COMISO E COMISANI
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AVVENIMENTI
In
questa sezione vengono presentati avvenimenti,
che ebbero grande importanza e notevoli
ripercussioni sulla vita dei nostri antenati.
La
sommossa del 1600
Al
tempo del conte Baldassare III Naselli (fondatore
nel 1605 del paese di Aragona nei pressi di
Girgenti e dopo la morte detto Consolazione
delle genti) e della moglie donna Antonella
Saccano, nello stesso anno in cui il giovane
Pietro Palazzo, futuro apostolo di Comiso, si
recò a Roma per il Santo Giubileo, si verificò
una sommossa contro dei fanti spagnoli di
passaggio per Comiso, che avevano importunato le
donne della famiglia Meli, presso la cui casa
erano ospitati.
In questa pagina viene riportata integralmente la
narrazione che del fatto fece Fulvio Stanganelli (can. Raffaele
Flaccavento) nel libro VICENDE STORICHE DI COMISO.
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La sommossa del
1600 contro gli spagnoli |
Il 25 marzo
di quell'anno (1600) transitavano adunque dalla
nostra università (comune), per le loro evoluzioni militari,
alquante compagnie di fanti spagnuoli, che, chi
ha letto i Promessi Sposi, sa benissimo
quali stinchi di santi erano. Fosse per ispirito
d'antica, incoercibile antipatia verso la
dominazione di Spagna, fosse per insofferenza
delle poco dicevoli libertà, che le truppe si
permettevano verso le donne delle famiglie,
presso le quali avevano dritto di posata o
alloggio nel passaggio da un paese all'altro;
fatto sta che in quell'occasione i fratelli
Baldassare e Mariano Meli ne fecero una
solennissima, che commosse in loro favore tutta
la città, e per la cosa in sé stessa, e perché
appartenevano a una delle più distinte famiglie
di Comiso, dove troviamo il primo, eletto poi nel
1606 a coprire il posto di Giurato.
Costoro in un momento d'esasperazione (originata
quasi certamente da qualche affronto inflitto, da
qualcuno di quella soldataglia che alloggiavano
in casa, alle loro donne, tra le quali c'era una
loro sorella, donna Fransina, ch'era un fiore di
bellezza, resasi poi monaca nel novello monastero
di Regina Coeli, col nome di suor Teresa
di S. Francesco) costoro, dicevo, in un momento
di legittima esasperazione, rompevano
animosamente i freni, e si avventavano contro
l'incauto offensore della santità del domicilio
altrui, percotendolo di santa ragione, e
percotendo altresì quanti dei suoi compagni
osavano accorrere in suo aiuto.
Alle grida, al fracasso di quella zuffa, tutto il
paese fu messo a rumore.
In pochi istanti, come se avesse obbedito a una
parola d'ordine, una gran calca di gente
gesticolante e imprecante, si slanciava con le
armi più svariate nella mischia, che i fratelli
Meli e i primi che si erano schierati al loro
fianco, sostenevano eroicamente contro gli odiati
caballeros. I quali, vistisi perduti, fra
tanti nemici che li volevano assolutamente morti,
diedero di piglio ai loro archibugi, e
cominciarono a sparare all'impazzata.
Un urlo d'indignazione e di spavento scoppia a
quell'atto insano, mentre la lotta diviene più
generale.
I nostri edili, il governatore e il capitano
giustiziere con i suoi scherani, accorrono per
sedare quella sommossa, anima della quale, con i
Meli, erano i «confederati» Matteo
Monello, Filippo Martorana, Giuseppe Depasquale
alias fava, Biagio Marancio, Domenico
Liviaggi e Giovanni Visconti.
Rimproverano i più riottosi, pregano i più
scalmanati, minacciano ai più violenti i
castighi più gravi, qualora avessero continuato.
Ma invano. Gli animi offesi per la tracotanza di
quei soldatacci, non ascoltan nessuno, e la zuffa
continua...
In un momento di sosta, alcuni militari riescono
a mettere le mani addosso a Mariano Meli, e
stanno per condurlo in castello. A tale uscita,
il tumulto si riaccende più furibondo che mai.
Si voleva assolutamente strappare il prigioniero
dalle mani dei soldati; tuttavia costoro la
vinsero, e cosi poterono riuscire a far tornare
alla ragione i più turbolenti, i quali
all'ultima ora, temendo di far la fine del Meli,
se la battevano, e con loro, il resto.
Un tal avvenimento, di per sé stesso cotanto
grave, naturalmente non poteva lasciar
indifferente il governo vicereale, che infatti da
Palermo spediva in tutta fretta, il cap. dott.
Mario Mastrilli e Aurelio Ardito, procuratore
fiscale della R. G. C., per inquirere e accertare
le conseguenti responsabilità.
Da un esame minuzioso dei fatti, se ne dedusse
che l'università tutta era complice dei
principali rivoltosi. Sicché, mentre ventisei di
costoro già assicurati alla giustizia, venivan
processati e condannati, parte alla tortura,
parte all'esilio e tutti alla confisca dei beni;
ad essa università, in castigo della sua
ribellione alla tanto benemerita nazione
spagnuola, che credeva stoltamente non meritare
questo e simili oltraggi, erano addebitate le
spese del giudizio e un ammenda d'oltre 100 onze,
che per manco di fondi, fu costretta a chiedere
in prestito a donna Violante Li Gregni da
Terranova.
In seguito parecchi di quei faziosi venivan
prosciolti per insufficienza di prove; nondimeno
Giuseppe De Pasquale, Mariano Meli, Matteo
Monello e Francesco Bramante insieme al
Mezzasalma, al Marancio e al Liviaggi eran
condannati a diversi anni di prigione, e la
nostra misera città, certo obbedendo ad alte
influenze locali, per sovvenire ai bisogni di
costoro, degli esiliati e dei molti fuggiaschi,
fu obbligata a pregare i comuni di Terranova e
Scicli, affinché le avessero mutuate delle
somme, per le quali fece loro accendere ipoteca
su le sue gabelle.
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Note
La 1^
immagine è un'iconografia della Comiso di fine '500, che
si trova nella tela dell'Immacolata della chiesa di S.
Francesco.
Le 2^ immagine è una fotografia del can. Raffaele
Flaccavento giovane.
Nella 3^ immagine si vede il sigillo dei Naselli.
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