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L'opera di Darwin
L’uomo destinato a concepire un adeguato meccanismo
evoluzionistico e a imporlo alla mente dei biologi era un naturalista
inglese, Charles Darwin (1809-82).
Nel 1831 Darwin partì a bordo della Beagle per un viaggio di esplorazione
scientifica attorno al mondo, viaggio che durò ben cinque anni.
Le più importanti osservazione di Darwin furono quelle compiute sulla vita
animale delle isole Galapagos, a circa mille chilometri dalla costa
dell’Ecuador. Darwin studiò in particolare un gruppo di uccelli, chiamati
tuttora “fringuelli di Darwin”: questi uccelli, che per molti aspetti si
assomigliavano molto, erano suddivisi in almeno quattordici specie, nessuna
delle quali esisteva nella vicina terraferma. Non
sembrava ragionevole supporre che quattordici specie diverse fossero state
create esclusivamente per questo piccolo arcipelago.
Darwin suppose che i fringuelli delle specie di terraferma dovevano avere
colonizzato le isole in epoca molto remota e che, poco per volta, col
passare dei millenni, i discendenti di quei primi fringuelli si erano
evoluti, trasformandosi in specie diverse.
Alcuni avevano preso l’abitudine di mangiare semi di un tipo, alcuni di un
altro, e altri si erano messi a mangiare insetti: così a seconda del proprio
genere di vita, ogni specie perfezionò un becco particolare e una
particolare struttura organizzativa.
Restava però senza risposta una domanda fondamentale. Da che cosa
erano provocate queste trasformazioni evoluzionistiche?
Darwin non poteva accettare una spiegazione di tipo lamarckiano,
vale a dire un’ipotesi per cui i fringuelli avrebbero potuto provare a
mangiare insetti e avrebbero trasmesso alla propria prole sia il gusto per
gli insetti che una maggiore abilità nel catturarli.
Poi, nel 1838, due ani dopo il suo ritorno in Inghilterra, gli capitò tra le
mani un libro intitolato Saggio sul principio della popolazione, che
era stato scritto dall’economista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834).
In questo libro Malthus sosteneva che la popolazione umana aumentava sempre
più velocemente della produzione di cibo e che, a lungo andare, la
popolazione sarebbe stata ridotta dalla carestia, dalle malattie o dalla
guerra. Darwin pensò immediatamente che questo principio doveva essere
valido anche per tutte le altre forme di vita e che nelle popolazioni in
soprannumero i primi a soccombere dovevano essere proprio coloro che si
trovavano in svantaggio nella lotta per il cibo. Per esempio, in principio i
primi fringuelli arrivari nelle Galapagos dovevano essersi moltiplicati
sfrenatamente e avevano certamente esaurito la disponibilità dei semi di cui
si nutrivano. Alcuni dovevano essere morti di fame, prima i deboli oppure
quelli meno abili nella ricerca dei semi. Ma che cosa sarebbe successo se
alcuni di essi fossero riusciti per caso a mangiare dei semi più grandi, o
accontentarsi di semi più duri, o inghiottire di tanto in tanto un insetto?
Gli uccelli che non possedevano queste attitudini, sarebbero stati tenuti a
freno dalla carestia, mentre quelli che ne erano dotati, sia pure in forma
rudimentale, avrebbero trovato una nuova fonte di cibonon ancora utilizzata
e si sarebbero potuti moltiplicare rapidamente finché, a sua volta, anche la
loro fonte di cibo non avesse cominciato a scarseggiare.
In altre parole, la cieca pressione dell’ambiente avrebbe favorito la
differenziazione, intensificandola fino alla formazione di specie nuove,
diverse tra loro e diverse dal capostipite comune. La natura stessa, per
così dire avrebbe selezionato i sopravvissuti alla insufficienza delle
risorse alimentarie grazie a questa “ selezione naturale” la vita si sarebbe
suddivisa in una gamma infinita di specie.
