avuto questa opportunità.

Il Razionalismo ha avuto un ruolo fondamentale anche nella modernizzazione delle arti applicate (è in fondo in questi anni che nasce il grande design italiano), nella grafica dei manifesti e delle pubblicazioni, nella moda, nella scenografia. Recenti acquisizioni, rappresentative di un periodo nella storia della moda che si sta rivelando un interessante campo di indagini e di indirizzi tematici sono l'occasione per mettere a fuoco le sostanziali innovazioni nel taglio con l'utilizzo di nuovi materiali e di nuove tecniche di lavorazione nel settore del tessile da abbigliamento, soprattutto in regime di autarchia con sperimentazione di nuovi e vecchi filati "autarchici" come il rayon (vecchio) o l'orbace e il lanital. E' stata la "cifra" comune, innegabilmente moderna, di uno stile fascista che ha avuto l'ambizione di essere totale, coinvolgendo volutamente ogni campo del visivo (le arti tradizionali, le arti applicate, il cinema, la fotografia). Era iniziato un processo di massificazione del gusto che solo il benessere diffuso del dopoguerra avrebbe portato a compimento.  

http://www.itcpeano.it/Documenti/moda_fascista.htm

LA MODA ITALIANA E IL NON AUTARCHICO COTONE

Il 23 marzo 1936, quattro mesi dopo la «punizione» inflitta all' Italia dalla Società delle Nazioni Mussolini parla all' Assemblea delle Corporazioni in Campidoglio e annuncia una fase della storia italiana che «sarà dominata da questo postulato: "realizzare nel più breve termine possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della Nazione". Per raggiungere lo scopo, disse Mussolini, occorreva anzitutto «fare l' inventario». Cominciò dai combustibili liquidi e ammise che le ricerche nel territorio nazionale non avevano dato «risultati apprezzabili». Per il momento, quindi, occorreva fare affidamento sulla idrogenazione delle legniti, sull' alcol proveniente da prodotti agricoli, sulla distillazione delle rocce asfaltifere. Per i combustibili solidi disegnò un quadro più promettente: l' uso del carbone nazionale e l' elettrificazione delle ferrovie avrebbero consentito una drastica riduzione del carbone importato (dal 40 al 50%). Per i metalli fu ancora più ottimista. Parlò delle miniere di ferro, con particolare riferimento a quelle dell' Elba e di Cogne. Parlò della bauxite e della leucite, necessarie alla fabbricazione dell' alluminio, e degli altri minerali presenti nel territorio italiano. I tessili occuparono, nell' inventario, uno spazio modesto. L' Italia avrebbe ripreso la coltivazione del cotone e avrebbe dato una particolare importanza allo sfruttamento della ginestra.... (Sergio Romano 7 giugno 2006 - Corriere della Sera).

A dir la verità la coltivazione del cotone non era nuova per noi e non era mai stata interrotta. La sua introduzione in Italia era stata opera degli Arabi (saraceni) nel IX secolo; la coltura si diffuse successivamente sotto la dominazione dei Normanni e degli Svevi estendendosi anche lungo le coste calabre. La più estesa superficie coltivata, infatti, si è avuta con 88 mila ettari nel 1864 in occasione della crisi conseguente alla guerra di secessione americana (produttore) che creò notevoli difficoltà all'industria tessile, specialmente di quella fiorente in Inghilterra. Un'altra impennata si è registrata nel 1941 in piena seconda guerra mondiale durante il periodo autarchico, quando il commercio internazionale era ridotto al lumicino (al primo posto in Italia le province di Agrigento e di Caltanissetta) e la nostra produzione era stata  estesa anche all'agro pontino che passava dai 10 ettari del 1930 ai 2480 (alla periferia di Littoria veniva costruito uno sgranatore)Come noto, e detto, la crisi del 1929 (durerà anni) aveva avuto il 1932 come apice in Europa. I provvedimenti quindi per la riduzione di molti consumi di importazione erano già stati sperimentati. Se a queste materie prime aggiungiamo che eravamo debitori alla Francia anche degli stili (moda) e delle confezioni ce ne era abbastanza per prendere provvedimenti. L’anno dopo (il 30 Gennaio 1933), in Germania, Hitler va al potere come negli Usa ci va Franklin Delano Roosevelt la prima di 4 poltrone da Presidente degli Stati Uniti. Le maniere forti verranno attuate a casa di tutti e a queste si aggiungeranno anche crisi politiche e guerre come quella Spagnola e la “parentesi” coloniale italiana. In Italia, ancor prima che ci vengano applicate le sanzioni conseguenti alla guerra d’Etiopia, l'Ente Autonomo per la Mostra Permanente Nazionale della Moda cambia nome in Ente Nazionale della Moda a cui viene affidato il compito burocratico e coercitivo di convincere le signore a vestirsi "italianamente". Il primo articolo costitutivo del nuovo Ente obbliga chiunque prepari collezioni o campionari di modelli di vestiario, accessori compresi, a denunciare tale sua attività all'Ente stesso per impedire ai sarti di ispirarsi all'odiata moda francese. Si era tenuto a Forli sotto la nuova egida il convegno "Fibre tessili Italiane" che perorava il potenziamento della produzione nazionale ed affidava ai media la publicizzazione e l'affermazione di un "gusto", uno stile italiano. Il 23 marzo 1936 di fatto inizia l’era autarchica che si salda con l’azione precedente. Il piano autarchico mira alla completa autosufficienza del mercato italiano e nel campo della moda è chiaro che elemento di primo piano diventano le materie prime, in primo luogo i tessili. Nel campo cotoniero bisogna avviarsi risolutamente verso il regime di autarchia indicato da Mussolini: continuare e incrementare la coltivazione del cotone in patria e nelle colonie (anche Albania) e potenziare quella delle fibre naturali nostrane come il lino. la canapa, il fiocco di ginestra e il ramie. Sulla canapa più che sul troppo raffinato lino punta l'autarchia e infatti il Duce comanda di riprendere a seminare la resistente pianticella e di convincere i consumatori a preferirla al più morbido e leggero cotone. Nel 1937 al Circo Massimo a Roma si svolge la mostra del Tessile Nazionale che tiene a battesimo il marchio Texorit (texili di origine italiana). Il sindacato Italrayon che raggruppava i produttori di Rayon riuscì ad ottenere che una percentuale prefissata di Viscosa fosse messa nei tessuti.

