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Art Island (Andrea Dipre')      

 

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 Questa isola, è nata per offrire uno spazio esclusivamente dedicato all'arte , di qualsiasi genere e di qualsiasi tipo. E' per me un piacere poter ospitare in questa isola Andrea Dipre', un competentissimo critico d'arte : sarà lui il principale animatore di questa pagina.                                                       

 

   Andrea Dipre'

 Direi di iniziare questa nuova pagina  che , sono convinto, darà un tocco di cultura a questo sito , con delle brevi note introduttive riguardanti Andrea  :

Andrea Diprè, nato a Tione di Trento nel 1974, vive a Firenze. Brillante critico e competente storico dell'arte, è profondo conoscitore dell'arte e della cultura fiorentine. Studia con particolare interesse le vicende del mercato e del collezionismo in età moderna e contemporanea.Il mondo delle mostre, delle aste e degli antiquari è uno dei più misteriosi e remoti per chi, amatore o semplice curioso, voglia avvicinarsi, attratto dalle opere d'arte non meno che dal luccichio del set e dell'oro (e certo non quello usato per il fondo delle tavole trecentesche...). Il fascino che esercitano i mestieri legati al mondo dell'arte è in questa miscela diabolica di bellezza, fasto e guadagno. Ma l'amatore (a non dire del curioso) si troverà a malpartito nella sua ricerca di testimonianze e spiegazioni convincenti sui meccanismi che regolano questo ultimo eldorado dell'avventura elegante. Dopo anni di frequentazione, raccoglierà qualche aneddoto di terza mano, ma non avrà che una sbiadita impressione di un mondo a cui gli scandali sempre più ricorrenti (falsi clamorosi, furti nei musei, acquisti incauti non solo di privati cittadini) e i risultati delle aste conferiscono l'aura del leggendario.Andrea Diprè, critico d'arte disincantato e coinvolto, nelle sue partecipazioni televisive, registra i passaggi più cruciali e significativi del "canto delle sirene" (antiquari, astatori, organizzatori di mostre, editori e conoisseur) così come lo ha ascoltato in anni di frequentazione di aste e mostre in tutto il mondo, di pellegrinaggio devoto ai tanti musei anche minori di questo nostro paese sempre più sconosciuto o alle cattedrali del collezionismo, dove accanto ai capolavori figurano alcuni dei più strepitosi falsi mai usciti dalle mani dei grandi artisti della beffa.

Ospitare gli interventi di Andrea ( un amico) sempre interessanti  e dotti è per me un piacere.

 Arte e mercato

Nel momento in cui un’opera d’arte diventa merce e entra nella modalità del mercato le viene assegnato un valore (di scambio appunto): può entrare e uscire dalla proprietà attraverso questa variabile.
E il mercato fa il mercato, come è noto ha riassorbito ecumenicamente ogni critica trasformandola in valore autocritico, quindi letteralmente in patrimonio. Ogni provocazione è stata depotenziata da ogni ipotetica carica eversiva e accolta come un figliol prodigo dalla più matura forma di sincretismo.
Nell’attualità tutto può convivere visto che tutto è parificato dall’essenza costitutiva di ogni merce: il suo simulacro,il suo valore economico. Siamo più che mai nella direzione eroica che Baudelaire voleva dare per mezzo dell’arte all’universo della merce, non facciamo ormai altro che dare al mondo quale è una piega sentimentale ed estetica, la stessa che Baudelaire rimproverava alla pubblicità. Ed è proprio quello che è diventata l’arte in gran parte: una protesi pubblicitaria. L’arte sarà protesi integrale di un mondo da cui la magia delle forme e delle apparenze sarà scomparsa.

 

Una nuova visualità strutturata

Una civiltà si gloria quando non vuole revocare come precarie le offerte che le vengono dalle energie e dagli strumenti che essa stessa produce nel suo evolversi. Il suo merito resterà affidato proprio alla capacità che avrà dimostrato nel saper unificare quegli elementi sul piano pratico e sul piano spirituale: meglio ancora, dirò, nell’improntare del medesimo spirito ogni e qualsiasi sua estrinsecazione. Non esiste perciò una morte dell’arte: esiste la morte di un concetto che schematizza l’arte in qualcosa di determinato in forme ed apparizioni sempre simili. Del resto l’arte è così difficile da definire proprio per il fatto semplicissimo che essa si presenta in aspetti e conformazioni ogni volta diversi. Quando si osserva una modesta ciotola cretese oppure una complessa cattedrale gotica oppure un sereno Raffaello oppure una ieratica danza indonesiana (e gli esempi potrebbero continuare numerosi) si dice che sono “belli”, il che vuol dire, nell’accezione comune, che rispondono ai requisiti dell’arte. Così chiunque può dare a se stesso la dimostrazione che i limiti della facoltà artistica sono oltremodo imprecisabili, e che egli stesso finisce, inconsapevolmente e per via empirica, per dare un unico attributo a creazioni formali nettamente distinte e, quasi, inconciliabili. Se ne potrebbe concludere che il termine “arte” appare alla lunga così tanto indeterminato da non poter pretendere di essere misura immodificabile come il metro

In platino conservato a Sèvres.

