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LE STIGMATE E...L'ASSIMILAZIONE A CRISTO
Nella sua lunga permanenza nel paese natìo, Padre Pio vive in uno stato di grande sofferenza fisica e morale. Nessuno riesce a diagnosticare con esattezza la sua malattia. Sembra quasi che la provvidenza inchiodi il frate nella sua Pietrelcina, non volendo che viva la normale vita conventuale. E per gli stessi direttori spirituali, specialmente per padre Benedetto da San Marco in Lamis, la prolungata permanenza fuori del convento non è una cosa lodevole, insinuando addirittura il sospetto di qualche insidia diabolica. Ed allorché gli chiede: "Quando ti vedrò in convento?", Padre Pio così risponde, l'8 settembre del 1911: "Si figuri poi se è mio desiderio di ritornarmene in convento. Il maggiore dei sacrifici che ho fatto al Signore è stato appunto di non aver potuto vivere in convento".
Ma in questa lettera per la prima volta padre Pio accenna al dono della stimmate, avuto proprio a Piana Romana: "...mi trovo in campagna a respirare un po' di aria più sana, dietro che ne ho sperimentato la miglioria.....
Ieri sera poi mi è successo una cosa che io non so né spiegare né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po' di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte e acuto dolore in mezzo a quel po' di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso per la prima volta glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna. Anche adesso se sapesse quante violenza ho dovuto farmi per dirglielo! Molte cose avrei da dirle, ma mi viene meno la parola; solo le dico che i battiti del cuore, allorché mi trovo con Gesù sacramentato, sono molto forti"(Epistolario, I, p. 234).
Ma alle sofferenze si aggiungono anche le tentazioni e le vessazioni da parte del demonio. Nella lettera che scrive al suo affezionatissimo padre Agostino, il 18 gennaio del 1912, così Padre Pio descrive la sua lotta con "Barbablù", uno degli ironici appellativi che egli dà allo spirito del male:"Barbablù non si vuole dare per vinto. Ha preso quasi tutte le forme. Da vari giorni in qua mi viene a visitare assieme con altri suoi satelliti armati di bastoni e di ordigni di ferro e quello che è peggio sotto le proprie forme. Chi sa quante volte mi ha gittato dal letto trascinandomi per la stanza. Ma pazienza! Gesù, la Mammina, l'Angioletto, ed il padre San Francesco sono quasi sempre con me.."(Epistolario, I, p. 252).
Sempre a Padre Agostino confida i profondi sentimenti di amore e di fusione del cuore con quello di Gesù. Lo fa il 21 marzo del 1912: "Ieri festività di San Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze provai, massime dopo la messa, tanto che le sento ancora in me....La bocca sentiva tutta la dolcezza di quelle carni Immacolate del Figlio di Dio...
Quanto mi rende allegro Gesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: Gesù, cibo mio!...Gesù, amore nel cuore non ce ne ho più, tu sai che l'ho donato tutto a te; se vuoi più amore, prendi questo mio cuore e riempilo del tuo amore e poi comandami pure di amarti, che non mi rifiuterò; anzi te ne prego di farlo, io lo desidero". E accennando ancora al dolore delle stigmate così lamenta:"Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i piedi sembrami che siano trapassati da una spada; tanto è il dolore che ne sento"(Epistolario, I, p. 265 s.).
Il 2 aprile del 1912 padre Pio scrive a padre Agostino:"...son contento più che mai nel soffrire, e se non ascoltassi che la voce del cuore, chiederei a Gesù che mi desse tutte le tristezze degli uomini; ma io non lo fo, perché temo di essere troppo egoista, bramando per me la parte migliore: il dolore: Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a mendicare pene, lacrime...; Egli ne ha bisogno per le anime"(Epistolario, I, p. 270).
La sofferenza, le vessazioni diaboliche, forgiano in Padre Pio non solo un carattere ed una tempra di ferro ma lo inducono ad abbandonarsi sempre più docilmente all'Amore di Dio. E qui il suo itinerario mistico è denso di soprannaturali consolazioni, come quella che descrive allo stesso padre Agostino il 18 aprile del 1912:"Finita la messa, mi trattenni con Gesù pel rendimento di grazie. Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso in questa mattina! Fu tale che pur volendomi provare a voler dir tutto non lo potrei; vi furono cose che non possono tradursi in un linguaggio umano, senza perdere il loro senso profondo e celeste. Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l'espressione, si fusero. Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n'era il paradiso, il re. La gioia in me era sì intensa e sì profonda, che più non [mi] potei contenere; le lacrime più deliziose mi inondarono il volto"(Epistolario, I, p. 273).
"LE DOLCEZZE E LA BELLEZZA DI MARIA"
Non solo Gesù ma anche la Madonna concede a padre Pio straordinarie consolazioni. Specialmente quando arriva il mese di maggio, dedicato a Maria, il giovane sacerdote vive momenti di grande intensità nel suo filiale rapporto con la Madre di Dio. E una delle espressioni di questa tenerezza è certamente rappresentata dalla recita del santo rosario che padre Pio organizza, per il mese di maggio, a porta Madonnella, dove, davanti alla venerata immagine della Madonna Incoronata, raccoglie la gente semplice e genuinamente cristiana del suo borgo. Ma leggiamo come si esprime padre Pio il 1° maggio del 1912 in una lettera che scrive a padre Agostino:
"Si, padre mio, questo mese come predica bene le dolcezze e la bellezza di Maria....Quante volte ho confidato a questa madre le penose ansie del mio cuore agitato! e quante volte mi ha consolato! Ma la mia riconoscenza quale fu?...Nelle maggiori afflizioni mi sembra di non aver più madre sulla terra; ma di averne una molto pietosa in cielo. Ma quante volte il muo cuore fu calmo, tutto quasi dimenticai; dimenticai quasi perfino i doveri di gratitudine verso questa benedetta mammina celeste!...Povera Mammina, quanto bene mi vuole. L'ho constatato di nuovo allo spuntare di questo bel mese. Con quanta cura mi ha ella accompagnato all'altare questa mattina. Mi è sembrato che ella non avesse altro a pensare se non a me solo col riempirmi il cuore tutto di santi affetti....Vorrei avere una voce sì forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna"(Epistolario, I, p. 276).
Il Signore lavora profondamente nell'anima di padre Pio, per prepararla al grande ministero sacerdotale di San Giovanni Rotondo. E se da una parte la sofferenza e le insidie di Satana percuotono ed indeboliscono fisicamente il giovane frate, dall'altra che egli riceve da Dio straordinari doni mistici. Non solo apparizioni e visioni; ma anche impeti e trasporti d'amore, tocchi divini e piaghe d'amore. Così scrive, il 26 agosto del 1912 a padre Agostino:
"Sentite cosa mi accadde venerdì scorso. Me ne stavo in chiesa a farmene il rendimento di grazie per la messa, quando tutto ad un tratto mi sentii ferire il cuore da un dardo di fuoco si vivo ed ardente, che credetti morirne. Mi mancano le parole adatte per far comprendervi la intensità di questa fiamma: sono affatto impotente a potermi esprimere. Ci credete? L'anima, vittima di queste consolazioni, diventa muta. Mi sembrava che una forza invisibile m'immergesse tutto quanto nel fuoco... Dio mio, che fuoco! Quale dolcezza!"(Epistolario, I, p. 300).
Spesso, e anche per disarmare il nemico delle anime, la corrispondenza tra padre Pio e padre Agostino è scritta in francese e, qualche volta, addirittura in greco. Una volta padre Agostino chiede al suo figlio spirituale come ha imparato a scrivere in francese, giacché questa è una lingua che lui non tanto ama. La risposta di Padre Pio fa riferimento ad una frase del profeta Geremia:"Io non so' parlare. Ma il Signore mi ha detto va ed annuncia".
Ma nella lettera del 20 settembre del 1912, padre Pio esplicitamente spiega che è l'angelo custode che lo aiuta a rispondere alle lettere che padre Agostino gli scrive in francese: "I celesti personaggi non cessano di visitarmi e farmi pregustare l'ebbrezza dei beati. E se la missione del nostro angelo custode è grande, quella del mio è di certo più grande, dovendomi fare anche da maestro nella spiega di altre lingue"(Epistolario, I, p. 304).
Ma l'angelo custode non è solo l'interprete di padre Pio. Gli è amico, consigliere. Accorre in suo soccorso quando viene assalito dal demonio. Eppure un giorno egli si fa desiderare, si fa invocare ma non accorre se non quando la lotta è terminata ed il Padre sfinito. Lo confida padre Pio il 5 novembre a padre Agostino:
"Non vi dico poi, in che modo, mi vanno percotendo quei disgraziati. Certe volte mi sento presso a morire. Sabato mi sembrò che mi volessero proprio finire, e non sapevo più a qual santo votarmi; mi rivolgo al mio angelo e dopo d'essersi fatto aspettare per un pezzo eccolo aleggiarmi intorno e con la sua angelica voce cantava inni alla divina maestà. Successe una di quelle solite scenate; lo sgridai aspramente d'essersi fatto così lungamente aspettare, mentre io non avevo mancato di chiamarlo in mio soccorso; per castigarlo non volevo guardarlo in viso, volevo allontanarmi, volevo sfuggirlo: ma egli poverino mi raggiunge quasi piangendo, mi acciuffa, finché sollevato lo sguardo, lo fissai in volto e lo trovai tutto spiacente"(Epistolario, I, p. 311).
A questo punto l'angelo, dolcissimo, così risponde a padre Pio:"...Ti sono sempre vicino, mio diletto giovine,...io m'aggiro sempre a te d'intorno con quell'affetto che suscitò la tua ricompensa verso il diletto del tuo cuore; questo mio affetto per te non si spegnerà neppure con la tua vita..."(Idem).
Il contatto epistolare di Padre Pio con padre Agostino da San Marco in Lamis porta molti benefici alla sua vita spirituale. Ecco perché il diavolo tenta più volte ed in vari modi di impedire a padre Pio di leggere le lettere che gli scrive il suo amico e direttore spirituale. 18 novembre 1912: "L'arciprete, reso consapevole della battaglia di quegl'impuri apostati, intorno a ciò che riguarda le vostre lettere, mi consigliò che alla prima vostra lettera che mi fosse pervenuta, l'andassi ad aprire da lui. Così feci nel ricevere la vostra ultima. Ma aperta che l'ebbimo la trovammo tutta imbrattata d'inchiostro. Sarà stata anche questa una vendetta di barbablù? Non posso mai credere che così me l'abbiate spedita, anche perché vi è nota la mia cecozienza, (cioè l'indebolimento della vista n.d.r.). Le lettere scritte ci sembrano in principio illeggibili, ma dietro che vi ponemmo sopra il crocifisso si fece un po' di luce tanto da potersi leggere, sebbene a stento. Questa lettera è ben conservata"(Epistolario, I, p. 315).
