COMISO E COMISANI
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FRASI CELEBRI
E
GRIDA DI AMBULANTI
L'atmosfera di tutti i giorni in un
paese, qual era Comiso negli anni a cavallo della
2^ Guerra Mondiale, era creata da tante piccole
cose, come:
- i rintocchi delle campane, in determinate ore
del giorno (prima missa, mezzogiorno,
avemmaria...) o per annunciare mestamente 'u
buon muriri;
- gli schiamazzi dei ragazzi, che giocavano o
bisticciavano in mezzo alle strade;
- le grida di donne (mamme e sorelle) nei cuttiggi,
che prendevano le difese dei propri figli o
fratelli che erano stati pestati dai figli o
fratelli delle vicine;
- il picchiettare degli zoccoli degli equini (cavaddi,
muli, scecchi) sul basolato delle strade, il
cigolio dei carretti che essi
trascinavano e gli incitamenti del padrone o con
suoni o con parole o con lo schioccare della
frusta;
- le grida di venditori ambulanti che
annunciavano il loro passaggio.
A ricordo dell'atmosfera di quel
tempo si riportano:
- una piccola raccolta di frasi celebri
- una piccola raccolta di grida di ambulanti
- una storiella inviata da
un comisano
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FRASI CELEBRI
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In un locale della chiesa di S. Maria della
Gratia ('a chiesa re Scapuccini) sono
conservati i corpi imbalsamati di monaci e
benefattori.
Nel locale si trova la seguente scritta, quale
messaggio dei morti ai visitatori:
"Quel
che voi siete noi fummo,
quel che noi siamo voi sarete"
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Quando l'economia era prevalentemente agricola,
la maggioranza della popolazione viveva col
ricavato dei raccolti, che, in genere, si
facevano nel periodo estivo.
Ciò determinava offerte elevate da parte dei
fedeli nelle feste religiose che si svolgevano
dopo i raccolti, come per la festa del Patrono S.
Biagio (2^ domenica di luglio).
Con queste offerte i matricrisiari
riuscivano a ripianare i debiti lasciati dai
costosi festeggiamenti della loro Madonna
Addolorata (festeggiata il Venerdì Santo e dal
1910 la 3^ domenica di maggio).
Per questo motivo i nunziatari, con tono
tra l'indispettito e l'ironico, solevano dire:
"Maria
aggiutti e Bilasi paja!"
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Dopo essersi posizionato in vicinanza del
Municipio, 'u
marchisi Scillieri - simpatico personaggio
della 1^ metà del 1900 - ogni qual volta avesse
da dire qualcosa d'importante contro la parte
avversa, alzando la voce e agitando la mano con
l'indice rivolto verso il cielo, iniziava a
parlare dicendo:
"A
morte i pellegrini!"
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Nella 2^ Guerra Mondiale, dopo l'occupazione
della Sicilia da parte delle truppe alleate, nel
dicembre 1944, in provincia di Ragusa, i giovani
chiamati alle armi si rifiutarono di partire per
il fronte e diedero vita al movimento del "Nun
si patti".
A Comiso questo movimento portò alla
costituzione della Repubblica di Comiso,
proclamata il 06/01/1945.
Mentre nei paesi vicini la rivolta fu presto
domata, a Comiso continuava.
Allora il gen. Brisotto dell'esercito monarchico,
minacciando la possibilità di un bombardamento
su Comiso, fece venire un ufficiale dell'esercito
inglese, il quale pronunciò la frase seguente,
divenuta celebre:
"O
arrendersi, o Comìso più Comìso meno!"
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Nell'immediato dopoguerra la Villa Comunale si
estendeva tra l'allora via Principessa Maria Josè
del Belgio, al di là delle palazzine INCIS, e la
circonvallazione.
La villa consisteva sostanzialmente in una strada
destinata al passeggio, sui cui larghi
marciapiedi in terra battuta c'erano alberi,
panchine per sedersi e pali dell'illuminazione
pubblica, le cui lampade erano regolarmente
bersagliate dai picciuotti cciù squeti del
paese con pietre scagliate a mano o con le filecce.
A circa metà della villa c'era uno slargo
con in mezzo una bella grande fontana circolare e
due fontanelle a zampillo per i passeggiatori
assetati.
Poiché questo complesso di "villa"
aveva ben poco, soprattutto se confrontato con la
villa comunale della vicina Vittoria, fece
fortuna la frase, di autore sconosciuto, che
veniva spesso ripetuta dai Comisani :
"
'A villa (pronuncia: avilla) e nunn avilla è
'a stissa cosa!"
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"Eleganti e solidi com'e scappi 'i Scibilia"
Scibilia era un commerciante che
aveva un negozio di scarpe in via Bagni Diana,
oggi via Degli Studi, tra la cartoleria Battaglia
e la cartoleria Catalano.