Non v’è dubbio che la civiltà in cui viviamo sta avviandosi verso un modo di esistenza dove l’individuo dovrà valere soltanto in quanto contributore della collettività sociale, nel senso che la virtù, anche l’eroismo del singolo (sempre insostituibile e quindi magnificabile) hanno da innestarsi in una totalità di coscienza senza alcun privilegio. Ed è del pari sicuro che le nostre conoscenze modificano completamente il nostro rapporto con il mondo, provocando nuove possibilità di visione e nuove modalità linguistiche. Sta verificandosi cioè uno spostamento del rapporto soggetto-oggetto, che equivale allo istituirsi di nuovi valori umani e di nuovi valori estetici. Più che affrontarsi, mondo e persona vanno gradatamente recuperando una piattaforma d’intesa ovvero di interazione. Lo spazio del mondo sta assumendo via via dimensioni finora sconosciute. Nessuno oggi si illude di risolvere il mistero dell’universo, gli basta conoscere i probabili modi che esso ha per configurarsi: e quando si dice probabilità si pone l’accento su un grado di conoscenza che è in uguale parte razionale e immaginativa.

Nella presente congiuntura storico-culturale sono questi gli elementi che, penetrati nella vita dello spirito, costituiscono il fondamento dell’operato dell’uomo, e della sua ricerca di accrescimenti provenienti dalle sollecitazioni estetiche. Non si tratta di una poetica di intolleranza e di una schematizzazione qualsiasi; si tratta invece di una aspirazione a rifarsi a parole elementari, liberate da ogni precarietà, con le quali darsi a postulare una sintesi tecnico-umanistica. Poiché il processo meccanico non è una minaccia fino a quando non se ne rifiuta l’esperienza. Altre volte nella storia delle civiltà gli ordini scientifici sono stati metamorfosizzati in eventi estetici. Le leggi del numero sono presenti così nella musica come nella poesia e nell’architettura; quelle della fisica ancora nell’architettura e poi nella danza, nello spettacolo scenico; quelle della chimica nella composizione di colori, e così via. Si pensi al peso che ebbero nelle creazioni artistiche la prospettiva, la “divina proporzione”, la “sezione aurea”: ed erano termini di discipline scientifiche che avevano relazione diretta con tutta una particolare visione del mondo. Questa visione e questo rapporto sono oggi mutati ed altre norme scientifiche ne regolano le misure, fino a localizzare un nuovo momento dell’edificazione della civiltà. Potrà sempre accadere che la quantità si converta in qualità.
Tutti questi sono precedenti che non possono non stimolare le facoltà creative e indirizzarle verso un dato procedimento. Potremmo ammettere che oggigiorno aleggiano ancora diversi motivi di allarme, ma in compenso non abbiamo più feticci da adorare e nemmeno idoli meccanici da riverire. Ed è già molto, perché l’allarme dà comunque tempo per reagire e per preparare le difese, mentre si rivela anche conseguenza naturale di uno stato di preveggenza. Voglio dire che, consci della instabilità e mutabilità del mondo, nessun fenomeno può coglierci di sorpresa. E questo si cerca appunto di rappresentare negli oggetti creati sul filo della percezione visiva, portando sul piano della attività estetica una visione del mondo e questa caratterizzando in base ai vari accertamenti individuali.
Dott. Andrea Diprè (critico d'arte)

Il nuovo e atteso intervento di Andrea.

Nel momento in cui un´opera d´arte diventa merce e entra nella modalità del mercato le viene assegnato un valore (di scambio appunto): può entrare e uscire dalla proprietà attraverso questa variabile.

E il mercato fa il mercato, come è noto ha riassorbito ecumenicamente ogni critica trasformandola in valore autocritico, quindi letteralmente in patrimonio. Ogni provocazione è stata depotenziata da ogni ipotetica carica eversiva e accolta come un figliol prodigo dalla più matura forma di sincretismo.

Nell´attualità tutto può convivere visto che tutto è parificato dall´essenza costitutiva di ogni merce: il suo simulacro, il suo valore economico.

Siamo più che mai nella direzione eroica che Baudelaire voleva dare per mezzo dell´arte all´universo della merce, non facciamo ormai altro che dare al mondo quale è una piega sentimentale ed estetica, la stessa che Baudelaire rimproverava alla pubblicità. Ed è proprio quello che è diventata l´arte in gran parte: una protesi pubblicitaria. L´arte sarà protesi integrale di un mondo da cui la magia delle forme e delle apparenze sarà scomparsa.

Ecco a voi il nuovo intervento 2008 di Andrea : io mediterei molto sopra alle sue parole..

EXTRATERRESTRI

Talvolta mi chiedo che fine abbia fatto la pretesa umana di colonizzare l’universo o che fine abbia fatto la corsa nello spazio, visto che gli astronauti ancora in circolazione sono quasi esclusivamente i protagonisti di una vecchia serie televisiva che non si decide a mandarli in pensione nemmeno da eroi. Eppure, dopo la sbarco sulla luna, che elargì le prime e forse ultime emozioni dell’era spaziale, sembrava che il mondo non aspettasse altro che spartirsi tutto ciò che c’era ancora da visitare, da Marte a Giove, passando, eventualmente per Nettuno , Urano e Plutone. Pareva che fossimo tutti smaniosi non solo di trasferire nella galassia il messaggio di civiltà della popolazione terrestre ma soprattutto di fare conoscenza con i nuovi anche se improbabili inquilini di un universo ancora inesplorato. Il mondo, insomma, il nostro mondo, non solo riteneva di avere ormai scoperto tutto di se stesso ma si considerava in grado di assumersi la responsabilità persino di impartire qualche lezione agli alieni. Poi gli entusiasmi si sono andati calmando, si sono ridotti i fondi per questo genere di imprese e nemmeno i bambini delle ultime generazioni sembrano disposti a impegnare i loro sogni per ripromettersi di diventare astronauti. Sicuramente ci saranno delle spiegazioni utili a spiegare il fenomeno ma per quanto mi riguarda mi piace pensare all’ipotesi di una inaspettata presa di coscienza che potrebbe averci indotto a rallentare la nostra corsa nello spazio. Mi piace pensare che il mondo, il nostro mondo, all’improvviso abbia cominciato a rendersi conto di alcune modeste verità. Innanzitutto che forse non siamo ancora pronti a confrontare la nostra civiltà, con quella di altre entità spaziali che potrebbero essere molto più avanti di noi, senza rischiare di perdere comunque la faccia. In secondo luogo potremmo aver capito che prima di andare in visita in casa d’altri dovremmo cominciare a mettere un po’ d’ordine nella nostra , cercando di raggiungere una coscienza, in qualche modo presentabile, del nostro essere umani. E infine potremmo aver capito, ma non ne sono del tutto certo, che non ha senso andare su Giove per cercare mondi estranei. Gli alieni sono ancora tra noi.

