Narrazione 1

Un documento scritto da Matteo e Giovanna

 

Questo documento è stato riadattato per “Autodifesa” dal documento originale “SCREENING”, scritto nel  novembre 2009. Pertanto  tratta il periodo  fino a tale data, per i fatti successivi riferirsi a Narrazione2.  “Screening”, come dice il nome stesso, faceva uno screening globale della nostra situazione. Venne spedito in Veneto alla Polizia di Stato e all’ufficio delle entrate per dare una spiegazione dei numerosi fatti accaduti, e dei motivi per cui non si poteva tornare in Veneto. Fu poi utilizzato congiuntamente a BlackCat per far capire la situazione analizzandola in base a due punti di vista diversi. Fu un lavoro impegnativo e necessario.

 

Questo documento racconta una storia vera. Tuttavia molti nomi di persone, società, e città che comparivano  nel testo originale sono stati sostituiti con altri nomi reali, onde evitare diffamazioni, violazioni della privacy e per garantirci una certa tutela e protezione. I nomi sostituiti sono evidenziati dalla particolare formattazione e/o dall’asterisco che segue la parola.  Esempio:” Legnaro*

 

 

Parte I.                         Presentazione

.01    Presentazione

Siamo una famiglia italiana composta da marito e moglie, età media 39 anni, cultura di tipo universitario, nati entrambi nello stesso paese in provincia di Vicenza. Ci siamo conosciuti nel 1992 e ci siamo sposati nel 2004.

 

Nel 1995 Matteo (parte scrivente) fondò insieme ad altri due soci una società di informatica che . nasce come software house ma che si occupa anche di consulenza informatica, integrazione di sistemi, installazione e gestione di reti, fornitura di computer, corsi di informatica...

 

Nel 1995 l’azienda cominciò a sviluppare del software specifico per le industrie manifatturiere.  Iniziò allora un proficuo rapporto di lavoro con un’industria della provincia di Vicenza, che portò tale ditta ad assegnarci diversi lavori, nel campo dell’analisi dei dati e del controllo statistico di processo e della qualità. Fin dal principio Giovanna fornì le sue consulenze di statistica per lo sviluppo del software. Con il tempo il cliente acquistò centinaia di milioni di software e divenne il nostro cliente più importante, instaurando una vera e propria sinergia tra le parti. All’azienda manifatturiera interessava risolvere i problemi pratici, avere persone disponibili, in grado di gestire impianti e macchinari tramite strumenti informatici. La nostra disponibilità era contraccambiata da un ambiente di lavoro molto stimolante.

A noi interessava creare un pacchetto software rivendibile a varie aziende e che la proprietà delle sorgenti e relativi diritti rimanesse a noi. L’industria  fu ottima da questo punto di vista: ci permetteva di testare il software in azienda e di portare altri nostri clienti a vedere il software in funzione da loro, ad eccezione di quattro o cinque suoi diretti concorrenti.

 

Nel frattempo in società rimangono due soci, che prendono poi strade differenti: un socio segue la via più semplice delle consulenze bancarie e la parte scrivente segue il progetto impegnativo del software per le industrie denominato  FlyRecorder*.

 

 Dal 1997 la società investe quasi tutto sulla realizzazione di  FlyRecorder*, spostando utili e proventi nel futuro. Giovanna dopo la laurea breve in statistica vince due borse di studio per due corsi di formazione manageriali. Nel 2000 il nostro software è pronto per essere rivenduto e viene presentato alla più importante fiera italiana del settore. Nel 2001 la società sposta la propria sede in nuovi uffici strategici, circa 120 mq, in Legnaro*, in locali adiacenti e in sub-affitto presso un grossista di informatica.

 

La nostra è una società piccola, ma il nostro prodotto è altamente competitivo e forniamo tecnologia che altre società non hanno. Siamo solo in due ma riusciamo a far mettere “in cantina” sistemi software concorrenti venduti da aziende conosciute a livello nazionale, a favore del nostro più innovativo,molto più semplice per l’utente e soprattutto con meno costi di gestione.

 

Nel 2000/2001 per vari problemi legati al paese di nascita comprendemmo che era meglio allontanarsi dai luoghi d’origine e farci una vita propria.  L’azienda ci dava soddisfazione e lavoro e così Matteo spostò  pure la residenza in Legnaro* vicino agli uffici.  Nel 2002 Giovanna acquista il 50% dell’azienda che da quel momento diventa totalmente di nostra proprietà. Giovanna oltre alla parte teorica e statistica delle procedure software, si occupava del marketing. La società deteneva la piena proprietà sotto ogni aspetto del Software  FlyRecorder*. Lavoravamo entrambi nella società e avevamo molte prospettive e sogni ma non ancora denaro.Avevamo una sola auto, una economica  della società comprata in leasing.

Sembrava che le cose potessero andare per il meglio, ma durante la commercializzazione successiva, sorsero dei grossi problemi con un nostro fornitore, il quale si rivelerà un vero e proprio Stalker, e tramite alcuni raggiri, truffe e atti persecutori metterà in ginocchio la società e tutti i nostri piani del futuro, distruggendo tutto quello che avevamo creato.

 

.02     “Tra Stalking ed esposti”.

Questa parte è ripresa dall’introduzione, si può saltare se già letta.

 

Nel corso dell'attività aziendale abbiamo avuto la “sfortuna” di incontrare una persona che mise in atto un'azione di Stalking nei nostri confronti. Lo stalker prese di mira la nostra azienda fino a distruggerla, e poi passò nella sfera privata a distruggere la nostra immagine e le nostre persone. Nel momento in cui ci trovammo senza più lavoro, cominciò a prospettarsi l'idea di dover chiedere aiuto ai servizi sociali. Ben consci che in questi ambienti cercano in tutte le maniere di rimandarti, per assistenza economica, alle famiglie di origine, pensammo di tutelarci descrivendo ambiente e giri di amicizie del luogo origine, perché fosse BEN CHIARO che noi non potevamo ritornare indietro, nella fossa da dove eravamo stati estratti. La povertà che ci era stata indotta, l'impossibilità di difendersi in quelle condizioni, e la mancanza di leggi (nel 2004 non esisteva ancora la legge sullo Stalking), ci portarono all'unica scelta plausibile, la presentazione di un esposto a nostra tutela. Ma con l'esposto cademmo dalla padella alla brace, perché, noi giovani, non esperti di cose legali,  non ci eravamo resi conto di aver menzionato in quelle carte qualche nome importante. Si innescò un processo che si espanse a macchia d'olio…

 

Dal 2005 al 2009 per metterCi in salvo cambiammo sei regioni italiane senza mai a riuscire a fermare quella reazione a catena che aveva generato lo Stalker e il primo esposto.

 

.03    Schema di lettura


Nel documento partiamo con la descrizione del contesto in cui ci trovavamo nel 2004, prima dell’invio del primo esposto e che ha determinato appunto la formulazione della richiesta di aiuto all’autorità; da lì poi si prosegue con la narrazione di tutti gli eventi accaduti in seguito.

In appendice si trovano le considerazioni generali, approfondimenti e tabelle di riferimento.

Il documento fa ampio riferimento a materiale esterno come esposti e/o denunce indicando estremi direttamente nel testo o rimandando alle tabelle finali. Tali documenti sono parzialmente forniti a corredo, a secondo del destinatario. I riferimenti a file esterni sono inclusi tra parentesi graffe ed hanno la forma {RIF: [X][ nomefile}. Ovviamente i documenti si possono trovare presso le rispettive Procure e/o enti indicati o possono esserci richiesti direttamente.

 

Nella versione Spray molti riferimenti  a file e/o documenti esterni sono stati tolti in quanto non direttamente usufruibili per questioni di sicurezza.

 

Parte II.                      La situazione che ha determinato la richiesta di intervento all’autorità dello Stato.

 

Fatti antecedenti ad ottobre 2004:

Si descrive la situazione vissuta prima dell’invio del primo esposto d’ottobre 2004, definendo gli elementi fondamentali che hanno determinato richiesta d’aiuto all’autorità, VEDI : .(A)Il fattore   «PAESE d’ORIGINE»., .(B)Il fattore «STALKING», .(C)La nostra reazione attraverso il cambio della residenza fiscale, .(D)Il fattore furti  «SDC Impianti*», .(E)Il  nostro matrimonio, .(F)Il fattore “casa”, .(G)Il fattore “Scoperta”.

.01    I FATTORI

 

.(A)            Il fattore   «PAESE d’ORIGINE».

Nel paese d’origine fin da giovani avevamo visto intrighi dei quali non eravamo pienamente coscienti. L’ambiente e le persone che lo popolavano avevano influito in maniera negativa sulle nostre vite e sul nostro lavoro. Verso l’anno duemila, con il consiglio di più di qualcuno, capimmo che era meglio allontanarsi definitivamente dal paese ove eravamo nati e dalle nostre famiglie, per non avere più a che fare con quella gente e quel modo di vivere. 

Eravamo dunque riusciti a rifarci una vita in un'altra provincia, prima a Legnaro* e poi a Camposampiero*, e svolgevamo una vita del tutto indipendente economicamente.

 

La nostra scelta di uscire da quel mondo non fu accettata, quel male che c’eravamo lasciati alle spalle continuava ad interferire con le nostre vite ed a non lasciarci pace.

 

Riferimenti:

[Del paese d’origine e delle situazioni personali ne abbiamo già parlato ampiamente nel primo documento consegnato ai carabinieri di Rovigo e replicato alla Procura di Roma (Primo Esposto[1] e nel terzo esposto).]

 

Vedere anche  I video documentari sull'ambiente veneto dal quale proveniamo..Dalla mafia veneta alle  organizzazioni paramilitari di estrema destra, alla strategia della tensione. Le indagini sull'inchiesta  "Rosa dei Venti", proveniente da La Spezia, diretta dal  Giudice Tamburino, della Procura di Padova.” Nelle pagine dedicate all’UNICO..

 

.(B)           Il fattore «STALKING»

Dal 2000 un nostro fornitore, figura di un certo rilievo, ci prese di mira diventando un vero e proprio stalker. Lo chiameremo in questo documento per antonomasia “Stalker”. La sua fu un’azione lunga portata avanti nel corso degli anni attraverso truffe con raggiri di tipo economico, culminati in ultima con minacce ed estorsioni. Attraverso un abile piano ci fece saltare l’azienda. Lo Stalker si accanì contro di noi, mettendo in atto un gioco di forze spropositate rispetto alle nostre possibilità, si comportò contro di noi e contro la nostra piccola azienda in maniera insana, come se volesse qualcosa o qualcuno a tutti i costi, imponendo le sue prevaricazioni. In tutto questo è difficile delineare un semplice danno o delitto (codice penale: art. 513., art. 628 , art. 640, art. 594, art. 612, …): la sua fu un’azione di stalking a tutti gli effetti (art. 612 bis) in un momento tra l’altro in cui non esisteva ancora in Italia una legge in materia[2].

 

In maggio ‘04, ricevemmo una lettera dallo Stalker alquanto preoccupante, tanto che andammo dai Carabinieri di Legnaro* (ove aveva sede legale la nostra azienda), a chiedere consiglio mostrando la lettera stessa. Il comandante si tenne una copia. Ai carabinieri tentammo di introdurre un discorso sulla « paese d’origine» del punto precedente, ma non trovando nell’interlocutore una particolare sensibilità ad affrontare il problema, lasciammo correre il discorso.

 

Approfondimenti

Vedere Il caso Stalker

.(C)           La nostra reazione attraverso il cambio della residenza fiscale

Per questioni di privacy e tutela, a metà  di luglio ’04 chiedemmo all’agenzia delle entrate come si poteva ottenere una residenza fiscale diversa dalla residenza anagrafica, ecco una parte della lettera: “In seguito a pesanti problemi di privacy, dovuti alla presenza di un molestatore, ho cambiato abitazione e paese.Ho quindi cambiato residenza anagrafica. Nel CUD che mi viene consegnato dove lavoro, ho visto che si deve annotare l'ultima residenza fiscale. Mi chiedevo come posso stabilire una mia residenza fiscale, distinta da quella anagrafica, in modo che questo molestatore non mi possa più rintracciare.”

 

Tramite un giro di telefonate riuscimmo nei mesi successivi ad avere alcune informazioni e a dirigere la domanda all’ufficio competente. Cosa che facemmo il venti di settembre ’04.

La risposta dall’ufficio avvenne a fine dicembre ’04.

 

La burocrazia aveva allungato troppo i tempi, da luglio eravamo arrivati a fine dicembre solo per conoscere l’iter necessario per compiere l’operazione. Comunque ci dissero che erano pratiche poco conosciute e ci consigliarono di prendere in affitto un appartamento per metterci la residenza, e poi andare a vivere altrove, dove ci pareva più conveniente.

 

Queste procedure amministrative erano troppo lente e poco adatte, nel tempo le cose erano mutate e non se ne fece più nulla. Questo punto serve a far capire come avevamo tentato in quel periodo, di tutelarci in varia maniera.

 

 

.(D)           Il fattore furti  «SDC Impianti*»

                         (i)      I Furti

La nostra azienda nel 2001 spostò la sede legale in uffici in provincia di Padova, nel medesimo capannone di un grossista e in subaffitto da questo. Dal giugno ’01 a luglio ’02 il grossista subì un paio di furti dalla dinamica molto simile. Seguì un terzo furto del quale fummo testimoni, come risulta dalla deposizione effettuata alle forze dell’ordine, chiamate da noi stessi tramite il telefono della società. Ci fu poi un quarto furto, che ha portato la SDC Impianti* a rinforzare i sistemi d’allarme. Intanto qualche “voce di corridoio” sosteneva che “i beni se li facevano rubare”. Cominciammo ad avere paura: i rapporti con i  fratelli dipendenti della SDC Impianti* e gestori del punto vendita divennero molto tesi. Noi della cosa non potevamo parlare con nessuno, ne volevamo restare completamente fuori.

 

                       (ii)      Il trattamento da ladri

In più occasioni dai gestori fummo trattati come i responsabili dei furti. La sensazione di essere giudicati implicati nei furti dai gestori è aumentata nel tempo. Ad esempio alcune volte, entrando nei loro locali per chiedere che ci ripristinassero la corrente elettrica, questi chiudevano alcune porte, aperte sul muro di confine tra nostri e i loro uffici. E’ da notare che queste porte rimanevano regolarmente aperte con tutti gli altri clienti che giravano nel capannone. Questo clima degenerò poi nel comportamento di minaccia e nel doverci far sbattere fuori.

 

Prima di marzo 2004 le persone suddette ci chiesero dei solleciti di pagamento per l’affitto, dicendo che erano di loro competenza e responsabilità. Tuttavia noi contattando direttamente l’azienda madre, di cui essi erano dipendenti, scoprimmo che nessuno li aveva incaricati di tale azione, né l’azienda aveva formulato tale richiesta[3]. Cercavamo di mantenere le distanze il più possibile.

 

Temendo il peggio, tentammo di far capire all’azienda madre il problema, tramite telefonate e una lettera raccomandata, senza risultati. Allora scrivemmo una lettera di due pagine di testimonianze, descrivendo i fatti che stiamo raccontandovi e i motivi dei nostri timori.. Per certificare la data della lettera, utilizzammo il timbro dell’ufficio postale: la spedimmo a noi stessi tramite “l’autoprestazione”, senza busta in modo che il timbro avvenisse sul foglio originale; era il 5 marzo 2004.

 

 

                     (iii)      La combutta dei parenti con i dipendenti del grossista .

Il giorno 8 settembre 2004, alcuni parenti di Matteo (parte scrivente) si presentavano presso gli uffici della SDC Impianti* di Legnaro* facendo un sacco di storie e rimostranze: la madre, accompagnata da una delle sorelle, voleva a tutti i costi l’indirizzo di casa di Matteo. Quel giorno non eravamo in ufficio. Quando tornammo in ufficio i dipendenti della SDC Impianti* si scagliarono contro di noi molto arrabbiati, dicendoci che avrebbero preso  il numero di targa della nostra auto o ci avrebbero inseguito fino a casa per sapere dove risiedevamo. Abbiamo loro  risposto che tali cose sono molto delicate, e che stiano fuori da questa situazione, e che se hanno dichiarazioni da fare vadano dai carabinieri. Da quel momento cominciammo a frequentare poco l’ufficio, più che altro di sera spostando il centro del lavoro a casa, rimanendo vigili che nessuno ci inseguisse con l’auto.

 

Riferimenti:

Primo esposto consegnato ai cc di Rovigo a pagina 6., Primo esposto inviato alla procura di Roma a pagina 9 e in  allegato B:

 

 

.(E)            Il  nostro matrimonio

Nelle condizioni di doverci proteggere dall’ambiente d’origine, dalle famiglie e dallo Stalker,

nel 2004, per nostra tutela, ci sposammo chiedendo ed ottenendo dalla Curia, per gravi motivi, la dispensa delle pubblicazioni ecclesiastiche, anteponendo la celebrazione religiosa alle pubblicazioni civili, effettuatesi a matrimonio avvenuto. Per ulteriore tutela, il rito del matrimonio era stato celebrato in un comune diverso da quello di residenza, e alla presenza dei soli testimoni trovatoci all’occorrenza dal prete[4], senza la presenza di nessun parente. Il nostro matrimonio non fu una decisione improvvisa, ci eravamo conosciuti ancora nel 1992, e lavoravamo insieme da vari anni.

 

Approfondimenti

[Sul matrimonio Parte XVI..04]

 

 

.(F)            Il fattore “casa”

Quando andammo ad abitare a Camposampiero* in provincia di Padova ancora nel 2003: per necessità di privacy e di tutela non allacciammo particolari rapporti nell’ambito del territorio comunale di residenza e coi vicini di casa, che non conoscevano nemmeno il nostro cognome. La nostra vita si svolgeva più che altro altrove, a casa tornavamo la sera e il fine settimana. Il nostro comportamento, unito a vari aspetti, come quello che non veniva mai nessuno a trovarci a casa (inclusi i parenti, per quanto detto in Il fattore   «PAESE d’ORIGINE».), ed il fatto che avevamo un orario flessibile[5], aveva indotto strani pensieri nel frazione. Così partivano le vecchie del posto che inventavano pretesti per entrare in casa, e si offesero molto perché non le ossequiavamo in modo degno. Ma chi non vuole ossequiare i propri parenti, certamente vuole essere libero anche da quegli ossequi.  La nostra piccola casa faceva poi gola ai confinanti, che unita alla loro, avrebbe avuto un valore molto più alto. Se all’inizio a casa vi eravamo solo alla sera come riportato sopra, quando cominciarono ad aggravarsi i problemi con lo Stalker, la SDC Impianti* e i parenti spostammo la sede del lavoro a casa, recandoci in ufficio più che altro di sera tornando molto tardi la notte (con grande nervosismo delle vecchie, costrette ad appostarsi di giorno e notte).

 

 

 

.(G)           Il fattore “Scoperta”

Al di là di tutti i problemi elencati nei punti precedenti, da agosto 2004 ci eravamo imbattuti  in qualcosa di veramente inusuale e interessante. Ovvero facemmo una scoperta storica che portava gloria ad un  comune del padovano. Operammo con tutti i mezzi a nostra disposizione per far conoscere questa realtà al comune. In sostanza avevamo scoperto che proprio in tal comune erano nate con certezza ben due importanti personalità, una delle quali fu pure regina, e questa cosa era sconosciuta in paese o meglio, scoprimmo più tardi, queste conoscenze erano a disposizione di un’elite che non aveva minimamente intenzione di renderla pubblica. In quel periodo avevamo bisogno di soldi e pensavamo di raccogliere qualche euro dalla nostra scoperta. Ben presto invece ci accorgemmo che vi erano degli altri interessi in paese, anzi il parroco ci disse di lasciar perdere, perché vi erano famiglie che non gradivano che continuassimo nella ricerca. Individuammo l’origine del male fuori regione, nella zona di Ferrara dove per errori storici si era collocata la nascita delle nostre figure. Questa città vantava  grossi interessi economici e non aveva intenzione di cedere i natali al piccolo comune. Purtroppo all’epoca, non coscienti di questi intrighi, insistendo con varie istituzioni di tale città, ci facemmo diversi nemici. In aggiunta nel paese vi erano grossi interessi legati allo sfruttamento economico e le nostre “novità” avrebbero dato certamente fastidio. Sembra che non fummo i soli ad avere problemi in proposito: ricevemmo due lettere di una vicina di paese, che lamentava problemi simili.

 

Approfondimenti sulla censura della ricerca storica e delle pagine di autodifesa

 

.02    La situazione come si presentava in settembre ‘04

In settembre ’04, ovvero nel momento in cui stavamo scrivendo materialmente il primo esposto, ci trovammo in una situazione per niente invidiabile. La nostra azienda sull’orlo del fallimento a causa dello Stalker (punto .01.(B)) , con problemi finanziari estesi all’ambito personale[6]. In caso di necessità materiali sapevamo ovviamente che non potevamo contare sulle nostre famiglie, vedi punto .01.(A), e nutrivamo molti dubbi sugli enti comunali di Padova, ostili per il fattore  “Scoperta storica”, vedi punto .01.(G)[7]. Non potevamo nemmeno contare su azioni di solidarietà dei vicini, vedi punto .01.(F), che ci avrebbero fatto volentieri andare via. Sulla questione lavoro pesava la SDC Impianti*, vedi punto  .(D), che di buon grado aveva raccolto l’ostilità della famiglia di Matteo. Avevamo tentato di risolvere problemi pratici inerenti la tutela e la privacy attraverso delle procedure burocratiche, ma constatammo subito che quelle vie erano concretamente inapplicabili (punto .01.(C)).  Tutto quello che avevamo creato con anni di studio e lavoro, dall’azienda al nostro futuro, ci stava cadendo addosso e CI SENTIVAMO RISUCCHIATI nuovamente dentro l’ambiente del paese d’origine.

A pagina 45 presentiamo un diagramma semplificato di questa situazione.


 

Parte III.                   La difesa

I fattori elencati nella parte precedente, ci spinsero a chiedere l’intervento dei carabinieri, a titolo di difesa: pensammo di mettere delle testimonianze per iscritto. Il documento cominciava così: “ci rivolgiamo a Voi per chiedere un aiuto pratico e concreto, riguardante la sicurezza personale, la sicurezza dei nostri dati e il patrimonio”.

 

In particolare…

I motivi scatenanti per tale richiesta furono:

1.       l’azione dei parenti, e dei loro nuovi alleati (SDC Impianti*-pagina 3La combutta dei parenti con i dipendenti del grossista”).

2.       Le conseguenze dell’azione di Stalking.

 

Da una parte i parenti ci perseguitavano direttamente e indirettamente e non sapevamo più come difenderci, avevamo già cambiato la residenza due volte…

Dall’altra la situazione di povertà, indotta dallo Stalker non era una semplice difficoltà economica. Nel caso in cui fossimo costretti a rivolgerci a servizi sociali, e agli altri enti assistenziali, nutrivamo dubbi sul fatto che tali enti fossero in grado di gestire da soli la nostra situazione, di comprendere la nostra condizione: avrebbero dovuto ricevere l’appoggio di un’autorità esterna che facesse da “garante” per quanto andavamo dicendo, ovvero le forze dell’ordine.

 

La situazione è resa più semplice nel diagramma a pagina 46.

 

E’ fondamentale capire che la nostra decisione di ricorrere alla giustizia fu azione di difesa e non d’attacco come molti hanno erroneamente pensato.

All’epoca non avevamo  pienamente compreso la gravita’ dei fatti che andavamo descrivendo e l’importanza delle reti che toccavano il paese di nascita, diversamente saremmo andati a rifarci una vita all’estero quando ancora disponevamo di moneta per farlo.

 

.(A)            Ottobre 2004:le prime testimonianze rilasciate ai carabinieri

Il 5 ottobre 2004 ci recammo con la nostra prima testimonianza scritta presso i Carabinieri di Rovigo. Dopo un colloquio in caserma, durante il quale abbiamo fatto visionare le pagine scritte, ci fu detto di presentare tali pagine, perché vi erano gli estremi per farlo, alle Procure competenti territorialmente per i fatti ascritti, ossia Vicenza e Padova. Uno dei due carabinieri non nascose che alcune situazioni narrate mettevano i brividi.

Queste testimonianze divennero le prime in assoluto rilasciate in forma scritta. Non sappiamo sinceramente dove siano finite per competenza e, che iter abbiano subito.

 

 

.(B)           Novembre 2004: il primo esposto alla Procura di Roma (“R1”)

Aspettammo un mese prima di inviare le testimonianze in Procura come ci avevano consigliato i carabinieri di Rovigo. Aggiungemmo qualche pagina e facemmo qualche modifica al  documento iniziale di “Rovigo” e diventò di 18 pagine totali. Non riponevamo fiducia in Vicenza e Padova: spedimmo l’esposto/denuncia fuori Veneto, alla Procura di Roma e al Quirinale: speravamo in un controllo ed un aiuto esterno al Veneto.

Il primo esposto fatto a Roma e al Quirinale[8] differiva da quello di Rovigo in numero di pagine e contenuto.

 

L’elenco degli esposti inviati alla Procura di Roma si trova in fondo del documento.

 

[Approfondimenti:  il primo esposto]

 

.(C)           Dicembre 2004: il secondo esposto a Roma (“R2”)

Ad inizio dicembre avevamo ancora l’azienda operativa, Matteo stava lavorando su un software per un cliente e Giovanna stava cercando un acquirente per vendere l’intera azienda in modo di sbarazzarci di tutti i problemi elencati nella parte (Parte II).

Verso metà dicembre notammo le tende dell’ufficio tirate e le vetrate completamente scoperte: certamente qualcuno si era introdotto nei nostri uffici, e con buona probabilità gli stessi dipendenti di SDC Impianti*, ma non andammo a parlarci perché minacciati da questi e avevamo paura, come descritto  a pagina 3.

Ci premurammo di scrivere un secondo esposto di aggiornamento del primo, di varie pagine, descrivendo questi nuovi fatti e aggiungere altre testimonianze utili. Ecco una parte del testo “Il giorno 14 dicembre Giovanna  passando davanti alla sede di Softex*, ha notato le tende completamente ritirate ed altri aspetti dell’ufficio non lasciati come l’ultima volta, in cui ci eravamo recati. Abbiamo pensato che ci abbiano fatto uno sfratto esecutivo, e non abbiamo avuto cuore di andare a verificare. Pensavamo che prima di una cosa del genere ci avrebbero dovuto avvertire per legge. Sinceramente non pensavamo che fosse possibile una cosa del genere, senza essere avvertiti di persona. Pensavamo che prima di una cosa del genere si fossero almeno presentati i carabinieri o la polizia a casa ad avvertirci. Infatti nell’ufficio sono rimaste molte cose ed effetti personali, che non sappiamo che fine abbiano fatto, oltre naturalmente alla contabilità, ai contratti e quanto della società. “.

 

Insieme con l’esposto vi fu allegato un documento di ventuno pagine.

La lettera raccomandata arrivò in procura a Roma, ma la documentazione fu smarrita all’interno degli uffici della stessa, ancora prima che fosse protocollata.

 

Sul fatto che la raccomandata arrivò a Roma basta constatare il timbro di “pervenuto” apposto dalla Procura sulla ricevuta di ritorno. Sul fatto che era scomparsa prima di essere protocollata, lo appurammo noi all’inizio di marzo ’05, ed in aprile ’04 quando registrammo pure, a titolo di prova, quanto dichiarava l’impiegato della Procura di Roma. Della sparizione ne avremo conferma anche in forma scritta dal magistrato di Roma che seguirà le indagini molto tempo dopo.

 

Riferimenti sui fatti dell’ufficio:  vedi “R2” a pagina 48

 

.(D)           Febbraio 2005 - Il terzo esposto a Roma (“R3”)

In febbraio ’05 andammo a controllare l’azienda in un giorno di festa per evitare i dipendenti della SDC Impianti* (vedi “La questione SDC Impianti*  pagina 3, punti Parte II..01.(D) e Parte II..01.(A)).  Quello che vedemmo lo scrivemmo in un ulteriore esposto/denuncia nel documento dal titolo “Denuncia di violazione di domicilio”.