A distanza di tanti anni non sappiamo dire se
tale frase venisse detta dai Comisani con tono
convinto oppure ironico.
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"Ma è invisìbili o trasparenti ?"
Questa
domanda veniva ripetuta continuamente da Suzzu 'u re ed, in cambio, a lui
rivolta dai giovani comisani non appena gli si
avvicinavano.
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"Va travàggia, voia, se vvuoi manciari!"
Questa
frase veniva gridata dai ragazzacci, nascosti
dietro una cantunera, a don Ggiuvanninu
Saliernu, un simpatico personaggio che abitava
nel quartiere dell'Immacolata, nella via della
chiesa ra Bedda Matri 'a Catina.
Don Ggiuvanninu
aveva
l'abitudine di parlare sempre in versi a rima
baciata. E, dopo ogni serie di versi, metteva la
mano davanti alla bocca e rideva soddisfatto.
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"Tìriti 'n panza!"
Invito
minaccioso rivolto da un uomo (o da un giovane)
al suo rivale, non necessariamente per questioni
di donne.
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"Ci sper'o cori a Bedda Matri Ddulurata (o
Nunziata o S. Biagio)"
In
genere questa "formula" era detta, nei
giorni precedenti una festa religiosa, da un
bambino o da una bambina, recante in mano un
piattino o una guantiera con sopra
un'immaginetta, per chiedere un obolo ad un
passante; i soldi raccolti erano poi "appesi"
al passaggio della "vara" il
giorno della festa.
In questa attività, nel dopoguerra, si
distingueva una donna che abitava vicino al
lavatoio pubblico, nota come 'a modda ro
sciumi, poiché per una malattia non
riusciva a star in piedi sulle sue gambe.
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Dopo una "bummiata"
assordante o "juochi 'i fuocu"
spettacolari, dai matricrisiari con lo sguardo diretto
verso la Chiesa dell'Annunziata o dai nunziatari con lo sguardo diretto
verso la Chiesa Madre, con tono soddisfatto e di
sfida veniva gridata questa frase:
"Va
falla, va!!!"
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GRIDA DI AMBULANTI |
"Pìzzica e mùzzica, beddi caliàti amiricàa...;
calacavisi e simenza"
Ripetendo
questa frase con la sua voce roca si aggirava per
la piazza Fonte Diana, portando appeso al suo
braccio sinistro il manico del suo grande cesto
pieno di noccioline americane e di semi di zucca,
il venditore proveniente dal quartiere della
Grazia.
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"Dollari
americani m'accattu, oru viecciu m'accattu"Con
queste parole un signore forestiero - di mezz'età,
di statura media e col fazzoletto bianco che
sporgeva dal taschino della sua elegante giacca -
camminando per le stradine dei vari quartieri del
paese, con la sua voce metallica avvertiva del
suo passaggio le donnette, che, bisognose di un
po' di soldi per tirare avanti, aspettavano
ansiose il suo passaggio.
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"Fiiimmini, sciurietti e scamuzzatura a
quattru chila 'na lira,
pattualli a tri chila 'na
lira..."Così,
nei primi anni del dopoguerra, gridava per strade
e cuttiggi del paese un ambulante seduto
sul suo carretto, tirato da un asino paziente e
pronto ad ubbidire agli ordini - di fermarsi o di
riprendere a camminare - che gli dava il suo
padrone.
E qualche ragazzino si meravigliava che la sua
mamma non si precipitasse ad acquistare quei
prodotti così a buon mercato, poiché non sapeva
che il venditore alludeva a una lira
"ante guerra", che equivaleva a 100
lire del dopoguerra.
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"Pedd' 'i cuniggiu
m'accattu, capiddi m'accattu..."Questa
frase ripeteva 'n picciuottu frustieri
che girava a piedi per le strade dei quartieri
comisani portando davanti un cassetto sostenuto
da una cinghia che gli girava attorno al collo.
'U picciuottu deponeva dentro il
cassetto le ciocche di capelli, che per bisogno
qualche donnetta aveva deciso di tagliare, per
consentire a qualche signora, vanitosa o
sfortunata, di avere
'n tuppu o una parrucca; le
pelli di coniglio, invece, le appendeva,
lasciandole penzolare, a dei ganci sporgenti
dalle sponde laterali del cassetto.
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STORIELLE |
Due venditori
ambulanti, che vendevano uno aceto e l'altro
ombrelli, avevano i loro carretti uno vicino
all'altro.
Il
primo, per vantare la propria merce, gridava
"acitu fotti"; subito
dopo l'ombrellaio per vendere i suoi ombrelli (ma
soprattutto per prendere in giro il vicino) con
forza e naturalezza gridava "paracqua" (lasciando
intendere che l'aceto non era per niente forte,
tanto che "pari-acqua")
Questa storia fu
raccontata dalla nonna al nipotino Giovanni
Stracquadaneo
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