Ecco l'atteso nuovo intervento di Andrea : 

EXTRATERRESTRI

Talvolta mi chiedo che fine abbia fatto la pretesa umana di colonizzare l’universo o che fine abbia fatto la corsa nello spazio, visto che gli astronauti ancora in circolazione sono quasi esclusivamente i protagonisti di una vecchia serie televisiva che non si decide a mandarli in pensione nemmeno da eroi. Eppure, dopo la sbarco sulla luna, che elargì le prime e forse ultime emozioni dell’era spaziale, sembrava che il mondo non aspettasse altro che spartirsi tutto ciò che c’era ancora da visitare, da Marte a Giove, passando, eventualmente per Nettuno , Urano e Plutone. Pareva che fossimo tutti smaniosi non solo di trasferire nella galassia il messaggio di civiltà della popolazione terrestre ma soprattutto di fare conoscenza con i nuovi anche se improbabili inquilini di un universo ancora inesplorato. Il mondo, insomma, il nostro mondo, non solo riteneva di avere ormai scoperto tutto di se stesso ma si considerava in grado di assumersi la responsabilità persino di impartire qualche lezione agli alieni. Poi gli entusiasmi si sono andati calmando, si sono ridotti i fondi per questo genere di imprese e nemmeno i bambini delle ultime generazioni sembrano disposti a impegnare i loro sogni per ripromettersi di diventare astronauti. Sicuramente ci saranno delle spiegazioni utili a spiegare il fenomeno ma per quanto mi riguarda mi piace pensare all’ipotesi di una inaspettata presa di coscienza che potrebbe averci indotto a rallentare la nostra corsa nello spazio. Mi piace pensare che il mondo, il nostro mondo, all’improvviso abbia cominciato a rendersi conto di alcune modeste verità. Innanzitutto che forse non siamo ancora pronti a confrontare la nostra civiltà, con quella di altre entità spaziali che potrebbero essere molto più avanti di noi, senza rischiare di perdere comunque la faccia. In secondo luogo potremmo aver capito che prima di andare in visita in casa d’altri dovremmo cominciare a mettere un po’ d’ordine nella nostra , cercando di raggiungere una coscienza, in qualche modo presentabile, del nostro essere umani. E infine potremmo aver capito, ma non ne sono del tutto certo, che non ha senso andare su Giove per cercare mondi estranei. Gli alieni sono ancora tra noi.

L'IMPORTANZA DI AVERE SENTIMENTO

La ricerca della verità non è l'ansia di tutti gli uomini. Molti preferiscono l'ipocrisia. Così mi accorgo di rischiare, talvolta, di farmi danno perchè non sono capace di finzioni e di calcoli. E' vero che è sempre opportuna una buona dose di prudenza. Ma la prudenza è una virtù che serve anche ai migliori combattenti e non ha niente a che fare con un vantaggio personale. In realtà, per le grandi imprese, occorre una virtù sovrumana che spazzi via gli opportunismi. Occorre inseguire un sogno. Ecco perchè alcuni uomini diventano più grandi. Molti uomini importanti costruiscono solide carriere perchè essi, ben lungi dall'egoismo, hanno un amore profondo per l'utile, diciamo così, universale e al di sopra delle persone; in altre parole una sincera reverenza per tutto ciò su cui si costruisce il proprio vantaggio. Nulla di male, in questa posizione, per così dire, borghese. Ma non è dell'uomo verso l'eroe, quanto dell'uomo verso il cane. Anche un cane di razza, infatti, si cerca un posto sotto la tavola, insensibile ai calci non per bassezza canina ma per affetto e fedeltà, e appunto i freddi calcolatori non hanno nella vita la metà del successo conseguito invece dagli spiriti felicemente equilibrati, che nutrono sentimenti veri e profondi per le persone e le condizioni capaci di portare loro vantaggio.

 

Andrea Diprè

Piacevolissima sorpresa in esclusiva : una bella intervista ad Andrea  

 

E' per me un piacere incontrarmi con il critico d'arte Andrea Dipre'. Ti ringrazio della cortesia e direi di iniziare l'intervista.

D: Prima di tutto volevo sapere dove nasce la tua sincera e genuina passione per l'arte e tutto cio' che la unisce e accomuna.

R: L’arte è luce, anima e racconto; l’arte è l’apparizione improvvisa di una rosa nelle tenebre: dunque per me l’arte e la vita sono la stessa cosa. Non mi ritengo un appassionato d’arte. Mi considero una via di mezzo tra un chirurgo e un meccanico: non ti puoi appassionare alla gamba che tagli o al motore che aggiusti. Ho sempre considerato l’arte sotto una specie così rigorosa da non consentire passioni, se non passioni improprie e,quindi, perversioni.