Ma cosa aveva scritto padre Agostino, in questa lettera scritta il 6
novembre, da provocare questa nuova strategia diabolica? Innanzitutto la lettera è
scritta in francese, lingua utilizzata dal direttore spirituale per controbattere in
qualche modo le insidie del demonio. L'abbiamo tradotta in italiano per cercare di capire
il perché di tanto livore verso di essa. Questo è il suo contenuto: "E' con
piacere che apprendo la nuova fase della guerra che ti fa continuamente il nostro brutto
nemico: non aver paura di lui, perché sarà sempre vinto. Non importa se viene con la sua
armata, perché tutta l'armata dell'inferno obbedisce al permesso di Dio. Conserva sempre
la tua umiltà alla Divina volontà, perché il superbo tentatore trema per l'umiltà dei
figli di Dio. Chiama sempre il tuo Angelo custode in tutte le tentazioni, perché egli è
sempre vicino a te: Cosa potrà fare il tentatore ad un'anima che mette tutta la propria
confidenza nel Buon Dio? La battaglia finirà e la Signora (Maria Santissima, n.d.r.)
avrà il trionfo immortale. Se il Buon Dio lo vorrà, avvisami dell'ora del tuo trionfo
completo, io vorrei trovarmi vicino a te nell'ora della tua morte.
Non ti scordare mai la nostra promessa. Prega per me e secondo la mia
intenzione. Dì a Gesù che mi dia la grazia di fare sempre la sua volontà, e questo mi
basta.
Io saluto di tutto cuore il tuo angioletto e, se ben vorrà, gli chiedo nel
nome di Gesù di non permettere nell'avvenire che il nemico strappi le mie lettere, ma
piuttosto che si consumi nella sua rabbia: ed è per questo che ti scrivo in francese:
quando poi avrò il tempo, ti scriverò in greco.
Domani, se Dio lo permetterà andrò a Foggia e proverò ad ottenere per te
le 20 messe.
Prega il buon Gesù, specialmente secondo la mia intenzione. Gioisci nel
Signore: io te lo auguro sempre. Saluti da parte mia i tuoi, l'arciprete; Bacia il piccolo
Francesco.
Io mi dico sempre Tuo fratello in Gesù Cristo, Agostino
cappuccino"(Epistolario, I, p. 312 s.).
In calce a questa lettera imbrattata troviamo una dichiarazione di don
Salvatore Pannullo, apposta anni dopo, il 25 agosto del 1919: "Attesto io qui
sottoscritto, Arciprete di Pietrelcina, sotto la santità del giuramento, che la presente,
aperta alla mia presenza, giunse così macchiata; ma era del tutto illeggibile. Messo di
sopra il Crocifisso, aspersa l'acqua benedetta e recitati i santi esorcismi, si poté
leggere come presentemente. Difatti, chiamata mia nipote, Grazia Pannullo insegnante, la
lesse alla presenza mia e del Padre Pio, quanto fu praticato prima di essa chiamata. In
fede Pietrelcina 25 agosto 1919"(idem).
L'assimilazione di Padre Pio al Cristo procede gradualmente e profondamente con un lavorìo spirituale da parte di Dio. E forse una delle cause misteriose del perdurare del soggiorno del padre nella sua amata Pietrelcina si può riconoscere proprio nel Progetto di Dio che, nel silenzio della piccola località del Sannio, ha voluto stampare in questa umile e nascosta figura di frate l'impronta sublime del Figlio suo, con il segno esterno delle cinque piaghe. Pensare a quali e quanti sentimenti, padre Pio descrive a padre Agostino, il 3 dicembre del 1912, il suo abbandono amoroso nelle braccia del Cristo e i sublimi dialoghi che egli allaccia con il Figlio di Dio che si rende a Lui visibile aiuta a capire la valenza dell'autentica santità:
"vorrei per un solo istante scoprirvi il mio petto per farvi vedere la piaga che il dolcissimo Gesù amorosamente vi ha aperto in questo mio cuore! Esso finalmente ha trovato un amante che si è talmente invaghito di lui, che non sa più inasprirlo... Ed allorché gli domando che cosa ho fatto per meritare tante consolazioni, lui mi sorride e mi va ripetendo che a tanto intercessore nulla si nega. Mi chiede in ricompensa solo amore; ma non lo debbo a lui forse questo per gratitudine?"(Epistolario, I, p. 316).
E nella stesssa lettera padre Pio descrive, ancora una volta con calde ed affettuose parole d'amore, la sua sconfinata adorazione per Gesù sacramentato: "Egli si è talmente invaghito del mio cuore, che mi fa ardere tutto del suo fuoco divino, del suo fuoco d'amore. Che cos'è questo fuoco che mi investe tutto? Padre mio, se Gesù ci rende così felici in terra, che sarà nel cielo?!
Mi vado alle volte domandando se vi siano delle anime che non si sentono bruciare il petto dal fuoco divino, specialmente allorché si trovino dinanzi a lui in sacramento...
Ho tanta confidenza in Gesù, che se anche vedessi l'inferno aperto dinanzi a me, mi trovassi sull'orlo dell'abisso, non diffiderei, non dispererei, confiderei in lui"(Epistolario, I, p. 317).
IL RITORNO DEL PAPA' E DEL FRATELLO MICHELE DALL'AMERICA
Intanto, con il ritorno dall'America di papà Grazio e del fratello Michele, avvenuto il 27 novembre, padre Pio vive giornate di serenità e di gioia causate proprio dall'affetto e dall'intimità della sua famiglia ricomposta. Sono quelle consolazioni che il Signore elargisce nel mentre permette che gli assalti del maligno e i dolori che lo affliggono lo rendano sempre più "Alter Christus", "Altro Cristo". Lo accenna egli stesso, rappresentando in modo figurato il lavoro di Dio su di lui, mentre scrive a padre Agostino, il 18 gennaio del 1913:"Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura soglio preparare le pietre che dovranno entrare nella composizione dell'eterno edificio". Queste parole mi va ripetendo Gesù ogni qualvolta mi regala nuove croci. Ora si, mi sembra che le parole di nostro Signore, che mi sembravano tante oscure:"l'amore si conosce nel dolore, e questo lo sentirai nel corpo", si vanno facendo luce nel mio intelletto"(Epistolario, I, p. 329 s.).
Il 12 marzo del 1913 padre Pio rivela a padre Agostino quanto Gesù gli aveva confidato in un celeste colloquio: "Con quanta ingratitudine viene ripagato il mio amore dagli uomini! Sarei stato meno offeso da costoro se l'avessi amato di meno. Mio padre non vuole più sopportarli. Io vorrei cessare di amarli, ma...(e qui Gesù si tacque e sospirava, e dopo riprese), ma ahimè! Il mio cuore è fatto per amare! Gli uomini vili e fiacchi non si fanno nessuna violenza per vincersi nelle tentazioni, che anzi si dilettano nelle loro iniquità.... - Figlio mio, soggiunse Gesù - ho bisogno delle vittime per calmare l'ira giusta e divina del Padre mio; rinnovami il sacrificio di tutto te stesso e fallo senza riservatezza alcuna"(Epistolario, I, p. 342).
Il Padre sente fortemente l'esigenza di vivere pienamente il suo sacerdozio. Ma per farlo ha bisogno anche di confessare. Ecco perché il 15 marzo, dopo un considerevole lasso di tempo, scrive a padre Benedetto: "...Vengo infine a chiedervi il permesso di ascoltare le confessioni, almeno quelle degli infermi. State tranquillo che nessun male arrecherà alla mia salute..."(Epistolario, I, p. 345).
Ma l'autorizzazione non arriva cagionando ulteriori pene morali al frate. Sono le sofferenze che lo purificano e lo avvicinano inesorabilmente all'Amore di Cristo.
Continuano intanto i suoi colloqui soprannaturali con il Signore. E in una lettera datata 7 aprile 1913 manifesta al caro padre Agostino una grande visione avvenuta, nella sua abitazione di via Santa Maria degli Angeli, la mattina del 28 marzo:
"Venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n'ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai!". E rivolto a me disse: "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L'anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimé mi lasciano solo sotto il penso dell'indifferenza. L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia. Ohimé come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il loro disprezzo, l'incredulità... Scrivi al padre tuo e narragli ciò che hai visto ed hai sentito da me questa mattina"(Epistolario, I, p. 350 s.).
Con l'avvento della Primavera, Il mese di maggio del 1913 porta nel cuore di Padre Pio un rinnovato entusiasmo per la vita. Ma maggio è il mese di Maria ed è il tempo privilegiato per pensare di più a Lei.
Padre Pio non si fa sfuggire questa occasione ed organizza spesso un gruppo di preghiera davanti alla venerata immagine su maiolica della Madonna Incoronata a porta Madonnella. Qui il pomeriggio tutto il popolo del quartiere Castello si riunisce in semplicità ed amore per onorare Maria con la recita del Santo rosario. Padre Pio anima questo gruppo con l'amore e la gioia di un figlio che vuole offrire un serto di fiori alla Mamma. Sentite come esprime, a padre Agostino, il 6 maggio il suo amore a Gesù e Maria:
"Questa cara Mammina seguita a prestarmi premurosamente le sue materne cure, specialmente in questo mese. Le di Lei cure verso di me toccano la ricercatezza. Soltanto allorché le faccio cenno a quella grazia, che voi già sapete, il suo celeste volto si contrae tutto: si rattrista e con solennità mi rinnova il divieto".
La grazia a cui fa cenno padre Pio e che viene per ora rifiutata dalla Madonna fa riferimento a quella che è ormai una spina nel fianco di padre Pio: il desiderio del ritorno nella vita di convento. Ma è chiaro che il piano di Dio per ora non combacia con i propositi del frate. Il Signore vuole che Padre Pio continui a vivere nella sua Pietrelcina. Solo così lo può plasmare, forgiare, trasformare nell'immagine fedele del Cristo. E solo quando questo processo di trasformazione sarà giunto a buon punto, Dio gli permetterà di lasciare la sua amata Pietrelcina per vivere pienamente la vita di conventuale Cappuccino.