Ecco una parte:

“Il giorno 20 Febbraio 2005 verso le 11 del mattino ci siamo recati presso gli uffici della sede legale Softex* S.r.l... Tentando di aprire la porta abbiamo scoperto che l’antifurto era disabilitato e che la serratura della porta degli uffici era stata sostituita. La posizione delle tende ci ha permesso di dare uno sguardo all’interno e di notare che sostanzialmente l’ufficio era rimasto, a prima vista, nella stessa disposizione dell’ultima volta in cui vi eravamo entrati. I tavoli, le sedie e i mobili, per quanto si poteva notare dai vetri esterni, erano rimasti nelle stesse posizioni eccetto un’evidente manomissione di uno scatolone che conteneva le cose personali. Tale scatolone si trovava nell’ultima stanza vicino alla caldaia, era chiuso con un libro della Madonna di Medjugorje postovi sopra. Lo scatolone presentava sia sui lati, sia proprio in prossimità dell’apertura sovrastante, l’indicazione “cose personali dei soci”. Abbiamo notato che, oltre ad essere stato aperto, è stato pure manomesso, come se qualcuno avesse cercato qualcosa all’interno. Ci è sembrato, ma non ne siamo sicuri, che manchi pure del materiale che vi era all’interno. Ora all’interno dello scatolone vi erano cose personali molto importanti e dati delicati Con raccomandata precedente vi avevamo già sollecitato un intervento di controllo relativamente ai nostri uffici, ma poi non abbiamo avuto nessun riscontro.

Ora naturalmente siamo impossibilitati ad accedere agli uffici della società, mentre evitiamo accuratamente di avere relazioni con i signori ..omissis.[9]., per le minacce che abbiamo descritto nei documenti precedenti.”

e

Stiamo aspettando un Vostro intervento per capire come dobbiamo comportarci.”

 

Incredibilmente anche questo terzo esposto rimase tra quelli non pervenuti.

 

Riferimenti:  vedi “R3”pagina 48

 

.(E)            Il viaggio di marzo a Roma e la quarta raccomandata (“R4”)

Il 05 marzo ’05 ci recammo alla procura di Roma  per capire a chi erano stati affidati i documenti spediti. In procura di Roma risultava solamente il primo esposto[10] di novembre spedito per competenza alla Procura di residenza, mentre non c’era nessuna traccia di quelli successivi. Ci è stato dunque consigliato, almeno per quello arrivato, di andare a Padova, per verificare a chi era stato assegnato. Nessuno comunque ci aveva contattato né da Roma né da Padova per tale documento.

Il 10 di marzo ’05 inviammo un’ulteriore raccomandata in Procura a Roma, segnalando la sparizione dei documenti inviati tramite raccomandata mai protocollati. Sollecitavamo una risposta alle richieste d’aiuto, spiegandone i motivi nel documento stesso.

Nella raccomandata inserimmo una copia di tutti i precedenti documenti, quelli “smarriti”.

 

Riferimenti:  vedi “R4” pagina 48

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di roma]

 

 

.(F)            La TSZ Industries* alla porta e la quinta raccomandata (“R5”)

A metà di marzo ’05 eravamo incalzati da un dipendente di una ditta, in contatto con lo Stalker. Tale persona era riuscita a trovare l’indirizzo di casa ed era giunta sotto la nostra abitazione. Eravamo in tensione e non ci sentivamo più al sicuro nemmeno in casa.  Scrivemmo anche questo episodio, da noi considerato grave, in un esposto e lo inviammo come aggiornamento ai precedenti incartamenti. Tenevamo duro aspettando ogni giorno una risposta dallo Stato.

 

Riferimenti:   [Quinto esposto procura di Roma,’]

 

Questo evento capitò dieci giorni prima dell’incidente del venerdì nero di cui parleremo ampiamente nel seguito. Trovare il nostro indirizzo di casa non era cosa semplice, perché ci eravamo premurati di mantenerlo nascosto. Sarebbe importante sapere come la TSZ Industries* ha avuto il nostro indirizzo, e se l’ha avuto in termini di legge, ovvero se ha compiuto o fatto compiere un reato per ottenerlo.

Spieghiamo meglio: non eravamo inseriti in nessuna lista di telefono, l’auto era intestata alla società e dunque non figurava il nostro indirizzo nei registri appositi, alla camera di commercio risultava ancora il vecchio indirizzo di Legnaro*, nelle liste elettorali per errore del comune figuravo nato in un altro paese, il nostro matrimonio era stato celebrato in un altro comune della stessa provincia, nemmeno la gran parte dei nostri vicini sapeva il nostro cognome.

In aggiunta la TSZ Industries* non conosceva nemmeno correttamente il cognome di Matteo, perché continuava a scriverlo in maniera errata e dunque sarebbe stato difficile trovare dati tramite ricerche informatiche o al terminale. La posta, anche quella personale ce la facevamo arrivare a Legnaro* e più tardi in altro paese della provincia. Certamente i padroni della TSZ Industries* nell’ultimo periodo avevano fatto molte domande tentando di capire se noi due eravamo sposati, ma anche in quel frangente ritenemmo di non rispondere in merito perché erano cose personali e non era il caso di pubblicizzarle nel campo aziendale.

 

Come ha fatto il signor Tantanelli* di TSZ Industries* ad ottenere il nostro indirizzo?

Insistiamo su questo aspetto perché l’atto della TSZ Industries* compiuto il 15 di marzo è stata una delle cause che sta sotto l’incidente avvenuto dieci giorni dopo, nel giorno denominato “venerdì nero”.

 

Vedere anche pagina 43, dove approfondiamo il tema su quest’azienda e su come è venuta in possesso del nostro indirizzo.

 

Riferimenti:

[Quinto esposto procura di Roma, vedere  Evento15Marzo_Tantanelli*]

[Secondo esposto procura di Roma, vedere l’allegato  Softex*, la storia e gli intrecci con  Tonioli* S.r.l. ed Boldrini* Elettronica S.r.l.”]

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di roma]

 

 

 

Parte IV.                  La situazione prima dell’incidente del venerdì nero

All’avvicinarsi del venerdì nero, non avevamo ricevuto nessuna richiesta di contatto da parte della Procura della Repubblica di Roma, di Padova, o carabinieri  e/o dal Quirinale per la documentazione inviata.  Noi eravamo arroccati a casa nostra sulla difensiva, aspettando un segnale dall’autorità sul da farsi.

 

In più:

 

1)    Non sapevamo più nulla di quanto successo in capo all’azienda.

Perdere l’azienda in cui si aveva lavorato dieci anni, mettendoci tutte le proprie risorse, aspirazioni, investimenti e sogni è come perdere un figlio. Non avevamo più potuto venderla, perché i contatti ed i contratti erano rimasti all’interno dell’azienda, con la serratura cambiata.

2)    Non potevamo più usufruire dell’auto aziendale che era l’unica in nostro possesso.

L’assicurazione era scaduta, vi erano rate insolute del leasing. Vedere anche pagina 13, “La questione dell’auto in leasing”).

3)    Non esistevano mezzi pubblici che raggiungessero la nostra abitazione.

Non avevamo auto né moto né bicicletta e dovevamo fare parecchi km a piedi per, non avevamo la possibilità di acquistare nessun mezzo.

4)    Stavamo attendendo un contributo economico che ci era dovuto da vario tempo .

In febbraio e marzo eravamo riusciti a vivere attraverso un prestito concessoci dalla banca dando come garanzia un credito futuro.  Il credito aveva subito varie traversie, avevano perso la nostra pratica, il pagamento continuava a slittare di mese in mese. Avremo avuto si o no cinquanta euro al 24 marzo ’05 (vedere anche “I fattori minori” a pagina 30)

5)    Non eravamo riusciti a trovare altri lavori

 

6)    Eravamo preoccupati perché TSZ Industries* era risalita al nostro indirizzo di casa, ed era in contatto con lo Stalker e relativo filone di gente.

Temevamo dunque di trovarci Stalker e famiglia d’origine sottocasa. In più la TSZ Industries* il 15 marzo ci aveva prospettato una causa legale, e nella situazione che eravamo era un’ulteriore infamia.

7)    Eravamo rammaricati dalla mancanza di leggi che ci potessero difendere

La legge sullo stalking fu fatta quattro anni dopo, nel 2009, ma già esisteva in altri paesi.

 

 

 

Parte V.                     Il Venerdì Nero

 

Con il termine “venerdì nero” si intende quanto accaduto il venerdì santo del 2005.

 

.01    I fatti del venerdì nero

                         (i)      Il fattore  TSZ Industries*

Matteo era preoccupato dell’incursione fatta alla nostra abitazione dal signor Tantanelli* della TSZ Industries* il 15 marzo, per l’assurda minaccia di causa legale, per la diffusione del nostro indirizzo in mani sbagliate (le aziende collegate, lo Stalker, famiglie d’origine ed i Boscaro* della SDC Impianti*).

Poco prima che capitasse l’incidente Matteo aveva appena letto e sistemato alcune carte inerenti, e non riusciva a darsi pace sul comportamento illogico e malsano di quell’azienda nei nostri confronti.

 

TSZ Industries* non era una ditta con cui scherzare, aveva sicuramente molti collegamenti e ci aveva fatto degli brutti scherzi anche con i pagamenti simulati, ponendo in mezzo pure una loro banca, come da noi raccontato nel quinto esposto “Evento15Marzo_Tantanelli*” a pagina 3.

 

 

                       (ii)      L’incidente del  venerdì nero.

Quel giorno  coincideva la festa dell’Annunciazione e il venerdì Santo prima della Pasqua, una giornata particolare che ricorderemo più avanti anche con il termine di “ il venerdì nero”.

 

Verso sera capitò a Matteo un incidente che determinò uno sfogo emotivo temporaneo, coinvolgendo i vicini di casa. Dei fatti che accaddero quella sera e i giorni successivi ne parlammo in vari documenti ai quali vi rimandiamo per il dettaglio.

 

La sera stessa, in occasione dell’incidente, anche su nostra insistenza, furono chiamati i Carabinieri e arrivò una pattuglia composta da un vice brigadiere e da un appuntato  scopertosi poi essere, purtroppo, del nostro paese di nascita e di conoscere alcuni nostri parenti.   Quando eravamo ancora sotto shock per l’incidente, i carabinieri entrarono in casa volendo sapere i motivi di quanto successo. Noi spiegammo a grandi linee la situazione, spiegammo che avevamo tutto  il peso degli esposti mandati in Procura per i quali nessuno si faceva sentire. Aggiungemmo che avevamo paura, e che pochi giorni prima era arrivato a minacciarci sotto casa una persona legata allo Stalker (rif. pagina 6La TSZ Industries* alla porta e la quinta raccomandata), non potevamo difenderci, eravamo bloccati su in collina senza più la possibilità di usare l’auto, e versavamo in condizioni economiche da fame. E spiegammo che in queste condizioni Matteo, dopo aver preso una forte scossa elettrica dal ferro da stiro mentre stava stirando, è caduto a terra, è andato in tilt, è uscito fuori nella corte comune a gridare grosso modo “-“Aiuto, aiutatemi, non ne posso più, vogliono ammazzarmi, sono perseguitato dalla mafia[11]” e lo stato indotto dalla scarica elettrica lo portò a danneggiare delle auto.

 

Con gente civile il gesto sarebbe stato visto come una richiesta di aiuto “estrema”, ma le cose nel paese non giravano per il verso giusto e più di qualcuno voleva sbarazzarsi di noi e quella fu l’occasione giusta.

 

In condizioni normali tutto questo non sarebbe successo, ma una scarica elettrica, in condizioni molto critiche può causare reazioni non controllabili. Il sovraccarico elettrico doveva essere molto forte, prima che la corrente in casa fosse ripristinata passò più di un’ora.

 

Dopo aver fatto un piccolo verbale, i due carabinieri se ne andarono.

 

{Riferimenti principali:

[Verbale dei Carabinieri di Città di castello di dicembre  2006, da pagina 4 in avanti]

[-Raccomandata R6  del 15/04/05  non pervenuta” – Procura di Roma]

[-Raccomandata  R7 pag 3-  del 5/5/5- Pervenuta  -Procura di Roma]}

 

                     (iii)      Il comandante della stazione di Padova*.

Le indagini per quanto accaduto il venerdì nero furono affidate al comandante della stazione di Padova*: il maresciallo P.P[12].  Tale maresciallo, proveniente dal Ferrarese, era stato trasferito a Padova* successivamente al nostro arrivo a  Camposampiero*[13].

                     (iv)      Sul fatto che il maresciallo P.P. conosceva il contenuto del primo esposto

In data 13 Aprile ’05, il maresciallo ci convocò in caserma per l’incidente del “venerdì nero”, senza fare alcun riferimento al primo esposto che in teoria avrebbe dovuto ricevere. Non fummo mai convocati per tale esposto e non ne fece menzione nemmeno in quel giorno: fece solo intendere di conoscerne il contenuto per alcuni suoi discorsi ed alcune domande ironiche.  Forse tale esposto lo aveva ricevuto molto tempo prima dell’incidente del venerdì nero.: il fascicolo potrebbe essergli stato consegnato per le indagini dai carabinieri di Rovigo[14] o dalla Procura di Padova[15] o dal Quirinale.  Si fa notare che i due documenti non erano identici, quello consegnato a Rovigo era di 13 pagine e gli altri erano di 18 pagine.

                       (v)      Su come il maresciallo strumentalizzò l’incidente del venerdì nero

Il maresciallo sulla base delle testimonianze dei due carabinieri intervenuti il “venerdì nero” dichiarò Matteo una persona paranoica e pericolosa, senza nemmeno una ricognizione sul luogo dell’incidente e senza nemmeno vederci di persona, un’operazione a tavolino[16].

Ovviamente senza la minima competenza in campo medico, competenza che nemmeno possedevano il vicebrigadiere e l’appuntato semplice.

È come se nella testa del maresciallo fosse già tutto deciso: forse quell’idea gli era nata proprio dall’esposto, e forse in quell’incidente avrà trovato conferma la sua teoria.

Sostanzialmente nella testa del maresciallo la nostra sorte era già decisa, senza che egli ci avesse interpellato direttamente.

Così la mattina successiva, 26 marzo, arrivarono nuovamente i due carabinieri della sera prima, per farci firmare un verbale, questa volta ad entrambi. Nel verbale dovremmo dichiarare che Giovanna è un donna molto depressa, che aveva esasperato il marito, fino a ridurlo in quello stato. Nel verbale non vi era nessun riferimento alla dinamica dell’incidente, della scossa elettrica e degli esposti inviati in procura e non pervenuti.

 

L’obiettivo del maresciallo era di  avere una nostra dichiarazione “reo-confesso”, poneva fine al caso e lo classificava come  “un dramma familiare di gente con le rotelle non a posto”.

 

Ci siamo chiesti che senso avesse inserire anche Giovanna nel dramma, visto che l’incidente era capitato a Matteo; forse era un modo per interpretare e dare un suo senso un senso logico alle testimonianze di Giovanna[17], poiché l’esposto conteneva testimonianze di entrambi.  E l’unico senso che vi trovava il maresciallo era che Giovanna era depressa per scrivere quelle cose sulla sua famiglia.

 

                     (vi)      Sulla pesantezza delle affermazioni del vice brigadiere.

Ovviamente non firmammo il verbale sopra descritto: il vice brigadiere disse a Matteo che questo avrebbe ulteriormente aggravato la sua posizione e che egli stesso avrebbe testimoniato personalmente contro di lui. Se ne andarono via arrabbiati. Il vice brigadiere la sera prima era molto curioso di capire i motivi dell’incidente, il giorno dopo si era presentato con un fare del tutto cambiato e violento[18]. Per i carabinieri anche la scarica elettrica era questione irrilevante e dunque da non inserire nel verbale, perché, a detta dell’appuntato semplice “una scarica elettrica non fa tanto male”.

 

                   (vii)      Sul cambiamento di aria necessario

Dopo la visita dei carabinieri, atta a certificare la “patente da matto” ad entrambi, decidemmo di cambiare aria. Avevamo paura di ripercussioni dei vicini e certamente non ci avrebbero aiutato i carabinieri, anzi, ……E nemmeno avevamo intenzione di sopportare i loro atteggiamenti e discorsi ignoranti, dopo tutto quello che avevamo patito. Partimmo con il treno per il lago d’Iseo dove conoscevamo qualcuno. Non avevamo i soldi per l’albergo e finimmo a dormire dentro un capitello di San Francesco. Il giorno seguente era Pasqua e andammo a chiedere aiuto a un’associazione. Poi riuscimmo un po’ a tranquillizzarci, a farci coraggio, e tornammo dopo vari giorni. Arrivarono anche i soldi del contributo: li usammo per pagare le rate del mutuo in arretrato e le bollette.

 

                 (viii)      Sugli organi di stampa locali

Mentre eravamo nella zona d’Iseo, il maresciallo influenzò la stampa facendo passare due articoletti su due quotidiniani  sulla falsa riga del verbale da lui concepito. I due articoli di giornale, oltre a riportare dei dati sbagliati, non riportavano minimamente il problema della scossa elettrica, degli esposti spariti in procura, dello Stalking… 

Gli articoli venivano dettati dai carabinieri i quali mostravano ai giornalisti i verbali. I giornalisti avevano acquisito le informazioni direttamente dai carabinieri senza fare un’intervista o un sopralluogo sul posto. Quest’aspetto era emerso il 18 maggio, quando ci recammo alla sede del Giornale di Padova per chiedere spiegazioni in merito a chi avesse dato loro le informazioni pubblicate. Il responsabile ci disse grosso modo che “-Le informazioni provengono dai carabinieri, ed è ovvio, visto che l’articolo è scritto con lo stile di un verbale. Noi non scriveremo così”. Poi proseguì:-“Ufficialmente i carabinieri smentiscono di dare loro stessi le informazioni, ma tanto lo fanno sempre-”. Un altro quotidiano invece è più legato al comune.

 

Fu inutile per noi ogni tentativo di cancellare la cattiva reputazione creata dai giornali. Invitammo i giornali attraverso due raccomandate ove descrivevamo come erano andati veramente i fatti:-“Una rettifica a quel brutto articolo si sarebbe fatta solo su richiesta dei carabinieri o del comune, non  nostra”, ci risposero.

A Padova non vi era nessuna libertà di stampa: si scrive “sotto dettatura”, infischiandosene del dovere di cronaca e della verità, e non vi fu modo per noi di cambiare le sorti.

La stampa a Padova, centro importante per la cultura e l’università, censurava anche qualunque altra informazione culturale, da noi presentata, che non conteneva alcuna polemica o questione politica, ma solo fatti storici.

 

Sul fatto che i giornali non si comportassero in maniera ortodossa vedere anche  pagina 10Il caso di Alice”. 

 

Il maresciallo ci creò un’aria ostile nel paese, nel comune, tra i giornalisti e tra i vicini. L’attività del maresciallo in un solo colpo ci aveva fatto passare per gente non a posto, aveva rovinato la nostra reputazione e con essa quando andavamo dicendo. In questa maniera le nostre testimonianze rilasciate negli esposti e/o denunce erano storiella di dementi, di gente malata.

Ricordiamo che alla data dell’incidente del venerdì nero  a Roma era pervenuto solamente il primo esposto di circa 18 pagine girato per competenza a Padova, probabilmente in mano dello stesso maresciallo, mentre tutti gli altri, da nostra verifica fatta in varie occasioni, risultavano non pervenuti.

 

FACCIAMO NOTARE COME NEL 2007, CAMBIANDO REGIONE ITALIANA LE COSE SIANO RADICALMENTE MUTATE.  SI FECE UN ARTICOLO SULLA NOSTRA VICENDA E ANDAMMO IN TELEVISIONE (vedere Parte X, “Matteo e Giovanna in RAI)

 

                     (ix)      La querela per danni e minacce. Sul rifiuto di accettare controquerela

Diciannove giorni dopo l’incidente  il maresciallo P.P. ci convocò in caserma per darci notifica della querela fattaci dai vicini per l’incidente del venerdì nero.

Non ci fu accettata una nostra controquerela.

                       (x)      Rifiuto di accettare una denuncia

Diciannove giorni dopo l’incidente il maresciallo P.P. si rifiutò di acquisire la nostra denuncia di sottrazione e/o smarrimento di documentazione (art 616 c.p.) riguardante i documenti spariti  presso la procura di Roma. In tale occasione si limitò a dire che era impossibile che i nostri esposti fossero spariti e quanto da noi dichiarato non poteva essere vero. Si rifiutò pure di acquisire tale materiale e di re-inoltrarlo, dunque continuando a trattarci da persone senza rotelle.

 

In pratica, al di là di tutto, si rifiutò di accettare la nostra denuncia e in questo si ravvisa la linea di tendenza che nessun esposto e/o denuncia doveva pervenire in Procura, matti o non matti!

 

                     (xi)      L’obbligo di dover incontrare l’assistente sociale

Trentadue giorni dopo l’incidente, il maresciallo P.P. ci manda a casa un paio di carabinieri che ci obbligano ad un colloquio con l’assistente sociale del comune. Dell’incontro ne abbiamo già parlato a pagina sette e seguenti nel documento “R7” spedito ad inizio di maggio alla Procura di Roma: vedere “R7” –Procura di Roma,  e sulle modalità dell’incontro vedere a pagina 6 “incontro con i carabinieri” dello stesso documento.

 

Vogliamo qui sottolineare alcuni aspetti:

Primo aspetto.

L’assistente sociale era una donna, non ci aveva mai visto prima, fu mandata da sola in stato evidente di paura, per la presentazione resa dallo stesso maresciallo (Matteo come una persona violenta e paranoica e Giovanna come molto depressa), non era stata informata della dinamica dell’incidente e le era completamente sconosciuta la storia dei nostri esposti e dello Stalking. Parlando si tranquillizzò, e scorgemmo il foglio in cui il maresciallo dichiarava Matteo paranoico e pericoloso, mettendo in allarme  l’ULSS e il comune, i quali dovevano provvedere e verificare. L’allarme era scattato prima ancora che il maresciallo ci avesse parlato. L’assistente sociale ci raccontò confidenzialmente che il maresciallo usava l’interpretazione psicologica dei problemi, preferendola alle indagini, vedere per i dettagli pagina 10, “Sulla questione di come il maresciallo usava spesso la “psichiatria”. ” . L’assistente sociale stessa si sentiva a disagio a lavorare con i carabinieri perché lasciata con troppe responsabilità[19]. Tuttavia tale assistente proseguiva imperterrita sulla strada tracciata dai carabinieri, senza chiedersi se quello che essi pretendevano fosse sensato o legale. Infatti disse che dovevamo recarci in psichiatria, perché ormai questo era stato deciso dal maresciallo. Comprendemmo che difficilmente avremmo ottenuto appoggio nel Comune.

Secondo aspetto.

All’epoca dell’incontro non avevamo bisogno di aiuti sociali, perché il nostro problema economico era stato temporaneamente risolto dall’arrivo del contributo, che aspettavamo da vario tempo. Quello che avevamo bisogno era un intervento del comune atto a chiarire la nostra situazione.

 

                   (xii)      Visita psichiatrica

La dimostrazione che il maresciallo ci voleva far passare per dementi si evince anche dal fatto che ci invitò a fare una visita psichiatrica. La visita fu decisa unilateralmente dal maresciallo, che fece spedire una lettera dal centro di salute mentale di Padova* con indicato il giorno e l’ora in cui ci si doveva presentare. Nei riferimenti lettera e busta.

 

[Riferimenti:Busta della lettera, Lettera]

 

 

Di tutta risposta andammo dall’avvocato: non era legale obbligarci in tal maniera e nemmeno la procedura era legale. Ci sconsigliò vivamente di fare quella visita. Già lo stesso medico, scrivendoci in tal maniera, con appuntamento prefissato, dimostrava che si era già incamminato sul percorso tracciato dal maresciallo. Difficilmente avrebbe fatto una diagnosi corretta sotto la pressione dei carabinieri. L’avvocato ci spiegò che per obbligarci a fare la visita il maresciallo doveva ottenere l’autorizzazione di un T.S.O[20]; ci consigliò di spiegare la situazione al diretto superiore del medico di Padova*, che ci aveva spedito la lettera a casa. 

 

Scrivemmo al direttore di Dipartimento Salute Mentale dell’ULSS  dichiarando di aver sottoposto la lettera  alla visione del nostro avvocato, il quale ci ha suggerito di chiedere spiegazioni in merito. Ed in particolare: chi ha dato il nostro nominativo ed in base a quale legge è stata fatta tale richiesta. La lettera si trova nei riferimenti.

 

 

Il medico di Padova* ci rispose molto tempo più tardi, quando noi ci eravamo già allontanati dal Veneto. Sostanzialmente il medico aveva agito non in base ad una legge ma solo sotto richiesta dei carabinieri. Disse di aver volutamente fatto trascorre del tempo (quasi due mesi dall’incidente) affinché Matteo fosse più sereno. Se una persona è pericolosa in due mesi può commettere tanti danni, e di certo un medico non può stabilire facilmente se si calmerà o peggiorerà, specie senza mai averlo incontrato.

C’era poco da capire: il maresciallo aveva tracciato una strada e tutti da bravi la seguivano, senza chiedersi se fosse legale o sensato o semplicemente umano comportarsi così. Quella lettera ed il verbale, che non abbiamo firmato, furono episodi di violenza inaudita, peggio che se ci avessero sparato, come pure le “allegre battute” del maresciallo (chiese ridendo se avessimo paura delle famiglie d’origine). La visita psichiatrica fu considerata una minaccia alla nostra libertà, di una violenza brutale, cose da nazisti insomma.

 

 

                 (xiii)      Sulla questione di come il maresciallo usava spesso la “psichiatria”.

 

Già un mese dopo l’incidente l’assistente sociale ci raccontò confidenzialmente che il maresciallo aveva dichiarato matta una persona senza fare delle indagini, proprio a Camposampiero*. Ci raccontò la storia di un giovane che veniva sballottato tra servizi psichiatrici e assistente sociale, con la clausola “matto” per delle sue dichiarazioni relative ad abusi compiuti dalla madre. La cosa si era risolta solo molto tempo dopo quando altre persone denunciarono la madre per fatti simili, ed il maresciallo fu “costretto” ad intraprendere un’azione diversa, ed emerse che questo tizio aveva raccontato la verità. Ci disse che non era nemmeno l’unico caso.

Ci preoccupava il fatto che per questo ragazzo non si fosse cercata nessuna strada alternativa, anche da parte delle stesse strutture sociali: matto o sano di mente che fosse, perché obbligarlo a vivere nel terrore e nella sofferenza?.

 

Il maresciallo si sentiva un luminare della psichiatria pur non avendo né requisiti e né la facoltà. Per i fatti del “venerdì nero” aveva dichiarato Matteo “paranoico, pericoloso…” senza nemmeno averlo visto e aveva scritto al C.S.M. di intervenire per fare una visita psichiatrica.

 

 

1)    Il caso di Alice

Raccogliemmo tempo dopo un’altra storia sempre di Camposampiero*: la storia di Alice. Nel seguito facciamo riferimento al documento {“Il_caso_di_Alice.doc” contenuto nella cartella “x-elementi-prove\varie\”}.

Alice è morta in un incidente stradale a metà giugno ’05 e i carabinieri di Padova* sono stati incaricati riguardo le indagini. Vedere la notizia riportata nei giornali  {“allegato A”} e “Allegato B” del suddetto documento.

 

Su l’articolo del giorno dopo {(“allegato C”)} si legge che “i carabinieri di Padova* avrebbero acquisito alcuni scritti della ragazza e in particolare una lettera in cui Alice avrebbe manifestato uno stato di profonda sofferenza esistenziale” e “ Una delle ipotesi che gli investigatori starebbero vagliando con attenzione è quella di una volontà precisa all'origine del sinistro che ha condotto la giovane alla morte.”.

L’ipotesi del suicidio viene riportata anche su altri articoli, ma c’è anche chi critica profondamente questa tesi in  {(allegato F)}:

Sono stata insegnante in seconda e terza media di A., la ragazza di 17 anni morta in un terribile incidente stradale mercoledì scorso. Ricordo A. come una studentessa vivace, esuberante, ma impegnata e interessata alle tante esperienze che facemmo in quegli anni. L'ho incontrata diverse volte negli anni successivi e, pur trovandola cambiata, non mi ha mai dato quell'impressione di sofferenza esistenziale, di disperazione che invece i giornali di questi giorni mi sembra vogliano a tutti i costi presentare, quasi per rafforzare l'ipotesi del suicidio.  Chi conosce i ragazzi sa che sono tipici dell'adolescenza momenti di solitudine, di malinconia, di tristezza, così come repentini sono i cambiamenti di umore, ma non vanno letti necessariamente come segni premonitori di scelte drammatiche,… “.

 

Ciò che colpisce in questa vicenda è che la morte di una ragazza giovanissima, a cui sarà negata l'esperienza affascinate della vita, e il dolore di una famiglia unita, normale, come tante, che chiede silenzio per ricercare e conservare delicate, private memorie della persona perduta, passino in secondo piano di fronte alle crudeli leggi dell'informazione. Il nome e il cognome di A. (minorenne!) a caratteri cubitali sui due quotidiani locali; titoli ad effetto ( "Adolescente contro il Tir- " Si è fatta ammazzare" ) come quello di un altro quotidiano, che almeno ha l'accortezza di usare le iniziali del nome; la foto di A. viva, bella e sorridente affianco a quella straziante del suo corpo senza vita sull'asfalto: tutti espedienti che, anticipando e diffondendo gratuitamente notizie di indagini riservate, violano la privacy di A. e della sua famiglia, oltre ad offendere la dignità della morte, qualsiasi sia la sua causa…”.

