comiso


cu rresta si cunzola

La peste
del 1623-1624

comisani@libero.it






COMISO E COMISANI





COLLEGAMENTI

- STORIA LOCALE

- TRADIZIONE

- RELIGIOSITÀ POPOLARE

- COMISANI

- NOMI E COGNOMI

- VARIA

- LETTERE E MESSAGGI

-
INNO A COMISO

HOME PAGE



La peste del 1623-1624

Al tempo del conte Luigi I Naselli (nel 1625 nominato Principe di Aragona dal re di Spagna Filippo IV) e della moglie donna Eleonora del Carriglio, nell'anno 1623 si diffuse in Sicilia una terribile pestilenza, portata da una galea proveniente da Tunisi e approdata a Trapani e poi a Palermo.
Nel 1624 la peste arrivò a Comiso.

In questa pagina viene riportata integralmente la narrazione che, del drammatico evento, fece Fulvio Stanganelli
(can. Raffaele Flaccavento) nel libro VICENDE STORICHE DI COMISO.






La peste del 1623-1624

…una delle più gravi sventure si stava abbattendo allora su la disgraziata isola nostra: la peste!

Malgrado ogni precauzione sanitaria, una galea proveniente da Tunisi, riusciva a ottener libera pratica a Trapani, non tanto per isbarcare i molti cristiani, che aveva a bordo e che erano stati liberati dalla cattività, quanto per far avere al viceré Emanuele Filiberto di Savoia, un ricchissimo tappeto turco.
Quella nave malaugurata era infetta di peste, che difatti in Trapani stessa e, subito dopo, in Palermo si attaccava con rapidità estrema, a quanti ebber da fare con gli oggetti e con gli uomini da essa sbarcati, primi fra tutti lo stesso viceré e il suo segretario, che ne morirono, ai quali tenner dietro una gran quantità di altolocati e di cittadini.


A tal nuova, un fremito d'orrore si propagò da un capo all'altro dell'isola. Tutt'i paesi, pensando a premunirsi dal paventato contagio, s'isolarono l'un l'altro, e cessò ogni commercio reciproco. Inoltre, quanti poterono si rifugiarono in campagna o nei monti, preferendo a ogni altra abitazione, qualche grotta fuori mano; e le città e i paesi giacquero in un gran silenzio di sventura.
Ad onta di tutto questo, il terribile flagello non ristette, nemmeno davanti alla cura escogitata per domarlo dal dott. Marcantonio Alaimo da Regalbuto, che anzi inferocì implacabile in ogni più riposta plaga isolana, distinguendosi per una maggiore intensità a Siracusa, a Noto e a Modica, dove il fisico Pietro Sanmartino si vuole la curasse bene con la teriaca.


Noi non sappiamo né possiamo portar documenti, circa il numero delle vittime, che quella morìa avrebbe fatto anche in Comiso.
Sappiamo invece che, per l'abbandono completo dei lavori campestri e per l'ostinata siccità, essendo i seminati andati a male, il corpo dei nostri magnifici giurati a 29 giugno (1623) decideva d'imporre ai cittadini abbienti, un mutuo coattivo per la compra di almeno 2000 salme di grano, con cui provvedere provvisoriamente alla pubblica «panizzazione» dell'università, nonché alle sementi per il futuro raccolto. E siccome temevasi giustamente che questo, durando il panico della peste, rischiava di riuscire ancor più scarso, per deliberato del 26 settembre fu eletto un «deputato del seminerio», con ampia facoltà di usar tutt'i mezzi affinché, anche i più riottosi, avessero seminato per non affamare la popolazione.


In tempi eccezionali come quelli, eran necessari provvedimenti più eccezionali, simili a quest'altro del 28. Nel quale s'ordinava, provvedeva e comandava che nessun cittadino o forestiere, si fosse azzardato di esportare dall'università «frumento, orgio et pane di dui [rotoli] abascio purché non sia pane necessario per loro arbitrii quanto alli cittadini, quanto alli forestieri che non poczano uscire più di un pane per suo sostentamento, et questo sotto la pena quanto alli frumenti et orggi di unzi venticinco et perdiri li bestii adetti [al trasporto dei] frumenti ot orggi di aplicarsi allo fiscali di questa cittati, et per il pani, di tarì 15 et di perdiri lo pane, di aplicarsi cioè tarì 10 alla fabrica [ancora incompiuta] del nostro glorioso S. Blasio, et tarì cinco chi prendirà o mettirà in chiaro il caso».

E poiché il forestiere in quella congiuntura, era ritenuto come una piaga, e per il pane che mangiava a danno dei naturali del contado e perché si temeva fosse apportatore di peste, il governatore Naselli con suo ordine del 26 dicembre, comandava che d'allora in poi nessun cittadino, pena la vita, ardisse ospitar gente d'altri paesi, non esclusi i figli o i parenti, che fossero stati fuori da più d'un mese.


Con l'anno nuovo (1624), incalzando sempre più da vicino il pericolo della peste, che a Scicli e a Ragusa mieteva vittime a migliaia, il governatore i116 marzo ordinava a ognuno di ritirarsi a sera, non più tardi di un'ora di notte, sotto pena di quattro tratti di corda, e di cinquanta sferzate per i ragazzi di 14 anni in giù.

Ma ci s'immischiò l'ingordigia dell'ex giurato Antonino lo Iacono, e tutti cotesti provvedimenti cadevano nel vuoto. Questi il 21 giugno, giusto a Scicli riusciva a impossessarsi di venti buoi erranti che, lieto della pingue preda, segretamente trasportava nella sua stalla. Venuta la cosa alle orecchie dei nostri magnifici giurati, è vero che essi affrettaronsi a mettere in lazzaretto per venti giorni quelle bestie, che indi fecero bagnare a mare, e a imporre allo Iacono e ai suoi complici un bagno d'aceto; però tutto approdò a un bel nulla, giacché l'abigeatario già moriva di peste, che indi colpiva certi Biagio Incardona mangiatunni, Giovanna Gentile, Croce Spataro, inteso lupo, Giovanni Venticinque, detto l'orecchiuto, e altri.

Fu allora davvero un fuggi fuggi generale di quanti ancora s'indugiavano in città, i quali tutti con il resto si riversarono nella campagna, dove cercavano ansiosamente un luogo solitario dove rifugiarsi e dove, scansati da tutti e da ciascuno, eran dannati a trascorrere i loro giorni nell'abbandono e nell'inedia.
E siccome la fame e la sventura son tristi consigliere, ecco il gran pullulio di furti, stupri, grassazioni e simili lordure che caratterizzarono quegli anni, e che accrescevano la disperazione di quei miseri. Per addolcire la sorte de' quali, inutilmente si adoperavano, da parte loro, i nostri edili, virilmente reprimendo il malandrinaggio e acquistando frumenti e altri viveri a qualunque prezzo, ché il male era incurabile e assai preoccupante.





per tornare all'inizio della pagina

Note
Nella 1^ immagine si vede la facciata della chiesa di S. Giuseppe, aperta al culto nel 1597.
La 2^ immagine è una fotografia del can. Raffaele Flaccavento.
Nella 3^ immagine si vede lo stemma dei conti Naselli.