Intanto, con la buona stagione Padre Pio vive le sue giornate in semplicità e pace spirituale. Dopo aver celebrato la Messa presso la chiesetta di S.Anna, se le forze glielo consentono, si avvia per Piana Romana. Si ferma a salutare come al solito, a porta Madonnella, il calzolaio Donato Faiella, che conosce più di qualunque altro i suoi piedi, avendogli fatto un buco sul fondo di una scarpa per permettergli di non soffrire per la presenza di una piaga. Poi scende giù e si ferma al pozzo del rione Pantaniello, dove saluta, come faceva da bambino, qualche conoscente, e via per il sentiero di campagna che verrà poi chiamato via del Rosario.
Per la strada padre Pio intona in semplicità ed amore alla Madonna la recita della corona che Lei tanto ama e predilige.
La stradina di campagna diventa sempre più scomoda: i sassi appuntiti lo fanno soffrire, ma con amore, unendo alla preghiera la sua sofferenza fisica. Il suo sguardo è tutto orientato al cielo ma anche permeato da un delicato sentimento familiare. Sa che a Piana Romana troverà il padre Grazio, la madre Peppa, il fratello, i cugini, il compare Mercurio, e tanti amici.
Arriva al ponte Pantaniello, posto sul torrente Quadrielli, dove più volte ha visto in faccia "quei brutti ceffi". Inizia quindi l'erta decisiva per Piana Romana. La via si fa più solitaria, selvaggia, ma più pregna di preghiera.
Finalmente arriva a Piana Romana e trova i suoi familiari impegnati ai lavori dei campi. Un saluto a tutti, un bacio alla mamma, una boccata d'aria pura, quattro passi e via a sedersi su uno spuntone di roccia a godersi il sole della primavera inoltrata e contemplare, attraverso le bellezze del Creato, la magnificenza e la bellezza del Creatore.
Poi quando il sole comincia a battere sulla testa, Padre Pio si rifugia sotto la capanna di paglia costruita dai cugini ai piedi del celebre Olmo delle stigmate. E qui la contemplazione visiva della natura cede il posto allo studio delle Scienze Sacre, alla lettura della vita dei santi, alla meditazione, alla contemplazione dell'Amore di Dio, all'incontro visibile con Gesù, Maria ed altri personaggi soprannaturali.
Il frugale pranzo consumato nella masseria dei Forgione, viene seguito da un po' di riposo, raccomandato a Padre Pio dalla mamma, attenta e sensibile alla salute del figlio. Quanti sentimenti meravigliosi si intrecciano tra Peppa e questo suo figlio tralucente di Santità che già il popolo chiama con l'appellativo di "O Santariello". Un'amore sconfinato, quello di Padre Pio verso la mamma, la cui misura si intuirà molti anni dopo a S.Giovanni Rotondo, allorché con calde lacrime piangerà, quasi come un bambino, la morte di mamma Peppa invocando:"Mamma, mamma mia". Ed al sindaco di San Giovanni Rotondo, Francesco Morcaldi, che gli dirà: "Padre, non ci avete insegnato voi stesso che il dolore non deve essere che un'espressione dell'amore e che dobbiamo offrirlo a Dio? Perché dunque piangete in modo così straziante? Proprio voi che parlate tanto di sofferenza piangete..." il Padre, divenuto molto serio risponderà: "Sono lacrime d'amore, nient'altro che d'amore".
Padre Pio ha un differente contatto con i due direttori spirituali. Con padre Benedetto vive un rapporto non tanto facile perché, nella duplice veste di direttore spirituale e ministro provinciale, egli esige che il frate torni alla vita conventuale, mentre Padre Pio è costretto dalle condizioni di salute a soggiornare a Pietrelcina. Le lettere tra i due sono meno frequenti rispetto a quelle tra Padre Pio e Padre Agostino.
Ecco come padre Benedetto esorta ancora una volta padre Pio, il 17 dicembre del 1913, a ritornare nella vita religiosa comunitaria:"E tu quando vorrai tornare nel chiostro? Oramai l'esperienza dell'aria nativa è stata fatta e si è visto che mantiene e non guarisce. Ripeto quel che ti dissi a voce, cioè di non trovar nulla di straordinario e di contrario al divino volere e allo stesso diritto di natura il tornare alla Religione anche con la persuasione certa di aggravarti. Anzi contrario all'uno ed all'altro mi sembra lo starsene sì lungamente fuori del chiostro per motivo di salute...".
In risposta a questa lettera, il 20 dicembre, Padre Pio formula gli auguri natalizi a padre Benedetto. Ed a proposito del desiderio di vederlo in convento così esprime il suo stato d'animo:
"...voi potete immaginare con quanta gioia volerei in convento; ma poiché la mia malattia si va sempre accentuando e che a stento mi trascino, sarei di peso e di ingombro alla comunità, senza apportare nessun aiuto ed affrettando la mia fine... "(Epistolario, I).
Con padre Agostino, invece, il rapporto epistolare è più diretto, affettuoso. Non solo da parte di padre Pio, ma anche da parte del suo ex professore di Teologia.
Padre Pio introduce le sue lettere chiamandolo: "mio carissimo babbo". E infatti padre Agostino è per il giovane frate di Pietrelcina un padre, un amico, un consigliere affettuoso. E' lui a raccogliere, più di padre Benedetto, le testimonianze straordinarie del "Santariello". E' lui ad essergli vicino con il suo affetto e la sua direzione spirituale, perché padre Pio cammini spedito verso quella vita di perfezione sulla quale Dio lo chiama. Ed a padre Agostino, il 10 gennaio del 1914, il Frate di Pietrelcina apre il suo cuore prospettandogli il travaglio dovuto ad una scelta che lui non può prendere e che il superiore provinciale, padre Benedetto, richiede fermamente, e cioè lasciare Pietrelcina per tornare definitivamente al convento:
"Il padre provinciale fin dallo scorso maggio mi diceva che il padre generale (dei cappuccini), dietro che lui gli aveva riferito tutto sul mio conto, rispose:"E' meglio allora che si faccia prete chiedendo il breve". Io volerei volentieri in convento, ma poiché tutte le prove sono state fatte e gli effetti vi sono ben noti e dietro ancora che la mia malattia si va sempre più accentuando, trascinandomi a stento, vedo che non potrei essere alla comunità se non di peso e di ingombro, senza apportare nessun aiuto ed affrettando la mia fine. Quindi tenendo presente la risposta data dal generale al mio riguardo, con strazio vivissimo dell'anima mia, mi decido a chiedere il breve, riconoscendo nella voce del superiore la voce di Dio.
Voi caro padre, che tante volte siete stato posto a parte del mio interno, potrete in parte comprendere quale atroce strazio sente il mio cuore nell'essere costretto a dare il passo, ma la necessità me lo impone e la sventura così vuole per me. Sono persuaso poi che il padre provinciale interporrà presso Roma i suoi buoni uffici, ci riuscirà a farmi rimanere coll'abito del serafico padre".
Quindi padre Pio si trova ad un punto critico: sta per lasciare l'abito francescano per essere un semplice sacerdote secolare. Una situazione che verrà superata grazie anche al Breve "durante infirmitate e retento habitu", cioè il permesso papale di restare a Pietrelcina pur conservando lo stato di religioso cappuccino.
Intanto, nei rapporti epistolari con padre Pio, padre Agostino da San Marco in Lamis accenna spesso a "due anime" che si affidano alle preghiere del frate di Pietrelcina. Queste due anime avranno un ruolo molto importante nell'epistolario di padre Pio e saranno tra le sue prime figlie spirituali. Si tratta di Raffaelina Cerase e sua sorella Giovina. E' lo stesso padre Agostino, confessore e direttore spirituale delle due sorelle, a preannunciare al suo caro Padre Pio l'imminente inizio di un contatto epistolare da parte di Raffaelina. Lo fa con una lettera, scritta in francese come tante altre e datata 20 marzo 1914: "Una delle due anime, propriamente quella privilegiata, fra pochi giorni scriverà direttamente a te. Mi sembra che Gesù lo vuole. Quest'anima (forse tu lo sai) si trova nell'oscurità spirituale. Io credo che Gesù vuole illuminarla per mezzo di te. Io ti prego di rispondere subito (se il buon Dio te lo permetterà) a tutte le lettere che Ella ti invierà".
La corrispondenza di padre Pio con Raffaelina Cerase occuperà un posto importante non solo nell'epistolario del frate cappuccino ma farà nascere un'amicizia che, permessa e voluta da Dio, provocherà il suo ritorno definitivo nella vita conventuale.
Le manifestazioni mistiche in padre Pio vengono seguite con grande rispetto dai superiori provinciali dell'ordine dei cappuccini. Anzi più di una volta essi chiedono al padre di interpellare il Signore in riguardo alla provincia a cui appartiene padre Pio.
Padre Benedetto da San Marco in Lamis, ministro provinciale dei cappuccini
di Foggia, il 21 marzo del '14 chiede tra l'altro: "...Voglio dunque che mi scrivi
lungo ed oltre alle notizie tue interpella il Signore affinché per la sua santa e divina
bontà si degni far conoscere quel che desidera da me e dalla provincia. Dimmi tutto per
santa ubbidienza e distintamente".
La risposta di padre Pio, datata 26 marzo 1914, non tarda ad arrivare. Ma,
l'attesa di risposte da parte del Signore, sul governo della provincia, rimane disillusa.
E' lo stesso padre Pio a spiegare il perché:
"Ho pregato e prego sempre secondo tutti quei fini che voi desiderate; ma mi
astengo di fare domande a nostro Signore a fine di averne una risposta, avendomelo Egli
stesso vietato. Se per l'addietro il Signore permetteva, anzi voleva che gli domandassi in
questa e in quella circostanza, qual fosse il suo volere, da un pezzo però riprova questo
vecchio modo di agire. "Questo modo ben si confà, ebbe a dirmi una volta nostro
Signore, per quelli che sono come 'parvoli nelle mie vie ed io voglio che tu esci
finalmente da questo stato di fanciullezza".
