AUTODIFESA - SELF DEFENSE (C)
2005-2014 Matteo & Giovanna
|
OTTOBRE
2004-TITOLO: Primo Esposto consegnato ai Carabinieri il 5.10.2004 e inviato alla Procura della Repubblica di Roma ad inizio di novembre. |
|
INTRODUZIONE ESPLICATIVA: Il primo documento scritto relativo alla nostra situazione, fu consegnato ai carabinieri di Rovigo il 5 Ottobre 2004. Era di 13 pagine. Tale documento fu poi aggiornato e divenne di 18 pagine. Dopo l'introduzione iniziale riportavamo alcune testimonianze relative all'ambiente nel quale avevamo vissuto. L'obiettivo del documento era di chiedere un aiuto pratico e concreto riguardante la sicurezza personale, la sicurezza dei nostri dati e del patrimonio...Lo facemmo con le nostre forze, perchè al momento le azioni dello "Stalker" ci avevano indotto una sorta di povertà che ci impediva di ricorrere ad un avvocato. . Riportiamo una parte di testimonianze relative a Giovanna estratte dal primo esposto per fare capire la tipologia del documento, come ad esempio non vi erano denunce o accuse, ma semplicemente la descrizione dell'ambiente veneto dal quale tentavamo di tutelarci. Probabilmente aver nominato all'interno del documento personalità importanti,, amiche di nostri parenti, ci causò molti problemi. Noi non ci rendavamo conto all'epoca dell'importanza di queste persone, insieme ad altre che costituivano il circolo "bene" del paese e non avevamo mai fatto un esposto in vita nostra. Ci rendemmo conto solo nel 2007 , grazie ad alcuni documenti di intelligence americani , come alcune di queste amicizie gravitassero intorno al potere delle banche e a gente legata a Gladio e gruppi paramilitari... Ambienti che abbiamo descritto nelle pagine dell'Unico. N.B.: le parti scritte in bianco su sfondo nero corrispondono a note o testo aggiunto INIZIO ORIGINALE: |
|
Giovanna Sono nata nel 1971, ho una sorella nata nel ’74, e con i miei genitori siamo vissuti assieme ai nonni paterni fino alla morte di mio padre nel ’85, a in provincia di Vicenza. In verità buona parte della nostra vita si è svolta in un paese a 3 Km, nella casa di mio zio materno, scapolo, che viveva con la nonna-matrigna ed una sorella di mia nonna. La mia vera nonna è morta molti anni fa, lasciando i figli piccoli: mio nonno poco dopo ne ha sposato la sorella, “per mettere al riparo la famiglia dalle donnacce che aspiravano a mio nonno” (questo, si narra, fosse il motivo del matrimonio).Mia madre, con la scusa di affidarci alle cure di mia nonna-matrigna, non si è mai staccata dalla famiglia d’origine, ed ha sempre tenuto un legame morboso con suo fratello. Mio padre è morto nell’85, di tumore: si era ammalato due anni prima, con scarse possibilità di guarigione, ed era stato operato. Mia madre, non so come, ha convinto l’intero staff medico di Vicenza a non dire nulla a mio padre: diceva che il dottore era stato così bravo ad inventare spiegazioni, che per poco non ci credeva pure lei. Ha convinto i medici a non parlare, anche quando mio padre stava morendo, ha imposto ai fratelli il silenzio, e l’ha imposto pure a me. Pure il medico di famiglia, amico d’infanzia di mio padre, non ha mai detto nulla, convinto sempre da mia madre. Avevo quasi 14 anni, mio padre capiva in cuor suo che c’era qualcosa che non andava nella sua malattia, ma sentendosi tradito da tutti soffriva ancora di più perché non poteva parlarne con nessuno, neppure con sua moglie. Alla fine non ho più mentito a mio padre, e non l’ho più illuso: così mio padre mi ha confidato che, convinto da mia madre e mio zio, aveva prestato i suoi soldi ad un amico di mio zio, e che non li avrebbe più visti. Mio nonno paterno ha saputo la verità sulla malattia di mio padre solo alcuni mesi dopo la sua morte, fortuitamente da un radiologo che aveva telefonato a casa. Mio nonno dopo aver saputo la verità se ne andava sconvolto per il paese, ad urlare ai quattro venti che suo figlio era morto e che era stato ingannato. Non dico che ai miei nonni si dovesse dire tutto e subito, perché sarebbe stato difficile sopportarli, ma almeno in fase terminale era inutile nascondere. Anche altri miei parenti non ne sapevano quasi nulla. Ricordo una cugina di mio padre, emigrata in Francia: era passata per l’Italia, come faceva spesso in estate, e l’hanno portata fuori dalla stanza di mia padre di peso e in lacrime. Mia