 

CONSIDERAZIONI

Non sappiamo se il caso di Alice fosse stato coordinato dal maresciallo P.P., però la questione ci fece impressione e ritenemmo di registrare tali articoli per due motivi:

primo i giornali locali si comportarono in maniera spregiudicata come evidenziato dalla professoressa nell’articolo suddetto e questo accadde anche nel nostro caso del venerdì nero; secondo i carabinieri di Padova* sembrano vedere sempre dei risvolti psichiatrici nelle vicende ignorando altri fattori importanti[21], in ogni caso furono loro a istigare gli articoli sui giornali tramite le loro dichiarazioni …

 

 

                 (xiv)      Azioni per farci paura e farci perdere la calma

Come abbiamo già detto i carabinieri dettavano legge in quei territori e si assumevano compiti e funzioni dei quali non erano competenti. Oltre alle influenze sulla carta stampata era ragionevole pensare che potessero agire nella stessa maniera anche con i medici del CSM.

 

Oltre a farci pressioni con la visita psichiatrica e relative conseguenze, a seguito dell’incidente il maresciallo non perse occasioni per mandarci delle pattuglie ben addestrate a farci paura e perdere la calma. A Giovanna sbraitavano a cinque centimetri dal viso di dover portare rispetto alla loro divisa, senza alcun motivo, e le bestemmiavano in faccia.

 

L’avvocato ci consigliò di non reagire mai, per qualsiasi motivo alle provocazioni, ci invitò a fare denuncia presso il comando provinciale, regionale e nazionale dei carabinieri, ma noi non ce la sentimmo di farlo, continuammo invece nella strada che avevamo già percorso indicando i fatti negli esposti. Nel 2006 i carabinieri di Città di castello ci suggerirono di riscrivere tutti i fatti e furono riferite nuovamente anche queste azioni.

RIFERIMENTI:

[Verbale dei Carabinieri di Città di castello dicembre  2006, da pagina 4 in avanti]

 

 

.02    Le conseguenze del venerdì nero

.(A)            La cattiva reputazione

Dopo il “venerdì nero” si aggiunse il problema dell’incidente.

Fu inutile per noi ogni tentativo di cancellare quella reputazione. Invitammo i due giornali  di Padova che avevano pubblicato l’articolo sull’incidente, attraverso due raccomandate ove descrivevamo come erano andati veramente i fatti, a pubblicare un articolo per fare chiarezza, si rifiutarono, dicendo che la cosa doveva spettare al comune e al sindaco.

Per fare chiarezza consegnammo personalmente delle lettere ai vicini di casa e inviammo una lettera simile al Sindaco[22] tramite posta prioritaria e tramite e-mail.

 

.(B)           L’isolamento

Dopo l’incidente del venerdì nero nessuno ci dava ascolto e nessuno ci aiutava.

Il comune di residenza non ascoltava nessuna nostra ragione e non fece chiarezza adducendo che era ben informato nei nostri confronti dai carabinieri.

I giornali ci snobbarono. La gente comune prese le distanze. Un intero paese ci divenne ostile: ce lo confermò l’assistente sociale, che aveva ricevuto varie richieste d’intervento da soggetti più fragili (anziani che vivevano da soli, persone con problemi d’ansia già manifesti…).

 

.(C)           Le premesse per lasciare il paese

Tentammo di tirare avanti per altri due mesi in paese, ma quanto accaduto aveva minato qualsiasi possibilità di continuare a vivere lì.

 

.(D)           In Generale

In generale quanto accaduto a Camposampiero* si unì a quanto ci aveva fatto già lo Stalker, con la complicità della TSZ Industries*.

 

 

 

Parte VI.                  Le ultime operazioni fatte da casa.

 

Azioni fatte dopo l’incidente del  venerdì nero ‘05 fino al 3 giugno ‘05, data di partenza dal Veneto.

 

.(A)            Il ri-deposito degli atti a Roma in aprile 2005

Tornammo a Roma verso metà di aprile 2005. In Procura della Repubblica dopo aver constatato che i nostri documenti continuavano a non pervenire e che la situazione era identica a quella rilevata nel viaggio fatto a inizio marzo ‘05 (pagina 6Il viaggio di marzo a Roma e la quarta raccomandata), depositammo una copia formata da due fascicoli direttamente all’ufficio primi atti.

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di roma]

 

.(B)           La denuncia di scomparsa degli atti fatta alla Procura di Milano

Non aspettammo che Roma ci chiamasse per i due fascicoli depositati il 19 di Aprile: una settimana dopo pensammo di scrivere anche ad un’altra procura, quella di Milano. All’epoca nessuno ci aveva ancora informato su come funzionassero le procure controllanti. Anticipammo il testo via fax con oggetto “denuncia di sparizione e/o occultamento di esposti. Denuncia di situazione di pericolo”, seguirono due raccomandate ed un fax di aggiornamento.

 

[Approfondimenti: carteggiO Milano]

 

.(C)           Il settimo esposto del 5/5/5

All’inizio di  maggio 2005 inviammo un’ulteriore esposto alla Procura di Roma dal titolo “ulteriori fatti accaduti dopo l’incidente di Marzo e fino al 1 Maggio 2005”. Quest’esposto di aggiornamento fu ricevuto dal magistrato di Roma che apri un procedimento penale per sottrazione e/o smarrimento dei documenti precedenti(art. 616 c.p.) che risultavano non pervenuti. Noi saremo informati di questo solo in novembre ’05 (vedi pagina 14Mentre viviamo in tenda la Procura di Roma ci risponde al settimo esposto”).

 

Noi arrivammo alla conclusione che tale raccomandata pervenne perché sfuggi alla rete di controllo. Avevamo infatti pensato per l’occasione di provare a inviare la lettera con una sigla e con l’indicazione dell’avvocato, invece che con nostri dati. La cosa a quanto pare funzionò.

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di roma]

 

 

 

 

Parte VII.               L’allontanamento dalla regione

.(A)            La ricerca di solidarietà

A causa della situazione insostenibile venutasi a creare ci allontanammo dal Veneto.

Partimmo all’inizio di  giugno ‘05, passammo l’estate a vivere in tenda da campeggio.

CREDEVAMO VERAMENTE CHE LA SITUAZIONE POTESSE CAMBIARE A MOMENTI  E DI POTER TORNARE A CASA PRESTO[23]. Speravamo vivamente che qualcuno prendesse in mano i nostri esposti con la volontà di far chiarezza su quanto ci era accaduto e di sistemare le cose.

 

Per chi ci voleva contattare  eravamo reperibili tramite fax o posta elettronica.

 

Vedere anche   La questione della ”reperibilità a  pagina 29

 

                         (i)      Richiesta di interessamento alla carta stampata e ai media

In settembre ’05 erano già tre mesi di vita in tenda, le cose non erano cambiate, nessuno ci aveva contattato e pensammo allora di cambiare strategia: scrivemmo la nostra storia in una lettera aperta diretta al Presidente della Repubblica, indirizzandola a vari giornali nazionali, radio e tv, chiedendo se possibilmente potessero pubblicare qualcosa.

 

{RIFERIMENTI:

[14/09/2005     20050914T_Help_a_(Il Foglio).eml]

[29/09/2005     20050929T_Help_a(difensore_civico di Roma).eml]

[29/09/2005     20050929T_Help_a_(Avvenire).eml]

[29/09/2005     20050929T_Help_a_(Radio Maria).eml]

[13/10/2005     20051013T_Help_a(Rai TG3 cronaca).eml]

[13/10/2005     20051013T_Help_a(Rai TG3).eml]

[13/10/2005     20051013T_Help_a(Rai trasmissione la radio ne parla).eml]

[13/10/2005     20051013T_Help_a_(RAI Radio Due).eml]}

 

La lettera fu inviata a molti altri giornali e/o telegiornali  oltre quelli sopra citati. Ad alcuni fu scritto per posta elettronica e ad altri per posta normale. Non vi fu un interessamento del caso da parte dei giornali e dei media in generale. Ci dovemmo arrangiare.

Inutile dire che in Italia non si pubblica nulla se non si vede in ciò un interesse di qualche natura.

 

 

.(B)           Il ritorno a casa e la nuova partenza senza ritorno.

All’inizio di ottobre ’05 scrivemmo una lettera al comune di residenza chiedendo aiuto, tornammo poi a casa. Speravamo che il comune ci scrivesse qualcosa a casa. L’Enel ci aveva staccato la corrente elettrica.. A casa non risultava posta proveniente da Roma o da Milano.

Dopo alcuni giorni ripartimmo, con gli ultimi soldi rimasti pensammo di smuovere le acque a Roma: eravamo riusciti a trovare a Roma una particolare offerta in un campeggio  “paghi 2 prendi 5”. Da Roma spedimmo un’altra lettera al comune di residenza. A Roma i nostri soldi finirono, senza aver trovato un lavoro e senza che nessuno fosse intervenuto.

Tornammo nuovamente a casa grazie a dei soldi dateci da una persona che avevamo conosciuto tempo prima. A casa rimanemmo pochi giorni, e ripartimmo definitivamente senza tornare mai più. Partimmo per Marone, per andare nel campeggio ove eravamo già stati.

 

.(C)           Brescia

                         (i)      La vita in tenda a Marone

Rimanemmo a vivere in tenda nel campeggio di Marone in condizioni di fame e di freddo fino a due giorni prima del  Natale. Il campeggio era stato chiuso ma i proprietari ci permisero di rimanere, perché non avevamo nessun posto dove andare, ma non avevamo né soldi né cibo.

 

{Rif.: la foto della nostra tenda in campeggio sul lago, 2  ]}

 

Sopravvivemmo grazie a delle bottiglie di plastica riempite di acqua calda due o tre volte durante la notte, tenute all'interno del sacco a pelo. Riempimmo dei sacchi di nylon con delle foglie secche e li utilizziamo come tappeti per isolarci dal terreno. Una signora ci diede delle coperte. Alle volte era  impressionante sentire l'esterno del sacco a pelo ghiacciato[24].

 

Qui tentammo di uscire da quella situazione chiedendo  aiuto ed interessamento ai comuni della costa del lago.

 

 

                       (ii)      La rete di controllo del territorio

A Marone, ci trovammo a vivere una situazione inquietante. La rete di controllo del territorio operata dalle forze dell’ordine fece riemergere i problemi che avevamo avuto in Veneto anche lì.

Un prete invece di aiutarci ci mandò i carabinieri e quest’ultimi ci fermarono verso fine ottobre per la strada, chiedendo spiegazioni di dove andavamo dove alloggiavamo e perché non eravamo al lavoro. Di lì poi si informarono presso il nostro paese di residenza. Alcuni sindaci della costa del lago d’Iseo ci avevano detto di aver ricevuto delle informazioni sul nostro conto dai carabinieri che non erano proprio rassicuranti. Tra l’altro i sindaci avevano avuto l’ordine di non aiutarci in modo che fossimo costretti a ritornare Veneto. Uno dei sindaci era convinto che avessimo  una semplice lite con le famiglie, e ci incoraggiava a superare tali divisioni: questo gli era stato rivelato dallo stesso sindaco del nostro paese di residenza. Così scoprimmo che il nostro comune di residenza era intenzionato a farci rispedire alle famiglie d’origine, non ci voleva proprio come suoi cittadini, non voleva adempiere ai suoi doveri di legge, ma non aveva nemmeno il buon senso di lasciarci in pace, ovvero di lasciarci vivere altrove.

 

A Marone scoprimmo che c’era in servizio pure un carabiniere proveniente da Padova*, ce lo disse il carabiniere medesimo (di Padova* e del comportamento dei carabinieri ne abbiamo parlato ampiamente nella Parte V )

 

Eravamo sfiniti, eravamo dimagriti parecchio, e non eravamo in condizioni presentabili per un normale lavoro, ma questo fingeva di non capirlo nessuno. Capivano solo le loro tasche e i loro interessi. Per il resto lo Stato era assente.

 

                     (iii)      La questione dell’auto in leasing

Avevamo in uso fin dal 2002 un’auto in leasing intestata all’azienda. Dal momento che non potemmo più pagare l’assicurazione l’auto fu lasciata ferma a Camposampiero*. In occasione dei fatti del venerdì nero in marzo avevamo chiesto ai carabinieri se potevano occuparsi della cosa, informando la società di leasing che venissero a prendersela. Avevamo dato loro le chiavi , ma ci dissero che non erano competenti. In giugno noi lasciammo il Veneto e l’auto rimase là. Quando lasciammo il paese pensavamo di tornare presto e di sistemare pure quella cosa in sospeso. Questo non accadde.

A fine ottobre  ‘05, quando i carabinieri di Marone ci fermarono ((ii)), facemmo la stessa richiesta: di occuparsi della questione dell’auto perché avevamo paura di essere denunciati per furto. Noi non avevamo soldi per compiere tali azioni, avevamo due euro in tasca, ed al momento riuscivamo a trovare aiuto solo alimentare. I carabinieri ci fecero gli “auguri” per i due euro e ci dissero che non era di loro competenza, ma che se fossimo stati denunciati per furto lo avremmo subito saputo, perché sarebbero venuti a dircelo loro!

(vedi [Pagina 6  del verbale dei Carabinieri di Città di castello di dicembre 2006])

 

Preoccupati ci arrangiammo scrivendo un fax con l’ausilio del computer della biblioteca e lo mandammo alla società di leasing il 2 novembre ’05, indicando dove si trovava l’auto. Noi non siamo più tornati al nostro paese per verificare cosa sia successo poi.

 

 

                     (iv)      Mentre viviamo in tenda la Procura di Roma ci risponde al settimo esposto

Finalmente in novembre venimmo a sapere che il nostro esposto/denuncia di inizio maggio   “R7”  (vedi  pagina 12) era pervenuto a Roma ed assegnato ad un PM , il quale aprì per alcuni giorni un’indagine per sottrazione e/o smarrimento di documentazione a norma dell’articolo 616 c.p.. Lo venimmo a sapere dal PM stesso tramite la posta elettronica[25]. Il PM, nella comunicazione segnalava che quest’ultimo esposto era pervenuto e almeno per questo non si era verificato né smarrimento né sottrazione, i precedenti però risultavano non pervenuti e chiedeva comunque l’archiviazione del procedimento suddetto, perché non vi erano elementi per stabilire se si trattasse per questi di smarrimento e/o sottrazione e in quest’ultimo caso chi fosse il colpevole.

 

Noi facemmo opposizione nell’unica maniera a noi possibile, tramite fax e lettera raccomandata.

 

L’opposizione non fu accolta perché il mezzo da noi usato non era nei termini di legge e dunque non era valido. Purtroppo avevamo tentato di interessare le autorità locali, ma nessuno mosse un dito per aiutarci a fare un’opposizione valida (sindaci, difensore civico,…).Il difensore civico della Comunità Montana ci disse che non era obbligato a fornirci indicazioni, perché non eravamo residenti e si trattava di cose penali: chiedemmo che mettesse tale affermazione per iscritto, per attestare almeno che stavamo facendo tutto il possibile, ma si arrabbiò e ci cacciò fuori.

Il PM non attivò nessuna procedura  per entrare in possesso del materiale che lui stesso considerava non pervenuto, disse solo che non era pervenuto. Tentammo allora di inoltrare nuovamente tutto il materiale indirizzandolo al magistrato, mandandogli pure un avviso tramite fax affinché vigilasse sulla raccomandata, ma anche questa raccomandata non arrivò a detta dello stesso magistrato.

 

Riferimenti: Lettera raccomandata “r8”–procura di Roma -

 

In più:

Dopo la ricezione del fax del  9 novembre scrivemmo al magistrato che ci tirasse fuori da quel disinteressamento che c’era a Marone e per il quale rischiavamo di morire di fame e freddo, ma non ci pervenne risposta e continuammo a vivere in tenda.

 

                       (v)      Richiesta di aiuto alla Polizia di Stato

Dopo i trattamenti dei carabinieri di Padova* e di Marone, cominciammo a pensare che i problemi  sarebbero sorti in ogni posto ove saremmo andati, senza possibilità per noi di uscire da questo incubo. Tentammo allora di interessare la Polizia di Stato, mostrando anche il fax arrivatoci dalla Procura di Roma. Un commissario ci suggerì di fare il prima possibile, una denuncia-querela ove dovevamo riportare  l’elenco di tutti i reati che erano contenuti nei documenti che non erano pervenuti, e si doveva allegare a questa denuncia una copia dei documenti che risultavano smarriti. La denuncia doveva essere fatta a Vicenza a detta del commissario.

                     (vi)      La denuncia-querela di febbraio

La nostra situazione economica ci impediva di andare a Vicenza a fare la denuncia come suggeritoci dal Commissario, così ci recammo in Questura a Brescia. La denuncia-querela fu fatta a fine febbraio  2006 e gli allegati furono forniti  su CD-ROM (vedi testo ratifica:

“Nr.1 cd contenente nr 2 esposti dattiloscritti, già inoltrati alla Procura della Repubblica di Roma e della stessa dichiarati "smarriti" come da allegata richiesta di archiviazione”).

{Riferimenti:  Questura di brescia }

 

                   (vii)      La fine di Brescia in marzo ‘06

Dopo la denuncia presentata alla Polizia in febbraio, le cose a Marone peggiorarono e fummo costretti a lasciare in fretta la provincia di Brescia. Continuammo a inviare del materiale di aggiornamento in Questura, da fuori regione, fino a maggio dello stesso anno.

 

                 (viii)      Il ritorno a Roma in Procura in marzo ‘06.

Allontanatoci da Brescia, rifugiammo a Verona dove trovammo un prete che ci diede i soldi del treno per andare a Roma. A Roma il 22 marzo ’06 scoprimmo che il procedimento aperto a seguito del settimo esposto (R7), era stato chiuso ancora in gennaio 2006. Scoperto questo, informammo subito la Polizia di Brescia mandando loro il decreto di archiviazione.

Lasciammo Roma subito dopo e trovammo provvidenzialmente solidarietà ed aiuto in Umbria.

 

.(D)           Conclusioni

In provincia di Brescia non ci fu possibile rifarci una vita perché:

1.       I carabinieri locali erano in contatto con quelli del paese di residenza e avevano ricevuto da questi pessime informazioni sul nostro conto, e le avevano a loro volta riversate sulle istituzioni locali e sulle persone che potevano aiutarci.

2.       Le persone dei paesi sul lago d’Iseo erano molto chiuse.

3.       Senza volerlo eravamo entrati in questioni troppo private in alcune famiglie del luogo.

4.       L’economia locale era in crisi per la chiusura di grosse aziende che aveva creato disoccupazione.

 

Sostanzialmente non ci hanno voluto tra i piedi, perché sapevamo di stranieri ai quali avevano dato lavoro e casa, a dispetto della crisi.

 

Parte VIII.            Le richieste di intervento al comune di residenza

 

In questa parte trattiamo il tentativo di ottenere aiuto dal comune di residenza nel periodo ottobre- dicembre 2005, mentre vivevamo in tenda in condizioni di freddo e fame a Marone.

 

{Riferimenti:  Carteggio con il comune]}

 

 

                         (i)      La lettera del 3 ottobre diretta al Sindaco

Il 3 di ottobre scrivevamo una lettera al comune della quale vi riportiamo una parte del testo iniziale:

Egregio Signor Sindaco,

ci troviamo in una situazione molto delicata e grave.” già alcuni mesi fa hanno spedito alla Sua attenzione varie informative, contenenti sia delle spiegazioni all’incidente di   marzo 2005, sia altre nostre informazioni. La nostra situazione è molto grave, poiché al momento attuale nessuno è intervenuto a nostro favore, e siamo rimasti senza più nulla da vivere.

Non abbiamo ricevuto nessuna risposta nemmeno da parte vostra.

Abbiamo pubblicato su Internet una richiesta d’aiuto, una lettera aperta al Presidente della Repubblica, ed abbiamo deciso di informarvi.Segue la lettera in forma ridotta.Ci chiedevamo se come comune ci potreste aiutare, magari ricavando dei soldi…”***

 

Dopo della lettera ritornammo nel comune di residenza.Speravamo che il comune ci avesse scritto o scrivesse qualcosa a casa. L’Enel ci aveva staccato la corrente elettrica.. Dopo alcuni giorni ripartimmo. Da Roma spedimmo un’altra lettera al comune di residenza. A Roma i nostri soldi finirono, senza aver trovato un lavoro e senza che nessuno fosse intervenuto. A casa rimanemmo pochi giorni, partimmo per Marone.

 

 

                       (ii)      Le lettere successive

Avevamo paura di morire in tenda, una tendina estiva senza tante pretese, ed a Marone stava facendo molto freddo: di notte ghiacciava. Avevamo difficoltà a trovare cibo e vedevamo che la gente del luogo era indifferente, così tentavamo di trovare una soluzione con il comune di residenza. Alla prima lettera seguirono vari contatti, anche telefonici. Le cose avevano preso una strada lenta e burocratica che poi portò a nulla di fatto.

 

Ad un certo punto fummo invitati a fare un’autocertificazione dello stato di bisogno, che presentammo il tre di novembre ’05. Poi ci fu richiesto il calcolo dell’ISEE che noi riuscimmo a produrre grazie all’interessamento di un sindacalista e spedimmo al comune l’11 di novembre ‘05. Ecco i riferimenti:

 

Il comune ci rispose il 28 novembre dicendo di contattare i responsabili

 

                     (iii)      Le ultime telefonate

Il primo dicembre ’05 telefonammo all'assistente sociale. Ci dice che non possiamo pensare di vivere sui contributi del comune, e che dobbiamo darci da fare, lavorare: ma noi di contributi dal comune non ne abbiamo mai visto uno. Dice che, nonostante l'invio dell'ISEE ed il nostro stato di necessità dichiarato, ha avuto molto da fare, perciò non ha ancora fatto un'istruttoria, che deve poi essere accettata dal comune. Il contributo sarà basso e in un'unica soluzione: ci dobbiamo arrangiare. L'assistente sociale chiede di risentirci la prossima settimana, lamentando che la procedura per richiedere i soldi non è corretta e molte altre cose: ribattiamo che se avessimo avuto altre soluzioni sensate, non saremmo in una tenda sotto la neve, ma l'assistente sociale sembra credere poco anche a questo, perché le sembra impossibile stare in tenda con questo freddo[26].

Il 15 di dicembre ‘05 telefoniamo nuovamente all'assistente sociale. La pratica non è ancora stata inoltrata per tanti motivi: l'assistente sociale è stata ammalata, poi non trovava più la carta intestata .......... poi ha tanto da fare..... poi la giunta si dovrà riunire ed approvare.....
E poi non sanno da che capitoli tirar fuori i soldi, poiché in ottobre '05 hanno già versato qualche migliaio di euro per delle emergenze (ovviamente non a noi). Forse a noi ne daranno qualche centinaio.....

 

                     (iv)      Dal comune niente di fatto

Non arriverà nulla dal comune. Più tardi sapremo in maniera informale da un sindaco della provincia d’Iseo che il nostro comune riteneva il nostro valore ISEE troppo basso per essere vero e dunque non ci spettava nulla[27].  Noi continuiamo a vivere in tenda.

L’assistente sociale non credeva alle nostre dichiarazioni, non credeva nemmeno che vivessimo in tenda. Più di qualche volta obiettava che era “ben informata” su di noi, ci trattava come fossimo delle persone nullafacenti che si inventavano le balle più disparate per vivere alle spese del comune.

 

                       (v)      Il comune non si smentisce mai.

Il comune di residenza non ebbe nessuna reazione nemmeno dopo la nostra partecipazione alla trasmissione TV di RAI DUE  “Piazza Grande” (vedi Parte X). Non ebbe mai nessun interesse per la nostra scoperta  che poteva dare gloria al paese. Non intervenne mai per chiarire i fatti di Marzo ‘05.

 

Se il tuo comune non ti aiuta, gli altri ancora meno perché non siamo residenti.

 

 

 

Parte IX.                  Lo spostamento in Umbria

.01    Il periodo primo

Arrivammo in Umbria il 23 di marzo ’06 e vi rimanemmo per due anni.

.(A)            Periodo marzo-dicembre ‘06

Dopo tanta fame e freddo patita in provincia di Brescia riuscimmo a trovare a Assisi posto in una casa di accoglienza e a rimetterci in forze, potendo riposare e mangiare decentemente.  Giovanna riuscì a trovare un lavoro stagionale. Mentre eravamo ad Assisi spedimmo degli aggiornamenti alla Questura di Brescia per quanto riguardava i fatti che erano accaduti sul lago d’Iseo e che non avevamo ancora documentato. 

Assisi era molto bella e speravamo di iniziare qui una nuova vita. Speravamo che la denuncia presentata alla Polizia di Stato in  febbraio avrebbe avuto dei risultati. Nella denuncia vi erano inclusi tutti i documenti non pervenuti a Roma e speravamo che anche questi finalmente avrebbero avuto il loro corso, quello che dovevano avere fin dall’inizio.

 

                         (i)      L’istanza di riapertura delle indagini non accolta da Roma

Il 31 marzo, mentre eravamo ad Assisi spedimmo un fax al magistrato di Roma chiedendo delle spiegazioni sul decreto di archiviazione del quale eravamo entrati in possesso il 22 marzo ‘06, e chiedevamo la riapertura delle indagini (rif “Il ritorno a Roma in Procura in marzo ‘06.” Pagina  14). Il magistrato ci disse che non c’era nulla da fare perché il procedimento era stato chiuso, e l’unica cosa che potevamo fare era di ricorrere in cassazione. Non avevamo soldi e conoscenze per farlo: dovevamo trovare anche un avvocato.

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Carteggio con la Procura di roma]

 

                       (ii)      La ricerca di un avvocato

Il 14 aprile ’06 scrivemmo a vari avvocati una lettera chiedendo interessamento al caso. Ma la mancanza di soldi e di conoscenze ci impedì di trovarne uno. Scoprimmo che bisognava trovarne uno patrocinato in cassazione, cosa ancora più difficile: gli avvocati difficilmente danno peso a gente con pochi soldi, a parte per problemi semplici.

                     (iii)      Aprile - giugno- Il periodo della speranza

Da Pasqua Giovanna trovò lavoro a ore in un ristorante di Assisi. Era un lavoro completamente diverso da quelli già svolti e non si aveva esperienza in tal settore, ma con buona volontà si poteva iniziare una nuova vita. Con un minimo di budget garantito dal lavoro di Giovanna, Matteo si impegnò a cercare lavoro nella zona, e furono distribuiti diversi curriculum e fatto qualche colloquio ma lavori di informatica non se ne trovavano: le ditte erano piccole, molto chiuse e a gestione spesso familiare improntate un po’ sul fai da te. Provammo ad interessare anche la titolare ove lavorava Giovanna per trovare un lavoro a Matteo, nel campo della ristorazione. Purtroppo in zona molte ditte assumevano solo persone giovani, anche straniere e quelli della CarPietas* non ci diedero nessun aiuto in tal senso.

In giugno iniziarono problemi in CarPietas* e le nostre speranze sfumarono.

                     (iv)      L’inizio dei problemi sorti in CarPietas*.

Giungendo ad Assisi a fine Marzo 2006 ed in stato di bisogno, siamo stati accolti nella casa di prima accoglienza di Assisi. I responsabili acquisirono varie informazioni, e noi per l’occasione spiegammo, nel possibile, la dinamica di quello che ci era accaduto, mostrando a tal proposito, anche alcuni documenti “ufficiali”, come la ratifica della  denuncia querela presentata in Questura. Dopo un po’ di tempo di  permanenza in casa di accoglienza, il direttore chiamò le nostre famiglie di origine a nostra insaputa, probabilmente proponendo alle famiglie d’origine la possibilità di ospitarci nella struttura per più tempo con il pagamento di una retta. Lo avevano fatto anche per altre persone.

 

I contatti con le famiglie d’origine  si svolsero a nostra insaputa. Rimanemmo sbigottiti perché avevamo riferito, a tale responsabile, dei gravi problemi avuti con tali famiglie, tanto che la stessa Curia di Padova, dopo alcune indagini, ci fece sposare nel 2004, “per gravi motivi”, senza pubblicazioni ecclesiastiche, posticipando la registrazione civile a matrimonio religioso avvenuto (vedi pagina 4, Parte II..01.(E)).