Il Futurismo già rivendicava dalle sue origini l'aspirazione a una rivoluzione totale del mondo: non solo estetica ma legata concettualmente alla vita quotidiana. L'idea della macchina, della velocità deve permeare tutto l'insieme degli oggetti costruiti dall'uomo o forniti dalla natura. Verranno poi in seguito il costruttivismo russo e il bauhaus tedesco. E' del 1916 il manifesto di Balla e Depero Pittori e designers già autori di mobili, abiti, giocattoli, etc. Anche se gli oggetti non usciranno mai dalla produzione artigianale, essi restano impregnati dalla forza rivoluzionaria del futurismo. La vocazione ad inserire l'opera nella dimensione sociale e politica si esprime poi in architettura con le straordinarie visioni delle città modello. Questo movimento sarà poi ispiratore del futuro disegno industriale, con le forme geometriche, i colori e la leggerezza.  

ETR 200 IL SUPERTRENO

In altro capitolo (2a guerra mondiale) abbiamo parlato del televisore, che proprio conquista non fù,  perché le trasmissioni non andarono in onda per il contemporaneo scoppio della guerra http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/telebenito.htm come di altre innovazioni legate alla contingenza autarchica, ma qui di seguito voglio invece il profilo di quello che fu all'epoca il migliore e il più veloce treno in servizio d'Europa se non del mondo, l'Etr 200 delle Ferrovie dello Stato, esposto anche alla Fiera di New York.

“Sbucato dalla galleria delle Pievi, l’elettrico scivola già col pantografo dentro il fornice della successiva, portandovi la sua corsa inderogabile, illividita da scintille violette…Isolatori bianchi alle sandaline dei sostegni, fanno un’allineata di perle: come a voler agghindare la riviera”. 1936 Carlo Emilio Gadda, ingegnere e scrittore - Così nell’aulico componimento di Gadda la rivoluzione industriale della elettrificazione di massa delle principali tratte ferroviarie italiane.
 

