COMISO E COMISANI
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BREVI RICORDI
Molti
di noi anziani vorrebbero far rivivere (o non far
morire per sempre) personaggi, volti,
luoghi, atmosfere della Comiso di almeno mezzo
secolo fa.
Ciò prima che l'evolvere rapido del costume e
del tempo travolga e seppellisca tutto, persino i
ricordi.
In questa sezione si darà spazio, appunto, ai
ricordi; ai ricordi che ciascuno di noi ha, e che
tante volte, senza volerlo, vengono a trovarci
nel silenzio di una notte in cui si fatica a
prender sonno o nel caldo torrido di un filuvespiri
estivo.
E, ricordando, ci meravigliamo di rivedere volti
che non vediamo da molti anni e di rivivere fatti
o avvenimenti accaduti tanto tempo fa e a cui,
quando sono avvenuti, abbiamo dato scarsa o
relativa importanza.
Mandate questi Vostri ricordi e contribuirete a
far conoscere aspetti della vicenda umana del
nostro paese, 'u paisi 'u Comisu.
In questa pagina vengono presentati ricordi di
persone, fatti, avvenimenti, situazioni o
comportamenti legati ad una particolare frase o
espressione o detto.
Nella pagina seguente vengono presentati
comisani e comisane, anche viventi, che hanno
ancora un posto nella memoria di alcuni di noi
per le attività svolte o per le loro
caratteristiche evidenziate diversi decenni fa.
(Attivando
le casse acustiche si può ascoltare
il brano musicale FILUVESPIRI)
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Un tempo (e anche oggi) quando un bambino si
avvicinava pericolosamente a qualche oggetto
fragile che avrebbe potuto far cadere, la madre,
se aveva un carattere apprensivo, gli gridava:
Fèeemmiti,
nun fari ddanni!
Se,
invece, la mamma era di carattere tranquillo, si
metteva davanti al bambino e con voce serena ma
ferma gli diceva:
Dice
la mamma Rocca:
"Si guarda ma non
si tocca"
(e
nel pronunciare il non muoveva la mano destra,
con l'indice verso l'alto, come un pendolo
capovolto, da sinistra verso destra e viceversa).
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Quando un ragazzo chiedeva ad un compagno: "Cchi ura
eni?"
spesso l'amico buontempone
rispondeva: "L'ura
ri jeri a st'ura!"
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Quando una persona dava in prestito un oggetto a
cui teneva molto, se "sentiva" il
pericolo
- poiché "conosceva bene" la
persona a cui faceva il prestito - che non gli
venisse più restituito, nel consegnare l'oggetto
diceva con tono serio:
"Viri
ca si ciama tonna!"
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Quando due ragazzi giocavano (a carte o coi soddi
spicci o altro) accadeva che uno dei due
accusasse l'altro di essere ncannarusu e
pretendeva che si cominciasse il gioco daccapo.
E siccome l'altro si opponeva a questa richiesta,
il primo, per fargli intendere che avrebbe vinto
lo stesso dato che non era stato ncannarusu, gli
ripeteva il detto:
"Se
è bberu cavaleri
va a ciazza e attonna veni!"
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Un tempo le scoraresche erano molto più numerose
di oggi (almeno 40 alunni per classe).
Quando in classe c'era troppo chiacchericcio o
confusione i maestri, talvolta, bacchettavano
sulle mani gli alunni più discoli.
Le maestre, invece, spesso si limitavano a dire:
Silenzio
perfetto
(a) chi parla uno schiaffetto!
Chi dice una parola
esce fuori dalla scuola!
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Di una persona di buone maniere e di aspetto
rassicurante, ma il cui comportamento lasciava a
desiderare, si soleva dire:
"Galantuomu,
furbu e llatru!"
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Quando non c'era
la televisione, per tenere tranquilli i bambini,
le mamme (e soprattuto le nonne) raccontavano
loro dei racconti (cunti).
Questi racconti, narrati in dialetto e
generalmente di ambiente siciliano, avevano
invariabilmente un lieto fine; e alla fine di
ogni racconto narratrice e bambini concludevano
insieme così:
"E
fuorru filici e cuntienti, e niatri simu scàvisi
re pieri."
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Era piccolina di statura e vestiva sempre l'abito
nero di suora che aveva portato quando era stata
in convento; per questo da tutti era chiamata 'a
munachedda.
Abitava in una casetta vicina alla
Matrice e molto tempo lo passava in questa
chiesa, pregando o partecipando alle varie
funzioni.
In
un giorno di pioggia (era forse l'anno 1935) si
recò lo stesso in chiesa. Ad un certo momento,
per andare a parlare con una persona, si allontanò
dal posto ove aveva appoggiato l'ombrello.
Una
ragazza che si accorse della cosa, pensando che
qualcuno potesse portarglielo via, le si avvicinò
e le disse: "Munachè,
su issi a piggiari 'u paracqua e s' 'u
mintissi o cantu".
'A
munachedda, invece di
ringraziarla, un po' infastidita esclamò:
"
'U lupu zuoccu òpira penza!
"
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Negli anni successivi al dopoguerra
capitava di vedere camminare per le strade
principali del paese tre o quattro signorine
forestiere, sorridenti ed eleganti, seguite a
circa cinque metri da due persone (un uomo e una
donna) vestite di scuro.
E non era raro che qualcuno,
vedendo da lontano avvicinarsi quel breve corteo,
entrasse nella bottega di qualche artigiano (sarto,
barbiere, falegname...) e, a mezza voce, dicesse:
"
Sta passannu 'a nova
quinnicina ro zi' Fulippu "
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Fulippu
Papuni (Corifeo) nel suo lavoro
utilizzava un carrettino, sulla cui sponda
posteriore era scritta la seguente frase:
"Fatevi
i fatti
vostri"
A
dire il vero, poiché sono passati diversi
decenni, sorge il dubbio che ci fosse scritto xaxxi
e non fatti.
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Neli Rimmaudo, quando da giovane
frequentava il circolo di Azione Cattolica della
Matrice, aveva qualche "particina"
negli spettacoli teatrali ideati e diretti dal
professore Pinò Colombo.
Nella farsa "La classe degli asini" gli
fu assegnato il ruolo di un alunno, che dice la
seguente frase:
"E'
Natali...e lu scacciu ci piaci!"
Dopo
quella recita, per alcuni anni, ogni volta che Niluzzu,
parlando con i suoi amici, pronunciava
la parola "Natali", qualcuno subito
aggiungeva "...e
lu scacciu ci piaci!"
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NOTA
Il brano musicale FILUVESPIRI, che
si ascolta in sottofondo,
è stato composto da Biagio Franco ed eseguito dal
maestro Marcello Serafini.
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