Il contatto con il Veneto non ebbe un buon esito, di lì a poco, in Agosto 2006, fummo rimessi in strada grosso modo con le parole: - “Tornatevene in Veneto, là avete soldi e casa”.  Da lì, da quel contatto, con l’”abisso” Veneto, arrivarono nel circuito CarPietas*, varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti da quell’ambiente malsano. Qualcuno ci appellava come “quelli che si fanno le ferie con i soldi della CarPietas*[28].  In pochi giorni bruciammo quei pochi soldi messi da parte da Giovanna nel lavoro di Assisi fino a riuscire a trovare dal primo di settembre un’altra soluzione di fortuna, che ci permise di rimanere ad Assisi fino a fine novembre ‘06. Ormai però di lavoro ve ne era poco, si facevano poche ore e i soldi bastarono appena per comprarsi da mangiare.

Per gli approfondimenti vedere la parte apposita Parte XV, “Il fumo negli enti umanitari”.

 

                       (v)      Settembre- La Denuncia dell’otto  settembre.

Visto quanto accaduto in CarPietas* e visto che la Polizia di Brescia non dava segni di vita, spaventati dal fatto che nemmeno in Umbria riuscivamo a mantenere lontano il male Veneto,

chiedemmo allora in settembre l’intervento della Procura della Repubblica di Napoli.

 

A Napoli vi era già un’indagine in corso al quale la nostra poteva agganciarsi. Non ci agganciammo, ma a Napoli la Polizia, unitamente al magistrato di turno, acquisirono tutto d’urgenza assegnandoci un PM della D.D.A. (Direzione Distrettuale Antimafia) entro poche ore. Ci fecero coraggio dicendoci che sapevano che queste cose accadevano a Roma.  Sembrava che la cosa si risolvesse, ma la regola della competenza vide il nostro procedimento trasferito inevitabilmente a Perugia, perché competente nel giudicare i magistrati di  Roma. Il magistrato di Napoli ci invitò a chiedere un colloquio urgente con il magistrato di Perugia.

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di Napoli]

 

 

                     (vi)      Ottobre- Dalla Procura di Napoli a quella di Perugia

Appena saputo del trasferimento del procedimento, puntualmente chiedemmo un colloquio al magistrato di Perugia, colloquio che non ci fu concesso come descritto nel fax di risposta del 12 ottobre ‘06.

 

A Perugia il procedimento confluì inspiegabilmente nella Procura ordinaria, non nella Procura Antimafia come a Napoli. Questo fatto è importante, perché un procedimento dell’antimafia prende una strada diversa (ad esempio non si va ad informare la parte accusata e dargli il tempo di ingarbugliare le prove).

La Procura di Perugia fece fare le indagini all’interno della Procura di Roma alla stessa polizia giudiziaria di Roma: questo lo venimmo a sapere dalla segreteria del magistrato per telefono. Anche qui la cosa fu diversa da come si era prospettata a Napoli, dove avrebbero inviato le loro forze dell’ordine ad acquisire il materiale a Roma, senza preavviso.

 

Insomma una denuncia giudicata importante dal magistrato di Napoli e dalla Polizia, tanto da attivare un procedimento particolare, finì poi a perdere qualsiasi importanza a Perugia.

 

                   (vii)      L’irreperibilità “del magistrato” di Perugia

A Perugia non ci fu mai permesso di parlare con il magistrato, nemmeno entrare in Procura negli uffici della segreteria del magistrato. Trascorremmo varie giornate in questi tentativi: telefonavamo dal Piazzale , davanti alla Procura, per sentirci rispondere, dalla segreteria del magistrato, che il magistrato ci aveva cercato in Veneto e che i carabinieri di Padova* gli avevano riferito che eravamo irreperibili all’indirizzo di residenza, e non sapeva dunque come contattarci. Non sapeva appunto come riferirci gli esisti di quelle indagini fatte dalla polizia giudiziaria  all’interno della stessa procura. Eppure il magistrato, per negarci il colloquio ci aveva già inviato un fax al quale avevamo pure risposto (Vedi il carteggio con Perugia), ed ora stavamo supplicando di poter salire almeno fino alla segreteria del PM, senza la pretesa di parlare con il PM. Che razza di irreperibilità era la nostra? Nelle carte depositate a Napoli avevamo scritto con grande chiarezza che non eravamo reperibili all’indirizzo di residenza! Se ci avesse confermato il colloquio tempo prima glielo avremmo spiegato anche di persona il motivo, come avevamo già fatto di persona con la Polizia e i magistrati di Napoli. La storia dell’irreperibilità è una leggenda metropolitana che ci fece vari danni. I carabinieri di Città di castello ad esempio, dovendoci notificare la convalida del sequestro del CD, ci mandarono un fax con il quale ci chiedevano di presentarci in caserma, cosa che fu poi regolarmente fatta.

 

Vedere anche  pagina 29, “La questione della

 

                 (viii)      Novembre - Il rideposito dei documenti in Procura

Come unica concessione ci fecero entrare al piano terra, dove vengono forniti i moduli di richieste varie, solo perché ci mettemmo a parlare ad alta voce, dicendo loro che la Procura di Napoli funziona molto meglio. Erano presente dei vigili urbani, ed in qualche modo ci aiutarono, chiedendo essi stessi di lasciarci entrare.

Ridepositammo i documenti a Perugia su consiglio della direttrice delle segreterie dei magistrati, chiedendo nuovamente un colloquio al magistrato, ma senza esito. Questo perché la direttrice pensava che i documenti provenienti da Napoli erano in mano della Polizia giudiziaria e dunque il magistrato non era in grado di poterci rispondere in merito.

 

 

                     (ix)      Novembre -L’incongruenza della delega della tutela

Il 22 novembre ’06 facemmo al magistrato di Perugia una richiesta di tutela, come consigliatoci dalla segreteria del PM durante una telefonata , davanti alla Procura stessa. Questi la delegò alla Polizia Giudiziaria di Perugia e quest’ultima la delegò ai Carabinieri di Padova*, che la delegarono alla PS competente. Questo “giro” di deleghe ci sarà noto solo il 23 maggio 2007, per intervento della Procura di Firenze che chiedeva informazioni sul procedimento.

 

Con la delega si era compiuta una grave incongruenza visto che vari elementi di Padova* risultavano da noi già denunciati per i fatti del venerdì nero ’05 (Vedi “Il venerdì nero”). Probabilmente il magistrato e la Polizia non avevano letto bene la documentazione da noi fornita in loro possesso, ma non cambiarono la loro posizione nemmeno a fronte del successivo verbale presentato tramite i carabinieri di Città di castello.

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di Perugia]

 

 

 

                       (x)      Dicembre -Il ritorno nelle condizioni estreme di povertà

Il primo dicembre ’06 tornammo a essere senza un tetto e con pochi soldi in tasca come quando arrivammo in marzo in questa regione. I giorni prima tentammo invano di parlare con il magistrato anche in virtù del fatto che non sapevamo che fine avremmo fatto.

 

A Napoli, terra conosciuta come il centro della mafia, eravamo riusciti a parlare con dei magistrati anche senza appuntamento, invece a Perugia non si degnarono nemmeno di parlarci!

 

                     (xi)      Dicembre -Il verbale dei carabinieri di Città di castello

A metà dicembre ’06 la situazione era tragica, per i dettagli vi rimandiamo alla parte corrispondente descritta nella parte “Il fumo in CarPietas*”.

Un comune  del Umbria istruì una pratica per trovare una soluzione al nostro caso, ma anche questa fu bloccata.

 

Fummo diretti a chiedere una mano al Capitano dei Carabinieri comandante della stazione di Città di castello . Il capitano ci fece riscrivere tutti i fatti dall’inizio in un lungo verbale durato quasi dieci ore. Depositammo anche un cd con altre prove e documenti che fu posto prudentemente sotto sequestro.

La nuova denuncia-querela, corredata del cd fu affidata ad un nuovo magistrato di Perugia, che si attivò subito a mandare notifica di convalida del sequestro del cd . Ma al magistrato furono tolte le indagini, e tutto fu trasferito come integrazione al primo procedimento aperto a Perugia e proveniente da Napoli. Lo sapremo solo in maggio del 2007 per intervento della Procura di Firenze che aveva chiesto notizie sul procedimento. Nonostante tutto, nonostante il verbale rilasciato ai carabinieri, il solito magistrato di Perugia continuò sulla linea già intrapresa di non volerci parlare, nonché di delegare la nostra tutela a carabinieri che avevamo denunciato.

Fu un vero schifo.

 

Vedi anche pagina 50Sul Verbale dei Carabinieri di

 

                   (xii)      Fine dell’epoca Perugia

La CarPietas* ci aveva dato in un primo momento una mano, trovando anche il lavoro a Giovanna.

Poi il personale della CarPietas* aveva tentato di ottenere dei soldi dai nostri parenti e/o dal comune di residenza senza risultati, decidendo di allinearsi con la volontà dei parenti/comune, convogliando varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti dall’ambiente Veneto dei luoghi di nascita. Fu l’inizio della guerra all’interno della CarPietas* da parte dell’ambiente Veneto e che determinò anche la fine del periodo perugino. Per mandarci via, chiesero alla padrona di Giovanna di lasciarla a casa, “tanto non ne aveva bisogno, perché al Nord aveva casa e soldi”. Questo Giovanna lo scoprì nel momento in cui chiese di poter fare anche altri lavori, o anche per Matteo, visto che la CarPietas* ci aveva mandato via ed avevamo bisogno di una stanza. 

 

Vedere la comunicazione inviata il 27 dicembre ‘06 al magistrato poco prima di partire per Terni.

 {Riferimenti: [Carteggio_06-carabinieri_cdc(denuncia19dic06).doc]}

 

In Umbria si era ripetuto per la seconda volta quello che era già accaduto in provincia di Brescia: ogni volta che qualcuno entrava in contatto con l’ambiente Veneto del comune di residenza o con le famiglie d’origine, anche al solo fine di ottenere informazioni sulla nostra persona, spalancava l’inferno. Immancabilmente accuse e diffamazioni di ogni tipo sorgevano contro di noi tanto da non riuscire più a trovare aiuti o appoggi sia da parte della cosa pubblica che da enti umanitari. Questo fenomeno diventerà ancora più evidente nei periodi successivi come spiegato in dettaglio nella parte “Il fumo in CarPietas*”.

 

.(B)           Terni  il periodo dicembre ‘07- marzo ‘08

                         (i)      I primi due mesi a Terni

Arrivammo a Terni con appena i soldi del biglietto e di due panini, grazie all’interessamento di una persona che conosceva il direttore della CarPietas* di Terni. Qui venimmo accolti in due case di accoglienza, una per uomini e una per donne. Dopo il nostro arrivo divenne nuovo direttore un “Venetose” che ci diede molti problemi. Trovammo in queste case due operatori in collegamento con la CarPietas* di Assisi, e questo non fece altro che riportare i problemi avuti ad Assisi anche a Terni[29].

A Terni la vita fu difficile, basti pensare che eravamo giunti senza soldi e andavamo a mangiare in mensa alla sera. Per andare e tornare dalla mensa ci mettevamo quasi quattro ore, il tutto rigorosamente a piedi! Poi con qualche lavoretto qualche soldo ci è entrato in tasca, ma il primo lavoro decente arrivò a Pasqua dopo essere stati in televisione, ma non ce lo hanno trovato i mass-media.

 

                       (ii)      Marzo-L’interessamento di TV e giornali.

A Terni finalmente si ha una svolta. Grazie ad un poliziotto e ad un giornalista appare un articolo su di noi e sulla nostra vicenda, sulla prima pagina di Terni del giornale. L’articolo ha  l’obiettivo di smuovere un interessamento del comune di Terni, non tanto per la Procura di Perugia.

 

Il comune di Terni ignora l’articolo come pure la Procura di Perugia, ma attiriamo l’attenzione della televisione. Finiamo in Marzo 2007 in diretta televisiva su RAI DUE, nella trasmissione “Piazza Grande” condotta da Giancarlo Magalli[30].Si apre un po’ d’interesse nel fronte dei media che non avrà comunque tutti i risvolti desiderati. 

                

Magalli fece un appello rivolto particolarmente all’Umbria, per aiutarci a trovare una sistemazione dignitosa ed un lavoro adatto, ma non si attivò nessuno in Umbria come era già in provincia di Brescia. Avevamo avuto un’offerta dalla Calabria, ove una vedova ci offriva un tetto e un piatto di minestra, ma vi erano problemi per trovare lavoro e la casa era in campagna ed isolata.

 

                     (iii)      Marzo -La richiesta alla Procura di Firenze

In Marzo ’07, visto che il magistrato di Perugia non ci voleva parlare, chiedemmo l’intervento della Procura di Firenze per “lesione del diritto della difesa” e inviammo in allegato l’articolo di giornale relativo alla nostra storia.

Firenze è competente sulla procura di Perugia. Da Firenze il magistrato chiede informazioni sul procedimento a Perugia. Perugia risponde mandando una sorta di notifica a mezzo mondo (Questura di Terni, carabinieri di Città di castello, carabinieri di Padova* ed altri nominativi…). Ci scrive una cosa già risaputa ovvero che il magistrato non vuole parlarci perché non sono specificati i motivi, il che non è nemmeno vero[31]. E’ la risposta al nostro articolo di giornale comparso sulla sezione di Terni che era in allegato alla denuncia presentata a Firenze. Perugia invia la notifica, unitamente all’articolo, anche ai carabinieri di Padova*, indicando al maresciallo P.P[32], nel caso in cui non se ne fosse ancora accorto, che siamo a Terni.

 

Sarà la Questura di Terni ad inoltrarci la comunicazione  il 23 maggio ’07; inoltre apprendiamo che la denuncia fatta a Città di castello a metà di Dicembre ’06 era stata trasferita al primo magistrato  T.C. ovvero quello che aveva già in carico il procedimento precedente proveniente da Napoli (la denuncia fu inserita come integrazione).

 

Non capiamo perché il magistrato, avendo i nostri riferimenti, non inviò la comunicazione direttamente a noi, come tra l’altro aveva già fatto con le comunicazioni precedenti. Forse perché aveva perso il nostro numero di fax e/o e-mail? Lo sapeva che non eravamo reperibili all’indirizzo di residenza, i motivi glieli avevamo spiegati alla sua segreteria nel 2006, e messo per iscritto in quei documenti che avevamo depositato presso la sua Procura, successivamente preso i carabinieri di Città di castello. E come facevamo noi ad avere un indirizzo fisso, quando eravamo costretti a spostarci di zona in zona?

 

 Solo a giugno ’07, di buon mattino, dopo che segnalammo la questione ad altra autorità esterna, ci venne spedita direttamente da Perugia quella pagina di fax trasmessa alle varie questure e caserme.

Importante: vedere anche a pagina 29La questione della

 

[APPROFONDIMENTI: Vedi Procura di Firenze]

 

                     (iv)      Il lavoro.

A Pasqua Giovanna trova un lavoro, che durerà fino a inizio gennaio dell’anno successivo. Non prende molto, ma finalmente si può cominciare a fare la spesa e mangiare decentemente. Molti di questi soldi finiscono in cure mediche per problemi che si erano accumulati negli ultimi anni e che non si era potuto intervenire prima. Matteo nell’estate si ammala e in novembre è pure ricoverato d’urgenza. In queste condizioni non si riesce a iniziare una nuova vita indipendente.

 

                       (v)      Aprile- Segnalazione della nostra situazione alla Procura di residenza

Il 19 di aprile ’07 segnalammo il nostro “status” alla Procura di Padova tramite un fax e una lettera raccomandata. Vi riportiamo parte del testo iniziale:

“Dal 3 giugno 2005 abbiamo dovuto allontanarci “forzatamente” dal Veneto e dalla nostra abitazione di residenza, lasciando tutto com’era…”

 

[Riferimenti: vedi carteggio con la procura di Padova ]

 

                     (vi)      Luglio - L’inizio delle comunicazioni alla Questura di Terni

L’evento scatenante delle richiesta di aiuto alla Questura sta nello sfratto impostoci dalla CarPietas*, unita alle minacce del loro buttafuori albanese, che a detta sua, per lo scopo si sarebbe avvalso della polizia.

Il nuovo direttore “Venetose” si era sempre rifiutato di incontrarci, a differenza di altri ospiti, come una rumena, arrivata un giorno dopo di noi, per la quale però non era previsto alcuno sfratto: appurammo che le regole esistevano ma si applicavano solo a loro discrezione. Appena giunti a Terni avevamo firmato un contratto di permanenza in CarPietas* per due mesi, che però non erano così vincolanti per le famiglie ma solo per i singoli (vedi badanti).

A conferma di ciò vi erano donne presenti da mesi, famiglie di stranieri posizionate negli appartamenti da più di due anni. Dopo che divenne direttore questo soggetto , tutto cambiò, repentinamente, almeno per noi.

Appunto per evitare lo sfratto eravamo ricorsi al giornale, e poi in televisione: solo dopo ci permise un colloquio. Durante quel colloquio il direttore era quasi offeso: la CarPietas* non aveva mai sfrattato nessuno, perché mai eravamo andati dai giornali a scrivere questo? Spiegammo che la nostra era solo una richiesta d’aiuto: allora ci promise che ci avrebbe aiutato a trovare un appartamento in affitto, a versare una caparra, poi con il tempo avremo restituito tutto.

Circa un mese dopo non solo non manterrà alcuna promessa ma invierà una raccomandata contenete uno sfratto vero e proprio, per farci lasciare il letto che avevamo in uso nelle rispettive case d’accoglienza. Forse il non voler far brutta figura con i media, aspettando che si smorzasse il tutto.

Non avevamo ancora ritirato la raccomandata, chiedendoci chi diavolo ci cercasse a quell’indirizzo. Tuttavia la CarPietas* era convinta che fossimo in possesso della comunicazione.

E ci mandò il loro “buttafuori” albanese. 

La polizia ci aveva già aiutato, qualcuno di loro aveva fatto da “intermediario”, anche perché poco tolleravano alcuni operatori CarPietas*, un po’ troppo “marescialli”. Altri invece erano in pieno sodalizio con la CarPietas*, anche con questo albanese, e se avesse chiesto loro di sbatterci in strada lo avrebbero anche fatto.

Per quello che potevamo, avevamo tentato in ogni modo di porre fine a questa guerra, scrivendo che ogni malinteso può essere chiarito, sia a Terni che in altri luoghi, specie a quelle che ci avevano chiuso la porta senza conoscerci. Fu tutto inutile.

La CarPietas* voleva solo che ce ne andassimo: i nostri problemi erano affari nostri, dovevamo arrangiarci e non ne volevano sapere (le stesse persone un mese prima lamentavano un’eccessiva chiusura e diffidenza da parte nostra !!!!).

Questi aspetti sono approfonditi nella Parte XV.

 

                   (vii)      Le comunicazioni successive alla Questura di Terni

Dopo la prima comunicazione alla Questura le cose si calmarono in CarPietas*.

Il 27 settembre ’07 segui un altro fax, nel quale tenteremo di spiegare la nostra situazione e i motivi per i quali insistiamo a chiedere aiuto.

Il 22 ottobre ’07 li invitiamo a guardare dei video documentari da noi prodotti e pubblicati su YouTube  che parlavano dell’ambiente Veneto dal quale eravamo usciti (vedere punto  (viii)).

Il 22 novembre ’07 inviamo un referto medico del dottor Manini* di Terni che indicava lo stato di salute di Matteo. Il 28 dicembre ’07 consegniamo a mano un dossier sul nostro caso.

LA POLIZIA NON SI METTERA’ IN CONTATTO CON NOI PER QUESTE COMUNICAZIONI. Queste non andranno a chi già ci aveva aiutato ma ad un altro soggetto, che non sarà disponibile ad incontrarci.

 

[Riferimenti:Carteggio con la Questura di Terni]

 

 

                 (viii)      I nostri video documentari prodotti nel 2007

I nostri video documentari rappresentano l'ambiente Veneto nel quale abbiamo vissuto per più di 30 anni, un ambiente tutt'altro che calmo e tranquillo. Un ambiente ricco di terrorismo, Nazismo, contatti con le forze Nato dei gruppi paramilitari di estrema destra. I quattro video documentari di base, sono stati da noi prodotti in ottobre 2007, per tentare di spiegare l’ambiente malsano dal quale siamo usciti: abbiamo utilizzato tutti gli strumenti possibili per far capire che proveniamo da ambienti poco idilliaci.
Introduciamo qualcosa qui:

Il Fascismo dopo la seconda guerra mondiale, con la caduta di Hitler, ha cambiato la sua identità, e seppur "sconfitto" sulla carta, ha continuato a comandare attraverso i suoi funzionari, fondatori di varie logge massoniche o nella stessa forma mentale della popolazione: ha continuato ad esercitare il suo potere in forma nascosta. Il fascismo in Italia non è mai uscito di scena, anzi proprio in Italia si trovano le radici del fascismo universale, come scrive l'esperto Allen Douglas. Oggi il fascismo è attuale più che mai, ed  è tornato a comandare attraverso il controllo traversale dei partiti politici tramite le logge massoniche, e la mafia. Nei documentari parliamo di  quell'entità esoterica, quel fulcro , quel dio, in cui hanno origine comune la massoneria, il fascismo, nazismo, mafia, terrorismo nero. Questo documento si sviluppa in una serie di video documentari in inglese, fondendo le nostre storie personali, l'ambiente  ove siamo nati e la storia italiana fatta di intrecci tra mafia, massoneria, fascismo, terrorismo, stragi di stato.  Non è un caso, dunque, che con il tempo ci si accorga come  chi fa attività industriale di giorno, lo puoi trovare di notte a fare il terrorista, come ad esempio Delfo Zorzi di Arzignano (VI). Nell'ambiente universitario di Padova puoi trovare un Freda ed un Ventura. Nelle ville venete un incontro segretissimo tra Andreotti e....  Può non essere raro trovarsi un parente che fa parte dei gruppi paramilitari di estrema destra addestrati da generali delle forze NATO... o un’amico dello zio che…  Il collegamento tra i Naziskin, il calcio ed il terrorismo nero. Oppure scoprire che i nostalgici della Serenissima, che assaltarono il campanile di Venezia, provengono dalla bassa padovana.   Insomma un mondo molto diverso dai luoghi comuni o da quello che ci si poteva aspettare.

[Riferimenti: http://www.youtube.com/uniquewarn ]

 

                     (ix)      Lo stato di salute di Matteo

Matteo nell’estate si ammala e in novembre è pure ricoverato d’urgenza con grande preoccupazione dei medici.La sua malattia è originata da un’altra patologia pregressa, dunque sono stati fatti molti esami per trovarne l’origine, ma non sono stati riscontrati elementi significativi. Dunque la situazione è dovuta probabilmente alle condizioni di vita, allo stress, alle mancate cure, alla vita in casa di accoglienza (che prevede l’uscita alle 8 di mattina e il rientro pomeridiano, anche in condizioni di febbre). In queste condizioni probabilmente l’organismo si è indebolito fino a creare le condizioni che anche una normale infezione, come ad esempio un mal di gola, possa degenerare in situazioni gravi. Era da parecchio tempo che facevamo presente che eravamo in condizioni precarie di salute e avevamo bisogno di un reale interessamento, lo avevamo fatto anche per iscritto ancora al magistrato di Perugia, risolto con un nulla di fatto . Non avevamo la possibilità di mettere residenza, nelle case di accoglienza non era permesso, e non avevamo la possibilità di essere seguiti da un medico, a parte le urgenze.

Dopo il ricovero speravamo che la CarPietas* ci assegnasse l’appartamento che era rimasto libero, invece lo assegnò ancora ad altri stranieri.

 

                       (x)      Minacce e bullismo

Il 18 di gennaio ’08 segnaliamo alla Questura di Terni degli atti di bullismo da noi subiti, ma per paura non indicheremo fino in fondo quanto accaduto, che sarà reso più completo invece successivamente alla Procura di Firenze.

 

[Riferimenti:Carteggio con la Questura di Terni]

 

In Questura il fax del 18 gennaio 2008 è assegnato alla squadra mobile, diversamente dagli altri,  che sono andati all'anticrimine. Questa volta il commissario ci convoca per sapere se intendiamo fare denuncia o querela dei fatti indicati nell'esposto del 18 gennaio. Ormai siamo andati via da quella casa ove si erano verificati gli atti di bullismo, valutiamo dunque di lasciar perdere un'eventuale denuncia. Gli chiediamo:-"Perché per questo esposto ci avete chiamato e per gli altri precedenti no?". Ci rispose che gli altri non sono considerati importanti, “stronzate insomma” (parole sue). Ogni ispettore decide cosa fare: per il documento assegnatogli aveva deciso di interpellarci. Gli raccontiamo a voce altre cose gravi, non scritte. Il commissario ci dice che probabilmente sono fatti non correlati con gli atti di bullismo e gli altri fatti : - "Chi volete che vi possa fare queste cose, cosa siete voi?". Scherza dicendo: -"Che segreti avete? Volete fare cascare il Governo-?" E noi gli rispondiamo in tono scherzoso:-"No, il Governo è già caduto" (infatti era appena caduto).

Il commissario è curioso, e per metterci a nostro agio comincia a parlare della Lega, il partito politico, forse per familiarizzare con noi che siamo del Nord. Insomma parlando scopriamo che non sa tanto della nostra storia. Notiamo che esiste un nostro fascicolo, all'interno vi sono tutti i fax che abbiamo inviato eccetto il dossier di 65 pagine, consegnato diversamente dagli altri, a mano in data 28 dicembre ‘07. Al suo posto vi è solamente una stampa di circa 7 pagine della "testata" web  e basta. Gli chiediamo come mai non è inserito con l'intero incartamento, ma non sa risponderci in maniera esaustiva: -"Probabilmente ha preso un altra strada" ci dice. Notiamo che è comunque curioso, anche innervosito, e si stava certamente chiedendo cosa vi fosse in quel documento di 65 pagine più 2 pagine di presentazione. Gli mostriamo pure il timbro della questura che ci è stato apposto sulla copia consegnata. 
Capiamo dal colloquio che il commissario ha informazioni sommarie sulla nostra storia. Si è certamente letto qualche fax, ma ha un'idea di fondo che gli proviene da qualche discorso dei suoi colleghi. E' convinto che i nostri problemi siano fittizi, è tipico per noi trovare queste persone anche all'interno delle forze dell'ordine.
Per fargli capire che la cosa è più seria gli mostriamo la dichiarazione del magistrato che "attestava" la scomparsa dei nostri esposti-denunce  in Procura, tanto per dargli un'idea che il problema di base è di ben altra natura. Letta la carta del magistrato anche questo ispettore inizia a confondersi e perde tutta la sua sicurezza. Nessuno vuole credere che possano accadere tali cose. Dopo un pò comincia a capire. Si scoprono tante cose con un colloquio, incluse le chiacchiere di corridoio, che forse tali chiacchiere non sono un semplice frutto dell'ignoranza, ma di un qualcosa più grave.
Alla fine ci ha invitato a firmare una dichiarazione che non intendevamo procedere con la querela per i fatti descritti nell'esposto del 18 Gennaio. Abbiamo dovuto battagliare affinchè in quel documento non venisse scritto il nostro attuale domicilio. Insomma, anche i Carabinieri in altre occasioni, ci avevano detto, di non indicare il domicilio ma di comunicarlo, per questioni di sicurezza, verbalmente a solamente a uno di loro. Il  Commissario vuole scriverlo ma a noi  non piace. Egli non ci ha trovato quando ci ha cercato, alla fine aveva consegnato la carta a degli stranieri e poi era arrivata a noi tramite alcuni giri di mani. Perché scrivere il nostro domicilio? Alla fine lo convincemmo, che se serviva, eravamo rintracciabili lo stesso, e quando la Procura di Roma o di Perugia ha voluto comunicarci qualcosa lo ha fatto tramite fax. A quel punto il commissario sembra smarrito: la Procura ci ha scritto direttamente? Ma gli risulta che non riescono a comunicare con noi....... Eppure i fax della Procura ce li ha in mano, scritti di proprio pugno dai magistrati...........
A questo punto ci chiediamo che fine ha fatto il documento del 28 dicembre '07, il dossier di 65 pagine più presentazione? Non siamo stati convocati per discuterne, mentre il nostro commissario era convinto che fosse "tutto lì". E perché non ci hanno chiamato visto che non è stato archiviato come gli altri?
 

                     (xi)      Perdita del lavoro e fine del periodo di Terni

Dopo Matteo in ospedale d’urgenza, dopo il bullismo e le minacce di morte vi è stata pure  la fine del lavoro a Terni, all'inizio di gennaio 2008. E dopo non siamo riusciti a trovarne altri, e in due mesi siamo ritornati completamente poveri. Nell’ultimo periodo vissuto lì  non avevamo più soldi, mangiavamo molto poco. Abbiamo deciso di partire a cercare un aiuto in altra regione. Non pensavamo, dopo essere stati in TV, che potessero tornare i tempi brutti di quando pativamo la fame, in tenda sul lago d’Iseo. Partire da Terni è stata dura, perché comunque in quella città conoscevamo qualcuno, e veramente ci sarebbe piaciuto ripartire da lì..