madre non voleva processioni e piagnistei, specie di parenti sciacalli, però mio padre era sinceramente affezionato a quella cugina; sin da bambini avevano vissuto nella stessa casa, dividendo anche quello che avevano nel piatto. Era peggio negare il conforto e la presenza di volti amici, veramente dispiaciuti.Mia madre mi ha vietato di andare a giocare a pallavolo, (la squadra era in serie A) perché mio padre non avrebbe potuto seguirmi nelle trasferte, se la malattia peggiorava e non dovevo dargli un dispiacere. Mio padre aveva parlato con l’allenatrice, ed era più entusiasta di me: al mio rifiuto, per “motivi di studio”, mi sgridò: aveva paura che gli crescesse una figlia deficiente, fanatica per lo studio. In realtà mia madre voleva solo che non giocassi a pallavolo, ed ogni mezzo era lecito. Sono stata un po’ colpevolizzata riguardo la morte di mio padre: secondo mia madre Dio ascolta le preghiere delle ragazzine brave, perciò o ero una disgraziata o pregavo poco. Diciamo che queste frasi, dette in momenti di lutto, a 13-14 anni, fanno un brutto effetto. Morto mio padre, i suoi beni sono stati divisi 1/3 a mia madre, ed il rimanente diviso tra me e mia sorella, minorenni. È intervenuto un responsabile del tribunale dei minori, per verificare che ai minori non fosse sottratto nulla. I soldi che mio padre aveva prestato a quel tizio non risultavano da nessuna parte, perché non c’era alcun documento scritto. Nel caso in cui il responsabile dei minori avesse proposto un tutore, mi è stato imposto di dare la preferenza al fratello di mia mamma. Io avrei preferito un fratello di mio papà, che era disponibile, però non lo potevo dire: alla fine non ci fu bisogno di nessun tutore. Non tolleravo mio zio materno. Mio padre, specie negli ultimi anni della sua vita non lo sopportava più: con la scusa di aiutarci nei campi, si presentava a casa nostra con i suoi amici, gente che bestemmiava e faceva battute molto volgari. E mia madre non si è mai opposta. Dopo che mio padre è morto la situazione è peggiorata: eppure io lavoravo nei campi, e non c’era bisogno dei suoi amici per mandarli avanti. Ci si poteva arrangiare in casa, con l’aiuto anche di un “corteggiatore” di mia mamma, che ci aiutava nei lavori di aratura. Nei campi si lavorava il mais ed il tabacco: da sola ci avrei messo qualche giorno in più, ma per me non era un problema. Era meglio che lavorassi io di più (in estate non avevo la scuola), piuttosto che dover essere servizievole e riconoscente con questi suoi amici, intrusi, che avranno lavorato qualche ora gratis, ma poi si rimpinzavano di bistecche alla brace, serviti e riveriti. Pure io mi alzavo presto, lavoravo nei campi, tornavo per preparare il pranzo a mia mamma e mio zio, poi tornavo nei campi. Nemmeno mia madre era molto entusiasta, ma alla fine accettava tutto, perché, diceva che era una povera vedova, e non voleva inimicarsi nessuno.Mio nonno paterno non vedeva di buon occhio queste intrusioni: diceva che mio zio voleva farsi padrone, ed in effetti è andata così. Mio zio, con la scusa di aiutare, di essere buono, di volerci bene come se fossimo sue figlie, sfoggiava un ruolo che non era suo: si era accaparrato il ruolo di padre, di tutore e proprietario dei beni, senza farsi carico dei sani doveri del buon padre di famiglia. La situazione è peggiorata dopo che è morta mia nonna-matrigna materna: mia madre decise che la zia, sorella di mia nonna, non poteva essere lasciata sola, e che mio zio, doveva essere libero di andare fuori a cena con gli amici od al bar, o per i fatti suoi. Così io e mia sorella ci siamo trasferite, per far compagnia alla vecchia zia, e mia mamma andava a dormire da sola nella casa di famiglia, per far compagnia alla nonna paterna. In verità, non faceva chissà che compagnia, perché mia nonna alle 10 di sera era a letto, e alle sette mia madre si alzava per andare al lavoro. Forse mia madre voleva salvare la facciata. Eppure la nostra casa era grande, era ancora abitabile, e con qualche modifica, si poteva far trasferire mia zia là, invece che spaccare la mia famiglia. Poi ho iniziato l’università, ma si sono accentuati i problemi in famiglia e le mie condizioni di salute, già in peggioramento dopo la morte di mio padre, hanno subito gravi contraccolpi. Alla morte di mio padre ho sofferto di molte