Me nella stessa lettera padre Pio apre il suo cuore a padre Benedetto,
rivelandogli la profonda esperienza mistica che lo avvolge nella preghiera. Lo fa con
parole toccanti, pregne di intenso amore e di dolci parole che esprimono il suo
straordinario rapporto di Amore con Dio:
"Appena mi metto a pregare tosto mi sento il cuore come invaso da una
fiamma di un vivo amore; questa fiamma non ha nulla a che vedere con qualsiasi fiamma di
questo basso mondo. E' una fiamma delicata ed assai dolce che strugge e non dà pena
alcuna. Dessa è sì dolce e sì deliziosa che lo spirito ne prova tale compiacenza, e ne
rimane sazio in tal guisa da non perderne il desiderio; ed oh Dio! cosa al sommo
meravigliosa per me e che forse non arriverò mai a comprendere se non nella celeste
patria. Questo desiderio lungi dal togliere la sazietà dell'anima la va sempre più
raffinando. Il godimento che sente l'anima là nel suo centro piuttosto che rimanere
diminuito dal desiderio, rimane sempre più perfezionato...
..L'anima posta dal Signore in tale stato, arricchita da tante celesti cognizioni dovrebbe
essere più loquace; eppure no, essa è diventata quasi muta. Non saprei se questo sia un
fenomeno che si avvera in me solo. Con termini assai generici, ed il più delle volte
vuoti anche di senso, riesce l'anima ad esprimere quella particella di ciò che in lei lo
sposo dell'anima va operando...".
Intanto, per mezzo di padre Agostino suo confessore e direttore
spirituale, Raffaelina Cerase, terziaria francescana ammalata e confinata in casa, da
Foggia si mette in contatto epistolare con Padre Pio. Nasce, con questo dialogo, un
sodalizio spirituale che darà molti frutti a questa santa donna toccata grandemente nella
sofferenza sia attraverso i lutti e le discordie in famiglia, che a causa della sua stessa
infermità fisica. Nella prima lettera scritta padre Pio, il 24 marzo, così conclude la
sua presentazione:
"Supplicate, ripeto, fino alla noia, insistete, parlate assai a Gesù. Ditegli che le
due anime (specie la mia) aspettano la sua grazia, le due pietre isolate nel mondo, le due
foglie sbattute dall'uragano aspettano la sua mano che le metta finalmente al posto di cui
Egli le destina; aspettano e sperano..."(Epistolario, II).
A questa lettera padre Pio risponde il 29 marzo (domenica di passione):
"Oh! Figliuola dilettissima di Gesù, se fossimo in mano nostra, cadremmo sempre e
mai resteremmo in piedi; e perciò umiliatevi al pensiero dolcissimo che state sulle
braccia divine di Gesù, che è il più buono dei padri, come un pargoletto su quelle
materne e dormite tranquilla, certa di essere guidata per dove troverete il migliore
vantaggio. Che timore si può avere l'essere accertati di stare fra sì soavi braccia
quando tutto il nostro essere è consacrato a Dio?!"(Epistolario II).
Nel giugno del 1914 Padre Pio viene mandato a Morcone. Ma il soggiorno
sarà breve a causa del riacutizzarsi di tutti i suoi mali. Quale mistero si nasconde
dietro queste coincidenze? Appena viene mandato in convento, il frate si ammala
seriamente. Torna all'aria nativa e riacquista le sue forze. Noi ripetiamo quanto già
abbiamo affermato. E cioè che il Signore lo voglia ancora a Pietrelcina per forgiarlo
completamente secondo le sue sembianze fisiche e spirituali.
E' lo stesso padre Pio, il 18 giugno a confidare a padre Agostino i suo
affanni:
"In cinque giorni che sono stato a Morcone mi sono ridotto in uno
stato assai compassionevole. Questa nuova ricaduta, mio caro padre, mi ha scombussolato
tutta la persona, e quello che più ne rimane danneggiato è il petto. Esso mi fa
spasimare continuamente; mi tiene in una prolungata agonia. In certi momenti è tale la
pena che desso mi cagiona, che sembrami come se la vita si arrestasse...Sia fatta la
volontà del Signore, che tutto quello che ordina è giusto!"(Epistolario I).
Per la prima volta padre Pio accenna ad uno dei fenomeni straordinari che
lo accompagneranno per tutta la sua vita. Lo fa scrivendo a Raffaelina Cerase, sua figlia
spirituale, il 10 ottobre del 1914:
"Il mio amore per voi in Cristo Gesù, Benedetto sia Iddio, Padre del nostro
Signore Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale, nella
sua bontà, ha permesso in questi giorni che vi visitassi in ispirito. Niente voi avete
presentito di tal visita? Piaccia a Gesù, il quale mi consola in ogni afflizione,
consolare, per mio mezzo, ancora voi da ogni tribolazione".
Questo carisma della visita in ispirito, di cui è dotato padre PIo, non
sembra ancora essere una vera bilocazione. Lo dimostra la risposta di Raffaelina, datata
21 ottobre del 1914: " E la visita in ispirito che vi degnaste farmi - quanto siete
buono con questa figlia ingrata, immeritevole di tutto! - in quale giorno, in quale ora
accadde? Abbiate la pazienza di indicarmelo - non lo dimenticate -; povera me, di nulla mi
accorsi".
Questa lettera giunge un po' in ritardo a padre Pio che, il 25 ottobre, con
grande umiltà e modestia, definisce un dono del Signore le sue visite in ispirito:
"Nessun ringraziamento mi è dovuto per la visita che il Signore mi
accordò di farvi in ispirito: ma i vostri ringraziamenti e le vostre lodi siano rivolte a
Dio solo. Mi chiedete pure l'ora e il giorno nel quale questa visita avvenne. Provo grande
ripugnanza nel manifestarvi ciò, ma per non contristarvi fo tacere quel che mi ripugna.
Se non sbaglio una simile visita avvenne il giorno 4 ottobre, festività del serafico
padre san Francesco, e nelle prime ore del seguente. Non posso dirvi altro di tal visita;
solo vi dico che fu molto lunga. Vi scongiuro poi che di tal visita non ne facciate parola
con nessun essere vivente di questo mondo...".
Si prepara, intanto, per padre Pio il permesso per farlo restare fuori
convento, ma vestendo l'abito cappuccino. Perciò riceva una lettera da Padre Benedetto,
datata 14 dicembre 1914: "Caro padre Pio, dovendo io regolare la vostra posizione col
reverendissimo padre generale, egli mi ha suggerito che si ottenga il breve durante
necessitate e retento habitu. Ma è indispensabile che chiediate all'arcivescovo di
Benevento un attestato in cui dichiari che vuol concedervi l'altare o in altri termini
apparteniate provvisoriamente al clero di Pietrelcina. Conviene che l'istanza sia
accompagnata da una commendatizia dell'arciprete. L'attestato lo manderete a me.
Dispiaciutissimo di non potervi ancora vedere tra noi vi benedico ed auguro da Gesù
Bambino ogni eletta grazia".
Per capire il travaglio interiore che attanaglia padre Pio, bisogna leggere
alcune righe della lettera che il 19 dicembre del 1914 invia al suo carissimo padre
Agostino mentre ancora una volta la malattia lo costringe a letto. Sofferenze fisiche e
morali che mettono a dura prova la sua anima:
"Dal letto vi scrivo queste poche righe per non farvi passare le
feste di Gesù Bambino senza augurarvele piene delle più elette grazie. In questi giorni
deporrò ai piedi del Bambinello Gesù oltre le mie povere preghiere per voi, ma ancora
spargerò delle lacrime e gli offrirò tutte le amarezze che opprimono il mio cuore. Quale
umiliazione per me, padre mio, nel vedermi quasi scisso dal serafico Ordine. Dolore
talmente acuto che mi sopravvenne, nonostante che ero parato, non appena mi venne la
lettera del provinciale che mi comunicava le decisioni prese.
Per le lacrime che versai mi cagionarono tanto male anche
alla sanità, che fui costretto e mettermi a letto, dove attualmente mi trovo ancora. Sia
fatta la divina volontà...".
Ma nella risposta di padre Agostino (21/12/914) c'è tutta la consolazione del padre e dell'amico che lo rassicura sulla sua permanenza nei Cappuccini: "Ti prego a non lasciarti prendere dal pensiero che tu sia come scisso dal nostro Ordine: questa mi sembra una tentazione. Il generale ha visto la divina volontà ed egli ti accorda il breve ad tempus e con l'abito serafico: dunque tu sei sempre nostro e più del serafico padre...Nell'affetto di Gesù Bambino t'abbraccia il tuo affezionatissimo fra Agostino cappuccino".
Le grandi sofferenze di padre Pio sono accompagnate da momenti in cui
l'anima è presa da soave e grandissimo amore per Dio.Lo possiamo arguire da uno stralcio
della lettera che il 24 gennaio 1915 padre Pio scrive al ministro Provinciale dei
cappuccini: Padre Benedetto da San Marco in Lamis:
"Sembrami come se tutte le ossa mi si scerpassero (strappassero).
Sentomi, senza punto vederlo con gli occhi del corpo, ma ben vedendolo io con quelli dello
spirito, immergermi da costui , con una punta bene affilata e quasi gettando fuoco,
attraverso il cuore che lo approfonda fino alle viscere, indi a viva forza lo ritrae per
poi di lì a poco ripetere l'operazione. Il tutto lascia, al moltiplicarsi di questi
colpi, sempre maggiormente divampare l'anima di grandissimo amore di Dio. Il dolore
intanto che producemi tal ferita, che da lui mi viene aperta, e la soavità che in pari
tempo mi si fa sentire, sono così vivi che adombrarli mi torna impossibile. Ma, padre
mio, detto dolore, come detta soavità sono del tutto spirituali, sebbene sia pur vero che
non lascino anche il corpo di parteciparvi, anche in alto grado".
Intanto Padre Pio continua, anche su autorizzazione del direttore
spirituale Padre Agostino e dei superiori, a recitare il santo rosario al posto
dell'Ufficio Divino, obbligo cui sono legati tutti i sacerdoti. La sua vista lo esenta
dalla recita del breviario quotidiano. E sarà la corona del rosario ad accompagnare padre
Pio per tutta la sua vita spirituale. Il Rosario sarà per lui l'arma privilegiata per
vincere le insidie diaboliche e il mezzo eccellente per ottenere da Dio, attraverso
l'intercessione di Maria, innumerevoli Grazie.