D: Perchè secondo te l'arte, al giorno d'oggi non è cosi' popolare come lo era un tempo?Cosa secondo te è cambiato per racchiudere in una nicchia ancora piu' piccola questo stupendo passato, presente e futuro che è l'arte?

R: Ai tempi di Michelangelo, Raffaello e Leonardo, si producevano capolavori assoluti per un pubblico che non poteva capirli. Oggi che la gente ha gli strumenti necessari per intendere il bello, si producono orrori. Sono le contraddizioni dei tempi moderni. Il pubblico è stato per troppo tempo tenuto lontano dall'arte e una ristretta cerchia di critici e "addetti ai lavori" ha imposto come fondamentali opere che non lo sono affatto, mentre ha clamorosamente trascurato i lavori di grandi rivoluzionari.E adesso ne paghiamo le conseguenze...

D: Dove, secondo te , porterà il pressapochismo con cui si tratta l'arte : le profanazioni e i falsi non la aiutano certo.

R: Siamo rassegnati. Ci siamo ormai convinti che l'arte del nostro tempo abbia un volto che in realtà è una maschera. Penso, tuttavia, che il tempo, sempre più lentamente, s'incaricherà di ristabilire i valori.

D : L'arte va goduta o va fruita?

R: Assolutamente goduta! Fruire è verbo che si addice al linguaggio burocratico. I beni culturali vanno goduti, non fruiti!

Ellery : Ti ringrazio della consueta gentilezza che ti accompagna. Grazie di tutto.

 

Andrea : Grazie a te, Ellery, e complimenti per la tua attività di promozione culturale e artistica on-line!

 

Per questo inizio anno 2007 Andrea ci regala questa riflessione, fresca fresca.

IL PREZZO DELLA SINCERITA'


E’ vero. La sincerità ci procura tanti nemici, ma fra chi? Fra i mediocri, i pavidi, gli opportunisti. Voi mi direte che sono la maggioranza, e avete ragione, ma non è alla maggioranza che porta il cervello, il cuore e il fegato all'ammasso, schiava dei luoghi comuni e fuorviata dalle false opinioni, che dobbiamo guardare. Non è alla maggioranza che dobbiamo compiacere. Non è della maggioranza che dobbiamo temere i giudizi e cercare l'approvazione.
A forgiare i destini dei popoli sono sempre state le minoranze. Pochi sapienti, artisti, pensatori resero grande la Grecia, come il Senato rese grande Roma. L'Umanesimo e il Rinascimento furono opera di una piccola élite d'intellettuali, artisti, mecenati. La rivoluzione del 1789, che tanto fece per la libertà, e non solo della Francia, ebbe i suoi artefici in una fazione d'idealisti incorruttibili, sanguinari e, davanti al boia, pavidi. Il Risorgimento lasciò indifferenti gran parte degli italiani, quando non fu da questi osteggiato. A riscattare la Russia dal cappio zarista fu una manciata di agitatori, capeggiati dal feroce titano Lenin. E lo stesso accadde nella Cina feudale e dei signori della guerra con Mao, sterminatore di dissidenti. Quello che ottenne per l'India dei bramini e dei paria, delle caste e dell'apartheid, il Mahatma Gandhi con la protesta silenziosa e la resistenza passiva, la grande fede e gli spietati digiuni, non l'avrebbe ottenuto l'intero popolo in armi. Se siamo convinti della bontà della causa che abbiamo sposato, per essa dobbiamo batterci sino in fondo. Costi quel che costi. Ma per battersi e vincere le battaglie ci vuole coraggio, che richiede non solo forza d'animo, ma anche sincerità. Guai a mentire a se stessi e agli altri per debolezza, per codardia, per calcolo, per lusingare chi può favorirci, anche se non riscuote la nostra stima.
Prima o poi, la menzogna si paga. Certo, dire ciò che si pensa, soprattutto se si pensa quello che non pensano gli altri, quelli che i più disapprovano e dispiace al potere, non è facile, ma se veniamo meno a questo dovere, tradiamo noi stessi.
Io, le cose migliori, le ho dette quando ho saputo essere spietatamente sincero. Quando ho avuto il coraggio, ai limiti della temerarietà, di andare controcorrente, sfidando i marosi del conformismo, aggirando gli scogli delle caduche opinioni alla moda, evitando le secche dei luoghi comuni, i più affollati. Ho spesso rischiato la solitudine, ma questo non mi ha mai disarmato. Anzi, mi ha reso, se possibile, ancora più pugnace.
Se quello che pensiamo e diciamo ci procura tanti nemici, poco male. Alla resa dei conti, dobbiamo rendere l'ultimo, quello decisivo, solo alla nostra coscienza. Che non sarà immacolata, ma non ha mai ceduto ad ambigue lusinghe, mai è scesa a disonorevoli compromessi.