 

                   (xii)      Sul motivi che hanno impedito il porre radici e residenza a Terni

A Terni abbiamo ricevuto per un determinato periodo l’appoggio della stampa umbra e della televisione nazionale. Nonostante tutto abbiamo dovuto subire la “guerra” che ci fece l’ambiente Veneto attraverso la CarPietas* ed altre persone, dietro le quinte, ed è proprio questo il fattore principale che ci impedì di rifarci una vita a Terni e mettere residenza.

Altri fattori sono:

1.       Non abbiamo mai avuto la possibilità di avere un locale ove mettere residenza e poter dunque chiedere aiuto anche agli assistenti sociali del comune. Comunque un comune può aiutare anche i non residenti, la pratica è più lunga, ma esiste ed è legale. A Terni in contatto con il comune vi era il giornalista che pubblicò l’articolo, ma il comune di Terni non mosse un dito per aiutarci.

2.       Matteo si ammalò e non ebbe modo di curarsi con decenza, continuò a vivere in casa di accoglienza dovendo stare tutto il giorno fuori, anche con la febbre. La malattia culminò con il ricovero d’urgenza in novembre ‘07.

3.       Nelle condizioni citate Matteo non era in grado di fare un lavori pesanti, come muratore, che si trovava più facilmente, e comunque gli stessi imprenditori preferivano gente più giovane. Matteo non fu aiutato a trovare nessun lavoro fattibile.

4.       Giovanna trovò per conto suo un lavoro che rendeva pochi soldi e senza contratto. Fu lasciata a casa senza preavviso all’inizio di gennaio ’08. I padroni di Giovanna erano ricchi, avevano palazzine ed appartamenti e alberghi, ma non vollero mai affittarle nulla. Preferivano dare la case a marocchini, rumeni o al comune.

5.       Buona parte dei guadagni finirono per cure mediche urgenti.

6.       Seppur richiesto, non fummo aiutati ad avere uno “start up” iniziale per pagare le mensilità di caparra un appartamento, ci fu solo promesso, e non riuscimmo a mettere via i soldi per quanto detto nei punti precedenti.

7.       Le azioni di bullismo nei nostri confronti e le minacce avevano reso Terni pericolosa. Nell’ultimo periodo la casa di accoglienza si era riempita di criminali. I loro “cult movie” erano i film sul padrino e le fiction sulla mafia, un vero esempio di come si doveva essere uomini a loro dire.

In sostanza la Terni del comune e la Terni della CarPietas* non ci hanno voluto. In dicembre ’07 constatammo di persona che uno degli appartamenti della CarPietas* si era liberato: invece di metterci noi ci misero una famiglia di extra comunitari. A noi invece ci diedero lo “sfratto” del letto definitivo per la ristrutturazione della casa di accoglienza.

 

Parte X.                     Matteo e Giovanna in RAI

In Umbria in marzo 2007  si ha una svolta. Appare un articolo su di noi su uno dei maggiori quotidiani regionali.

L’articolo di giornale attira  l’attenzione della televisione. In  Marzo 2007 siamo ospiti  in diretta televisiva   nella trasmissione “Piazza Grande” di RAI DUE condotta da Giancarlo Magalli[33] e trasmessa dagli studi di Via Teulada in Roma.  Alla fine dell’intervista Magalli lanciò per due volte un appello affinché ottenessimo aiuto e soprattutto che ci trovassero un lavoro[34].

 

Dopo l’apparizione TV ci dicono che il servizio è andato molto bene e che aveva già cominciato a telefonare gente in trasmissione. Peccato si trattasse di gente che segnalava gli annunci del settimanale “Famiglia Cristiana”, in cui chiedono solo persone referenziate o con una lettera di presentazione e già scaduti. Fa eccezione la vedova di un paesino calabrese, che ci avrebbe dato un tetto ed un piatto di minestra, ma non vi era lavoro.

 

Scrisse in redazione un parente di Matteo.

Il nostro comune di residenza fece scena muta.

 

In trasmissione ci fu tassativamente proibito di parlare di magistrati, e delle cose accadute in Procura e nel nostro paese di nascita. Facemmo riferimento a tutti quei problemi come cose di burocrazia.

 

 

Parte XI.                  Il periodo Abruzzo e Marche

 

.01    Il periodo Abruzzo. Fine  marzo –inizio di maggio ‘08

                         (i)      Premessa

I locali ove abitavamo a Terni dovevano essere ristrutturati e così in marzo 2008, a due anni dal nostro arrivo in Umbria, prendevamo il treno per un’altra regione. Il  presidente dell’associazione, che gestisce le risorse della CarPietas*, alla fine aveva preso le distanze dal comportamento di certi suoi operatori, e si era attivato per cercare una soluzione in Umbria senza alcun risultato. La ristrutturazione fu l’occasione per mandarci via.

                       (ii)      Marzo 2008- L’aquila

Siamo arrivati a  L’aquila il lunedì della settimana santa del 2008. Siamo rimasti dieci giorni nel capoluogo dormendo il primo giorno vicino ad una fonte, e nei giorni successivi in vari istituti di suore, mangiando alla mensa dei poveri. All’inizio la CarPietas* del capoluogo ci diede alcune notti pagate da loro presso le suore, poi dal Venerdì Santo ci dovemmo arrangiare perché per le vacanze di Pasqua  la CarPietas* era chiusa vari giorni. D’altra parte la CarPietas* durante le feste è chiusa in ogni luogo. Riuscimmo a trovare posto, per misericordia, un giorno di qua e di là, passando e bussando, mentre pioveva o nevicava, per tutti gli istituti di suore e frati della città. Ci eravamo recati pure al  giornale della città,  che ci aveva promesso l’uscita in due e tre giorni, di un articolo su di noi, cosa che ci lasciava sperare, poi non fecero più nulla[35]. Il sabato santo lo abbiamo passato in albergo grazie alla colletta fatta da alcuni studenti stranieri, ai quali ci eravamo rivolti in piazza per chiedere aiuto. La CarPietas* riaprì mercoledì 26 marzo: ci spedì a Pescara, nel dormitorio. Ci dissero che comunque avremmo trovato aiuto e sostegno anche per il lavoro. In quei dieci giorni passati nel capoluogo abbiamo girato parecchio, ma non abbiamo trovato nessun lavoro e nessun aiuto per un alloggio provvisorio; alcuni segni fisici del freddo patito in quei giorni ci sono rimasti ancora oggi.  Parlando con alcuni stranieri, abbiamo scoperto che loro erano stati aiutati, e vivevano in stanze o appartamenti concessi in uso dalla CarPietas*.

Per noi italiani non vi è mai posto, eppure  L’aquila ci era sembrata una città ricca. Ora non più.

 

                     (iii)      Aprile 2008 -Pescara

Da  L’aquila ci spedirono a Pescara, una bella città, ed i cittadini  sono stati generosi, e questo forse ci ha permesso di resistere per vari giorni, a discapito di chi invece ricopre incarichi ufficiali, che di fatto non rappresenta, almeno in questo senso, i cittadini.

Il 27 Marzo 2008 entrammo nel dormitorio che abbiamo denominato "il lagher di Pescara", un posto simile ad un campo di concentramento, senza speranza.

                     (iv)      I problemi di Pescara

A Pescara venimmo a sapere che la CarPietas* aveva preso delle informazioni su di noi. Ci dissero “che vi erano delle cose non chiare sulla nostra situazione”. Non riuscivamo a capire quali fossero queste informazioni. Non riuscimmo a venire a capo di quali fossero queste cose, nemmeno con l’aiuto di un  prete che per un po’ di tempo rimase dalla nostra parte. Ci aiutò in tutti i modi possibili, ma nel frattempo finimmo a dormire effettivamente per alcuni giorni in strada, in stato di pericolo e non in buona salute.

 

Passammo altri giorni in strada e alcuni giorni in albergo grazie alla questua fatta per la città di Pescara e grazie al contributo economico del prete. Tentammo anche presso gli assistenti sociali di Pescara, e direttamente presso il sindaco di allora,  ma non ne venne nulla.

Il prete aveva tentato di trovarci un lavoro attraverso sue personali conoscenze, ma né noi né lui trovammo soluzioni. Il sindaco, alcuni mesi dopo fu coinvolto in uno scandalo di tangenti e si dimise. Pensammo che i soldi sti sindaci vogliono tenerseli tutti per loro!

 

                       (v)      Fine del periodo Abruzzo

Infine il prete di Pescara ci spedì a Roma da un altro prete, convinto questi ci avrebbe aiutato. Don Guido, al nostro arrivo alla sera, ci mandò via con un offerta dicendoci che Roma ingoia tutto, lanciandoci l’anatema:  “tanto vi ritroverete tra due giorni a puzzare come barboni”.

 

Da Roma partimmo per Assisi, in treno, per tentare di risolvere una volta per tutte il problema “delle informazioni non chiare sul nostro conto”, là dove si era originato. Venerdì 9 Maggio ’08,  arriviamo ad Assisi, c’era una manifestazione in piazza e vi erano molte persone per le vie fin mattina: abbiamo passato la notte fuori nei vicoli di Assisi. Alla riapertura degli uffici CarPietas*,  tentammo finalmente un approccio per capire cos’erano quelle “informazioni non chiare sul nostro conto” che ci avevano fatto dormire fuori a Pescara e creato tanti problemi quand’eravamo ancora in Umbria nel periodo 2006-2008.

Non riuscimmo a venirne a capo. Per quelle chiacchiere stavamo rischiando la pelle perché nessuno ci dava più una mano. Per difesa fummo costretti, dopo il tentativo di sistemare le cose con il dialogo, a dover descrivere all’autorità quei fatti.

 

                     (vi)      La denuncia di maggio 2008

Il 26 maggio 2008 facemmo un memoriale difensivo sotto forma di Esposto presso la Procura della Repubblica di Firenze che aveva come tema le “informazioni non chiare sul nostro conto” che giravano nei vari centri di raccolta dei poveri, chiedendo che intervenissero perché ormai più nessuno ci dava aiuto e stavamo rischiando di lasciarci la pelle. Non abbiamo visto nessun intervento, ce la siamo cavata attraverso la Provvidenza.

 

 

.02    Il periodo Marche

Finimmo in Marche dopo vari giorni passati in centri di accoglienza riuscimmo ad uscire da questi solo grazie a l'interessamento di una famiglia italiana della borghesia, che ci diede in uso gratuito uno dei suoi appartamenti. Siamo tornati  a vivere insieme sotto lo stesso tetto, trovare un lavoro estivo. Giovanna trovò da fare la cameriera e Matteo qualche piccolo lavoro.

 

                         (i)      Maggio 2008 Il periodo Marche

L’interessamento da parte della famiglia borghese era avvenuto attraverso uno dei loro figli, un giovane laureato. La famiglia aveva già aiutato altre persone in passato. Il laureato aveva molti problemi da risolvere e non nascose che ebbe molto giovamento dal fatto di interessarsi a noi. In particolare trovava costruttivo il dialogo e scambio di opinioni, al di fuori della sua solita cerchia di amici. Durante l’estate era molto frustrato dalla situazione che stava vivendo in famiglia, dei problemi con la madre e con il padre. In effetti era sull’orlo di un esaurimento.  Noi abbiamo tentato di aiutarlo: costituivamo una sorta di diversivo ed un modo per sfogare la sua tensione. Dei suoi problemi e della sua famiglia ne parlava assai troppo e andava a spifferare ai suoi parenti e ai clienti di suo padre fatti troppo riservati. Lo consigliammo più di qualche volta di andare da una persona di mestiere, un psicologo o psicoterapeuta, che avrebbe capito e mantenuto una certa privacy.

 

Questo signorino da un lato voleva ricavare gloria e consensi per averci aiutato (in realtà la generosità era della sua famiglia) e dall’altro era una persona cinica, tirchia e calcolatrice. Verso novembre capimmo che era entrato in possesso di informazioni su di noi, e ciò non fece altro che aprire una falla sulla nostra sicurezza che determinò poi i fatti successivi per i quali dovemmo allontanarci dalla zona.

Superati i suoi problemi, il laureato ci scaricò: non servivamo più e doveva liberarsi di noi.

 

Passammo l’inverno in un appartamento senza riscaldamento e non fu facile. La famiglia borghese aveva la strana idea che per i poveri fosse normale stare senza riscaldamento.

 

                       (ii)      Sul lavoro in Marche

In Marche riuscimmo a trovare lavoro solo temporaneo, ma con i proventi, facendo molta attenzione, eravamo comunque riusciti a vivere fino a marzo ’09, in attesa dell’apertura di nuovi lavori. Potevamo farcela, ma fummo costretti a lasciare la zona e lavoro per altri motivi, similmente a quanto accaduto a Terni (vedi fatti di bullismo, esposto del 18 gennaio 2008).  

 

                     (iii)      La creazione della biblioteca degli esposti.

Durante il periodo Marche facemmo il lavoro minuzioso di sistemare e classificare i vari documenti inviati alle varie Procure raccogliendo tutto il materiale in forma digitale all’interno di cartelle e sottocartelle, inclusi elementi e prove. Nacque così la biblioteca multimediale. Questo lavoro durò qualche mese.

 

 

                     (iv)      La scrittura del documento sullo Stalker

Da gennaio ’09, con l’approvazione della legge, ci siamo trovati nelle condizioni di poter creare il primo documento completo sull’azione di stalking dei quali eravamo stati vittima. Documento richiese molto lavoro, circa cinquecento pagine e 1500 files,  fu ultimato in marzo e inoltrato alla Procura di residenza attraverso la Questura di Terni il 20 dello stesso mese.

 

                       (v)      Vivere di aria

Fuori stagione molti luoghi adibiti a residenze estive rimangono completamente vuoti, e vi sono molti lavori di mantenimento e ristrutturazione. Molti individui che lavorano nel campo edile hanno le chiavi per entrare dappertutto. Accanto ai lavori normali ci è sembrato di notare che si utilizza tali appartamenti anche per altri scopi. Pur facendoci gli affari nostri abbiamo dato fastidio involontariamente a queste attività che mal digerivano la nostra presenza.

 

Da ottobre 2008 la stagione lavorativa al mare era quasi finita e la zona dove abitavamo pressoché deserta. Avevamo tentato di trovare altri lavori, anche attraverso le conoscenze della famiglia borghese, ma non ne era uscito nulla. Lì eravamo isolati, l’ultimo bus passava verso le otto di sera. La città era troppo lontana per raggiungerla a piedi o in bicicletta e molti lavori serali in bar o ristoranti diventavano così impossibili da fare. Ci spostavamo in treno, ma dalla stazione all’appartamento vi era più di un’ora di cammino in una strada a tratti poco illuminata. Per vario tempo andammo a scrivere documenti in biblioteca con gli zaini in spalla.

 

A forza di vederci per la strada ci fermarono anche le forze di polizia, chiedendo spiegazioni del fatto che ci vedevano girare sempre a piedi, che lavoro facevamo e dove risiedevamo. Ci hanno fatto svuotare anche le tasche, ma non hanno trovato nulla di particolare. Avevamo spiegato che avevamo fatto il lavoro estivo e stavamo vivendo con quei soldi, e se troviamo con qualche lavoro di pulizie, ma non ci credevano tanto, visto che ci apostrofarono a dei loro colleghi come persone che “vivono di aria”.

Noi non avevamo assolutamente voglia di dire dove risiedevamo e nemmeno spiegare dove avevamo lavorato. Li avevamo pregati di lasciarci stare: questi non ci volevano mollare, avevamo anche dato il riferimenti dei carabinieri di Città di castello se volevano informazioni su di noi. Quegli agenti però qualcuno ce li aveva mandati, inventando chissà quale storia nei nostri confronti, per alcune dichiarazioni lasciatesi sfuggire da uno di loro. Questo  ci voleva accompagnare a casa, ma fu fatto desistere dai suoi colleghi che lo invitarono a lasciar perdere. Ci eravamo resi disponibili ad andare da loro il giorno dopo se l’agente voleva approfondire la nostra storia, ma questi era solo interessato a conoscere dove abitavamo. I colleghi lo dissuasero ricordandogli, tra l’altro, che egli non doveva essere in quella zona dove ci ha fermati, e si misero a discutere tra loro.

A noi sembrò di rivivere quanto era accaduto a Marone nel 2006 descritto a pagina 13La rete di controllo del territorio”.

 

 

                     (vi)      Fine del periodo Marche

Tra febbraio e marzo 2009, anche in questa città in Marche ricominciarono i fatti di sempre: intimidazioni, persone che ti aspettano sotto casa... più o meno con le stesse modalità che erano accadute a Terni dopo gli atti di bullismo. Fare la spesa e tornare in appartamento era diventata un’azione da guerra. Una sera di marzo delle persone ci stavano seguendo, hanno cominciato a rincorrerci: siamo fuggiti per il mare, e questi, presa l’auto scandagliarono tutta la zona. Sono arrivati fino alla riva del mare, puntando i fari anche in mare. Ci eravamo nascosti dentro un gioco per bambini, in mezzo alla sabbia ed al cellophane, ed essi con i fari continuavano a girare perché non potevamo essere spariti nel nulla. Poi se ne andarono, ma gli agguati si ripeterono varie volte. Segnalammo queste cose verbalmente. Vivevamo in una zona in cui d’inverno non vi era anima viva, i vari palazzoni erano vuoti e non c’era da stare allegri. Certamente non avremo ricevuto sostegno da quel carabiniere che ci ha fermato.

Abbiamo dovuto partire nuovamente facendo un salto nel buio, alla ricerca di un nuovo posto dove stare, anche perché non avremmo ottenuto assistenza e aiuto dalle autorità locali per quanto già scritto nel punto precedente ((v)).

 

 

 

Parte XII.               L’ultimo periodo

 

Dopo aver “evacuato” il Marchetornammo in posti già conosciuti per cercare prospettive di lavoro.Ma da agosto rimarremo nuovamente senza tetto, soldi e lavoro.

 

 

.01    Agosto, settembre e ottobre 2009

 

Da metà agosto 2009 stiamo viviamo in un piccolo ufficio non in uso, temporaneamente concesso per risolvere una situazione d’emergenza, ossia l’assoluta mancanza di soldi, di casa, di lavoro. L'ufficio è vuoto, è composto di una piccola stanza e di un bagno senza doccia.  I materassi e le coperte sono stati  forniti da una famiglia.

Non c’è acqua calda, non c'è un fornello, né una tavola, né un frigo, né uno straccio per lavare, ne  uno specchio: insomma a parte i materassi e le due coperte manca tutto il resto!.

 

Per  procurarci il cibo ovviamente cotto siamo passati di giorno in giorno per ristoranti e bar a chiedere se era rimasto qualcosa in cucina e per questo abbiamo fatto dagli otto ai 20 km a piedi al giorno. Ogni giorno dobbiamo ripartire e fare la stessa trafila.  Non siamo riusciti a trovare un lavoro e nemmeno a racimolare soldi, a parte qualche euro necessari per le medicine, per telefonare e per collegarci ad internet. In agosto poi si è rotto pure il nostro telefonino e questo ci sta causando altri numerosi problemi, ed è incredibile nessuno ci ha aiutato a ricomprarlo, neanche a darci uno di vecchio e usato! Vivere in queste condizioni è alquanto impossibile e tanto più trovare un lavoro.

 

Non ne possiamo più. Ora a fine ottobre è anche freddo ed è veramente difficile stare senza acqua calda, riscaldamento, e qualche bevanda o cibo caldi. La gente qua intorno è alquanto fredda e distaccata e il cibo scarseggia. In questa zona non ci sono mense per i poveri e non abbiamo soldi per prendere i mezzi pubblici per recarvisi. Non siamo riusciti a trovare un telefono e questo ci rende la vita ancora più complicata. Ce la stiamo vedendo molto brutta. Dove andiamo a chiedere una mano? Dai carabinieri di residenza?

 

Eppure basterebbe un po’ di più di solidarietà. Con un fornello e una bombola di gas riusciremmo ad essere più indipendenti. L’indifferenza uccide più della mafia.

 

 


 

Parte XIII.            Conclusioni

 

.01    In generale

Siamo rimasti sconvolti dall’ignoranza e dall’indifferenza che ci sono in Italia: quando eravamo  a Marone, in tenda, sotto la neve, non interessava a nessuno se morivamo, né ai carabinieri né agli assistenti sociali, né a chi faceva la colletta per i bambini poveri dell’Africa che non ci ha mai dato un piatto di minestra, né ai magistrati. Tanto nessuno sarebbe stato punito.

Eppure l’omicidio è un reato, e lasciar morire la gente o indurla alla morte non è sempre omicidio?

Così pure in altre città, così anche ora, abbandonati alle nostre forze.

 

Siamo rimasti sconvolti anche dall’uso della legge: anche se la legge è uguale per tutti, è l’applicazione della stessa che varia da persona a persona, perché la legge è soggetta all’interpretazione, alla comprensione, all’esperienza, alla competenza, allo spirito di servizio e alla volontà oltre che alla particolare situazione economica e politica dello Stato.

Se a Napoli, in procura, le nostre richieste di giustizia erano legittime e gravi, tanto da assegnarci in poche ore un PM dell’antimafia, a Perugia, trasferite di competenza, sono deragliate nella brutalità della burocrazia ed in procedimento di un magistrato ordinario. Parallelamente la CarPietas*  si è “prodigata” nel portare avanti la sua decisione sulla nostra vita, come evidenziamo  in dettaglio nella  Parte XVIl fumo negli enti umanitari”.

 

Ma noi chiedevamo solo di vivere del nostro lavoro, con dignità, senza aver contatti con parenti e con la loro rete, fin dal primo esposto del 5 ottobre 2004 (festa di Santa Faustina Kowalska). I successivi esposti costituivano la nostra civile e disperata difesa a quanto ci stava accadendo, ma a nemmeno questa difesa ci è stata consentita, perché è come se mai avessimo presentato nulla.

 

In questi cinque anni a causa di quel “male” Venetose tratteggiato nei documenti abbiamo perso tutto e rimasti senza più nulla, per salvarci la pelle abbiamo dovuto emigrare. Quel male ci ha rincorso senza mai darci tregua rovinandoci e facendoci terreno bruciato in ogni luogo. Siamo stati accusati delle cose più assurde. Tutto questo ha impedito che potessimo rialzarci, trovare amici e un lavoro decente. Siamo stati in televisione ed è stato fatto credere di essere stati aiutati, invece siamo stati costretti nei centri di accoglienza ad essere a contatto con le persone più infime, spacciatori, ladri, prostitute, extracomunitari pieni di rancore che immaginavano un’Italia più paradisiaca. Abbiamo subito minacce, atti di bullismo, ci siamo logorati fisicamente e siamo stati anche all’ospedale, senza ottenere mai l’attenzione di chi doveva analizzare il nostro caso. Molti hanno giocato con le nostre vite con la certezza di non dover rendere conto mai a nessuno, né ad autorità né alla propria coscienza.

 

Noi non possiamo uscire da questa situazione da soli perché il problema di fondo che continua ad agire è di natura criminale, e può essere risolto solo dalle forze dell’ordine e da chi amministra la giustizia. Se non si può risolvere il problema dateci un’altra identità come si fa con i pentiti.

 

Vorremmo ritornare a vivere.

 

 

 

 

 

 

APPENDICE

 

 

 

 

 

                                         

Parte XIV.           Considerazioni generali

.(A)            La questione della reperibilità

Come evidenziato nella Parte VIIL’allontanamento dalla regione dal 3 giugno ’05 non fummo più reperibili all’indirizzo di casa. Per tutte le comunicazioni , inclusi esposti e/o denunce, indicavamo di scriverci per posta elettronica o tramite fax. Eventuali fax ci venivano automaticamente inoltrati in allegato alla posta elettronica[36] . Quando il magistrato di Roma ci volle far pervenire la richiesta di archiviazione ci spedì un fax, lo stesso fece il magistrato di Perugia che ci rispose varie volte tramite fax, lo stesso fecero i carabinieri di Città di castello e la Questura di Terni.

 

Facciamo notare che molte persone, anche nelle forze dell’ordine, erano convinte in tono negativo che noi risultassimo non rintracciabili, si veda in proposito cosa pensava la Polizia di Assisi a pagina 39Il ritorno ad Assisi in maggio 2008”. Si veda anche le convinzioni del commissario di Terni tratteggiate a pagina 23Minacce e bullismo ed il comportamento del magistrato di Perugia a pagina 17, «L’irreperibilità “del magistrato” di »

 

.(B)           Fattori minori che incisero sulla decisione di fare il primo esposto

Oltre ai fattori elencati nella Parte II, nella richiesta d’aiuto alle autorità pesarono altri fattori e eventi minori: si tratta di “errori”,verificatisi in ambiti di uffici pubblici e/o bancari, li denominiamo problemi “burocratici”.

Di per sé molti di queste situazioni accadute non costituivano particolare importanza, e farle notare poteva il più delle volte apparire fuori luogo e inopportuno, ma nel complesso tali cose ci avevano reso la vita decisamente più complessa.

Possiamo però far notare che dopo l’invio delle prime testimonianze ai carabinieri le cose in tal senso sembrarono decisamente peggiorare.

Ad esempio una nostra pratica si perse varie volte all’interno degli uffici e dovemmo intervenire con vari solleciti e di persona perdendo molto tempo e pazienza; lo stesso capitò ad un bancomat che ci doveva essere consegnato, una residenza inizialmente respinta[37], il rifiuto, senza motivo, da parte del parroco del paese di nascita di volerci dare il certificato di battesimo per il matrimonio, l’errore di trascrizione del nostro matrimonio che ci portò a doverci interessare direttamente sul come risolvere il problema in comune, l’errore sulla tessera elettorale… sono solo alcune delle situazione vissute in Veneto.

 


 

Parte XV.              Il fumo negli enti umanitari.

 

Merita un discorso a parte quello che ci è accaduto in CarPietas*.

 

VOGLIAMO METTERE IN CHIARO CHE LA CarPietas* E’ INTERVENUTA A DARCI SOSTEGNO VARIE VOLTE E CHE SENZA TALI INTERVENTI SAREMMO PROBABILMENTE MORTI.  VOGLIAMO FAR NOTARE CHE QUALCUNO HA VOLUTAMENTE ED ABILMENTE FATTO ENTRARE IL “FUMO” DELLA DIFFAMAZIONE IN CarPietas* AFFINCHE’ NON OTTENESSIMO AIUTO E QUESTA SITUAZIONE E’ TUTTORA ATTIVA.

 

Questo fenomeno l’abbiamo già spiegato nel documento esterno “Caso_Stalker”:

{“Caso_Stalker.doc#La Reazione a Catena”} che invitiamo a leggere.

 

La CarPietas* è l’organismo attraverso il quale si aiutano le persone bisognose. La CarPietas* ha i propri centri ed uffici in varie parti del mondo, i centri più importanti hanno mense, case di accoglienza per immigrati e stranieri, servizi per i bisognosi, e si avvale di religiosi, personale proprio e volontari…In molti comuni italiani alla CarPietas* vengono dati in gestione i dormitori di proprietà del comune. In Italia la CarPietas* ha una posizione molto forte e molti cittadini italiani si rivolgono a chiedere aiuto e sostegno.

Famoso è lo spot che invita i cittadini a versare l’8 per mille del proprio reddito alla CarPietas*, tramite la firma apposta sui modelli Unico, perché questa aiuta tutti. Anche noi siamo stati aiutati dalla CarPietas*, ma il male “Venetose” è entrato anche in questi ambienti interferendo su tutto quanto la CarPietas* poteva fare nei nostri confronti, in modo che non potessimo ottenere aiuti e ritornare a fare una vita normale.

 

Prima dei fatti (punto .02) presentiamo come funziona La CarPietas*.

 

.01    COME FUNZIONA LA CarPietas*, oltre lo spot pubblicitario

Esprimiamo in questa parte delle considerazioni generali utili per capire a fondo la vicenda.