Scrivendo a padre Agostino, il 30 gennaio 1915, il frate accenna al desiderio
di recitare l'Ufficio Divino: "Riguardo alla recita del
Divino ufficio, la vista, come vi dissi, altre volte mi è venuta. E se pur vi sia luogo a
dispensa dall'ufficio potrebbero essere le mie condizioni eccezionali di salute. Quindi vi
ripeto ciò che vi ho detto altre volte, mi rimetto al giudizio del superiore. A me manca
persino il breviario, vedendomi giungere il breviario è segno che posso dirmelo".
Nello stesso giorno del 30 gennaio, padre Pio scrive a Raffaelina Cerase,
invitandola a raffrontare il suo "Sì" con quello di Gesù nel Getsemani, prima
di affrontare le ore della Passione:
"Considerate il fiat di Gesù nell'orto; quanto dovette riuscirgli di peso fino a
sudare, e sudare sangue! Pronunziatelo anche voi questo fiat tanto nelle cose prospere,
che nelle cose avverse; e non vi date pena e nè vi rompete la testa del come lo
pronunziate. Si sa che nelle cose dure la natura rifugge la croce, ma non si può dire che
l'anima non si sia sottomessa alla volontà di Dio quanto pur la vediamo, nonostante la
forza che sente in contrario, venire alla pratica".
Come già si è detto in altre circostanze, padre Benedetto da San Marco in
Lamis, ministro provinciale dei frati cappuccini, aveva inoltrato alla Santa Sede la
petizione perché padre Pio avesse il permesso di portare l'abito religioso, pur rimanendo
"fuori convento, per curare la propria salute, essendo questo l'unico mezzo che dà
speranza di guarire. Il sommo pontefice, il 25 febbraio 1915, concede finalmente a Padre
Pio "petitam facultatem manendi extra clausura durante necessitate, retento habitu
regulari". Detta facoltà viene comunicata a padre Benedetto il 1° marzo. Il giorno
7 scrive a padre Pio: "E' venuto il breve durante infirmitate e retento habitu di
permanere nel secolo. Dio mi conceda di vedervi tornare in religione".
Quindi, da questo momento e per circa un anno, la Chiesa Beneventana avrà il
privilegio di avere Padre Pio tra i propri sacerdoti secolari. Ma il breve concesso dal
Papa, più che allontanarlo dall'Ordine, lo aiuta a sentirsi sempre più profondamente
unito ad esso. Con padre Benedetto il rapporto riprende ad essere più frequente. Ecco
come si manifesta, il Frate di Pietrelcina, Il 18 marzo:
"Padre, mi sia concesso sfogarmi con voi almeno: sono crocifisso
d'amore! Non ne posso proprio più: l'è questo un cibo assai delicato per chi è avvezzo
a cibi grossolani, ed è appunto questo che mi produce di continuo delle fortissime
indigestioni spirituali, da crescere a tal punto da far gemere per vivissimo dolore ed
amore insieme la povera anima. La meschinella non sa adattarsi a questo nuovo modo che
tiene il Signore con Lei; ed ecco che il bacio ed il toccamento, direi così, sostanziale
che questo amorosissimo padre celeste imprime sull'anima, le riesce ancora di estrema pena".
Il 25 marzo del 1915, festa dell'Annunciazione di Maria Santissima, Padre Pio
manifesta alla sua diletta figlia spirituale, Raffaelina Cerase, gli stessi sentimenti che
sette giorni prima aveva espresso a padre Benedetto. E lo fa con parole che esprimono una
grande sofferenza e nel contempo un amore ardente verso il Signore: "Da parecchio
tempo, dovete sapere, che è piaciuto a nostro Signore Gesù Cristo pormi in un'estrema
malattia, più spirituale per altro che corporale. E' una prova così alta che mi pone a
giuocare il tutto per tutto. L'inferno si è scatenato tutto su di me. Vi sono dei
momenti, nei quali mi sembra di morire; e veramente è un miracolo della misericordia
divina se pur io continuo a vivere. Muoio in ogni istante: mi sento crocifisso di amore.
Dovrebbe purtroppo riuscirmi di delizia, ma che volete, lo spirito mio è avvezzo ancora a
cibi assai grossolani. Passo delle nottate specialmente in braccia ad un'estrema angoscia
in vista della prova che mi pone a perdere il tutto per tutto".
TESORI SPIRITUALI
Nonostante le grandi sofferenze fisiche e morali dovute pure alla lotta
che egli deve affrontare con le forze del male, padre Pio elargisce, nelle sue lettere
alle figlie spirituali, autentici tesori di insegnamento cristiano. Sempre a Raffaelina
Cerase egli scrive, martedì santo, 30 marzo del 1915: "Vivete tale che il Padre
celeste possa gloriarsi di voi, come lo fa e lo è di tante anime elette al pari della
vostra. Vivete in modo che in ogni istante possiate ripetere coll'apostolo San
Paolo:[Siate miei imitatori, come io lo sono di Gesù Cristo](Cor 4,16;11,1). Vivete in
modo, ripeto, che il mondo ancora possa forzatamente dire di voi:[Ecco il Cristo]. Oh! non
trovate, per carità, esagerata questa espressione! Ogni cristiano, vero imitatore e
seguace del biondo Nazzareno, può e deve chiamarsi un secondo Cristo, del quale in modo
assai eminente ne riporta tutta l'impronta. Oh! Se tutti i cristiani vivessero a secondo
della loro vocazione, la terra stessa di esilio si muterebbe in un paradiso".
Padre Benedetto da San Marco in Lamis, viene a
conoscenza del fatto che padre Pio ha cambiato confessore, affidandosi, ora, al caro don
Salvatore Pannullo da lui chiamato amabilmente:"Zi Tore". E allora gli chiede,
in una lettera datata 10 aprile, quali motivi lo hanno spinto a trovarsi un nuovo
confessore senza chiedere prima il beneplacito a Lui. Il tono è di quelli severi, ma, con
un rinnovato invito di tornare a vivere tra le mura di San Francesco, viene poi stemperato
in un saluto affettuoso. La risposta di padre Pio non si fa attendere e, in una lettera
densa di tenerezza filiale così risponde il 15 aprile:
"...Il confessore poi da me scelto è il parroco, e grazie a Gesù,
ho trovato un pochino di conforto. Le ragioni sono diverse, che mi dettero la spinta ad
abbandonare il mio vecchio confessore e né varrei a farle intendere se mi volessi provare
a metterle in carta; mi prometto di dirvele tutte a voce oppure notificarvele a mezzo di
qualche persona,che il Signore vorrà mandarmi. Mi limito qui a dirvi che la ragione
principale si fu che a quel mio confessore diede di volta il cervello e pur questo gli si
ripeteva spesso anche nel tribunale della mia coscienza e questo specialmente allorché io
sentivo più bisogno di aiuto".
Ma è sempre con padre Agostino che il frate di Pietrelcina apre il suo
cuore di figlio spirituale manifestando finalmente i segreti più reconditi del suo cuore.
E lo fa con asserzioni e confidenze che esprimono un cuore fortemente travagliato dal
desiderio di amare il suo Dio. Il 15 aprile padre Pio scrive così al suo direttore
spirituale ed amico fraterno: "E' questa una delle più acute spine che
nell'ora presente mi trafigge in modo da ridurmi in agonia. Che significa tutto questo?
Forse il Signore non vuole più farsi amare da me? E se questo non è vero, perché il
desiderio di amare Iddio supera di molto il fatto stesso di amarlo? Perché Iddio che è
sì buono con le sue creature, ricusa di farsi amare quando l'anima ne desidera? Deh,
ditemi, per carità, perché l'anima più sente il desiderio di amare e nonostante gli
sforzi che ella fa di amare quanto già desidera, sente in sé stessa farsi un vuoto tale
quasi che ella non avesse mai amato? Or ditemi, senza umani riguardi, o padre mio, non è
desso propriamente un segno assai manifesto che l'anima mia è priva di amore pel suo Dio?
Per amor del cielo, ditemi e ditemi tutto, senza nulla nascondermi! Morrò io, dunque,
senza aver amato mai il mio Dio? o senza averlo amato quanto io il desidero? Tutto questo
mi fa piangere come un bambino ed il più delle volte senza neanche volerlo...".
Padre Pio continua, nella sua amata Pietrelcina, a vivere una meravigliosa stagione
spirituale che lascerà ampie tracce sui suoi ricordi finanche a San Giovanni Rotondo dove
pure il suo carisma sarà conosciuto ed irradiato in tutto il mondo. Egli può
godere l'incommensurabile privilegio delle apparizioni di Gesù. Lo ricorda, scrivendo a
padre Benedetto di San Marco in Lamis il 21 aprile del 1915, in una lettera nella quale
accenna ancora ad uno strano fenomeno: "Pure quando sono con Gesù mi avviene di
dimandare a Gesù cose, delle quali non ebbi mai in mente; di presentargli pure cioè
delle persone che non solo non ho avuto mai in mente, ma quello che più mi arreca
meraviglia, che di tali persone non ebbi mai conosciuto e mai ne ho sentito dire".
In realtà il Padre si trova molto spesso ad affidare al Signore, non solo nelle preghiere, ma anche negli incontri personali con Lui, anime che non ha mai visto, né incontrato e che a volte vede solo in visione, non pregando per altri che si sono affidati a Lui. Un fenomeno, questo, che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza. Tante persone sofferenti che hanno avuto il privilegio della sua amicizia, non hanno beneficiato di grazie o guarigioni. Altri, invece, anche senza rivolgersi a padre Pio, sono guariti miracolosamente.
Intanto le sofferenze aumentano sia per una forte emicrania che lo accompagna da un po' di tempo, sia per il dolore della guerra che penetra fino al profondo del suo animo.
Ascoltiamo ciò che scrive, sempre a padre Benedetto, il 27 maggio
1915: "Da più giorni sono afflitto da fortissimi dolori di testa, che mi rendono
impotente a qualsiasi applicazione. Gli orrori della guerra mi sconvolgono quasi il
cervello: l'anima mia è posta in un'estrema desolazione...Questa benedetta guerra, sì,
sarà per la nostra Italia, per la chiesa di Dio una purga salutare: si risveglierà nel
cuore italiano la fede, che se ne stava lì rincantucciata e soffocata dalle pessime
voglie; farà sbocciare nella chiesa di Dio, da un terreno quasi inaridito e secco,
bellissimi fiori; ma, mio Dio!, prima che ciò avvenga, qual dura prova a noi è serbata".