Inoltre Darwin riuscì a vedere in che modo si verificavano Le necessarie
trasformazioni. Allevò dei piccioni per studiare gli effetti della
selezione artificiale. Poté osservare che in qualsiasi gruppo di giovani
animali esistevano variazioni naturali da un individuo all’altro. Proprio
grazie allo sfruttamento di queste variazioni, allevando deliberatamente
alcuni individui e sopprimendone altri, nel corso delle generazioni l’uomo
aveva migliorato le razze di animali.
Darwin a questo punto si pose la domanda fondamentale: NON ERA POSSIBILE CHE
LA NATURA PRENDESSE IL POSTO DELL’UOMO E PRATICASSE LO STESSO GENERE DI
SELEZIONE PER I PROPRI SCOPI, MOLTO PIU’ LENTAMENTE E IN UN PERIODO MOLTO
PIU’ LUNGO, NATURALMENTE, ADATTANDO GLI ANIMALI AL LORO AMBIENTE ?
La risposta, chiaramente affermativa, Darwin la diede nel 1859 nel suo libro
sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale, o
conservazione delle razze privilegiare nella lotta per la vita, nota
semplicemente come l’origine delle specie.
Questo libro si rivelò immediatamente
come il libro più importante nella storia della biologia: improvvisamente,
esaminati dal punto di vista dell’evoluzione per selezione naturale,
moltissimi rami della scienza diventavano incomprensibili. Grazie a questo
libro, la biologia si trasformò in una scienza organizzata fondata su una
teoria esauriente e straordinariamente efficace.
Per molti però era difficile accettare il libro di Darwin che
sconvolgeva alcune delle nozioni sacrosante degli uomini.
Sembrava in particolare che fosse in contrasto con l’insegnamento letterale
della Bibbia e lasciasse intendere che Dio non aveva creato il mondo e
l’umanità.
Naturalmente il punto più delicato nella teoria di Darwin riguardava la sua
applicazione all’uomo. Ne L’origine della specie Darwin aveva evitato di
affrontare il problema e nel 1871 Darwin si schierò apertamente in favore
dell’evoluzione umana con un secondo grande libro, The Descent of Man
(l’origine dell’uomo) nel quale esaminava gli organi vestigiali
dell’uomo considerando le tracce di trasformazioni evoluzionistiche. (nel
corpo umano ci sono numerose vestigia l’appendice è un residuo di un
organo che una volta serviva per immagazzinare il cibo, che poteva così
subire scissioni indotte da batteri. Alla base della spina dorsale ci sono 4
ossa che una volta facevano parte di una coda; ci sono muscoli inutili,
desti9nati a muovere le orecchie, ereditati da antenati con orecchie mobili,
e così via.)
Le testimonianze non erano nemmeno esclusivamente indirette: comparve sulla
scena l’uomo primitivo in persona. Nel 1856, nella valle di Neanderthal,
nella Renania tedesca, era stato portato alla luce un vecchio teschio. Era
evidentemente un cranio umano, ma era più primitivo e scimmiesco di
qualsiasi cranio umano normale. Dato lo strato in cui era situato, doveva
avere diverse migliaia di anni. Subito si accese una polemica: era un’antica
forma di uomo primitivo che poi si era evoluto nell’uomo moderno, o era
semplicemente un comune selvaggio dell’antichità con una malattia delle ossa
o una semplice malformazione del cranio?
Era importante trovare un anello mancante specificamente umano che fu
trovato nel 1894 da Dubois: nell’isola di Giava scoprì una calotta cranica,
un femore e due denti che appartenevano indubbiamente ad un uomo primitivo.
Dubois chiamò Phthecanthropus erectus (uomo- scimmia eretto) l’essere al
quale erano appartenuti questi resti ossei. Analoghi ritrovamenti sono stati
fatti in Cina e in Africa, cosicché ora si sa che sono esistiti numerosi
“anelli mancanti”. Non ci sono più dubbi ragionevoli sull’esistenza
dell’evoluzione umana o dell’evoluzione in generale.
Le ultime resistenze alla teoria le troviamo ancora oggi all’interno di
alcune sette fondamentaliste, che insistono sul significato letterale della
Bibbia.
Non esiste oggi un biologo che possa essere definito anti-evoluzionista.
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