                         (i)      Come funziona la raccolta di informazioni in CarPietas*

I centri  della CarPietas* effettuano dei colloqui con l’interessato, raccolgono informazioni dirette, fanno fotocopia dei documenti d’identità, e trascrivono una relazione del tutto personale sul caso. I centri provvedono in genere a chiedere informazioni sulle persone agli altri centri, e se lo considerano opportuno alle famiglie di origine, al comune di residenza, assistenti sociali, ai preti e alle autorità di polizia. I vari punti CarPietas* sono generalmente collegati in rete e acquisiscono informazioni tra di loro, in alcuni casi si riservano di accettare le persone dopo essersi informati tramite i canali suddetti. Qui sorge però un problema: chi verifica che queste informazioni siano esatte o correttamente recepite? Essendo la CarPietas* un organismo privato non si può nemmeno discutere su questi aspetti, e le decisioni vengono prese unilateralmente, senza confronto o dibattito. In condizioni normali il cittadino per difendersi da controversie può agire in maniera legale, ma qui non può farlo, semplicemente perché chi si rivolge a chiedere aiuto non ha nemmeno un posto dove dormire. Come può esercitare i propri diritti in queste condizioni? In genere se capita qualche disquisizione in questi centri si viene estromessi senza possibilità di rientro e questa situazione si può ripercuotere nei vari centri collegati in rete per via della raccolta di informazioni. Questo può accadere in casi come il nostro, dove l’azione di stalking e l’azione delle famiglie di origine è stata portata avanti anche attraverso la diffamazione, entrata nel circuito stesso delle informazioni tenute a nostro riguardo.

 

Tra i vari casi da noi incontrati vi indichiamo un esempio fattoci da un operatore sulla raccolta di informazioni. Nel 2006 l’operatore  prestava servizio presso le carceri ci racconto che il procedimento di assistenza ai carcerati italiani era molto burocratico, perché prima di aiutarli si guardava l’indicatore del reddito ISEE e la CarPietas* prima di aiutarli si informava se avevano parenti con i soldi. Questo creava molti attriti perché invece per i stranieri tali procedure non si attivavano e alla fine si aiutavano solo gli stranieri. Nel caso come il nostro queste procedure non funzionano, perchè i nostri parenti hanno soldi ma certo non vogliono dividerli con noi.

 

                       (ii)      Problemi sulla Privacy

Prima dell’azione di Stalking che ci ha reso poveri, vivevamo dei frutti del nostro lavoro. Eravamo completamente indipendenti e conducevamo una vita normale come tante altre famiglie. Tuttavia, eravamo stati costretti dal 2001, per nostra tutela, ad attivare seri provvedimenti per mantenere la nostra privacy. Con la povertà abbiamo dovuto chiedere aiuto ai vari centri e i nostri dati e la gestione della privacy ci è sfuggita di mano, costituendo fino ad oggi uno dei problemi principali che continua ad affiorare e a darci tormento. Abbiamo raccontato di come l’organismo  raccolga i dati sulle persone che si presentano a chiedere aiuto e come opera, quando lo ritiene necessario,  nel chiedere informazioni sulle medesime. Sebbene questa operazione abbia dei fondamenti comprensibili, nel nostro caso si rivela un vero e proprio problema. Acquisire informazioni dalle nostre famiglie, ad esempio per capire se hanno la possibilità di pagare un’assistenza o una retta, oppure per verificare la veridicità di quanto affermiamo, equivale dare loro delle informazioni riservate dirette ed indirette pericolose.

Il problema non è dunque nella CarPietas*, ma nella metodologia di acquisizione delle informazioni nei Centri  di contatto,  i quali non sono generalmente in grado di gestire un caso complesso come il nostro. Ovviamente anche la CarPietas* non è esente da talpe e traditori: si ricorda che il traditore per eccellenza è Giuda Iscariota, uno dei più intimi di Gesù Cristo, che deteneva la raccolta di denaro destinata ai poveri, era rimasto attaccato ai soldi, e che per soldi vendette il suo maestro vedi Vangelo di Giovanni).

 

                     (iii)      La burocratizzazione della carità

Le attività della CarPietas* sono molteplici e svolte nelle più disparate forme. Il carico di lavoro che si presenta è però ingente e le risorse spesso sono presentate come insufficienti a far fronte a tutti i bisogni. Per razionalizzare carico e risorse le varie strutture sono state burocratizzate e centralizzate, con tanto di personale pagato e personale volontario. L’iter per accedere a un servizio subisce molte volte le stesse influenze e comportamenti tipiche della gestione della “cosa pubblica” con tanto di pratiche, istruttorie e iter[38]. Il tutto  rende alla fine impossibili  gli interventi urgenti o particolari. In molti casi, come lo è stato per il nostro, il personale si limita a raccogliere i dati in schede, a fare un colloquio conoscitivo, presentare e descrivere la situazione nelle schede e prendere atto del problema senza risolverlo. 

Ad esempio, se si libera un posto in casa di accoglienza, occorre comunque per essere accettati, aspettare il colloquio con il personale responsabile, disponibile solamente in certi orari, se uno ha un’urgenza al venerdì sera deve attendere lunedì pomeriggio, e intanto risolvere in “altra maniera”.  Noi queste cose le abbiamo vissute sulla nostra pelle.

 

                     (iv)      La posizione di monopolio

La CarPietas*, per quanto da noi appurato, invita chiunque si trovi in contatto con le persone “bisognose” di dirigerli verso i propri centri di ascolto, mense…  organizzati per  risolvere le varie problematiche. Seppur questo comportamento abbia di base una certa logica, molte volte la CarPietas* stessa non è in grado di risolvere il problema, ed in vari casi questa azione si trasforma addirittura in un’arma ingiusta contro chi si trova malauguratamente nelle nostre stesse condizioni. Infatti dall’esperienza personale, non solo non viene risolto il problema ma  fa ostruzionismo su altre possibili soluzioni indipendenti. Nel caso concreto chiedendo a persone comuni , ad associazioni, e ad albergatori un aiuto di tipo personale, molti hanno obiettato che avevano esplicitamente ricevuto la disposizione di non aiutare direttamente nessuno, ma di mandare le persone stesse ai centri di aiuto predisposti, convinti comunque che i problemi là sarebbero stati risolti.

Le persone non erano bene informati: non sapevano, ad esempio, che il centro di ascolto ed accoglienza era chiuso per le ferie di agosto, che al fine settimana gli uffici erano chiusi, pensavano comunque che mense e centri fossero sempre aperti per le emergenze, come una sorta di supereroe.. Oppure non sanno che le mense esistono solo in certi posti, e che il pacco viveri consta di un po’ di riso, un po’ di pasta e due scatole di fagioli, che devono bastare per una o due settimane.

 

Qui però entrò in gioco un ulteriore fattore: la difficoltà a credere al “bisognoso”. Le persone da noi incontrate ritenevano non possibile una situazione del genere e il nostro comportamento solo una furberia per ottenere un servizio gratuito. Anche alcuni preti, ai quali ci eravamo rivolti, sono rimasti titubanti: se non si sono attivati gli “uffici centrali”, certamente non si sarebbero attivati neanche loro.

Questo meccanismo innesca un comportamento pericoloso tendente a sottovalutare il caso reale e creare un clima generale di diffidenza e disinteresse ed una profonda emarginazione.

 

La posizione di monopolio  genera così alcune anomalie, come il fatto che se per qualche motivo non si è graditi, si finisce in qualche maniera a non esserlo per l’intera struttura, provincia, regione, senza avere di fatto un’altra possibilità, un altro ente a cui rivolgersi, e le stessa gente viene indotta a non fornire aiuti “privati”, in virtù che esiste già un ente che funziona bene: la CarPietas* e solo a quello bisogna rivolgersi!

Ad esempio, spesso quello che viene avanzato da negozi e ristoranti confluisce ulteriormente nelle entrate di suore, preti, case famiglia….ma se un singolo cittadino ne chiede una parte gli viene negato, perché esiste appunto il supereroe-CarPietas* che centralizza le entrate.

 

Ma la  “carità” non può essere monopolizzata, centralizzata e burocratizzata. La carità non conosce ferie, la carità non si può fare di professione o d’ufficio, la carità non si può pianificare e in più prendendo le parole di San Paolo:  “La carità  è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” [San Paolo prima lettera ai Corinzi 13]…

 

                       (v)      La saturazione delle strutture di accoglienza

Centri di prima accoglienza non ve ne sono tanti. I posti disponibili sono pochi e sempre pieni, per lo più da stranieri che hanno saturato le realtà esistenti.  L’italiano che si trova a chiedere ospitalità non ha un trattamento privilegiato, di fatto dunque pur esistendo questi centri, li stessi non sono usufruibili perché sempre pieni. Queste condizioni finiscono poi per sventrare le famiglie, che sono costrette a dividersi per avere magari un letto in posti differenti, una situazione insopportabile per famiglie come la nostra, che si trovano a dover “lasciare” pure il proprio compagno di vita, dopo aver perso tutto il resto.

Siccome di stranieri in Italia ne vengono proprio tanti e finiscono per riempire tutti questi centri, sarebbe auspicabile che lo Stato, proteggesse in qualche maniera almeno i propri cittadini. Che senso ha essere cittadino di uno Stato se questi non ha nessun rispetto per i propri cittadini?

 

                     (vi)       I Centri di Accoglienza

I centri di prima accoglienza gratuiti, per risolvere il problema del dormire, sono generalmente organizzati per accogliere immigrati, girovaghi, ubriaconi, persone con problemi psichici, insomma gli “ultimi”. Non sono generalmente strutturati per accogliere famiglie, che eventualmente vengono gestite singolarmente in strutture femminili e maschili (se disponibili). Il tempo di permanenza massimo in queste strutture va dai  3 giorni a 10 giorni. In casi particolari, magari in posti convenzionati con il comune si raggiunge il mese di permanenza. Normalmente si può stare nei locali solamente durante la notte e vengono per questo chiamati “dormitori”. Gli orari di entrata e di uscita sono fissi, non vengono trattati casi particolari (ad esempio se stai male, non puoi riposare di giorno, al massimo se stai tanto male vai all’ospedale). Per entrare in genere occorre un colloquio preventivo con un responsabile. Non è possibile fare “prenotazioni”. Chi prima arriva ha diritto al posto. I centri di seconda accoglienza, e/o case famiglia o altri centri sono in genere delle strutture ove vengono inviati dei casi particolari o dei casi “privilegiati”. Normalmente non sono gratuiti e occorre che qualcuno paghi una retta, molte volte il comune di residenza o i parenti. Qui non vi è una particolare scadenza, la permanenza è subordinata al pagamento della retta. Tra i vari ospiti vi sono anche molte persone agli arresti domiciliari. In alcuni casi la CarPietas* può pagare per qualche giorno l’Hotel. In alcuni casi può mantenervi le persone anche per alcuni mesi. Appartamenti e/o soluzioni di tipo residenziale: un organismo come la CarPietas* può dare in uso appartamenti e/o parti di strutture anche per periodi molto lunghi o pagarne l’affitto. Generalmente vi accedono delle famiglie ad uso gratuito o tramite pagamenti d’affitto agevolati. Quelli posti a disposizione sono sempre pieni.

In generale, accanto a queste situazioni ve ne sono altre, molte delle quali sono raggiungibili solo attraverso una buona presentazione o con referenze. Resta però il fatto, che chi si presenta da solo (come noi), ai Centri di Ascolto, si trova di fatto a poter usufruire solamente dei servizi dei centri di prima accoglienza, senza mai riuscire ad uscire da questi, se non con l’accadimento di eventi particolari.

A fare la diversità è sempre la conoscenza o l’incontro di una persona  che si interessi direttamente al caso. Chi vive in queste condizioni per parecchio tempo si incattivisce, ed è più esposto al crimine e alla malavita.

Ovviamente, per il fatto che si può rimanere nelle strutture solo pochi giorni, si finisce alla fine nel girovagare da centro a centro, con grave danno per la salute, senza mai riuscire a trovare un lavoro decente. Insomma anche in questo caso, dai centri di prima accoglienza chiamati anche d’emergenza non si passa a quelli di seconda accoglienza più umani, semplicemente si continua a vivere d’urgenza fino a quando capita un evento esterno che determina la fine di questo tipo di vita (non si trova più posto e si diventa barboni a tutti gli effetti o capita un incidente, prostituzione, suicidio o qualche lavoro con vitto e alloggio).

Alla fine questi posti diventano un vero e proprio ricettacolo di delinquenti e diventano un covo di criminali legalizzati e noi per molto tempo abbiamo vissuto dentro questi ambienti.

 

                   (vii)      Due parole sul lavoro

Il lavoro è difficile da trovare per chi è in condizioni normali, figuriamoci in queste condizioni. Come si fa ad essere presentabili, ad avere il necessario per lavorare? Molti lavori sono pagati a fine mese, ma intanto a fine mese con che si arriva? Se si fa un lavoro normale non è possibile andare in mensa ad orari prestabiliti e non si hanno nemmeno i soldi per comprare niente. Non si hanno i soldi per spostarsi coi mezzi pubblici, non si hanno i soldi per telefonare, non si ha conto corrente, .. Per questo tutte queste situazioni sboccano solo in determinate direzioni, ovvero in lavori di badante con vitto e alloggio, in lavori precari e stagionali. Ma per un italiano anche questi lavori sono molte volte irraggiungibili per la concorrenza straniera. Gli stranieri sono organizzati molto bene tra loro, si passano i clienti, e chiamano all’occorrenza gente dal loro paese, e alla fine monopolizzano tutto il mercato. Per una famiglia italiana che futuro ci può essere in queste condizioni? Gli italiani non sono altrettanto organizzati.

Solo la Provvidenza o qualcuno che ti aiuti al di là dello “standard” permette generalmente di trovare un lavoro e di mantenerlo. C’è gente che crede che si possa lavorare di giorno e dormire di notte fuori in una panchina, ma queste sono leggende metropolitane, che hanno preso piede come modo di pensare tra persone con scarso senso della realtà. Dormendo fuori si finisce come barboni, e come barboni non si può lavorare: si puzza, si prendono le malattie, si rimane in uno stato confusionario e di stanchezza per tutto il giorno (anche senza essere ubriachi).

Nei centri di ascolto, nelle strutture e nel senso comune vi è l’abitudine di considerare povera gente chi viene nel nostro paese a lavorare ed è diventato di moda ad aiutare il povero straniero. Questo modo di pensare generalizzato è tuttavia profondamente errato e ingiusto. Noi abbiamo incontrato al là di stranieri veramente poveri, molti altri che vengono a lavorare in Italia, non perché poveri, ma per questioni di puro guadagno, per mettersi da parte in breve tempo dei soldi per sposarsi e/o farsi una casa. Altri vengono a fare la stagione. Questi hanno una famiglia e una casa dove tornare nel loro paese. Tuttavia molte di queste persone utilizzano temporaneamente o durante tutta la permanenza in Italia dei servizi destinati ai poveri, sottraendoli a chi ne avrebbe estremamente bisogno. L’equiparazione di queste persone agli italiani poveri è impropria. C’e’ caso e caso.  Chi, come noi, non ha una casa o una famiglia dove tornare, si trovano pure i servizi tutti intasati.

 

 

.02    I Fatti

.(A)            Brescia

                         (i)      In generale

La prima volta che tenemmo un contatto con i centri di ascolto della CarPietas* fu a Brescia. L’incontro avvenne il 28 dicembre ’05 con una dottoressa del centro “Porte aperte”. Prima di recarci all’appuntamento scrivemmo una lunga lettera, via posta elettronica, alla dottoressa, spiegando bene la nostra situazione. L’incontro  fu una grande delusione: dopo tanto attendere in tenda, l’unica possibilità erano dormitori per donne e uomini, dislocati in punti distanti tra loro. Ai dormitori si aveva accesso solo di notte: di giorno si doveva uscire, portandosi sempre dietro i bagagli, senza la possibilità di farsi il bucato. Per le donne ve ne era uno che dava anche la possibilità di lavarsi e di cenare, perché solitamente negli altri si dormiva solo. Vi era pure una lista per accedere ad appartamenti, ma non ci ha voluto iscrivere né spiegare perché. Come sostegno per trovare lavoro ci hanno indicato di leggere il giornale e gli annunci.

 

L’idea di andare in DORMITORIO a Brescia per noi era peggio della morte: con il rischio di essere derubati di tutto, senza soldi, senza più la possibilità di rialzarci economicamente, perché è difficile trovarsi un lavoro e lavorare in quelle condizioni. Insomma quella soluzione era la strada maestra per diventare barboni, come gli ospiti del dormitorio. E poi lì alla CarPietas* tutto era in funzione di quella vita da barboni: le docce ad una certa ora del giorno, in un certo posto, la distribuzione di pane e scatolette di tonno in vari posti ad una certa ora, la mensa aperta per un quarto d’ora a mezzogiorno. Oltre a sentirci dire che eravamo delinquenti e lavativi, e quella era la vita che ci meritavamo. La dottoressa  ci disse: “-Non permettetevi nemmeno di pensare di avere un appartamento, state volando troppo in alto”. Nel periodo gennaio-marzo ’06 ci furono fatte varie pressioni mentre vivevamo a Marone perché andassimo  nel dormitorio. Poi fummo costretti ad andare via e volammo molto alto, fino ad Assisi.

                       (ii)      Il primo fumo non si scorda mai

La CarPietas* di Brescia ci diede l’idea per la prima volta di come funziona la rete di collegamento tra le forze dell’ordine inserite nel territorio (nello specifico i carabinieri di Padova* e Marone), i servizi sociali dei comuni, e le chiese. In condizioni normali tali reti informative sono create con il senso di mantenere l’ordine e la giustizia, ma nel caso nostro tali rete produssero l’effetto contrario: di disordine e ingiustizia. Il problema nel nostro caso nasceva dai vizi e/o errori sorti in capo al nostro comune e carabinieri di residenza, propagatesi poi a macchia d’olio su altri enti, che entravano inevitabilmente in contatto con questi per ottenere informazioni sulla nostra persona.

 

Semplicemente se una persona veniva delineata come “paranoica” o “nullafacente” o “irreperibile” in capo alle autorità ove essa proveniva, veniva trattata in tal maniera in qualsiasi altro luogo, senza possibilità di riscatto. Il comportamento che aveva assunto il nostro comune quand’eravamo residenti diventò lo stesso comportamento dei comuni del Brescia, ed il comportamento dei carabinieri di Marone divenne lo stesso comportamento dei carabinieri di Padova*. Il comportamento della CarPietas* di Brescia si allineò a questi.

 

In pratica non dovevamo ottenere nessun aiuto così saremmo tornati in Veneto.

Nello stesso tempo appurammo che altre persone al contrario furono aiutate a trovare casa e lavoro, seppur straniere.

 

Vi sono alcune considerazioni da fare.

A Marone il parroco della zona non ci diede mai neanche un euro e nemmeno mai qualcosa da mangiare, mentre a messa faceva dei gran discorsi sulla carità e sul fatto di dover aiutare i poveri. Altro prete  aveva a disposizione molte stanze, perché ogni tanto ospitava il movimento dei focolarini, ma non mosse un dito. Un terzo prete invece di darci una mano chiamò i carabinieri. Eppure tutti questi sapevano che vivevamo in tenda in quelle condizioni, testimone era anche la famiglia che ci aveva dato il prato per la tenda e i bagni. I servizi sociali dei comuni sulla costa del lago non mossero un dito per aiutarci e lo stesso fecero i sindaci, informati pure loro.

 

Riuscendo ad andare fuori provincia, presso i servizi sociali di altro paese, capitò invece di incontrare una persona diversa. Tale assistente sociale, G.V., rimase meravigliata del comportamento del nostro comune di residenza: non si possono erogare soldi facilmente, però si ha il dovere di accertarsi di persona di quanto affermato dai richiedenti, cioè della vita in tenda.  La stessa persona contattò una casa di accoglienza, tal “Casa …”: le fu risposto che erano a conoscenza del nostro caso, ma non ci avevano inserito nella lista delle prenotazioni, perché era tutto a posto, se ne era incaricato lo stesso parroco di Marone. Questo purtroppo non era vero. Chi aveva informato quell’associazione in quei termini? Noi rischiavamo di morire di fame e di freddo e fuori di lì risultava tutto a posto senza nessuna emergenza?

 

Noi riuscimmo a uscire dalla tenda due giorni prima di Natale prima che arrivasse un’ondata di freddo che ci avrebbe stecchito: con le nostre forze attraverso l’insistente contatto con le persone del paese, ma non attraverso la CarPietas* o i preti o i sindaci. Tutto questo lo abbiamo spiegato bene nei documenti specifici inclusi nel carteggio relativo alla Questura di Brescia.

 

Riferimenti:

[I primi documenti in cui si cita ciò che successe a Brescia furono inviati alla questura di Brescia e  si trovano nel relativo carteggio. tale  documentazione fu replicata poi alla procura di Napoli (allegato “Beatrix2008.pdf”), di Perugia(idem Napoli),  e Firenze(allegato “fattiBrescia2006.pdf”]

 

 

.(B)           Assisi

Dopo tanta fame,freddo e ignoranza patita in provincia di Brescia riuscimmo a trovare il 23 marzo ‘06 a Assisi posto in una casa di accoglienza, ed a rimetterci in forze potendo riposare e mangiare decentemente.  A Assisi fu la prima volta che entrammo in una casa di accoglienza. Si trattava di una struttura più evoluta e non di un semplice dormitorio per barboni. C’erano anche delle soluzioni per le famiglie, ma a noi quella possibilità non fu offerta. A Pasqua Giovanna trovò un lavoro in un ristorante, che non era comunque sufficiente per diventare indipendenti e pagare un affitto. Si trattava tra l’altro di un lavoro stagionale. Matteo non riuscì  a trovare lavoro e non fu aiutato e/o introdotto nella rete sociale del  paese. Questo determinò l’impossibilità di uscire dallo status estremo di povertà.  A Assisi avremmo messo sinceramente residenza.  Purtroppo anche qui abbiamo potuto notare che alcune persone sono state aiutate in maniera più consistente, seppur straniere.

 

                         (i)      I problemi originatisi a Assisi in giugno ‘06

Si originarono i problemi che poi si ripercossero su tutti gli altri centri della regione.

I responsabili acquisirono  da subito varie informazioni come è d’uso (vedi pagina 31Come funziona la raccolta di informazioni in ”), e noi per l’occasione spiegammo,nel possibile, la dinamica di quello che ci era accaduto, mostrando a tal proposito, anche alcuni documenti “ufficiali”, come la ratifica della  denuncia querela presentata in Questura un mese prima. Dopo un po’ di tempo di permanenza in casa di accoglienza, il direttore, chiamò le nostre famiglie di origine a nostra insaputa, probabilmente proponendo a queste la possibilità di ospitarci nella struttura per più tempo con il pagamento di una retta.

 

I contatti con le famiglie d’origine  e con il personale del comune[39] si svolsero a nostra insaputa. Rimanemmo sbigottiti perché avevamo riferito, a tale responsabile, dei gravi problemi avuti con tali famiglie, tanto che la stessa Curia di Padova, dopo alcune indagini, ci fece sposare nel 2004, “per gravi motivi”, senza pubblicazioni ecclesiastiche, posticipando la registrazione civile a matrimonio religioso avvenuto.

 

Il contatto con il Veneto non ebbe un buon esito, di lì a poco, in Agosto 2006, fummo rimessi in strada grosso modo con le parole:-“Tornatevene in Veneto, là avete soldi e casa”.

Grosso modo capitò quello che era successo in provincia di Brescia dove le istituzioni erano state invitate a non aiutarci così saremmo stati costretti a tornare in Veneto.

 

Da lì, da quel contatto, con l’”abisso” Veneto, arrivarono nel circuito CarPietas*, varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti da quell’ambiente malsano.

Vedere pagina nove del {[Verbale dei Carabinieri -Città di castello 19.12.2006]}

 

 

                       (ii)      L’appello al vescovo

Per difenderci dalle diffamazioni facemmo appello al Vescovo di Assisi spiegando la nostra situazione e quello che era accaduto, ma i nostri documenti furono delegati proprio alla persona che aveva contattato i nostri familiari e che ci aveva messo in strada. Questo non fece che creare astio in tale persona, per il fatto che ci eravamo permessi di tratteggiare elementi negativi nella sua gestione. Persona che in quel periodo rappresentava l’intera CarPietas* regionale.

                     (iii)      Settembre - novembre

Dopo essere stati posti in strada in agosto dicendo di tornare in Veneto, in pochi giorni bruciammo nelle spese di albergo quei pochi soldi messi da parte da Giovanna nel lavoro. Il primo di settembre trovammo una soluzione di fortuna, che ci permise di rimanere ad Assisi fino a fine novembre, della quale era a conoscenza anche il vescovo. Incontrammo il vescovo varie volte senza però riuscire a parlargli più di cinque minuti e questo non permise di fargli comprendere la gravità della nostra situazione. In novembre di lavoro ve ne era poco, si facevano poche ore e i soldi bastarono appena per comprarsi da mangiare.

                     (iv)      La fine di Assisi

In novembre ’06 delle persone legate alla chiesa ci presentarono un signore a loro detta di origine friulana, interessato a darci un lavoro. Tal persona una volta incontrata ci rivelò essere di un paese vicino a Padova* (dunque poteva benissimo essere il nostro comune di residenza). La stessa attività di questo signore lasciava aperti molto dubbi, faceva discorsi per nulla attinenti ad un colloquio di lavoro. Del lavoro non se ne fece niente: avremmo dovuto vendere dei libri banali (ricette di erbe medicinali o di cucina) del valore di 10 euri ad aziende o vari esercizi commerciali: di questi avremo guadagnato una piccola percentuale. Impossibile mantenersi in questo modo, impossibile che questo signore presentasse lauti guadagni. Il venditore di libri era molto interessato a parlarci di brutte storie familiari, di incidenti di macchina, vicende private che erano accadute alla famiglia di Giovanna molti anni prima. Cercammo di rimanere impassibili. Poi si dilettò a parlare di droga e drogati con qualche uscita poco gradevole.

Le persone di chiesa non ci offrirono altre possibilità, anzi, erano convinte che questo signore riconcedesse aiuto per un appartamento. Ma non era vero nulla. Perdemmo anche questo appoggio e tornammo nuovamente in strada.

 

.(C)           Nei vari comuni della regione alla ricerca di aiuto

Ci spostammo in poco tempo in dicembre ’06 in vari comuni della regione, fino al paese di Città di castello per trovare un’altra sistemazione. Un prete ci suggerì di uscire dall’Umbria per i problemi che avevamo avuto ad Assisi che sicuramente si sarebbero ripercossi sull’intera regione[40]. In un altro paese della provincia un prete che non conoscevamo, per telefono fece intendere di conoscerci bene e ci apostrofò come “quelli che si fanno le ferie in Umbria a spese della CarPietas*”.

A T. trovammo un’assistente sociale in gamba, che ci ascoltò per un paio d’ore, e disse che poteva aiutarci, facendo la pratica per non residenti. La CGIL ci avrebbe aiutato a trovare un lavoro. Ora si trattava solo di…..lavorare in sinergia con la CarPietas*: ….e nuovamente la CarPietas* mandò tutto in fumo.

A Città di castello trovammo della gente che non amava tanto la CarPietas* di Assisi e ci accolse, anche se ci dissero che c’erano delle cose non chiare nei nostri confronti, riferendosi a informazioni che avevano preso da Assisi. Ricordiamo che a Città di castello andammo poi dai carabinieri per mettere vari fatti a verbale e chiedere un aiuto.

 

.(D)           La richiesta di intervento al magistrato del 27 dicembre 2006

Il 27 dicembre ’06 chiedevamo un intervento urgente al magistrato G.P. di Perugia per i fatti che stavano accadendo nel circuito CarPietas* , ecco una parte del testo del fax:

 

“… La situazione è aggravata dal fatto che le associazioni, come la CarPietas*, che in situazioni del genere si occupano di aiutare e tutelare le persone, è gravata da alcune diffamazioni nel nostro conto, sorte ad Assisi, e propagatesi nell'intera struttura regionale, le quali insinuano che siamo dei "niente di buono" che vanno errando per i centri CarPietas*, e che per convincere le persone raccontano delle storie inventate. La propagazione di queste notizie infondate, ci sta rendendo la vita impossibile e ci pone in serio pericolo, visto che tali notizie influiscono negativamente sugli operatori del sociale, chiudendoci sistematicamente possibilità di aiuto e lavoro...”

Il fax ci fu gentilmente spedito dai carabinieri di Città di castello: si trova nel carteggio di Perugia.

 

.(E)            Terni

                         (i)      L’arrivo a Terni

Arrivammo nella CarPietas* di Terni saltando il centro d’ascolto perché mandati direttamente da Città di castello. A Terni Matteo era ospite a casa Osvaldo  e Giovanna era nel centro femminile. Anche a Terni entrarono da subito nel circuito le diffamazioni sul nostro conto. Questo capitava sistematicamente in ogni luogo perché la CarPietas* chiedeva informazioni agli altri centri collegati in rete ove si era già stati come spiegato in Come funziona la raccolta di informazioni in  e alcuni operatori della casa di accoglienza si dichiararono amici della vicedirettrice di Assisi, quella che ci aveva sbattuti in strada in Agosto 2006 dicendoci di tornare in Veneto perché là avevamo soldi e casa.