Il 1° luglio padre Pio scrive una bellissima lettera a padre Agostino,
soffermandosi in una lunga, commovente e delicata riflessione sul valore della
croce:"Quanto è dolce, Padre, il nome croce!; qui, appié della croce di Gesù, le
anime si rivestono di luce, si infiammano di amore; qui mettono le ali per elevarsi ai
voli più eccelsi. Sia detta croce anche per noi sempre il letto del nostro riposo, la
scuola di perfezione, l'amata nostra eredità. A tal fine badiamo di non separare la croce
dal'amore a Gesù; altrimenti quella senza di questo diverrebbe un peso insopportabile
alla nostra debolezza. La Vergine Addolorata ci ottenga dal suo santissimo Figliuolo di
farci penetrare sempre più nel mistero della croce ed inebriarci con lei dei patimenti di
Gesù. La più certa prova dell'amore consiste nel patire per l'amato, e dopo che il
Figliuolo di Dio patì per puro amore tanti dolori, non resta alcun dubbio che la croce
portata per lui diviene amabile quanto l'amore".
La santissima Vergine ci ottenga l'amore alla croce, ai patimenti, ai dolori
ed ella che fu la prima a praticare il vangelo in tutta la sua perfezione, in tutta la sua
severità, anche prima che fosse pubblicato, ottenga a noi pure e dessa stessa dia a noi
la spinta di venire immediatamente a lei d'appresso.
Nella lettera successiva, scritta il 10 luglio, padre Pio comunica a padre
Agostino il piccolo segreto per arrivare al cuore di Gesù: "Gesù si compiace
comunicarsi alle anime semplici; sforziamoci di fare acquisto di questa bella virtù,
abbiamola in gran pregio. Gesù disse:" se non vi fate come i fanciulli, non
entrerete nel regno dei cieli". Ma prima di insegnarlo a noi con le parole l'aveva
praticata lui stesso col fatto. Si fece bambino e ci diede l'esempio di quella semplicità
che poi avrebbe insegnato anche con le parole....La pace è la semplicità dello spirito,
la serenità della mente, la tranquillità dell'anima, il vincolo dell'amore".
L'estate del 1915, invece di sollevare padre Pio dalle sue continue
sofferenze fisiche e soprattutto spirituali, lo debilita a tal punto che Egli più di una
volta si abbandona quasi al desiderio della morte. Le sue lettere a padre Agostino ed alle
figlie spirituali hanno l'identico sentire. A Raffaelina Cerase egli scrive il 14 luglio
una lettera nella quale apre il suo cuore colmo di pene: "E' una crisi terribile
quella che attraverso, ed ignoro quello che mi è serbato. La crisi che attraverso è più
spirituale che corporale, ma non è meno vero che tutto il fisico non senta e non
partecipi in modo affatto straordinario a tutte le sofferenze di quello, e tanto l'uno che
l'altro concorrono a farmi marcire nel dolore. Ahimé! Chi mi salverà da questo carcere
tenebroso! chi mi libererà da questo corpo di morte. Ma viva Iddio nel più alto dei
cieli! Egli è la mia fortezza, egli è la salute dell'anima mia, egli è la mia porzione
in eterno. In lui spero, in lui confido e non temerò male alcuno".
Cinque giorni dopo, scrivendo a padre Agostino da San Marco in Lamis, ancora
una volta erompe in un lamento che è anche una preghiera al Signore: uno stato d'animo
che da tempo lo accompagna, inseparabilmente, in un itinerario di ascesi spirituale che,
come un crogiolo, lo terge preparandolo all'altissima missione che svolgerà poi, secondo
i piani di Dio, nel piccolo eremo di San Giovanni Rotondo su Gargano:
"(Quare posuisti me contriarium tibi, et factus sum mihimetipsi
gravis?). Questo è il grido che emette l'anima mia dal fondo della sua miseria in cui è
posta dal suo Dio. La mia anima è posta dal Signore a marcire nel dolore. Il mio stato è
amaro, è terribile, è estremamente spaventoso. Tutto è oscurità intorno a me e dentro
di me: oscurità nell'intelletto, afflizioni nella volontà, angustiato sono nella
memoria; il pensiero della sola fede mi regge in piedi: nell'intimo sono tocco di dolore,
ed in pari tempo afflitto ed ansioso di amore divino...".
Proseguendo, nella sua lunga missiva all'amico e direttore spirituale padre Agostino, così egli lamenta:
"Sopra di me, o padre, si è confermato il furore dell'altissimo e tutte le onde ed i flutti, al dir del profeta, si scaricarono sopra di me. Iddio ha allontanato da me gli amici e conoscenti e tutti mi prendono in abominazione. Mi trovo solo a lottare ed a piangere, sia di notte che di giorno: il padre provinciale, a cui in questi giorni ancora ho confidato tutto il mio stato, mi serba perfetto silenzio e non so il perché: il confessore mi sgrida, ed io non trovo consolazione veruna nelle sue lunghe prediche che mi fa al riguardo...Sono proprio solo, come vedete, a salire la vetta del Calvario, privo di ogni celeste e di ogni umano conforto. Potessi almeno pregare e gridare! Gesù sembrami che rifiuti la mia orazione: egli mi minaccia e mi trae fra le tenebre e non alla luce".
Padre Pio trascorre molti giorni ammalato ed immobilizzato nel proprio
letto di dolore. Finalmente, dopo un lungo periodo di sofferenza, il 28 luglio comincia a
vivere di una nuova vita. Intanto il suo primo pensiero è quello di recarsi a Napoli per
una visita medica per avere un certificato per mezzo del quale potrà essere esentato dal
rischio di essere richiamato alla milizia. Ma il viaggio è sconsigliato da padre
Agostino, il quale intende tranquillizzare il frate scrivendogli che egli sarà certamente
riformato.
Ma le pene che accompagnano padre Pio non si attenuano. Il 4 agosto del 1915,
ancora una volta padre Agostino raccoglie le confidenze del cuore travagliato di questo
giovane frate che, a passi spediti, segue le orme di Gesù sul Calvario:
"Sto per essere schiacciato sotto il peso delle tribolazioni. Il
mio spirito continua ad alimentarsi di fiele e di amarezza e non vi è chi possa
consolarlo. La desolazione è estrema e non so se potrò scamparla. Mi sento venir meno le
forze: quest'ora suprema per l'anima mia non so se potrò viverla a secondo del cuore di
Dio. Il solo pensiero della misericordia del Signore è quello che mi fa stare ancora in
piedi. Ma continuerà a sorreggermi ancora? Non diffido della bontà del Signore, ma me lo
fa temere la mia fiacchezza e la mia ingratitudine verso tante grazie che egli mi va
compartendo".
A questa lettera, padre Agostino risponde il 6 agosto con dolcissime parole
con le quali esorta, il diletto figlio spirituale a continuare il duro cammino della sua
passione: "Il Signore vuole da te cotesta croce: Gesù ti vuole con sé sul Calvario:
dunque?...dunque, per quanto possa essere insopportabile il dolore dello spirito, il
pensiero che Dio lo vuole deve sorreggere il medesimo spirito".
Nonostante i suoi profondi travagli spirituali derivati anche dal frequente
silenzio del ministro provinciale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, e malgrado le
precarie condizioni di salute, padre Pio intrattiene continui rapporti epistolari con
padre Agostino e con tante figlie spirituali protese nel cammino di perfezione cristiana.
La sua direzione sarà per molte di loro il viatico di un autentico itinerario mistico.
Oltre a Raffaelina Cerase e sua sorella Giovina, si ricordano: Margherita Tresca, che
sarà poi suora Brigidina, le sorelle Campanile, Maria Zicari, Maria Gargani, Assunta Di
Tomaso, Annita Rodote e tante, tante altre.
Ad Annita Rodote, legata da amicizia spirituale con Raffaelina Cerase,
padre Pio scrive il 27 agosto del 1915 una lettera nella quale la invita a vivere
spiritualmente l'esperienza di Gesù nel Getsemani:
"Ma facciamoci animo, o Annita, diamo uno sguardo al divino Maestro
che prega nell'orto, e scopriremo la vera scala che unisce la terra al cielo; noi vi
scorgeremo che l'umiltà, la contrizione, la preghiera, fanno scomparire questa distanza
che passa tra l'uomo e Dio, e fanno sì che Dio discende insino all'uomo e che l'uomo
s'innalzi insino a Dio, sicché si finisce coll'intendersi, coll'amarsi, col possedersi. E
questo gran segreto insegnatoci da Gesù colle parole e col fatto, io vi invito nel
dolcissimo Gesù a praticarlo sempre, tenendo per fermo che dove nelle tenebre dell'uomo
coll'uomo chi paventa innanzi al suo nemico, chi è ferito, chi è stramazzato a terra,
chi versa il sangue, si ha come vinto, come perduto; nelle lotte, invece, dell'uomo con
Dio avviene tutto il rovescio. Colui che trema innanzi a Dio, colui che oppresso sotto il
peso della tribolazione, abbattuta alla vista delle profonde ferite che in lui hanno fatto
i propri peccati, trascina la sua fronte nella polvere, si abbassa, su umilia, piange,
grida, sospira e prega, costui è che vince, che trionfa di Dio e l'obbliga ad usargli
misericordia, quando più sdegnato gli pareva".
Il 7 settembre, scrivendo a Raffaelina Cerase, padre Pio si esprime con
sentimenti di grande tenerezza e soavità nei confronti di Gesù che Egli chiama "dolcissimo
amante delle anime nostre", invitando la giovane e ricevere "il pane
degli angeli con una gran fede e con una gran fiamma di amore".
"Felici noi, o Raffaelina, se arriveremo a ricevere dal Signore
della nostra vita di essere consolati di questo bacio! Allora sì che sentiremo essere la
nostra volontà sempre legata indivisibilmente con quella di Gesù, e niuna cosa al mondo
ci potrà impedire di avere un volere che non sia quello del divin maestro. Allora solo
possiamo dire, o mio Dio e mia gloria: Sì, o amante divino, o Signore della nostra vita,
"le vostre mammelle sono migliori del vino, e spirano l'odore dei più squisiti
profumi"(Ct 1,1).
"...L'anima allorquando viene dal dolcissimo Signore fatta degna di
poter pronunziare le suddette parole, come le pronunziò la sposa dei Cantici, ella sente
una tale soavità, che essa ben s'accorge che Gesù l'è vicinissimo. Tutte le sue potenze
sono poste allora in una calma sì perfetta, che a lei sembra di posseder Dio tanto quanto
essa possa desiderare. Ella viene quasi a toccare con mano il nulla che sono tutte le cose
di questo basso mondo".
