Era la notte di S. Lucia (del 1745). I tuoni rumoreggiavan
lontano sordamente.
Il cielo burrascoso e buio era tutto uno
sfavillio di baleni, che rendevano più scura la
notte. Un levante impetuoso squassava, sfondava,
svelleva quanto gli resisteva. E le tegole, le
piante, i comignoli delle case, le croci dei
campanili volavano per aria come pagliuzze, tra i
cento miagolii del vento, che diventava sempre più
furibondo.Uno scoppio di folgore assordante peggio
di una cannonata, e radi ma grossi chicchi di
grandine cominciano a percuotere i tetti e le vie
buie, deserte.
Una seconda e più formidabile scarica elettrica,
e, mentre il vento accenna a passare, una valanga
di gragnuola mista a un fiume d'acqua, si
precipita dall'alto e muta le strade in
altrettanti torrenti.
Era l'uragano, che si abbatteva con inaudita e
tragica violenza, sul paese e le sue campagne.
Tutta la notte piovve come non era piovuto mai, e
tutto il giorno 13 dicembre fu lo stesso. Il
torrente del vallone della cucca, che
taglia in due l'abitato, era un mare sporco di
fango spumoso, gorgogliante, che nella sua furia
spaventosa trascinava seco mugghiando pietre,
alberi, piante, case, animali, strumenti di
lavoro, tutto insomma quel che incontrava. Era un
che di orrendo.
I pochi che a
giorno fatto, arrischiavano di uscire, sfidando
la pioggia incessante, e andavano a mirare quello
spettacolo, rincasavano in fretta raccapricciati
dalla sua angosciante grandezza, di cui un
pallido ricordo rimane in una rozza cantilena,
tuttora esistente nella bocca del nostro popolo.
Quando, come
Dio volle, spiovve, si poteron mirare in tutta la
loro estensione, i danni enormi arrecati da quel
mostruoso nubifragio, ai campi e alle abitazioni.
La rabbia travolgente della piena aveva infatti
rase al suolo le case di certi Carmelo Lomonaco
alias genitobbi, maestro Francesco Verde e
Margherita Falcone, e poi di Antonio Distefano
soprannominato munnio, Vincenzo e Teresa
Guastella, Teresa Incardona, Orazia Tudisco,
Vincenzo Bertino e Carmelo Pelligra. Cotesti
infelici erano, è vero, buttati in mezzo alla
via perché avevano perduto tutto; nondimeno
potevan chiamarsi fortunati, in confronto de'
tanti periti tra le onde o le macerie delle
proprie case.
Tale la sorte
di Teresa Fava, morta annegata insieme al marito
e ai suoi figli; di Teresa Mezzasalma alias la
pappa, schiacciata con i suoi dalle rovine
della sua casupola; di Orazio Cannata, trovato
morto nel suo abituro tra un monte di fango e
pietre, con altre otto persone; di Giuseppe
Sudano perito pure con i sette figli suoi. Tale
ancora la sorte miseranda di Giuseppa Sansone,
morta con la madre, il marito e una figliuola; di
Nicolanna Fiaccavento alias 1'aqua, trascinata
a mare con due suoi piccini, e di certo Biagio
Spagnolo.
Una vera
ecatombe, che fe' sembrare più grave l'entità
dei danni materiali sofferti dalla città, e
valutati dai periti nominati all'uopo
dall'università, in onze 1057, nelle
quali eran comprese le botteghe distrutte ove
oggi sorge il Circolo Umberto I, la grande
gradinata e il cimitero dell'Annunziata, insieme
alla massiccia porta del Crasto, che furon
letteralmente portate via dal pienone.
Il quale gonfiato sino ad assumere le apparenze
d'un gran mare in moto, distrusse tanti alberi,
giardini, vigne, orti, canneti, mulini, case
rusticane, armenti e seminati per l'enorme cifra
di onze 6754.
Furon quelle,
giornate di vero grande lutto per la povera città
nostra, desolata di tant'ira di Dio. Alla quale
la carità cittadina e del Naselli, e i
provvedimenti governativi sollecitati dai nostri
magnifici giurati, cercarono a tutt'uomo di porre
un argine.
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