Per smorzare i toni d’accusa e spiegare la situazione spedimmo il 22/2/07 un fax al direttore della CarPietas* di Terni, dott. A. Non ci fu risposto nulla in proposito. Subito dopo lo cambiarono, anticipatamente: elessero uno delle nostre terre, figlio spirituale di quello che ci aveva apostrofato per telefono “quelli che si fanno le ferie in Umbria a spese della CarPietas*”.

 

                       (ii)      In Questura e sul Corriere dell’Umbria

A fine febbraio andammo a chiedere consiglio in Questura per la nostra vicenda. La Polizia ci consiglio di provare a far pubblicare un articolo di giornale. Fu fatto un articolo e pubblicato in prima pagina sulla prima pagina di  Terni.

      

Anche dopo l’articolo non ci fu reazione da parte della CarPietas*[41].

Proprio nessuna reazione!

 

                     (iii)      Dal giornale  alla RAI Radiotelevisione Italiana

Ci contattò il giornalista  che ci informò di aver ricevuto una chiamata dalla RAI, alla quale interessava averci in trasmissione. In Marzo andammo sul programma TV Piazza Grande di RAI DUE. La notizia fu pubblicata nel giornale dell’Umbria il giorno stesso (vedi pag.25Matteo e Giovanna in RAI).

 

                     (iv)      L’incontro con il direttore della CarPietas*

Dopo l’avventura TV finalmente si aprirono le porte della CarPietas* e potemmo parlare con il direttore. Ma il giorno stesso dell’appuntamento, si piazzò davanti alla porta un albanese, responsabile delle case d’accoglienza[42], facendo una gran scenata anche con il suo collega Valentino, responsabile per la casa maschile, impedendoci a forza di salire nell’ufficio. Si riuscì a passare solamente dopo un’ora. Forse l’albanese non era stato messo al corrente, era persona irascibile, ed aveva attivo ancora l’ordine di impedirci l’accesso[43]. Non è sempre facile restare calmi, ma restammo calmi, anche perché se avessimo fatto qualche scenata, noi saremmo passati immediatamente dalla parte del torto e sbattuti subito fuori senza possibilità di appello.

 

[Questo evento si cita anche nel  Fax spedito alla Procura di  Firenze il 29/01/2009 pagina 1 “fatto terzo”].

 

Il nuovo direttore, originario della nostra stessa provincia di residenza, subentrato al dottor A., era un ammiratore del prete di “quelli che si fanno le ferie in Umbria a spese della CarPietas*”, pure lui Venetose[44] e ora in Umbria come noi.

Fu questo prete  a bloccare l’intervento del comune di T.. La CarPietas* ci diede una proroga e ci fece delle promesse che poi non mantenne. In un fax dell’11 Giugno chiedevamo di non accettare come oro colato qualunque affermazione di quel sacerdote, spiegandone i motivi, ma non servì a nulla.

Vedere anche  pagina 43, “Legami con il prete ?

 

                       (v)      Il “capetto” della CarPietas*

Verso fine marzo esasperati dal comportamento di un operatore della casa di accoglienza andammo a chiedere una mano in questura e dai carabinieri. Scoprimmo che tale operatore non era ben visto da qualche ispettore, che gli diede l’appellativo di “maresciallo” e “capetto”. L’operatore andava spesso in questura a diffondere le proprie tesi su alcuni ospiti della casa di accoglienza, noi compresi. Addirittura un carabiniere era stato informato sul fatto che non avevamo voglia di lavorare, e che avevamo rifiutato dei lavori offertici. Parlando con il carabiniere emersero cose contrastanti, e spiegammo dei lavori precedenti, e capì che quanto gli era stato riferito non corrispondeva alla realtà, tanto da chiamare subito in CarPietas* per segnalare come si era comportato uno dei loro operatori.   Cose di questa natura capitarono anche all’interno della Polizia. Un ispettore ci chiese il motivo per cui non avevamo accettato la soluzione abitativa che ci aveva fornito la CarPietas*. Sembrava che la CarPietas* ci avesse dato la casa, ma a noi tutto questo non è mai risultato! Le uniche case che potevano mettere a disposizione erano occupate da degli stranieri. Quelle strane idee che circolavano all’interno della Polizia erano pur nate da qualche persona.

Vedi anche le strane idee del commissario a pagina  23, “Minacce e bullismo

 

                     (vi)      I carabinieri di Padova* vengono a sapere che siamo a Terni

Il 7 marzo ’07 avevamo fatto un esposto alla Procura di Firenze sulla lesione del diritto di difesa e avevamo allegato l’articolo di giornale che ci riguardava. A seguito dell’intervento da parte della Procura di Firenze il magistrato di Perugia, in risposta a Firenze, spedì il 17 aprile una sorta di notifica alla Questura di Terni desumendo lo stesso nostro indirizzo dall’articolo di giornale. Quella notifica , insieme all’articolo fu spedita in molte altre parti, anche ai Carabinieri di Padova* , così anche ad Padova* vennero a sapere che eravamo a Terni[45].

 

                   (vii)      Lo sfratto e gli esposti mandati in Questura

Poi, come narrato in questo documento, ci diedero lo sfratto ufficiale[46], e da lì iniziammo i contatti per iscritto con la Questura di Terni. Poiché la nostra parola e le nostre persone non valevano nulla, chiedevamo l’intervento di una figura intermediaria: quella della Polizia.

 

Nel fax del 24 luglio diretto in Questura scrivevamo:

Tornando a Terni, dato l’interesse mediatico suscitato da TV e giornali  ci aspettavamo finalmente una certa apertura negli ambienti della CarPietas*,  comune e/o altri enti e associazioni.  La CarPietas* ci diede la possibilità di rimanere nelle case di accoglienza per più tempo, ma per il resto ci lasciò completamente da soli, continuando a farci pressioni perché uscissimo  il prima possibile. La CarPietas* non volle mai entrare in merito della nostra situazione e trattò il nostro caso come qualsiasi altro, ci promise delle soluzioni che poi non mantenne.. 

Avevamo bisogno anche di una forma di tutela e di rimanere invisibili a quelle forme di minacce provenienti dal Veneto che ci avevano rovinato la vita, cosa che evidentemente non possiamo  fare senza l’aiuto ed interessamento di qualcuno. La CarPietas* ci aveva promesso di aiutarci, anticipandoci ad esempio i soldi di caparra per le mensilità di un appartamento, e ci rassicurò dicendo di non aver mai messo nessuno in strada, ma purtroppo non ha mantenuto la parola data  Nello stesso tempo abbiamo notato come ad altri ospiti non sono state fatte  pressioni come nel nostro caso. Alcuni stranieri sono ad esempio  nelle case di accoglienza da più di due anni. Per altre persone la CarPietas* è intervenuta per trovare casa, lavoro o altre soluzioni e questo l’abbiamo constatato pure in altre zone dell'Umbria. La CarPietas*  è famosa per risolvere casi complessi.  Si instaurano diversi rapporti di aiuto agli stranieri e attuano progetti di tutti i tipi. Per le famiglie hanno delle soluzioni privilegiate, ma a noi fu sempre applicato un trattamento diverso, dovuto a chiacchiere e diffamazioni che hanno influenzato di fatto le possibilità di intervento nei nostri confronti….”

 

In sostanza pur di fronte “allo sfratto” e pressioni successive noi non ce ne andammo perché non avevamo altre possibilità. Matteo non stava bene fisicamente e Giovanna avrebbe perso nuovamente il lavoro. In novembre ’07 Matteo fu ricoverato d’urgenza all’ospedale.

 

                 (viii)      Cominciarono le azioni “cattive”.

Dopo aver resistito ai tentativi di sfratto e alle lettere amministrative, passammo ad una situazione peggiore. Mentre Matteo era all’ospedale capitò un episodio grave. Giovanna torna a piedi dall’ospedale verso le 22.30. Nel tratto di strada in prossimità della chiesa, scorge una macchina ferma in mezzo alla strada, sopra le striscia bianca, con i finestrini abbassati e la luce dell’abitacolo accesa, con dentro un uomo al volante.E’ “l’autista” di una certa persona, che pochi giorni prima ci aveva intravisto in Questura con un ispettore. Che ci fa l’autista sopra la striscia bianca, a quell’ora, con quel freddo ed i finestrini abbassati?

Giovanna procede per la sua strada: comincia a seguirla molto lentamente, poi la sorpassa e parcheggia davanti alla chiesa. Giovanna attraversa la strada per portarsi sull’altro ciglio, solo per questioni di prudenza, rallenta e si ferma, ma non può restare ferma lì per capire le intenzioni dell’autista che intanto ha tirato su i finestrini e chiuso la luce. Il ciglio della strada dà su un fosso, perciò Giovanna pensa che la macchina non può andare nel fosso per seguirla.  Giovanna riprende a camminare piano: quando è in prossimità di un passaggio che dà su un campo, la macchina parte accelerando a fondo e dirigendosi contro. Giovanna vede che non può scansarla in nessun modo e pensa al peggio. All’ultimo momento la macchina sterza. Il giorno dopo, sabato sera Matteo viene dimesso dall’ospedale e torna a dormire nella casa di accoglienza maschile. Non viene detto a nessuno del ricovero all’ospedale eccetto le comunicazioni effettuate alla Questura, con l’invio del referto. Al ritorno dall’ospedale  cominciarono dei fatti gravi di bullismo e minacce ALL’INTERNO DELLA CASA DI ACCOGLIENZA maschile.

Matteo ebbe il consenso di rifugiarsi  nella casa femminile insieme a Giovanna. Ma per giorni Matteo fu cercato nei dintorni da quelle persone e qualcuno tentò pure di entrare all’interno della casa femminile. Anche in centro della città dovemmo cambiare spesso strada e far perdere le tracce davanti a tale gentaglia (vedi pagina 23Minacce e bullismo).

 

                     (ix)      Fine del lavoro e chiusura per ristrutturazione

All’inizio di gennaio, dopo un mese e mezzo dall’uscita dall’ospedale Matteo era ancora molto debole. Giovanna fu lasciata a casa dal lavoro improvvisamente (non aveva contratto), la casa di accoglienza fu chiusa per ristrutturazione e non ci rimase in marzo che andare via. Un giornalista ci fece capire che avevano trovato il sistema per farci andare via, e forse aveva pure ragione, perché uno degli appartamenti della CarPietas* che ospitava una famiglia si era finalmente liberato, ma non fu dato a noi, ma ad un’altra famiglia extracomunitaria.

Vedere pagina  24Perdita del lavoro e fine del periodo di

 

                       (x)      L’associazione  di Terni

Il presidente dell’Associazione  che curava gli aspetti patrimoniali della CarPietas* passò con il tempo da una posizione di ostilità ad atteggiamenti positivi. Si capì in un secondo momento che le sue ostilità erano state generate da alcuni operatori che gli riferivano cose negative sulla nostra condotta, come avevano fatto all’interno della Polizia e dei carabinieri.

Nel momento che la CarPietas* chiuse la casa di accoglienza, il presidente dell’associazione  tentò personalmente di trovare un’altra soluzione in Umbria e in altra regione, senza risultati. Rammaricati noi partimmo per la Abruzzo a suonare i campanelli della CarPietas* anche là.

                     (xi)      Considerazioni finali su Terni

A Terni siamo stati aiutati da qualche ispettore della polizia e da alcuni giornalisti. Al contrario nessun interesse da parte del comune e del vescovo e ambienti affini, incluso elementi della polizia collegati  a questi ambienti.

Vi rimandiamo a pagina  24Sul motivi che hanno impedito il porre radici e residenza a ”.

 

.(F)            La reputazione

Con il tempo l’idea che girava su di noi divenne grosso modo questa:

“ ex imprenditori, che hanno  fatto i loro comodi, hanno  intascato dei soldi della società, hanno  fatto fallimento e ora cercano di passarla liscia, spostandosi in altre regioni,  gettando le loro colpe su questioni inesistenti allo scopo di  voler coprire le proprie malefatte.

Vivono di sotterfugi , e vogliono  essere mantenuti dalla CarPietas* non hanno fissa dimora, non vogliono inserirsi nel sociale e mettere residenza, passano il tempo cercando di, rubare  soldi o benefici  a chi cade nei loro  tranelli..

Prendono  in giro l’autorità andando dalle forze dell’ordine di varie città  a presentare dei foglietti di poche pagine[47], che chiamano esposti,  per indurle a dare loro una mano, anche nel convincere le  altre persone a loro volta ad  aiutarli. Non vogliono tornare in Veneto perché attendono che queste cose dei quali sono colpevoli cadano in prescrizione[48]

Gente ignorante che finge di aver studiato, addirittura all’Università”…

 

Ma anche la nostra reputazione non era qualcosa di prestabilito, possiamo dire di aver raccolto molti epiteti dalle più disparate parti. Ovviamente c’era chi si era dato molto da fare dietro le quinte per fare in modo che non venissimo fuori dalla situazione in nessuna maniera. Alle chiacchiere e alle diffamazioni non si riusciva controbattere, perché nessuno ci permetteva di chiarire la nostra posizione. La parola di determinati personaggi inseriti nella rete  era legge indiscutibile, le persone prendevano tutto per partito preso e agivano di conseguenza, un po’ come degli automi senza umanità e senza cervello. Queste chiacchiere non si fermarono nemmeno davanti l’azione pubblica del giornale e della televisione. Qualcuno si spinse pure a dire che l’articolo di giornale l’avevamo scritto noi e che avevamo ingannato pure il giornalista, oltre la CarPietas*!

 

.(G)            L’aquila e Pescara in marzo 2008

Dopo due anni vissuti in Umbria, dovemmo evacuare la zona per le insidie che si erano create. Giungemmo prima a  L’aquila e poi a Pescara. Chiedemmo assistenza anche qui alla CarPietas*, la quale ci aiutò inizialmente, ma in un secondo tempo ci disse che aveva raccolto informazioni sul nostro conto, e che da queste informazioni risultavano cose poco chiare e che di conseguenza non se la sentivano di tenerci nel loro centro. Ovviamente non ci dissero quali fossero queste informazioni, ma certo dovevano essere spaventose. Nel loro centro tenevano normalmente persone di ogni tipo. Noi dunque presentavamo un’etichetta peggiore, da veri scellerati, peggio degli zingari, spacciatori e ladri, che bazzicavano e che avevamo visto anche noi.

 

Quelle informazioni arrivavano certamente da altre associazioni di aiuto, in particolare dal direttore di Assisi. Non c’è da scherzare, perché per le etichette appiccicate addosso noi abbiamo rischiato più volte la pelle, perché nessuno ci voleva aiutare, oltre al fatto di trovarsi in situazioni insostenibili che non auguriamo a nessuno.

 

.(H)           Il ritorno ad Assisi in maggio 2008

Speravamo che bastasse cambiar regione, lasciare l’Umbria, ma l’esperienza in Abruzzo dimostrò il contrario. A maggio ’08 tornammo in Umbria , per arginare le conseguenze della reazione a catena delle chiacchiere, arrivate anche in Abruzzo. Lo stesso direttore della CarPietas* di Assisi, in una sua mail inviataci il 18 aprile[49] ‘08, ci invitava a rivolgerci al nostro comune di residenza, o a qualunque altro comune dove avevamo intenzione di fare un percorso di vita, sostanzialmente da qualsiasi parte ma fuori dalla CarPietas* e da Assisi! Così aveva deciso il direttore ancora nel 2006 e così doveva avvenire, ancora due anni dopo nel 2008. Le altre CarPietas* si allineavano con questi e così accadde in maggio 2008 come vedremo nel seguito.

 

Ci recammo al commissariato di Assisi chiedendo alla polizia un ruolo di intermediazione con il direttore CarPietas*, presentando anche uno scritto di tre pagine. La polizia non trattenne il documento ma telefonò al direttore della CarPietas* di Assisi: questi si era già prodigato nel contattare la Questura di Vicenza[50], presso la quale lo assicurarono che non correvamo alcun pericolo nel tornare in Veneto[51]. Aveva poi contattato la CarPietas* di Vicenza, in cui si dicevano disposti ad accoglierci e ci attendeva dunque per farci il biglietto del treno per Vicenza. La polizia lodò il direttore, per le “premure” nei nostri confronti, apostrofandoci con vari termini: se non fossimo tornati a Vicenza eravamo veramente scellerati ed in malafede. Fu disgustoso, a nostro avviso, vedere la Polizia inginocchiarsi di fronte alle parole del direttore della CarPietas*, che propinava la sua indagine alla stesse forze dell’ordine.

 

La Polizia era tra l’altro molto scettica sul fatto che fossimo ricorsi più volte alla magistratura e alle forze dell’ordine. Più che altro la Polizia era dell’opinione che andassimo in giro a presentare dei foglietti, qua e là in giro per l’Italia, che chiamavamo esposti, e che con tali foglietti tentavamo di giustificare la nostra condotta. Infatti la Polizia stessa ci invitò a depositare tutto il materiale presso la loro sede, così avrebbero visto finalmente se questi esposti e/o denunce esistevano davvero, e se le nostre affermazioni, fatte anche al personale della CarPietas*, fossero consistenti[52].

 

Non avevamo affatto l’intenzione di depositare nuovamente il materiale da loro, non ci sembrava opportuno. Mostrammo però un documento che ci era stato spedito da un magistrato e un articolo di giornale sulla nostra vicenda.

 

Rimasero completamente stupiti, ma non cambiarono la loro opinione. A loro sembrava impossibile che un magistrato ci avesse scritto, tanto che al solo accenno del fatto, diventarono irascibili, pensando che li prendessimo in giro. Nemmeno dopo aver  visto il documento si calmarono del tutto: sembrava loro così impossibile da indurli a chiamare subito il magistrato, probabilmente per verificare la veridicità del fax[53].

 

Anche l’articolo di giornale destò stupore, e la Polizia ci apostrofò nuovamente:-“Ecco un articolo che riguarda la vostra scomparsa, abbiamo ragione noi”. Ma noi non eravamo mai scomparsi, e mostrammo come esempio lo stesso articolo, attestante dove ci trovavamo, oltre ad una richiesta d’interessamento. Anche questo denotava come la Polizia avesse idee già definite sulla nostra vicenda. Non riuscimmo a trovare dialogo costruttivo, probabilmente perché le comunicazioni ricevute dalla Polizia avevano creato pregiudizi che minavano qualsiasi altro ragionamento.

 

Ma da dove arrivavano quelle idee della Polizia? Perché la Polizia si inginocchia davanti a preti ed associazioni umanitarie?

 

La situazione qui delineata ci fece capire con rammarico che in quel luogo non saremmo mai stati tutelati dalle forze dell’ordine.  

 

Non siamo ritornati in Veneto: tra l’altro non siamo nemmeno residenti in provincia di Vicenza, il direttore di Assisi aveva deciso che dovevamo tornare a Vicenza ancora nel 2006, e così doveva essere. Inutile sottolineare che la nostra volontà e le nostre richieste non contavano nulla. E’ chiaro perché nonostante l’interesse mediatico di stampa e TV nazionale non si mosse nulla in Umbria a nostro favore: era già stato tutto deciso.

Ma chi aveva dato quelle direttive per noi? La Polizia di Assisi ci disse che molto probabilmente il direttore aveva avuto disposizioni dall’alto, e si comportava di conseguenza.

 

.(I)               La segnalazione per abuso di potere…

Visto che non si riusciva a ragionare con il direttore di Assisi, per nostra tutela segnalammo la questione alla Procura con il titolo “Abuso di potere, all’interno della CarPietas*, da parte di un dirigente e alcuni operatori. Fatti accaduti dal 2006 fino ad oggi.”. La segnalazione fu inoltrata alla Procura di Firenze con le premesse:

 

“La decisione di presentare questa denuncia alla Procura di Firenze, in qualità di Procura controllante, nasce  come conseguenza della nostra richiesta d’intervento, avvenuta ancora il 27/12/06, presso la magistratura di Perugia per i fatti che ci stavano accadendo (Fax inviato dai CC di Città di castello, di 1 pagina). La richiesta di intervento non ebbe nessun esito, non fu preso nessun provvedimento, poiché il magistrato rigettò completamente le nostre richieste, scrivendo che esulavano dalla sua competenza. Tale informazione  fu inoltrata il 17.4.07, ed a noi  notificata dalla Questura di Terni in data 23/05/07.
I fatti  riguardano
Assisi, G., S.  e Città di castello. Era pur vero che il  magistrato poteva affermare di non essere competente per i problemi “sociali”, ma era pur vero che i fatti descritti rientravano nella sua competenza territoriale, ed  avevano avuto origine da reati di tipo penale come la diffamazione e l'abuso d'ufficio.  Riteniamo che il magistrato abbia omesso di valutare, nell’emettere, tale rigetto, gli elementi negativi, che risultavano da tale comunicazione.  Il disinteresse  non fece altro che peggiorare le cose. Nel 2007 e 2008 accaddero fatti ancora più gravi, qui descritti, coinvolgendo pure Terni e Pescara. Ora davanti a tanto disinteresse possiamo solamente esporre questa forma di denuncia alla Procura di Firenze, chiedendo che valuti attentamente i possibili reati penali che sono alla base della situazione, come pure eventuali correlazioni con quanto già esposto precedentemente a questa Procura. Di fatto , siamo sottoposti ad un pericolo grave della nostra persona, per quanto vi andiamo a scrivere in questo documento.”

 

{Riferimenti:[Carteggio di Firenze (secondo blocco)]}

 

.(J)             Nel Marche senza CarPietas*

Dopo essere stati ad Assisi in maggio ’08 per tentare di risolvere il problema ove si era originato ci trovammo nella condizione che difficilmente una CarPietas* ci avrebbe aiutato, e già sapevamo che la Procura di Firenze non avrebbe fatto nulla per quanto noi segnalato, però per noi era d’obbligo, nel caso fossimo crepati, di spiegarne le cause. Un giorno sarebbe stata la Procura di Firenze a dover spiegare perché non fece nulla. Ci spieghiamo meglio: se si intravede un problema, lo si riferisce e in questo si fa il proprio dovere, se capita qualcosa tocca poi agli altri la responsabilità. Subito dopo provvidenzialmente trovammo aiuto per tre giorni alla San Vincenzo de Paoli, poi in una associazione parallela alla CarPietas*, e poi fu una famiglia borghese a salvarci che ci tirò fuori dalla strada come abbiamo raccontato in pagina 26, “Il periodo ”. In poco tempo trovammo lavoro. Alla CarPietas* tornammo a chiedere una mano 14 mesi dopo, senza esito.

.(K)           Agosto 2009 - Trieste*

Tornammo a chiedere una mano alla CarPietas* in agosto ’09. Abbiamo cominciato a chiedere con insistenza solidarietà ed aiuto a Trieste*. Le cose non sono andate come era normale aspettarsi:  gli aiuti richiesti presso gli enti religiosi non sono mai partiti e le persone contattate non hanno attivato nessun progetto, lasciandoci letteralmente pesare addosso l’intera situazione.

 

Non ci restò che arrangiarci. Rischiammo più volte di essere derubati delle cose che ci portavamo appresso, di finire sotto qualche auto per la stanchezza e di fare qualche collasso per la strada, per il caldo, oltre al peso morale di dover vedere e subire una situazione di incuria, degrado e indifferenza dei propri connazionali…

 

Questo periodo è narrato a pagina 28, “Agosto, settembre e ottobre 2009

 

Fu un caso isolato dagli altri o ormai in CarPietas* avevamo ricevuto il foglio di via?

 

.03    CONCLUSIONI sul “Fumo in CarPietas*

.(A)            Nessuna pretesa di vivere con i soldi della CarPietas*

Non pretendiamo di vivere con i soldi della CarPietas*. Il problema è che da quando siamo finiti in stato di povertà a causa dello Stalking non siamo più riusciti a trovare un lavoro decente che non sia stagionale e/o precario, che garantisca un minimo di reddito per essere indipendenti. Nessuno ci ha aiutato a trovare un lavoro, né il comune di residenza, né altri comuni e nemmeno gli enti assistenziali. All’interno della CarPietas* ci è stata fatta guerra ad oltranza con i risultati che chi poteva aiutarci a cambiare modo di vita una volta per tutte è stato inibito a offrirci tali soluzioni.

Alla fine in questo modo sono aumentate le spese per tutti.

Nello stesso tempo abbiamo potuto notare che soluzioni e lavori sono stati trovati per altre persone anche straniere. A noi non ci è mai stato offerto un lavoro possibile[54], né dalla CarPietas* né dai comuni ove ci siamo rivolti. Ci siamo dovuti arrangiare, a volte con danno della nostra salute, basti pensare il periodo che abbiamo vissuto in tenda a Marone con la neve…

 

.(B)           Sui problemi di fondo

Nutrivamo dubbi sul fatto che gli enti assistenziali fossero in grado di gestire da soli la nostra situazione, di comprendere la nostra condizione: sarebbe servito l’appoggio di una autorità esterna che facesse da “garante” per quando andavamo dicendo, ovvero le forze dell’ordine.

Il nostro caso è stato sottovalutato. Noi siamo stati trattati come “quelli che vogliono farsi le ferie a spese della CarPietas*”, “quelli che non decidono di mettere la testa a posto”, “quelli che fanno guerra alla CarPietas*”, “quelli che non vogliono mettere residenza”, “quelli asociali che non vogliono lavorare”… tutte cose ridicole se analizzate in concreto, se considerato quanto male abbiamo vissuto in questi anni e come siamo finiti.

Varie persone, anche intelligenti, sono andati a credere ciecamente senza domandare spiegazioni, senza confronti.

Eppure, prima del 2004, eravamo persone normali con casa, lavoro, speranze e sogni da realizzare: possibile che quegli anni di vita di lavoro e di studio non attestino nulla?

Cioè noi abbiamo lavorato e studiato tutti quegli anni per andare a fare i delinquenti in giro per l’Italia? Ci hanno rubato tutto nel momento in cui dovevamo raccogliere i frutti di quegli anni e hanno pure detto che eravamo noi i ladri!

 

.(C)           In ultima

La CarPietas* non è in grado da sola di gestire un caso come il nostro. I fatti accaduti dal 2005 fino ad oggi, ampiamente documentati all’autorità, dimostrano come vi sia del “fumo” in questa struttura che ne impedisce un funzionamento regolare. Noi non siamo in grado di stabilire quale sia l’origine comune di questi problemi, possiamo solo evidenziare che tali problemi ci sono e ci stanno rendendo la vita impossibile perché la CarPietas* è l’unico organismo al quale ci possiamo rivolgere per chiedere un aiuto, continuando a sussistere i problemi di casa e di lavoro. Non esiste nessuna alternativa a noi accessibile e lo Stato sembra non esistere.

Il problema di base sta nel fatto che le reti di amicizie dei nostri parenti e ambiente di nascita sono profondamente radicate all’interno della CarPietas*.


 

Parte XVI.           Approfondimenti e Definizioni

.01    StoryBoard & Screening StoryBoard

La StoryBoard costituisce un’insieme di documenti, carteggi, elementi e prove, memorizzati ed archiviati, seguendo una determinata classificazione e struttura logica, all’interno di files in formato digitale. Ad esempio la StoryBoard contiene tutti gli esposti originali trasmessi alle Procure, classificati “Procura” per “Procura” e ordinati per data di trasmissione, ed insieme a questi, le ricevute che ne attestano invio o deposito, e le relative comunicazioni ricevute, anche queste classificate per autorità e data di ricezione.

Contiene anche numerosi carteggi completi e/o essenziali che raccolgono comunicazioni trasmesse e ricevute, riformattate e commentate per l’occasione.

La StoryBoard è stata formulata nel 2009 per creare una fonte sicura, e facilmente accessibile dei documenti e prove. Una specie di “biblioteca” che contiene testi originali, immagini, narrazione degli eventi accaduti, ai quali si può accedere facilmente con un determinato criterio.

 

Il presente documento fa riferimento a diversi carteggi e/o file esterni che si trovano all’interno della StoryBoard o della Screening Storyboard, quest’ultima contiene solo i file “utilizzati” dallo Screening.

 

.02    Su Softex* s.r.l.

Softex* S.r.l. nasce come software house, si occupa di consulenza informatica, integrazione di sistemi, installazione e gestione di reti, fornitura di computer...

E’ fondata nel 1995 da tre soci: tra cui Matteo è parte scrivente. Un anno dopo un socio esce dalla società, apre un’attività analoga portandosi via un importante cliente: la società è divisa al 50% tra i due soci rimanenti.

Rimangono due soci, che prendono poi strade differenti: Marco segue la via più semplice delle consulenze bancarie e la parte scrivente segue il progetto impegnativo di  FlyRecorder*.