Nel contatto epistolare con padre Agostino emerge, come un iceberg dall'acqua, la statura spirituale di padre Pio da Pietrelcina. E come un iceberg, la cui struttura più grande è nascosta sott'acqua, così l'anima di padre Pio diviene leggibile pur restando, le ricchezze spirituali sconosciute a tutti, ma non a Dio.
Il 10 ottobre del 1915 il frate così risponde a padre Agostino che gli aveva formulato delle domande su alcuni segreti reconditi del suo cuore e delle sue esperienze soprannaturali:
"La prima vostra domanda è che volete sapere da quando Gesù
cominciò a favorire la sua povera creatura delle sue celesti apparizioni. Se male non mi
appongo, queste dovettero incominciare non molto dopo il noviziato. La seconda domanda è
se l'ha concesso il dono ineffabile delle sue sante stigmate. A ciò devesi rispondere
affermativamente e la prima volta di quando Gesù volle degnarla di questo suo favore,
furono visibili, specie in una mano, e poiché quest'anima a tal fenomeno rimase assai
esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. D'allora non
apparsero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore
acutissimo che si fa sentire, specie in qualche circostanza ed in determinati giorni".
Padre Pio viene chiamato alle Armi. Il 6 novembre dovrà presentarsi alla
Milizia. Un grande turbamento si aggiunge alle sue tante pene fisiche e morali. Padre
Agostino, come sempre, raccoglie, attraverso la lettera che il santo confratello gli
scrive da Pietrelcina il 1° novembre del 1915, le sue intime preoccupazioni:
"Con odierno manifesto militare vengono chiamate alle armi classi
di terza categoria, 86 e 87, ed io che appartengo a quest'ultima vengo di certo compreso.
La presentazione avrà luogo il 6 corrente. Dio mio, cosa mi sarà serbato? Tutti o quasi
tutti mi fanno sperare che sarò esentato per ragioni abbastanza manifeste. Solo chi è
maggiormente interessato ci spera poco o niente in questo esentamento. Voglio sperare che
questo presentimento di pessimismo vada disperso al vanto. Io ci vedo troppo buio. Del
resto sono pronto ad affrontare con serenità anche quest'altra nuova prova, a cui il
Signore vuole sottopormi".
Il 6 novembre Francesco Forgione, si presenta al Distretto Militare di Benevento. Con Lui, giovane religioso, vissuto sempre nella materna protezione della sua Pietrelcina e tra le mura protettrici dei vari conventi, si accompagnano sentimenti nuovi misti a senso di viva preoccupazione per il futuro che lo aspetta nella Milizia. Ma egli denota sempre un fiducioso abbandono alla volontà del Padre Celeste desideroso di fare sempre, attraverso le difficoltà che lo attendono, la sua volontà. Spera di essere esentato dalla Milizia. Ma viene spedito per accertamenti presso l'ospedale militare di Caserta da dove, Il 18 novembre, scrive a padre Agostino:
"Sono già otto giorni che mi trovo in questo ospedale militare, mandatovi dal mio distretto di Benevento per motivi di osservazione. Padre mio, io ignoro quale sia la mia sorte, ma qualunque ella sia l'accetto con animo tranquillo e sereno, come se mi venisse offerta immediatamente dalle mani benedette del Padre Celeste.
Il feroce capitano medico di Benevento nel
visitarmi riscontrò in me la tanto temuta malattia, quale appunto l'è la tisi, ed
appunto per questo mi mise sotto rassegna inviandomi qui. La sua diagnosi è, a mio
parere, molto esatta e fatta con molta scrupolosità. Si noti pure che detto capitano è
proprio della partita ed alla fin fine è professore di università in Napoli. Un brutto
tiro però me l'attendo da questo, permettetemi l'espressione, zotico collonnello medico.
Egli già mi ha visitato, ma la sua visita si è ridotta a pura formalità: da ciò che mi
disse, mi lascia poco a sperare. Non mi ha permesso nemmeno di manifestargli ciò che
soffrivo e quanto io cominciavo ad aprir bocca per sottoporgli le mie sofferenze, troncò
subito corto col dirmi: (Va bene, al reggimento ve la vedrete con i vostri novelli
superiori). Da queste brevissime espressioni pare abbastanza chiaro che Gesù richiede al
suo povero servo una grandissima prova. Sia egli adunque mai sempre benedetto da tutte le
creature! Piaccia a questo sì tenerissimo sposo, fratello e padre accogliere nell'eterna
requie il suo povero servo. Questo dolce pensiero mi sostiene nella prova, mi conforta
nelle afflizioni, mi sostiene in piedi nel duro cimento...mi fa uscire fuori di me stesso,
mi eleva al di sopra di questo basso mondo, mi fa vivere di Dio e mi fa dimenticare
persino in mezzo a chi mi trovo".
Dall'Ospedale militare di Caserta padre Pio torna a Pietrelcina. Viene poi
convocato con sollecitudine al Distretto militare di Benevento per ricevere il foglio di
viaggio. Consapevoli delle sue precarie condizioni di salute, essendogli stata
diagnosticata la tisi, anziché farlo partire subito, i medici militari, gli concedono il
pemesso di farlo ritornare a Pietrelcina, per partire poi per Napoli il 6 dicembre.
Sono tempi che il frate vive con grande travaglio interiore e inaudite sofferenze fisiche, stemperate dall'affetto e dalla tenerezza dei suoi familiari, soprattutto di mamma Peppa.
Veniamo a conoscenza del suo stato d'animo attraverso due lettere scritte nello stesso giorno a padre Agostino ed a Raffaelina Cerase. Così si rivolge al suo vecchio amico e direttore spirituale padre Agostino:
"Con mano tremante vi scrivo questa presente. Sono estremamente
sfinito di forza e solo per miracolo mi reggo in gambe per adempiere il mio dovere. Sia
benedetto Gesù che così vuol provare la fedeltà dei suoi amanti.
Domani mattina, lunedì, a Dio piacendo, partirò per Napoli, essendo stato assegnato alla
10^ compagnia sanitaria. Spero nel Signore di potervi di là scrivervi al più presto.
Intanto non cessate, o padre mio, di importunare il Divin Cuore e la Vergine Immacolata,
affinché mi esentano finalmente da questa terribile prova, altrimenti partirò per lassù
con la doppia spada che mi trafigge il cuore, quale appunto l'è il mio doppio esilio,
reso ormai insostenibile.
...Vengo a chiedervi, o padre, un favore: questo sarebbe mi usaste la carità
di incominciare al più presto le tre novene alla Vergine di Pompei con la recita
giornaliera, durante questo periodo, dell'intiero rosario"(Epistolario, I, p. 692
s.).
Ed Alla sua figlia spirituale Raffaelina Cerase: "Tenetemi, o
figliuola, assieme a quante anime siete a me unite nel vincolo della carità di Cristo,
compagnia nel chiedere con importunità ciò che io vado chiedendo. Desidero intanto che
assieme alla buona Francesca, all'Annita ed a quante anime a me siete care, ad
incominciare per me subito le tre novene alla Vergine di Pompei, con la recita quotidiana
dell'intero rosario e con la frequente comunione, che mi auguro che sia tutte le mattine".
Come aveva preannunciato ai suoi amici, padre Pio giunge a Napoli il 6
novembre e, fin dal primo giorno chiede vivamente ai superiori militari di essere
visitato, anche perché le sue condizioni fisiche peggiorano e lo stomaco si rifiuta di
ritenere il cibo giornaliero. Ma nelle sofferenze non si stanca di benedire Iddio. Dopo
tanta attesa, riesce ad essere visitato dal tenente medico comandante la compagnia il
quale, sensibile verso le sue cagionevoli condizioni di salute, ma anche per non assumersi
responsabilità in proposito, lo rinvia per una seconda visita al capitano medico. Ma la
visita tarda a venire. Nell'attesa il giovane Forgione viene esentato dall'abito militare
e si stabilisce in un albergo lasciando come indirizzo per la posta diretto a lui: via
Cappuccinelle, al n. 18. presso la signora Maria Valillo.
Raffaelina Cerase e le persone che sono molto legate a padre Pio innalzano
per Lui preghiere al Signore, tramite l'intercessione della Madonna, perché gli vengano
risparmiate tante sofferenze.
Finalmente il desiderio di padre Pio viene esaudito. Il 17 dicembre scrive da
Napoli a padre Agostino:
"Deo gratias. Poc'anzi ho subito la visita collegiale e mi è stato accordato un anno di convalescenza, a causa della riconosciuta malattia: infiltrazione ai polmoni. Quanto è buono il Signore e ringraziatelo anche voi con tutte l'anime amanti di Gesù. Sono sfinito di forze, perdonatemi quindi se scrivo molto brevemente".
"Sì, padre, nella considerazione di tanta bontà del Signore,
sentomi venir meno il cuore; non valgo a trattenere le lagrime e da un moto irresistibile
sentomi portato ad esclamare: (Benedictus Dominis, qui facit mirabilia solus)(Salmo 71),
(Magnum Dominus, et laudabilis nimis)(Salmo 47)".
Il Signore, padre mio, ha voluto lui stesso operare questo sacrificio, ha
voluto egli stesso prendere la difesa del suo servo, mercé l'intercessione della nostra
bella e cara madre Maria Santissima di Pompei".
Il giorno dopo, il 21 dicembre, scrive a Raffaelina Cerase ringraziandola per
le sue preghere e per il suo interessamento affinché venisse esentato dal servizio
militare:
"Io non voglio spendere parole in rendervi grazie e perché non le
volete, e perché potrebbe sembrare forse troppa adulazione. Innanzi a Dio, però, mi
sento obbligatissimo verso di voi e verso altre anime, e quindi non mi resta altro se non
lavorare nella vigna del Signore con più ardore per la vostra perfezione, nonché per
tutte quelle anime che il Signore vorrà mandarmi. Quale migliore occupazione di questa,
figliuola mia, vi potrà essere? Io non ne conosco altra migliore".