improvvise allergie: il semplice deodorante, utilizzato fino a poco prima, mi faceva gonfiare. Poi ho sofferto di dermatiti, curate con grossi quantitativi di cortisone, che mi ha fatto altri danni; d’altra parte avevamo pochi soldi. E crampi allo stomaco, curati da mia mamma con le sue medicine, il librax, che è una sorta di “droga”. Poi soffrivo di squilibri ormonali, e di forte perdite di sangue durante il ciclo e fuori dal ciclo: avevo 23 anni e sembravo un cadavere. C’era gente che chiedeva a mio zio che cosa mi fosse successo, tanta era l’impressione. Mio zio, irritato, pretendeva spiegazioni da me, come se si vergognasse delle brutte figure. Mia madre attribuendo tutte le disgrazie a fenomeni di natura paranormale, non voleva che andassi dal medico: perciò mi portarono da pranoterapeuti (vedi maghi), uno anche famoso perché è un architetto, che riceveva il lunedì a in provincia di Padova*. Mia madre mi ha portato anche da un vecchio frate francescano, persona degna di essere ascoltata: peccato che mia madre fece il contrario di quanto consigliato dal frate. Di nascosto me ne andai da un famoso ginecologo di Padova, il dottor G. M., che era anche direttore sanitario del Poliambulatorio San Giovanni a Padova. Il dottore fu molto gentile, gli raccontai tante cose, anche non solo del suo specifico settore: il dottore mi curò, mi diede consigli anche per altri problemi miei e di famiglia, e mi fece pagare solo poche visite. Infatti, io avevo una somma di soldi mensile, e, nonostante le visite, dovevo far quadrate i conti. Non ho mai portato vestiti di lusso, non ero mondana né festaiola, avevo imparato a cucirmi qualche gonna e qualche abito. Così riuscivo a tirare avanti, senza chiedere niente in più. Mia zia ogni tanto mi regalava 100.000 lire, dicendomi di non dire nulla a nessuno. Raccontai a mia madre di questo professore, della cura, del rischio elevato di cancro all’utero; mia madre ebbe una reazione molto violenta, al punto da non sembrare vera. Fui trattata come una sgualdrina, una donnaccia che non avrebbe trovato più marito e nessuno l’avrebbe voluta. Molto sconvolta, ribattei che se non reagivo alla cura ci sarebbe stato il mio funerale, e non il mio matrimonio, e che di questi uomini che mi consideravano donnaccia non sapevo che farne. Tra l’altro già conoscevo Matteo, e non capivo perché dovevo preoccuparmi di questi uomini, visto che Matteo era terrorizzato dalla mia malattia, e mi avrebbe mandato da 100 dottori. Poi anche mia sorella andò dal ginecologo ma stranamente nessuno si arrabbiò, e mia sorella non si prese della donnaccia. Perciò la reazione di mia madre apparve ancora più inspiegabile. Il dottor G.M. mi mandò da una sua collega, che lavorava assieme ad un team di psicologi, perché aveva capito che qualche cosa non quadrava. Pure questa dottoressa aveva capito che qualche cosa non andava: a me aveva proposto di insegnarmi esercizi di rilassamento, però serviva una “azione di forza” per valutare i problemi di famiglia, visto che mia madre sembrava una pazza scatenata, mia sorella anoressica, e mio zio troppo opprimente. C’era all’epoca un’équipe di psichiatri che lavorava all’ospedale di Brusegana, che si occupava di terapie familiari. Non davano farmaci, tentavano di risalire in radice ai mali dell’individuo. Inutile dire che la mia proposta fu bocciata, e l’idea che anche mio zio facesse quei colloqui aveva suscitato scandalo ed indignazione: come avevo potuto fare un simile affronto a mio zio? Eppure volevo solo fare un paio d’incontri, di prova, in ospedale, non in chissà che centro di dubbia fama: si poteva anche interrompere tutto… Alla fine hanno voluto che facessi i miei bravi esercizi di rilassamento con la dottoressa, perché i problemi ce li avevo solo io (come se l’anoressia di mia sorella non contasse). Peccato che il dottor G.M., dopo qualche anno ebbe problemi a causa delle morte di una gemellina, durante un parto molto difficile, e tale morte fu imputata al suo non tempestivo intervento: molte persone a Padova non si spiegavano come fosse accaduto, e comunque gli avrebbero accordato la loro fiducia, perché varia gente gli doveva la salute od anche la vita. Un fisioterapista del paese, di fronte alle mie improvvise infiammazioni a muscoli e nervi, un giorno mi disse che i problemi erano ben altri, e