 Dal 1997 la società investe quasi tutto sulla realizzazione di  FlyRecorder*, spostando utili e proventi nel futuro. Nascono degli accordi con la  Tonioli* s.r.l. Nel 2000  FlyRecorder* è pronto a essere rivenduto e viene presentato alla più importante fiera italiana del settore. Durante la commercializzazione successiva, sorgono dei problemi, dovuti alla parziale ritrattazione degli accordi della  Tonioli* s.r.l. e la mancata fornitura da parte di Boldrini* elettronica dei pezzi hardware che servono per vendere il prodotto.

Nel 2001 la società sposta la propria sede in nuovi uffici strategici, circa 120 mq, in Legnaro* provincia di Padova, in locali adiacenti e in sub-affitto presso un grossista.

Nel 2002 la quota di Marco (50%) è ceduta a Giovanna (parte scrivente).

 

 

.03    Sul Sistema Software  FlyRecorder*

 FlyRecorder* è un sistema software che si applica naturalmente alle aziende industriali. Si occupa di controllo avanzamento produzione, programmazione produzione, schedulazione, gestione magazzino, etichettatura del prodotto, gestione ordini, controllo statistico della qualità, gestione del personale. Nato nel settore, automatizza i processi nella maniera più veloce e semplice di qualsiasi altro sistema generale.

 

 FlyRecorder* è un sistema software costituito da moduli e applicazioni specifici, indipendenti e acquistabili separatamente secondo le esigenze del cliente. E’ in grado di adattarsi alle diverse realtà aziendali nella maniera più flessibile, integrandosi con i sistemi gestionali e con le diverse realtà produttive.

 

 FlyRecorder* è stato progettato, creato e sviluppato da Softex* S.r.l. a partire dagli anni 1995-97. La società aveva la proprietà piena del software, delle sorgenti, delle tecnologie utilizzate e dei diritti di commercializzazione.

 

.04    Sul matrimonio

Ci sposammo per gravi motivi  senza pubblicazioni ecclesiastiche, anteponendo la celebrazione religiosa alle pubblicazioni civili, effettuatesi a matrimonio avvenuto. Il rito del matrimonio era stato celebrato in un comune diverso da quello di residenza  ma sempre in provincia di Padova.

In occasione della trascrizione del  matrimonio nei registri del comune sono stati fatti degli errori e delle procedure sbagliate. Di conseguenza alcune pubblicazioni sono state protratte per un periodo più lungo e nel posto sbagliato. Sono sorti problemi dei quali non siamo stati avvertiti e ne siamo venuti a conoscenza solamente nel momento in cui ci siamo  recati in comune di residenza per altre pratiche. Una volta venuti a conoscenza del problema ci siamo informati presso comuni più grandi ottenendo delle precise indicazioni che abbiamo rigirato agli impiegati comunali. Abbiamo risolto facendo correggere l’errore nel comune ove ci siamo sposati in base a quanto previsto da una legge del 2000. Speriamo che il comune di residenza abbia corretto a sua volta l’errore, non abbiamo comunque saputo di altri intoppi.

 

 

 

.05    Sulla TSZ Industries*

                         (i)      La TSZ Industries*

La TSZ Industries* S.r.l. era un cliente di Softex*, ed utilizzava dal 2001 il sistema  FlyRecorder* di Softex*.  TSZ Industries* nel 2005 non aveva nessun contratto di assistenza con Softex*, l’ultimo contratto firmato era scaduto in settembre 2004 e non era stato rinnovato. TSZ Industries* era stata avvertita varie volte, sia con comunicazioni via mail, sia con colloqui verbali, che Softex* S.r.l. non era più in grado di sostenere la manutenzione del software, per danni subiti da varie persone[55]. Era inoltre a conoscenza delle minacce fisiche e verbali rivolte a Matteo, del nostro timore di lasciare dati personali, per evitare assalti personali alla famiglia, nonché dell’impossibilità di accedere alla sede operativa di Legnaro* . Molte notizie rese note a TSZ Industries* avevano lo scopo sia di informare la società, perché provvedesse ad attuare procedure di sicurezza nel caso di impossibilità di intervento per  anomalie al sistema software e hardware, sia di convincere la TSZ Industries* stessa a comprare l’intero progetto  FlyRecorder* (dunque in questo caso doveva essere informata della situazione reale della società).

 

TSZ Industries* ci aveva fatto degli “brutti scherzi” anche con i pagamenti, non effettuai, ponendo in mezzo alla questione pure una loro banca come da noi raccontato nel quinto esposto “R5” inviato alla Procura di Roma “Evento15Marzo_Tantanelli*” a pagina 3. In questo aveva mostrato di avere una certa rete di amicizie.

 

                       (ii)      Indirizzo ottenuto attraverso la curia o i carabinieri?

Sarebbe inoltre da valutare se la TSZ Industries* ottenne il nostro indirizzo di casa attraverso la Curia di Padova, attraverso i carabinieri  o chissà in quale altra maniera. Trovare il nostro indirizzo di casa non era cosa semplice, perché ci eravamo premurati di mantenerlo nascosto in tutte le maniere. Sarebbe importante sapere come la TSZ Industries* ha avuto il nostro indirizzo, e se l’ha avuto in termini di legge, ovvero se ha compiuto o fatto compiere un reato per ottenerlo. In proposito vedi anche  «La TSZ Industries* alla porta e la quinta raccomandata (“R5”)» a pagina 6. Particolare importante è che la TSZ Industries* conosceva l’indirizzo ma non il numero di casa: bussò e strillò il cognome di Matteo a tutte le porte. Nemmeno il parroco del luogo di residenza era a conoscenza del numero di casa: aveva istruito le pratiche per il matrimonio con la Curia di Padova senza indicare il numero ma solo la via. Il parroco seppe dove abitavamo[56] solo molto tempo dopo aver istruito tali pratiche.

Le case erano arroccate per la via, era difficile trovarci, senza cercarci meticolosamente, nella malaugurata ipotesi che l’indirizzo finisse in mani sbagliate.

La città tra l’altro, pur essendo in provincia diversa, dovrebbe essere sotto la stessa diocesi noi eravamo residenti e ove ci siamo sposati.

Anche ai carabinieri di Legnaro*, ove aveva la sede l’azienda, avevamo comunicato l’indirizzo senza il numero: il comandante ci aveva assicurato che per nessun motivo avrebbe rilasciato tale informazione, ed in caso di necessità sarebbe intervenuto direttamente o tramite i colleghi.

Per questi motivi presumiamo che la TSZ Industries* abbia avuto l’indirizzo, in tale forma, o dalla Curia  o dai carabinieri.

 

{Riferimenti:

[Quinto esposto procura di Roma, vedere  Evento15Marzo_Tantanelli*]

[Secondo esposto procura di Roma, vedere l’allegato  Softex*, la storia e gli intrecci con  Tonioli* S.r.l. ed Boldrini* Elettronica S.r.l.”]}

 

 

                     (iii)      Legami con il prete ?

Sarebbe interessante valutare se vi era una connessione, diretta o indiretta, tra i padroni di TSZ Industries* e il prete che militava in Umbria,  ci aveva apostrofato come “quelli che si fanno le ferie in Umbria a spese della CarPietas*” e che ci fece guerra in CarPietas* come raccontato nella Parte XVIl fumo negli enti umanitari. Ci eravamo imbattuti in questo prete su suggerimento di un signore del posto: un prete che accoglie generosamente tanti albanesi certamente accoglierà di buon grado “i suoi paesani”. Invece ci trattò malamente, senza che averlo mai visto né conosciuto prima, egli già ci conosceva come persone scellerate. Tale prete era tanto amico e padre spirituale del direttore della CarPietas* di Terni, anche lui Venetose: divenne direttore subito dopo il nostro arrivo in CarPietas* a Terni, e si prodigò a seguirne i consigli.. Perché questa gente, pur non conoscendoci, si prodigò per farci terreno bruciato? Certamente doveva essere spinto da qualche altro fattore.

 

 

.06    Sullo Stalker

Il 20/03/09 inoltrammo alla Procura di Padova attraverso la Questura di Terni un documento molto corposo sull’azione di Stalking che avevamo subito dall’anno 2000, e che consideravamo ancora pendente. Vi rimandiamo a tale materiale molto articolato (quasi 500 pagine e circa 1500 files di elementi e prove).

 

{[CASO_Stalker.doc]}


 

Parte XVII.        Diagrammi

 

.01    Schema sulla situazione di settembre 2004 affrontata nella Parte II

 

Il diagramma mostra in maniera semplificata la situazione di settembre 2004.

La curva A rappresenta il cosiddetto fattore “paese d’origine”, e l’incudine nero l’azione dello Stalker. Per difenderci fummo costretti a cambiare residenza e domicilio più volte e a sposarci senza pubblicazioni religiose (rif. pagina 4). Nel 2004 le azioni dello Stalker e del paese d’origine si sommarono. Lo Stalker facendoci perdere il lavoro ci avrebbe fatto perdere auto, casa e saremmo tornati sotto il paese d’origine. L’unico modo di tutelarci e poter fermare quest’azione fu individuato attraverso la richiesta d’intervento alle autorità dello Stato sul problema ritenuto d’origine (A) non potendo intervenire su (B) per mancanza di leggi sullo Stalking. .


 

.02    Il garante

 

 

 

 

Per nostra tutela ma anche semplicemente per rivolgerci a servizi sociali del comune (A) o della  CarPietas* (B)  per ottenere aiuti sociali, avevamo la necessità  un’autorità esterna che facesse da “garante” per quanto andavamo dicendo. Questo per evitare che il comune o la CarPietas* entrasse in contatto, come fanno abitualmente nel chiedere informazioni sulla  situazione, con le famiglie d’origine e relativo ambiente, altrimenti ce li saremmo trovati (famiglia e Stalker) nuovamente sotto casa. Attraverso gli esposti avevamo messo in moto sia una richiesta di aiuto sia attivato preventivamente  un’azione difensiva su quello che stava accadendo. 

Le cose però non andarono così.


 

Parte XVIII.     Tabelle

.01    Elenco dei Carteggi

I carteggi rappresentano dei particolari documenti da noi creati  e formattati per raccogliere le comunicazioni inviate e ricevute all’autorità. In alcuni casi sono “essenziali”, riportano cioè solo i documenti più importanti, per l’elenco completo e preciso dei documenti riferirsi ai documenti originali o ai singoli file contenuti nella  StoryBoard che contengono una copia identica all’originale spedito.

Nomefile

Descrizione

Carteggio_00-Quirinale(esposti).doc

Comunicazioni inviate al Quirinale

Carteggio_01a-Roma_Procura(esposti).doc

Comunicazioni inviate alla Procura di Roma, da  novembre 2004 fino al 17 giugno 2005

Carteggio_01b-Roma_Procura(ricevute).doc

Ricevute delle lettere raccomandate e degli atti inviati alla Procura di Roma

Carteggio_01c-Roma_Procura_Atti_Prot760**.pdf

Atti depositati il 19 aprile 2005

Carteggio_01d-Roma_Procura_Atti_Prot760**.doc

Atti depositati il 19 aprile 2005

Carteggio_01e-Roma_Procura(iter_esposto_R7).doc

Carteggio comunicazioni avvenute con il magistrato di Roma che prese in carico l’esposto contenuto nella settima raccomandata del 5/5/5

Carteggio_02-Milano_Procura(esposti).doc

Carteggio essenziale con la Procura di Milano

Carteggio_03-Brescia_Questura(denuncia).doc

Carteggio essenziale con la Questura di Brescia

Carteggio_04-Napoli_Procura(denuncia).doc

Carteggio con la Procura di Napoli. Denuncia dell’8 settembre e aggiornamento

Carteggio_05-Perugia_procura.doc

Carteggio con la Procura di Perugia

Carteggio_06-carabinieri_cdc(denuncia19dic06).doc

Denuncia del 19/12/06, verbale del sequestro del CD, convalida del sequestro e fax inviato al PM

Carteggio_07°-Firenze_procura(primo blocco).doc

Primo Carteggio con la Procura di Firenze

Carteggio_07b-Firenze_procura(secondo blocco).doc

Secondo Carteggio con la Procura di Firenze

Carteggio_08-Padova.doc

Comunicazioni inviate alla Procura di residenza

Carteggio_09-questura_Terni(esposti).doc

Comunicazioni inviate alla Questura di Terni

Carteggio_90-comune_di_residenza(richiesta intervento).doc

Carteggio con il comune di residenza al fine di ottenere un aiuto sociale e economico

 


 

.02    Elenco esposti inviati alla Procura di  Roma

Tabella 1:Elenco lettere raccomandate e/o atti inviati e/o depositati dal 3 novembre 2004 al 21 novembre 2005. Tali documenti, ad esclusione dell’R8 sono contenuti nel carteggio “Carteggio_01a-Roma_Procura(esposti).doc”

 

 

Nr.Raccom.

data

Oggetto/Titolo

R1

12638620***-6

03/11/04

“Primo esposto”

R2

12359264***-2

30/12/04

“Secondo Esposto”.

Contiene anche:

1)”L’azienda, la storia e gli intrecci”

R3

12243605***-2

28/02/05

“Denuncia di violazione di domicilio”

contiene anche:

1)“Testimonianze relative ai riti esoterici”

2)“Esposto su violazione relative a servizi postali e su recapito di documentazione postale soggetta a firma.”

R4

12655572***-6

10/03/05

Richiesta di intervento

Contiene anche:

1) “Viaggio a Roma per cercare aiuto dopo le mancate risposte dell’autorità alle nostre richieste (prime richieste ancora del 3 e 4 novembre).

2)“Testimonianze relative al caso B.”

R5

12647252***-5

19/03/05

Richiesta di intervento

Contiene anche:

1)“Violazione di Privacy presso l’abitazione della mia famiglia”.

2)“Verità storiche nascoste…”

3)-“Caso B.”

4)-“Esempio di danno subito dall’azienda per gli stessi circoli viziosi del mercato”.

R6

11870447***-6

15/04/05

Richiesta di intervento

1) “Richiesta di intervento, violazione di diritti umani e dei principi della Costituzione”.

2)- “Richiesta di giustizia: Esposto e denuncia di mancato e/o errato intervento delle Autorità”

3)-“Cronologia anno 2004-2005”

4)-“Altri casi strani legati all’azienda”

A1

760**

19/04/05

Atti depositati prot 760**

A2

760**

19/04/05

Atti depositati prot 760**

R7

12655764***-5

05/05/05

“ulteriori fatti accaduti dopo il 25 di Marzo e fino al 1 Maggio 2005”

R8

12847849***-0

21/11/05

“Richiesta di non archiviare il caso”.

Conteneva in allegato un DVD

 


 

.03    Raccolta comunicazione avvenute con il PM di Roma a seguito del procedimento scaturito dall’esposto contenuto nella settima raccomandata.

Tali comunicazioni sono contenute nel carteggio “Carteggio_01e-Roma_Procura(iter_esposto_R7).doc”. Includono l’R7 e le comunicazioni avvenute con il magistrato fino al 4 aprile 2006.

 

 

 

Cod.

Data

 

Descrizione

R7

05/05/2005

Tx

Lettera raccomandata del 5/5/5 nr 12655764***-5 con l’esposto

“ulteriori fatti accaduti dopo il 25 di Marzo e fino al 1 Maggio 2005”

 

09/11/2005

Rx

Fax con la richiesta di archiviazione inviatoci dal magistrato di Roma il 9 novembre 2005

 

10/11/2005

Tx

Fax inviato al magistrato il  10 novembre

 

16/11/2005

Tx

Lettera inviata il 15 novembre

 

17/11/2005

Tx

Fax con elemento importante per le indagini del 17 novembre

 

21/11/2005

Tx

Fax di Segnalazione dell’invio della raccomandata R8

R8

21/11/2005

Tx

Raccomandata R8 Nr 12847849***-0

 

22/03/2006

Rx

Decreto di Archiviazione ottenuto dalla cancelleria

 

31/03/2006

Tx

Fax di Opposizione all’archiviazione

 

04/04/2006

Rx

Fax di Risposta del magistrato alla nostra opposizione

 


 

.04    Sul Verbale dei Carabinieri di Città di castello

A metà dicembre ’06 fummo diretti a chiedere una mano ai Carabinieri di Città di castello . I Carabinieri ci fecero riscrivere tutti i fatti dall’inizio in un lungo verbale durato quasi dieci ore.

 

Il verbale dei Carabinieri del 19 dicembre 2006 assume particolare importanza perché  unitamente a tale  verbale furono depositati molti documenti, elementi e prove. Parte dei quali come fotocopie allegate al verbale, come ad esempio le copie delle ricevute, e parte registrate all’interno di un CD-ROM che fu posto prudentemente sotto sequestro e del quale si ebbe la convalida del sequestro da parte del magistrato. Tutta la documentazione fornita fu vagliata attentamente.

{Riferimenti:  [Carteggio_06-carabinieri_cdc(denuncia19dic06).doc]}

Il CD ROM sequestrato conteneva alcuni documenti in formato “PDF” e la narrazione in html della nostra vicenda. Ecco i files principali:

 

 

Filename

Descrizione

1

Beatrix2006_Napoli.pdf

Denuncia presentata presso la Procura di Napoli l’8 settembre 2006 con inclusa ta documentazione cartacea allegata..

2

Beatrix2006_agg_Napoli.pdf

Documenti di aggiornamento spediti alla  Procura di Napoli.

3

Carteggio Perugia

Carteggio comunicazioni avvenute con la Procura di Perugia a seguito del trasferimento del procedimento da Napoli a Perugia

4

EspostoR7.pdf

L'esposto numero 7 intitolato "Ulteriori fatti accaduti dopo venerdì nero e fino al 1 maggio".

5

Le Tre Carte.pdf

Documento evidenziante  errori  giudiziari nel procedimento di Roma

6

Carteggio PM-GIP.pdf

Raccolta comunicazioni avvenute con la Procura di Roma a seguito del settimo esposto

7

Beatrix 2006.pdf

Raccolta documenti 2006. Raccoglie altri fatti accaduti nel 2006. Contiene anche la denuncia di Brescia del 27.02.2006.

8

esposti2004_2005_01.pdf

Raccolta degli esposti e/o denuncie presentati in Procura/Quirinale nel 2004 e 2005.

9

Ricevute_procura_Roma.pdf

Digitalizzazione delle ricevute dei documenti inviati alla Procura di Roma

10

ar milano2.pdf

Digitalizzazione delle ricevute dei documenti inviati alla Procura di Milano.

11

Carteggio Riepilogo_***.pdf

Carteggio relativo al comportamento anomalo del comune di residenza  in relazione all'intera vicenda, consegnato per chiedere all'autorità la verifica di  eventuali comportamenti  illeciti.. 

12

Qs4Maggio_Stalker_04.pdf

Raccolta di comunicazioni riguardanti il “caso Stalker.”. Si tratta di una semplice raccolta oggi obsoleta. Il documento di riferimento sul caso è stato completamente riscritto nel 2009.

13

Cartella webfiles

Contiene la narrazione in formato html della nostra vicenda. (Index.htm)


 

 

 

Indice dei nomi identificativi speciali.

 


Dati principali

(Autore1),Matteo,

(Autore2),Giovanna,

(Provincia_di_nascita),Vicenza,

(Comune_di_residenza),Camposampiero*,

(Comune_gemellato),Aix en Provence*,

(Provincia_di_residenza),Padova,

(Regione_di_residenza),Veneto,

(ComuneMatrimonio),Cadoneghe*,

(Stazione_CC_competente_Residenza)Padova*,

 

Dati azienda

(NomeAzienda),Softex*,(CodiceAzienda),Sftx*,

(Comune_ sede_legale_azienda),Legnaro*,

(Nome_Sistema_Software), FlyRecorder*,

(Cliente_principale), Tonioli*,

(Nome_azienda_peochi),TSZ Industries*,

(Nome_incursore_peochi),Tantanelli*,

(Azienda_Stalker),Boldrini*,

(Grossista),SDC Impianti*,

(Fratelli_Dipendenti_grossista),Boscaro*,

 

Dati Procure, magistrati, …

(CC_ottobre04),Rovigo,

(PrimaProcura)Roma,

(ProcuraSett06),Napoli

(SecondaProcura) Perugia,

(CC_dicembre06),Città di castello

(TerzaProcura),Firenze,

(Comune_spedita_racc_lago),Sulzano,

(CittaCoccodrillo)Ferrara,

(Territorio_Coccodrillo),Ferrarese,

 

Dati territorio

(ComuneTenda2005),Marone,

(LagoTenda2005), d’Iseo,,

(ProvinciaTenda2005)  Brescia,

(Regione2006),Umbria,

(primaCitta2006) ,Perugia,

(PrimaCittapaese) -> Assisi,

(SecondaCitta2007),Terni,[Terni]

(Regione3),Abruzzo

(Regione3Citta1) -> L’aquila,

(Regione3citta2),Pescara,

(Regione4) Marche

(ComuneAgosto2009),Trieste*,

 

Altri

(ComuneDellaRocca),Cittadella*,

(Medico2007),Manini*,

(EnteUmanitario)CarPietas*,,

 


 



[1] Gli esposti inviati  si trovano nella tabella a pagina 48.

[2] La legge sullo Stalking entrò in vigore nel 2009

[3] Attenzione a non confondere questo periodo con uno successivo ove veramente l’azienda madre chiese i solleciti di pagamento.

[4] Il prete non era il nostro parroco del posto di residenza.

[5] Avendo un orario flessibile ci vedevano partire tanto alle otto quanto alle undici di mattina, oppure lavorare di domenica e stare a casa il lunedì: questo dava l’idea che non avessimo nessun lavoro.

[6] Non ci eravamo arresi: per liberarci della pesante situazione,  pagare gli arretrati d’affitto, liberarci dei parenti e dello Stalker, eravamo in trattative per vendere in blocco la ditta  e il software..

[7] Sul comune vedere anche “Le richieste di intervento al comune di residenza”, Parte VIII.

[8] Seguimmo la prassi di inviare una copia in Procura e una al Quirinale fino al 26 marzo ’05, poi continuammo solo sulla strada della Procura.

[9] Qui il nome è omesso, nell’originale si trova scritto il cognome.

[10] L’esposto fu  assegnato al Dottor V. e inoltrato successivamente per competenza alla Procura di  residenza, a fine 2004.

[11] Fu una parola infelice, perché certi termini non si potevano usare, soprattutto lì dov’eravamo andati ad abitare. Ma lo shock emotivo fece uscire proprio quella parola.

[12] Essendo un memoriale si riportano volutamente solo le iniziali.

[13] Questa informazione ci deriva da una voce, non siamo certi dell’affermazione.

[14] Le testimonianze del 5/10/04.

[15] La Procura  girò il primo esposto alla Procura di residenza verso fine dicembre ’04 al massimo inizio di gennaio ’05.

[16] Vedemmo il maresciallo la prima volta il 13 di aprile 2005 nei suoi uffici

[17]Le varie testimonianze contenuto negli esposti furono redatte e firmate da entrambi.

[18] Difficile pensare che il vice brigadiere soffrisse di sbalzi di umore, più che altro fu evidente che tra la sera e la mattina successiva venne in possesso di informazioni su di noi da qualcuno…

[19] Basti pensare che è  da irresponsabili mandare una donna sola a casa di una persona che si considera paranoica e pericolosa, di cui pure la moglie non è a posto.

[20] Trattamento sanitario obbligatorio

[21] Ricordiamo a titolo di esempio, che volendo presentare denuncia per la scomparsa dei nostri esposti al maresciallo, ci venne detto che tutto ciò è impossibile, e invece di andare al sodo  venne interpretato il fatto in senso psicologico ovvero “gli esposti non sono scomparsi”, quindi  “il loro cervello non funziona”.

[22] Il sindaco non intervenne  a nostro favore. Nel 2007 partecipammo come ospiti in diretta televisiva a un programma di RAI DUE. Fu fatto nell’occasione un appello pubblico. Il nostro comune non si fece nemmeno sentire.

[23] La nostra intenzione è dimostrata dal fatto che, pur lontano da casa, avevamo versato dei soldi per pagare le rate del mutuo.

[24] Della vita in tenda ne parlammo anche in televisione.

[25] Per i contatti avevamo a disposizione un numero di fax personale. Il fax poi ci perveniva automaticamente in posta elettronica

[26] Se l’assistenze sociale fosse venuta a constatare di persona avrebbe scoperto che quanto andavamo dichiarando era vero. Ma non si preoccupò di farlo, né di chiedere l’ausilio di eventuali colleghi del posto.

[27] Pare che il comune avesse chiesto verifiche alle Finanze.

[28] L’appellativo ci veniva da un prete  curiosamente dalla stessa area dei padroni della TSZ Industries*

[29] La CarPietas* ha una rete di controllo del territorio stupefacente: i vari centri sono collegati in rete, vi sono poi persone che definiamo “poveri di mestiere” che passando da un centro all’altro di fatto comunicano quello che vedono e sentono.

[30] Ci vennero a prendere con l’auto della RAI, cenammo in un ristorante romano e ci offrirono la notte in albergo. Era la prima volta che apparivamo in TV in diretta nazionale.

[31] Vedere il Carteggio di Perugia, il fax del 10 ottobre 2006.

[32] Tutte le controversie con il maresciallo sono indicate nella parte “Il Venerdì Nero”.

[33] Ci vennero a prendere con l’auto della RAI, cenammo in un ristorante romano e ci offrirono la notte in albergo. Era la prima volta che apparivamo in TV in diretta nazionale.

[34] Non ci fu mai trovato un lavoro né dal comune né dalla CarPietas* e non ci fu mai la  manifestazione di volontà di volerci effettivamente aiutare, ci fu solo la preoccupazione di perdere lucentezza davanti alla gente e ai media…

[35] Ci dispiace che due di questi siano morti nel 2009.

[36] File tipo “Tiff” multipagina.

[37] Con la lettera che informava di questo pure quella sbagliata e spedita dal comune all’indirizzo sbagliato

[38] Si aggiungono anche aspetti negativi, come raccomandazioni, sfruttamento della cosa a favore personale, …

[39] E relativi carabinieri di Padova* che tiravano i file del comune come già evidenziato nella parte relativa.

[40] Non era una minaccia, ma una constatazione di fatto, rivelatasi alquanto veritiera.

[41] Ci dissero in un incontro, dopo la nostra apparizione in TV che l’articolo li aveva fatti arrabbiare per alcuni toni a loro inerenti, poi compresero che tali parole era tra virgolette e che l’articolo non era uscito per fare polemica ma per ottenere un aiuto. Fra virgolette vi era la parola “sfrattati dalla CarPietas*”. Un mese dopo ci sfrattarono sul serio.

[42] Maschile e femminile.

[43] Cosa che gli riusciva molto bene visto che era come un armadio.

[44] Anche nel nostro paese di nascita vi erano famiglie con lo stesso cognome, ma ci fu detto che era di un altro paese della stessa provincia.

[45]  in diretta televisiva non si era mai pronunciato il nome della città.

[46] Era uno sfratto dai letti occupati nelle rispettive case di accoglienza, non uno sfratto da un appartamento.

[47] Raccolta dalla Polizia di Assisi

[48] Raccolta dalla CarPietas* di ***

[49] Era la risposta all’ennesima richiesta di interessamento al Vescovo di Assisi. Speravamo che dopo la nostra apparizione TV su RAI DUE  le cose potessero cambiare ad Assisi

[50] La sera prima eravamo stati in CarPietas* a chiedere una mano, ma il direttore non si trovava. Una volta informato che ci eravamo presentati chiamo subito la provincia di nascita senza interpellarci per spedirci là.Noi lo sapemmo mentre eravamo dalla Polizia a chiedere un’intermediazione.

[51] Nel 2008 non esisteva ancora una legge sullo Stalking.  Lo Stalker era fatalmente della provincia di nascita  come pure le nostre famiglie. Mandarci là  era pericoloso per noi, questo non lo sapeva la Questura di Vicenza e se anche l’avesse saputo non avrebbe dovuto riferirlo per telefono...

[52] La stessa cosa ci disse la responsabile della casa di accoglienza di Assisi, due anni prima (rif. verbale dei carabinieri del 19.12.06 ).

[53] Più di una persona all’interno della Polizia manifestava queste idee. Anche  il commissario che prese in mano l’esposto sugli Atti di Bullismo del 18.01.08 (Parte IX..01.(B)(x)) era convinto che non fossimo rintracciabili e scomparsi. Un fax del magistrato dunque doveva per la loro testa essere falso, e per questo erano stati indotti a voler chiamare subito il magistrato.

[54] Ad eccetto del lavoro in un ristorante di Assisi, nel periodo in cui il “fumo” non era ancora entrato.

[55] Anche il mancato rinnovo del contratto di assistenza da parte di TSZ Industries* è stata un’aggravante economica.

[56] Il che non esclude che comunque continuasse a non sapere il numero.