Dopo una lunga assenza, durata circa sette mesi, padre Benedetto, ministro
provinciale dei Cappuccini, si rifà vivo e, rispondendo ad una lettera con gli auguri
natalizi, invita ancora una volta padre Pio a ritornare alla vita conventuale. Niente
impedisce di pensare che più volte padre Benedetto, nei suoi incontri con padre Agostino
abbia cercato di invitarlo a persuadere direttamente padre Pio a ritornare fra le mura
delle comunità cappuccine. Lo si evince dagli inviti garbati e
affettuosi che l'ex professore di teologia rivolge, nelle continue lettere, al suo diletto
figlio spirituale. Ma non sono solo i suoi direttori spirituali a desiderare il ritorno
alla comunità cappuccina. Per questa intenzione pregano molto anche alcune sue figlie
spirituali come Raffaelina Cerase, Annita Rodote e tante altre. Ascoltiamo uno stralcio
della lettera che il 16 gennaio del 1915 padre Agostino scrive a padre Pio: "...E
quando finirà l'esilio temporaneo dalla patria claustrale? Silenzio!... Eterno
silenzio!... Ecco il motivo della mia afflizione. Perché taci ancora?... Perché Gesù
non ancora esaudisce le degnissime preghiere delle sue anime dilette? Quell'anima ha già
cominciato altre tre novene alla Vergine di Pompei: essa prega, prega notte e giorno,
prega fervorosamente; con lei pregano altre anime che tu sai. Ebbene quando Gesù
esaudirà queste anime?...Quando mi dirai tutto intero lo stato attuale del tuo
spirito?... Senti ancora nel cuore la brama di tornare fra noi?......
Tu dici che il tuo ritorno sarebbe il tuo suicidio. Ma io non lo credo:
perché facendo la volontà del superiore, Dio non può ascrivere a colpa un danno che ti
verrebbe. L'obbedienza in tutto e su tutto! Ecco un principio certo di perfezione
cristiana: tu lo sai meglio di me".
Una lettera un po' diversa dalle altre scritte da padre Agostino, che pure è
avvezzo, di tanto in tanto, a ricordare al frate di Pietrelcina la sua antica vocazione
conventuale. Vi si percepisce l'influenza del ministro provinciale, Padre Benedetto.
Sono spine appuntite e dolorose per il cuore semplice e tenero di padre Pio. Nella
sua Pietrelcina si chiude in un silenzio che nasconde certamente il grande interrogativo
circa il ritorno in convento.
In un'altra lettera, di ben diverso tenore, padre Agostino gli scrive il
20 dello stesso mese. Ed a questa Padre Pio risponde accennando ad uno dei momenti
importanti del suo itinerario mistico: "la notte dello spirito", una condizione
spirituale nella quale "tutto concorre a disporre ed a preparare il cuore a
ricevere in sé stesso la forma vera dello spirito, che altro non costituisce che l'unione
d'amore".
E nel suo itinerario mistico, Padre Pio ha vissuto, più di una volta, questa
esperienza dello spirito. Ecco come risponde alla lettera che padre Agostino gli ha
scritto il 20 gennaio:
"...L'anima mia da tempo si trova immersa giorno e notte nell'alta
notte dello spirito. Le tenebre spirituali mi durano delle lunghissime ore, dei
lunghissimi giorni e spesso delle intiere settimane.
...Continuo è il sospirare dell'anima sotto il peso di questa notte che
tutta la circonda, tutta la penetra; ma ella si vede incapace a pensare alle cose
soprannaturali non solo, ma sino alle cose più semplici. E quando l'anima è lì per lì
per afferrare un solo raggio della divinità, tosto ogni sorta di lume sparisce al suo
sguardo...
...Io mi vado dibattendo; sospiro, piango, mi lamento, ma tutto è indarno; finché
affranta dal dolore e priva di forze, la povera anima si sottopone al Signore dicendo:
(Non mea, o dulcissime Jesu, sed tua voluntas fiat)".
Sempre nella stessa lettera, facendo riferimento alle pressanti richieste di
padre Agostino e padre Benedetto: "...non so se nascondervi la meraviglia o meglio
il rammarico per certe dimande fattemi. E dico il vero che molto ne ho pianto. Sia fatta
la Divina volontà che così vuole provarmi. Anche il povero Giobbe, permettendolo Iddio,
ricevé amarezze e non consolazioni dai suoi amici".
A queste parole padre Agostino risponde il 29 gennaio con una lettera
nella quale ancora una volta afferma che "l'obbedienza deve prevalere su tutte le
ragioni del mondo: "...Ebbene l'autorità ha parlato chiaro circa il tuo ritorno nel
chiostro: dunque qualunque altro consiglio e di qualunque persona non può fare
un'eccezione. L'autorità potrà sbagliare: l'obbedienza non sbaglia mai. Dio medesimo non
ha dispensato mai nessuno santo dall'obbedienza all'autorità".
Il provinciale nel caso tuo giunge a dire che il tuo spirito è vittima d'un'illusione
diabolica e tu dovresti vincerla. Ti fo notare che anch'egli, il provinciale, ammette vere
le grazie che Gesù ti ha accordate; riconosce il tuo stato straordinario, a te concesso
dalla sola bontà divina; ma circa la tua permanenza fuor del chiostro dev'essere obbedito
contro tutte le altre ragioni in contrario.
Da parte mia dico che l'autorità deve prevalere non solo nei comandi ma anche nei
consigli; dunque perché tu non credi né ti senti la forza di eseguire la volontà
espressa dal provinciale?".
Questa lettera, comincerà a creare i primi presupposti per il definitivo
ritorno di padre Pio alla vita religiosa cappuccina.
SI PREPARA IL DISTACCO DA PIETRELCINA
Si avvicina per Padre Pio il momento del suo addio a Pietrelcina, il suo paesello tanto amato che conserverà un posto indelebile nella sua memoria.
Il 31 gennaio 1916, due giorni dopo l'ultima lettera, padre Agostino
richiede la presenza di padre Pio nella città di Foggia, per essere vicino alla sua
figlia spirituale Raffaelina Cerase, le cui condizioni fisiche sono tornate ad essere
critiche: " Ora la sorella mi dice che non istà affatto bene e nel tempo stesso mi
prega di scriverti, perché donna Raffaelina chiede anche una tua visita. Essa medesima mi
disse a voce che, prima di morire, avrebbe bramato la tua conoscenza e la tua visita,
quella grazia che fu negata alla buona Francesca. Tu che ne dici?...lo per me credo che
Gesù lo voglia: Egli ti darà la grazia di fare questo viaggio sino a Foggia. Del resto
tu gliel'hai promesso a donna Raffaelina. Raccomandandoti alle sue preghiere tu stesso le
dicevi, per la circostanza della tua visita militare: "Se Gesù mi farà questa
grazia, ci vedremo e ci conosceremo"...
Donna Giovina mi dice che le spese di viaggio sarebbero tutte a loro carico.
Il provinciale non solo assentisce, ma n'è contento. Io sono pronto a fare quanto tu
vuoi. Nel caso che ti decidi, non devi fare altro che avvisarmi, anche telegraficamente:
io verrei costà o ti attenderei a Benevento; tu puoi disporre nel miglior modo possibile.
Spero di non avere una negativa".
Padre Agostino avrebbe atteso, nella eventualità di una partenza, padre Pio
alla stazione di Benevento: Ciò per incolumità personale, perché recatosi altre volte a
Pietrelcina aveva saggiato il malumore popolare. "La gente di Pietrelcina stimava
santo il nostro Padre [Pio]. Una volta una persona gli aveva detto: {Padre Agostì}, ci
vuliti levà lu santariello nostro?...Nuie ve rumpimmo a faccia...!". Un'altra volta
lo avevano minacciato e volevano passare dalle parole ai fatti, ma l'arciprete e Padre Pio
intervennero e nulla successe. (AGOSTINO DA S.MARCO IN LAMIS, Notizie su Padre Pio,
quaderno IV, Diario, p. 200).
E lo stesso padre Agostino, a tal proposito scriverà: "Il Provinciale,
Padre Benedetto da San Marco in Lamis, avrebbe voluto che fossi andato io a rilevare il
Padre a Pietrelcina. Feci osservare che io non mi sentivo di andare lì col timore di
essere linciato dalla gente, senza del resto ottenere l'intento, perché i Pietrelcinesi
non avrebbero permesso la partenza di padre Pio"(Diario p.201).
Il 3 febbraio, Padre Pio risponde al suo amico fraterno:
Ancora una volta sembra di vedere, in questo
viaggio che si richiede a padre Pio, la volontà del padre Provinciale, Benedetto da
San Marco in Lamis, che attraverso questo viaggio intende fare in modo che Padre Pio, una
volta raggiunta Foggia, venga obbligato a restare presso la Comunità Cappuccina del
capoluogo. Lo si può capire anche in questa lettera che padre
Agostino scrive al suo figlio spirituale: " Prima di tutto quell'anima [Raffaelina
Cerase n.d.a.], mi ha detto chiaramente che debbo accompagnarti io; essa non vorrebbe
vederti in compagnia di altri. In secondo luogo fra non molto dovrò recarmi a Benevento
per ordine del provinciale per un affare della provincia presso quella prefettura; quindi
potrei carpire tale occasione per accompagnarti. In terzo luogo tu a Foggia certamente
devi trattenerti un po' di giorni, perché quell'anima non si contenterebbe d'una sola
visita e non può contentarsi; di più ella senza dubbio vorrà che tu dica alcune messe
nella sua cappella di famiglia; insomma si tratterà di tenere alcune conferenze
spirituali; infine bisognerebbe visitare anche il santuario di Maria santissima
Incoronata.
Tutto sommato se ne andrà certamente un po' di tempo; quindi se
t'accompagnasse qualcuno di costà non potrebbe trattenersi a Foggia alcuni giorni, tanto
più che là vige il decreto fatto da parecchi anni fa, che i parenti dei religiosi ed
altri secolari non possono trattenersi oltre il secondo giorno d'arrivo".
Al Disegno di portare padre Pio a Foggia, non mancano che alcuni tasselli.
L'invito rivolto da parte di padre Agostino a non portare con sé a Foggia alcun
familiare, lascia chiaramente presagire l'intenzione di non dare al giovane frate sostegno
alcuno per un eventuale ritorno a Pietrelcina.
Le tappe della Vita
di Padre Pio da
Pietrelcina
Per saperne di più andate alla pagina di:
Per i vostri pellegrinaggi a Pietrelcina,
per andare alla scoperta dei luoghi e della vita di Padre Pio:
Donato Calabrese, guida turistico-religiosa, animatore di pellegrinaggi
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