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La fine del vitalismo
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La scoperta dei capillari fu possibile perché nel frattempo era entrato in
scena un nuovo, importantissimo, strumento: il
microscopio.
Il fondatore della microscopia è considerato Anton
van Leeuwenhoek: egli riuscì a descrivere i globuli rossi del sangue
e i capillari con maggiore accuratezza che non gli scopritori originari
Swammerdam e Malpigli; uno dei suoi assistenti fu il primo a vedere gli
spermatozoi.
Ma la sua scoperta più sensazionale la fece osservando l’acqua di uno
stagno: l’esistenza di minuscole creature che sembravano possedere tutti gli
attributi della vita. Questi animaliculi
come li chiamò erano in realtà i protozoi
(da un’espressione greca che significa “primi animali”).
Si spalancava così allo sguardo dell’uomo un nuovo ampio territorio
biologico e nasceva la microbiologia.
L’altra importante scoperta fatta col microscopio in questo stesso periodo
fu quella di Robert Hooke che nel 1665 pubblicò un libro Micrographia nel
quale si trova la descrizione della cellula.
Queste scoperte fatte con l’uso del microscopio verso la metà del XVII
secolo sembravano rendere indistinta la linea di separazione tra materia
vivente e non vivente.
Veniva quindi rimesso in discussione il problema della
generazione spontanea, ovvero il problema dell’origine della vita o, almeno,
delle sue forme più semplici.
Vediamo di capire in che cosa consisteva questo problema.
Mentre era facile constatare che gli esseri umani e gli animali più grandi
nascevano dal corpo della madre o da uova deposte dalle madri, questo non
era altrettanto chiaro nel caso degli animali più piccoli. Fino al 1600 si
dava per scontato che i vermi e gli insetti nascessero dalla carne
putrefatta e da altre sostanze in decomposizione. Questa origine della vita
dalla “non-vita” prendeva il nome di generazione
spontanea.
Uno dei primi studiosi che mise in dubbio questa idea fu proprio Harvey il
quale, nel suo libro sulla circolazione del sangue, avanzò l’ipotesi che
questi piccoli organismi viventi nascessero da semi o da uova troppo piccoli
per essere visibili.
Un medico, Francesco Redi (1626-1697), lesse
Harvey e decise di mettere alla prova la teoria.
Nel 1668 preparò otto contenitori contenenti diversi tipi di carne, ne
chiuse quattro ermeticamente e lasciò gli altri quattro esposti all’aria. Le
mosche potevano posarsi soltanto sulla carne dei recipienti aperti e
soltanto la carne di questi recipienti diede origine a vermi. La carne nei
recipienti chiusi si decompose e divenne putrida, ma non diede luogo a
vermi.
Per evitare la contestazione che l’assenza dell’aria potesse impedire agli
spiriti vitali in essa presenti di agire – secondo le concezioni vitaliste,
Redi ripeté l’esperimento coprendo con della garza alcuni recipienti invece
di chiuderli ermeticamente. Di nuovo, non si formarono vermi.
L’idea della generazione spontanea sembrava così definitivamente svanita.
Ma proprio il quel periodo le scoperte dei protozoi da parte di van
Leeuwenhoek rimisero in discussione l’idea: dopo tutto, le mosche e i vermi
sono ancora organismi abbastanza complicati; i protozoi erano più piccoli
delle uova di mosca ed erano organismi viventi estremamente semplici, e
quindi era ammissibile che almeno i protozoi si potessero formare per
generazione spontanea. Questo ragionamento sembrava confermato dal fatto che
se si lasciavano riposare degli estratti nutritivi non contenenti protozoi,
ben presto le minuscole creature comparivano numerose.
Era quindi inevitabile che la questione della generazione spontanea si
inserisse nella più vasta polemica tra vitalisti e meccanicisti.
Per i meccanicisti, i quali sostenevano che sia nel mondo animato che in
quello inanimato valevano gli stessi principi, i microrganismi avevano
particolare importanza: sembrava quasi che essi fungessero da ponte tra la
vita e non-vita. Se si fosse potuto dimostrare che questi microrganismi si
formavano effettivamente dalla materia inerte, il ponte sarebbe stato
completo e facilmente percorribile.
Nello stesso tempo, la concezione vitalistica, se valida, richiedeva che per
quanto potesse essere semplice la vita, esisteva sempre un abisso
insormontabile tra la vita stessa e la materia inanimata. Secondo il punto
di vista rigorosamente vitalista, la generazione spontanea non sarebbe stata
possibile.
Tuttavia, durante il XVIII secolo la faccenda era complicata dalla forte
presenza della Chiesa cattolica nelle dispute scientifiche. Si riteneva che
in certi punti la Bibbia descrivesse la generazione spontanea, cosicché
molti vitalisti (i quali erano generalmente i più conservatori in religione)
sentivano la necessità di appoggiare la tesi dell’evoluzione della vita
dalla non-vita.
Per esempio, il naturalista inglese Needham (1713-81), il quale era anche un
prete cattolico, fece bollire del brodo di montone e lo mise in una provetta
tappata. Dopo qualche giorno risultò che il brodo pullulava di microrganismi
e, dato che il riscaldamento iniziale aveva sterilizzato il brodo (egli
sosteneva), dedusse che i microrganismi erano sorti da materiale inanimato e
che la generazione spontanea era dimostrata.
Ma il biologo italiano Lazzaro Spallanzani (1729-99) era scettico. Egli
riteneva che il riscaldamento iniziale non fosse stato abbastanza prolungato
e che quindi non avesse sterilizzato il brodo. Nel 1768, quindi, Spallanzani
preparò una soluzione nutritiva che portò all’ebollizione e continuò a far
bollire per più di mezz’ora: soltanto allora la chiuse e questa volta i
microrganismi non comparvero. Sembrava una dimostrazione conclusiva ma i
seguaci della generazione spontanea trovarono una via d’uscita: essi
sostennero che nell’aria esisteva un principio vitale che permetteva di
introdurre l’attitudine alla vita alla materia inanimata. Secondo loro,
l’ebollizione effettuata da Spallanzani aveva distrutto questo principio
vitale.
Il problema sarebbe rimasto insoluto ancora per altri cento anni.
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