L’elettrificazione era già presente in Italia, a varia conduzione, dall’inizio del secolo, così come le motrici elettriche per reti che andavano da quelle extraurbane a quelle urbane. Una spinta era stata data, dopo lo stop della grande guerra, col commissariamento intervenuto nel 1922 delle Ferrovie dello Stato. Sotto la guida tecnica dell' ingegner Giuseppe Bianchi e la direzione gestionale del Commissario Straordinario Edoardo Torre, nominato dopo lo scioglimento del CdA, venne sviluppata la prima generazione di locomotive elettriche, subito seguita dalle prime automotrici termiche (per le regioni più disagiate dal punto di vista della produzione di corrente elettrica e per le colonie) e dalle elettromotrici rapide che ebbero grande successo e contribuirono a posizionare lo stato fascista tra le potenze economiche ed industriali dell'epoca. L’elettrificazione della rete ferroviaria a corrente alternata trifase procede così celermente fino al 1930 anche se la trifase presentava allora molti inconvenienti. Una ulteriore accelerazione la si ebbe dopo le sanzioni del 1936 che resero problematici gli approvvigionamenti in carbone e combustibili liquidi. La decisione era comunque già presa e il 4 giugno 1932 il Consiglio dei ministri varò un ambizioso piano di elettrificazione che avrebbe dovuto dotare in 12 anni 8000 km di rete. La situazione intanto era questa:1237 km a corrente trifase e circa 400 a corrente continua o monofase considerata la soluzione per il futuro Per saperne di più http://www.aising.it/docs/ATTI II CONVEGNO/0223-0236.pdf 
Costruzione dell’Etr 200 (da wikipedia)
Inizialmente l'ETR 200 (Elettro Treno Rapido) doveva essere un semplice treno leggero e veloce, ma il Partito Fascista decise di trasformarlo in un altro motivo di vanto per il Regime da aggiungere a quelli già sviluppati come le auto da corsa e gli aerei. Nel 1934 cominciò lo sviluppo del progetto, che si basava su tecnologie innovative come le carenature aerodinamiche e gli acciai speciali. Il musetto venne sviluppato nella galleria del vento del Politecnico di Torino, e portò alla creazione del famoso muso "a testa di vipera" che per diversi anni venne considerato una tra le migliori soluzioni aerodinamiche del settore. Nel 1936 la Breda consegnò il primo esemplare: un convoglio bloccato (un numero fisso di elementi) a potenza distribuita, composto da due testate e da una carrozza intermedia, montato su quattro carrelli di tipo "Cm 1000". Il treno era progettato per raggiungere i 175 km/h, ma i primi pantografi davano problemi di contatto sopra i 130 km/h, per cui era necessario un uomo che ne controllasse il funzionamento in corsa. Risolti vari problemi con l'adozione di una lega migliore, i treni vennero rimessi in linea ed entrarono ufficialmente in servizio nel 1937 servendo sulla tratta Milano-Bologna-Roma-Napoli. Questi treni, a differenza dei successivi, erano dotati anche di posti di seconda classe, che vennero eliminati quando il servizio venne classificato di lusso. Gli ETR 200 erano dotati di condizionamento a bordo (impianto Dell'Orto/Stone a cloruro di metile), termostati automatici, finestrini panoramici e arredi eleganti con sedili reclinabili: erano a tutti gli effetti i più bei treni in circolazione in Europa, nonché i più prestanti, e Benito Mussolini decise di inviarne uno alla Fiera Mondiale di New York nel Queens (38/39), padiglione italiano, dove suscitò grandissimo interesse.
 

Gli ETR.200 sono stati costruiti in tre serie dalla Breda. notizie e immagini
http://www.leferrovie.it/leferrovie/wiki/doku.php?id=schede_tecniche:stat:etr200_220_240 
1a serie-ord.del 21/09/34: ETR.201/206, consegna tra giugno e nov. 1936.
2a serie:ord. del 15/12/1936: ETR.207/214, consegna tra nov.1938 e febb.1939.
3a serie:ord.del 15/05/1939: ETR.215 - 218, consegna tra nov. e dic. 1941.

Le scoperte scientifiche e le esplorazioni in questo e ad altri capitoli
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/progresso.htm 
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/scoperte0.htm
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/scoperte.htm
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/scoperte1.htm
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/conquiste2.htm

 

FRANCOBOLLO PER IL CENTENARIO DELLE FERROVIE CON L'ETR200

 
I record: Il 6 dicembre 1937 un elettrotreno ETR 200 con a bordo tecnici francesi viaggiò sulla Roma-Napoli alla velocità di 201 km/h nel tratto fra Campoleone e Cisterna. Era un motivo di orgoglio nazionale, dato che l'elettrotreno protagonista della prova era uscito l'anno prima (1936), con altre cinque unità uguali, dagli stabilimenti della Breda. Da notare che il record veniva fatto su rete non adatta a queste velocità (alta) come invece oggi ne ha una dedicata con poche stazioni. Nel 1939 venne ordinata la terza serie, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ne ritardò la consegna: metà dei 4 mezzi ordinati fu distrutta da un bombardamento ancor prima di venire consegnata, e i restanti furono danneggiati. Nel 1940 i treni vennero ritirati dal servizio, visto che con le privazioni della guerra non vi era più richiesta per questo tipo di lusso: tutti i veicoli fermi in deposito furono danneggiati dai bombardamenti, due (il 216 e il 218) dovettero essere in seguito demoliti e gli altri riparati o parzialmente ricostruiti e ripresero servizio tra il 1946 e il 1952. Agli Etr 200 si affiancò per un certo periodo i più prestanti ETR 250 o 300 o Settebello. Nei primi anni 1960 i 16 esemplari Etr 200 restanti vennero riconvertiti in ETR 220/230/240 Polifemo e Valentino con l'aggiunta di una quarta carrozza. L' ETR 200 è a tutti gli effetti il progenitore dei treni ad alta velocità italiani. Gli ultimi Etr hanno prestato servizio fino al 1999 e solo uno della serie 230 è conservato a Pistoia.

industrie belliche Breda

 

Arlecchino ETR 250 la versione accorciata del Settebello ETR 300

       
 

ETR250 e ETR 240

 

 


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