         

IL TEMPO   ( il nuovo intervento di Andrea)

Il tempo che passa e turba l'uomo perché lo avvicina al momento supremo della vita, quando da questa si congeda, passa per tutti. Per alcuni passa meglio; per altri, peggio; ai primi dà più gioie; ai secondi, più dolori.   Perché?  Non me lo si chieda.  E non lo  si chieda a  nessuno perché  nessuno  sarà in grado di rispondere, anche se presuntuosamente se ne attribuirà i titoli.   Tutto, tutto è un mistero, e  quello del tempo, incommensurabile clessidra dell'eternità ,  è forse il più fitto.   Squarciarne i veli è impossibile perché il Creatore (lo si chiami Dio, architetto dell'universo, grande orologiaio) non ce ne ha fornito gli strumenti. Viviamo nell'ignoranza, almeno di fronte a questi grandi interrogativi,   ma è inutile ribellarsi perchè resteranno sempre tali. Io non so, come non sa nessuno, da dove veniamo e perchè. Veniamo da un altro mondo, abbiamo alle spalle altre esistenze ed esperienze, abbiamo vissuto un altro tempo? Se sì, dove e quando l'abbiamo vissuto , e come ?  Belle domande ,  ma anche queste, senza risposa.   Non ci arrovelliamo più di tanto, cerchiamo di vivere al meglio quello che ci resta da vivere, il tempo che ci è stato concesso.   Non sprechiamolo ,  facciamone un uso oculato e sapiente.   Quello perduto non lo ritroveremo più, e nessun potrà restituirci ciò che ci ha tolto con attese troppo lunghe o con inutili chiacchiere. Consegniamo il passato agli archivi, ma questi consultiamoli spesso. Accantoniamo, se ci riusciamo, i brutti ricordi e conserviamo quelli belli. Guardiamoci indietro, ma non crogioliamoci in ciò che è stato. Trascuriamo il caduco, che nulla può insegnarci e a niente può giovarci, e monetizziamo spiritualmente tutto ciò che ha lasciato in noi un benefico segno, facendoci capire molte cose e plasmandoci. Ogni tanto mi capita, ma vorrei che mi capitasse più spesso, di guardare il cielo, di assistere a un'alba, a un tramonto, di affacciarmi alla finestra, di passare davanti a una chiesa o a un palazzo di cui in qualche occasione varcai la soglia. In quei momenti, dalla mia memoria può emergere un ricordo, anche remoto. Il ricordo di un incontro, di una visita, di una pausa di raccoglimento, di una folla o di una persona che in qualche modo mi colpirono. Perché questo ricordo risuscita, senza che io lo abbia sollecitato? Perché porta con sé emozioni e sensazioni, che fanno ormai parte di me, ma che senza uno stimolo visivo o acustico resterebbero nell'inconscio? Rivivere queste e quelle non è solo un ritorno al passato: è anche il recupero, effimero, ma coinvolgente, e talvolta struggente, di momenti felici o, comunque, importanti. Dico anch'io "sembra ieri", e un po' cedo alla malinconia, ma senza farmi irretire dai rimpianti, che ne sono gli sterili aculei. Viviamo dunque la nostra età e guardiamo avanti. E nel nostro animo scaviamo una piccola nicchia per quei ricordi che tutti dovrebbero gelosamente custodire e, nel momento del bisogno, riportare alla luce del sentimento.

Questa è una piccola riflessione di ANDREA : leggete e meditate.

QUANDO DAVIDE FUGGE DAVANTI A GOLIA

In tutte le vicende umane, nelle grandi imprese come nelle piccole, gli uomini si riconoscono perché mantengono fede agli impegni, anche nei momenti difficili. L'impegno non è verso chi ha il potere o chi ci chiede di fare qualcosa per lui, in un rapporto di lavoro che può essere stabilito da contratti come può essere messo in discussione da dilettantismi; l'impegno è con il proprio spirito e con i propri compagni di avventura. Si può combattere contro il mondo, si può vivere nella dimensione eroica di Davide contro Golia: si deve rischiare e vincere. Ma un Davide che scappa alla vista di Golia non esiste: non è Davide. Ci ha fatto credere di esserlo; e adesso siamo a combattere al suo posto. Ciò che deve guidare le azioni di un uomo è la certezza che, con l'ingegno o l'astuzia, con la fortuna o la virtù, egli arriverà dove ha deciso. Non ci sono difficoltà pratiche, disagi che possano impedire a un uomo, attraverso la volontà, di far arrivare il proprio spirito oltre ogni ostacolo. In questa incoscienza si riconosce l'uomo che mette in gioco tutto non chiedendo nulla. Purtroppo accade talvolta che, non i pusillanimi, ma gli eroi si ritraggano. Ed è allora che il mondo cade.

Ecco a tutti quanti voi, un'interessantima e fresca riflessione di Andrea :

IL TIMER DELLA NOIA

Ognuno di noi, in rapporto con gli altri, ha una autonomia di tempo, una durata oltre la quale la sua tensione inizia a calare.Il problema è dunque sapersi allontanare prima che il nostro tempo si consumi, e mai sovraesporsi.La maggior parte degli esseri umani non supera i quaranta minuti, oltre i quali inizia a ripetersi. È come se tutta la vita, la somma delle nostre esperienze, la nostra spiritualità (ciò che Aristotele chiamava entelechia), potessero essere contenute, con sintesi e raccordi, in una misura temporale tanto più quanto più la nostra vita è ricca di umanità. Avviene in tal modo che molti non abbiano maturato né una qualità tale da porsi come modello, né una quantità di vicende tali da accendere una curiosità. Incontriamo così persone gentili, attraenti che, dopo un po´ ci annoiano o, meglio, non hanno più niente da dirci, scade il loro tempo e diventano trasparenti. Oltre il loro corpo vediamo, o desideriamo vedere, altri di cui ancora non sappiamo la durata relativa.Per cui non si può escludere che chi, rispetto a una persona ha una durata di due ore, rispetto a un´altra ce l´abbia di quattro, a seconda delle affinità e dei limiti reciproci.Questo vale per tutti i rapporti umani, ed è evidente che è meglio vedersi quaranta minuti alla settimana che non soffocarsi di noia per non vedersi mai più.

Ecco a tutti quanti voi un'altra stupenda riflessione di Andrea :

L'ARTE VA GODUTA NON FRUITA

Per molte cose, la resistenza agli oltraggi del tempo, risulta sorprendente: alcuni estri linguistici rimangono in auge per anni. Ecco perché certe forme di espressione che ascoltiamo, che usiamo in modo automatico, ci sembrano di conio recente. Ma non sempre è così, anzi... Perchè, ad esempio, nell'attività parlamentare e nell'attività critica si parla di indagine conoscitiva e di restauro conservativo? È forse possibile un'indagine fatta  per non conoscere, o un restauro che abbia come scopo la distruzione dell'oggetto? In effetti, indagine conoscitiva e restauro conservativo, sono formule vane, che utilizzano un rafforzativo con il solo scopo di complicare ciò che è semplice. Un destino abbastanza simile si è accanito contro la parola godimento, una parola molto bella, attinente al piacere, che nella  legge del 1939 per la tutela del patrimonio artistico, era legata alla gioia  derivante dal vedere, dal contemplare le opere d'arte: ebbene, in un momento
indefinito fra gli anni Sessanta e Settanta, il godimento si è trasformato in fruizione... La fruizione dei beni culturali: una formula burocratica.



Questa è la nuova riflessione di Andrea....fresca fresca: buona lettura.

LE PROVATE DEVASTAZIONI DEI PRESUNTI RESTAURI

Ognuno di noi ha una predilezione per alcuni luoghi, dove più volentieri ritorna e dei quali gli è caro il destino; soffre per imbarbarimenti, contaminazioni, alterazioni che corrompano la memoria che di quei luoghi egli dentro di sé conserva. Ciò avviene facilmente nei paesi appartati, piccole cittadine, angoli pittoreschi, disseminati ovunque in Italia e ovunque minacciati. E più ancora chi non vorrebbe preservare dall'orribile inquinamento estetico un angolo poco lontano da casa sua che da un anno all'altro rischia di essere mutato? Pensate al rischio della pavimentazione sbagliata in una strada o in una casa o in una chiesa; dell'intonaco sbagliato, di un'illuminazione sbagliata o dell'alterazione della luce di finestre, della profusione di alluminio anodizzato; o delle trasformazioni per "riadattamento". Ahimé, l'Italia del dopoguerra è stata devastata orribilmente e irreparabilmente in ogni suo punto, tanto che si grida al miracolo quando in un borgo abbandonato la povertà e perfino la distruzione hanno tenuto lontano figure sinistre come "il recupero", "la ristrutturazione" e il restauro in stile, sempre presunto, delle soprintendenze.

I GIOIELLI RESUSCITATI ( la nuova riflessione di Andrea)

Qualche giorno fa un amico ricco e sofisticato, che ha lungamente fatto il mercante d'arte, arrivò a casa mia con un "tesoro" di gioielli romani e bizantini acquistati in un'asta a Londra. Deciso alla conquista di una bella donna che era con me mentre sistemavo carte e documenti, il nostro organizzò una estemporanea esposizione di anelli, orecchini, spille, in un clima di forte suggestione e quasi di sfida, invitando la giovane donna a scegliere uno di quei gioielli. Ho pensato, in quel momento, che quell'oggetto perfetto proveniva dal mondo dei morti e che era stato destinato a una persona di cui si era persa, nei secoli, la memoria. La nostra civiltà è una civiltà che rimuove la morte. Oggi traiamo il massimo godimento dalla visione di ori e di gioielli, ornamenti recuperati in necropoli, miracolosamente scampate alle razzie dei tombaroli, ma non alle perlustrazioni degli archeologi. Il mondo della notte risplende, ancora un attimo. Così la vita si riappropria della morte, come la nostra amica, oggi porta il gioiello destinato ad una donna morta duemila anni fa e della quale non sappiamo più niente.

Riflessione Natalizia di Andrea : leggete e meditate.... come sempre.

Caro Babbo Natale, ci risiamo. Tra un po' riceverai migliaia di lettere da bambini di tutto il mondo. Io, bambino d'età non lo sono più ma ho deciso di scriverti lo stesso. A volte, temo, che tu non sappia come stiano andando le cose su questa terra. Trascorri un intero anno per costruire doni per poi distribuirli puntualmente alla vigilia del Santo Natale. Nasceva Lui. E già sapeva come sarebbe andata a finire. Ma non avrebbe mai immaginato dove l'uomo sarebbe arrivato. D'accordo, avrebbe dovuto aspettarselo, data
l'esperienza. Ma a volte, il male che è nell'uomo, è il proseguimento genetico di un Satana che trova sempre più spazi in questa società. Uomini che si uccidono in incomprensibili guerre, figli che uccidono genitori, genitori che uccidono figli, malati che consapevoli della loro malattia non indugiano a trasmettere il proprio male (leggi Aids), migliaia di bambini che muoiono ogni giorno di fame e di sete. Vecchi e sofferenti a cui viene tolta anche la dignità nel morire. Carceri sovraffollate dove l'odio si alimenta di giorno in giorno. E il mondo gira, gira. Ma su se stesso, anch'esso. Senza sapere dove andare. E forse sarà stato questo eterno girare che gli ha fatto perdere l'orientamento. In Nigeria e in altri Paesi, le donne muoiono mediante lapidazione. Vengono sotterrate vive, solo la testa rimane fuori. Da
bersaglio. Le pietre che si conficcheranno nel cranio della sventurata non dovranno essere troppo grandi. Per non accelerarne la morte. Non troppo piccole. Perché la morte non tardi a venire. Giuste, dovranno essere di misura giusta. Giuste come quel male che rimane sempre ingiusto. E che l'uomo, con la sua ipocrisia vorrebbe spacciare per giusto, inevitabile. Ma tutti, caro Babbo Natale, sanno queste cose. Forse, l'unico a non saperle sei proprio tu. Ora, te la chiedo io una cosa: fai tornare quell'uomo sulla
Terra. Non dirgli, però, che certi Suoi rappresentanti hanno "abusato" persino dei bimbi. Il Suo dolore farebbe abortire la nuova Maria. Te l'avevo detto, Babbo Natale: siamo messi male, troppo male. Le luci dei negozi sono migliaia, le musiche sparse nell'aria gelida infondono gioia e serenità. Ma è tutto falso: la gente non sa come arrivare a fine mese. I supermercati, alla quarta settimana del mese, propongono sconti che vanno dal 30 al 40 per cento. I regali sono diventati l'ultimo atto di penitenza rimasto. La loro anima, dopo, sarà salva. E quel povero vecchio, infreddolito e mal vestito, è ancora fermo davanti a quella vetrina di salumeria, colma di ogni ben di Dio. E non si chiede più il perché. Ma noi, caro Papà Natale, dobbiamo chiedercelo. Perché se non ce lo chiediamo, vorrà dire che anche noi siamo morti. E quel che sarà peggio, inutilmente.

IL NOSTRO DOVERE DAVANTI ALLA STORIA (il nuovo intervento del grande Andrea)

Occorre acquistare coscienza politica della  straordinaria identità  culturale  dell'Italia la cui vocazione alla bellezza è un bene primario che non si può consentire di disperdere.   I cittadini devono, insieme alla coscienza , avere a nche  gli strumenti  per  garantirsi  contro i barbari.   Sembra incredibile aver dovuto assistere, e continuare ad assistere , inorriditi alla  dispersione sistematica ,  alla cinica manomissione di beni indisponibili, con la serena distruzione di architetture e di spazi della città e della natura ,  come se potessimo disporre di un  dipinto di Giotto  o di una scultura di  Michelangelo per  graffiarli o  amputarli, quando  non  rifarli  dopo  averli  distrutti.   Noi  abbiamo  un altissimo  dovere  davanti alla s toria  e alle generazioni  future .  E  non possiamo disporre  o  lasciare  disporre  di  questo patrimonio  senza  regole  certe, che consentano di difendere le città come la natura. È questa la principale questione  culturale che richiede misure drastiche  al pari delle  emergenze sanitarie.   L'epidemia dei distruttori della bellezza è contagiosa e, purtroppo, n on è atipica. Sono necessarie garanzie per la salute,  in una più alta dimensione spirituale .   Perseguendo, in uno, il  Bene  e il Bello , si  deve agire per  una riforma  non velleitaria della istruzione, stabilendo,  in modo ordinato,  i principi di formazione alla bellezza, come etica dell'individuo e abito mentale. E dunque,  in tempo di pace,  sia guerra alla stupidità e a lla mediocrità e a  chi distrugge con la leggerezza e con la presunzione di costruire un futuro migliore, senza rispetto per la storia, per la tradizione, per la memoria.

Andrea lo potete vedere ogni giovedi' ore 23 su Nuova Rete in un programma chiamato : L'italia di Dipre'. Il programma si ripropone di andare alla (ri)scoperta di tutti queli luoghi  grandi o piccoli che siano della nostra bella Italia. Un castello, un borgo, una festa oppure una pieve : la visione di tutti questi luoghi viene affidata ad Andrea che grazie ad una profonda e intima analisi, li seziona...li analizza e li colora di varie sfumature, che vanno dal malinconico all'estatico, dal raggiante al rassegnato.  Possibilità anche di valorizzare gli artisti del luogo. Se siete interessati o volete saperne di piu', scrivete a questo indirizzo : modenaeventi1@virgilio.it o telefonate allo 051 739912. Fidatevi del nome di Andrea : una garanzia.(apr 06)

L'INEVITABILE AUTODISTRUZIONE 

L'uomo, con poche, accidentali eccezioni, nasce malvagio (mi dispiace,ancora una volta, per Rousseau) e la società, per tutelarsi dalle sue cattiverie , dai suoi intrighi , dalle sue funeste ambizioni,  cerca , nei limiti del possibile,  con le leggi e le pene inflitte ai trasgressori , di limitare i danni di comportamenti disonesti e criminali.I buonisti, gente ipocrita e abietta,  come i moralisti, mi daranno,  tanto per cambiare  (ma loro non cambiano mai) ,  del cinico e del razzista,  ma io , dei loro anatemi e delle loro ingiurie,  m'infischio e dico fuori dai denti quello che  le loro orecchie , intrise di cerume e di melassa , non vorrebbero  sentire. Bisogna  avere non  solo il coraggio  delle proprie opinioni e dei  propri giudizi,  ma anche  quello  di  non tradire la verità, di proclamarla , fino in fondo , ai quattro venti.  La vita è una giungla dove trionfa il più forte,  il più spregiudicato,  il più astuto, spesso il più corrotto.  Non sono le colombe, volatori ritenuti , a torto o a ragione ,  miti , né gli agnelli, assurti a simbolo biblico di bontà ,  a popolare metaforicamente il pianeta. Ma sono gli squali,  le iene, gli avvoltoi, gli sparvieri. Non chiedetemi perché: non lo so. Ma questo mi ha  insegnato l'esperienza , la  migliore e la più  istruttiva delle scuole.  La vita , almeno  quella che  ho vissuto e sto vivendo io, è una battaglia,anzi una guerra su tanti fronti. Una guerra che non finisce mai e , quando finisce , ci annienta precipitandoci per  l'eternità,  se esiste , nell'oblio.   E anche di  questo  non chiedetemi perché.   D'altra parte sono cose  che non si capiranno mai : nessuno,  per insondabile  decreto divino,  può  saperle. La  storia  è scritta con  il sangue proprio  perché l'uomo è malvagio , traviato  dalle passioni e fuorviato dalle ambizioni. Se così non fosse, non sarebbe,da quando mise piede sulla terra, dai tempi delle caverne e delle palafitte,in guerra perenne con i propri simili, invidioso del loro rango e avido dei loro beni e dei loro domini. Dacché mondo è mondo c'è chi vuole comandare e chi deve , suo malgrado, ubbidire; chi detta legge e chi, non condividendola ,se ingiusta e discriminatoria , è costretto a piegarvisi. È una realtà dura,spesso feroce, ma è la realtà. La schiavitù dei tempi dello zio Tom non esiste più, ma non sono  forse  schiavi  i bambini  che a  sette-otto anni  lavorano come clandestini,  reclutati  da  moderni negrieri , in imprese o per imprese illegali?  Quanto alla tortura , la  si pratica ancora  in molti Paesi, dove governano satrapi sanguinari  e liberticidi ,  ma anche in Nazioni esportatrici di  democrazia un tanto alla libbra.Penso che dovremo inevitabilmente rassegnarci all'autodistruzione. Ma a trasformare la terra in un pianeta senza vita non sarà un nuovo diluvio universale (acqua passata). Sarà la nostra malvagità,la nostra avidità,la nostra cecità. Dieci, cento Cernobyl e saremo spacciati. Per sempre.

L'IPOCRISIA  (riflettete e tanto circa il nuovo intervento di Andrea)  

Rare sono le virtù, che impongono alla nostra coscienza, la più scomoda delle interlocutrici, il più intransigente rigore. Con la coscienza non si scherza, non si gioca a rimpiattino. Se cerchiamo d'ingannarla, ci smaschera subito. I rimorsi nascono dalla coscienza sempre in agguato dentro di noi che ci costringe, spesso nostro malgrado, a riconoscere i torti fatti e gli errori commessi.

Ora, se c'è un difetto che proprio non ho, ebbene, quello è l'ipocrisia. Io, quel che penso, lo dico. I rospi li sputo: non l'ingoio. Non so fingere. E non perché migliore degli altri, ma perché fingere è per me un terribile sacrificio.

La gente raramente è se stessa perché l'ipocrisia aiuta a vivere. O a vivere meglio. Se non ci fossero in giro tanti tartufi, il mondo sarebbe una giungla. Immagini se tutti dicessero ciò che pensano. Immagini se i politici, insuperati maestri di doppiezza, non s'adeguassero all'aureo motto di Talleyrand, il volpino ministro di Napoleone, e non solo di Napoleone: «Dio ha dato all'uomo la parola per meglio nascondere il pensiero».

Diceva George Bernard Shaw: «E' pericoloso essere sinceri, a meno di essere anche stupidi». E rincarava la dose l'altro grande irlandese, Oscar Wilde: «Un po' di sincerità è pericolosa; molta, assolutamente fatale». Due paradossi, specialmente il secondo, ma il paradosso è una verità acrobatica e, come tale, da meditare. Io capisco la simulazione e la dissimulazione in amore: fa parte del gioco. E le capisco (un po' meno) in politica. Ma, al di fuori di questa e di quello, la finzione non la sopporto. Dal momento, però, che in giro ce n'è tanta, ne deduco che è necessaria. O, comunque, utile. Quindi, auspicabile.

Anche a me capita spesso di tirare le somme della vita. Ognuno dovrebbe tirarle, e chi non lo fa rende un pessimo servizio a se stesso. Non sono bilanci facili perché richiedono una spietata lucidità e un grande coraggio. Ma proprio per questo non andrebbero elusi.

Per tornar all'ipocrisia, la doppia morale nasce da questo vizio, che diventa tale solo se smascherato. La doppia morale ci consente d'indossare tante maschere: quindi, di avere e mostrare tanti volti. Non per illuminare le nostre convinzioni, ma per secondare le nostre convenienze. Non siamo mai noi stessi, ma quelli che il nostro "particulare", come diceva Guicciardini, ci consiglia di essere. Se Tizio ci vuole così, così ci mostriamo. Se Caio ci preferisce cosà, cosà a lui ci offriamo.

Moralmente privi di punti fermi, quindi di saldi principi cui ispirarci e da cui farci guidare, non conosciamo remore. Non avendo un'etica e non sentendone il bisogno, tutto ci può essere chiesto perché tutto siamo disposti a concedere. Non avendo scrupoli, non vediamo, o fingiamo di non vedere, i confini fra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Le cause che sposiamo, le sposiamo non perché buone, ma perché giovano alla nostra, fatta più d'interessi che d'ideali. Viviamo nella paura (e alcuni nel terrore) di bruciarci i vascelli alle spalle, di non avere vie di scampo. Molti queste cose non vorrebbero sentirsele dire. Ma io ugualmente gliele dico. E, alla prima occasione, gliele ripeterò.

   Andrea Dipre'

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