ci aveva consigliato di andarcene, lasciando pure i mobili, vendendo tutto: lui ci avrebbe aiutato anche economicamente. Non so cosa sapesse per dare un simile consiglio, e proporre anche aiuto: questo fisioterapista era un professionista stimato, felicemente sposato, con figli grandi, e non agiva per interessi dubbi. Fiduciosa andai a dirlo a mia madre, che si arrabbiò molto, e mi rispose che il suo posto era accanto alla vecchia zia. Ma per me potevamo andarcene anche con mia zia… Visto che con i medici non se ne usciva, le mie condizioni fisiche e psicologiche peggioravano, provai anche con i preti e le suore, poiché mia madre era molto religiosa. C’era un’anziana superiora della scuola materna di XXXXXXXX (VR): Così andai a chiedere aiuto. Fra le varie cose, la suora aveva consigliato, come “ultima spiaggia”, di prenderci una settimana di vacanza io mia mamma e mia sorella, per ricucire i rapporti, distanti da tutte le interferenze. Mia mamma era appena andata in pensione, mia sorella in quel momento era in ferie, eravamo a fine settembre, con i costi stracciati in qualsiasi posto: il momento sembrava ottimale, anche perché mia zia era abbastanza autosufficiente; ci si poteva arrangiare. La risposta fu un ennesimo no secco e brutale, e senza nessun motivo valido. Poi mia zia subì un ictus, rimase cosciente, con ancora più bisogno di cure. Mia madre si era già stabilita definitivamente in casa di mio zio. La nostra casa di famiglia era disabitata, e in stato di degrado, perché pioveva dal tetto e nelle pareti interne si era formata una sottile muffa. Avevo proposto di dare un’imbiancata ai muri interni, così mi sarei trasferita là per lavorare ed anche vivere: ce ne saremo occupati io e Matteo, ma sono nate tante liti. Ci voleva il benestare di mio zio, perché per loro eravamo emeriti incompetenti: per ogni cosa bisognava passare per le sue grinfie. La casa andò sempre più peggiorando, tanto che i carabinieri notificarono a mia madre, tra le altre cose, che la casa versava in uno stato di evidente abbandono. Ma non ci stavano soldi… Un bel giorno, ho scoperto che mia madre aveva in banca più di trecento milioni di lire tra azioni e bot, (quei soldi che mio padre aveva prestato all’amico di mio zio, e di cui non vi era alcun documento scritto e forse anche altri soldi). Sono rimasta sconvolta. E non avevano voluto che avessi nemmeno un motorino usato, od una macchina usata, per cercarmi un lavoro, l’assistenza a mia zia, la casa in abbandono, le visite mediche, la mia salute… Prima che me ne andassi mia madre fece mettere una delega sul suo conto in banca a me e mia sorella, ma questi “giochi di trasparenza” servono per bella facciata davanti al mondo, come pure altri comportamenti. La mia vecchia zia, proprietaria della mezza casa , (l’altra mezza di mio zio) e di una vecchia casa in campagna, aveva 50 milioni di lire in banca, un paio di pensioni (la minima, la pensione di guerra, perché le era morto il fratello in guerra), e la pensione di accompagnamento. Io l’assistenza alla vecchia zia l’ho fatta anche volentieri, e molte cose le rifarei ancora, ma sono stata letteralmente ingannata, credendo ciecamente alle loro parole. D’altra parte, chi, avendone le possibilità, non aggiusterebbe il tetto di una casa? Infatti poi il tetto è parzialmente crollato, ma prima con pochi milioni si potevano evitare altri danni. Quando il tetto è crollato, una delle preoccupazioni di mia madre era recintare la zona pericolante, affinchè gli amici di mio zio, che magari andavano a vedere la casa, non prendessero qualche tegola in testa. Mia madre sosteneva che potevamo avere seri problemi se qualcuno si fosse fatto male: io sostenevo che se qualcuno si fosse fatto male, oltre alla tegola, si sarebbe pure preso la mia denuncia per violazione di proprietà privata, (suscitando l’indignazione di mia madre). Diciamo che avevo iniziato a svegliarmi un po’, ed a pensare che avevo pure io i miei diritti e che troppe cose non quadravano. Anche il trattamento che mia sorella aveva ricevuto non quadrava: mia sorella ha lavorato, e dopo il liceo si è messa da parte una trentina di milioni, ed io molto meno. Mia sorella è stata trattata in modo opposto a me: ha fatto poco sia in casa che nei campi, ed ancor meno si è dedicata a questa mia zia.Quando tornavo dall’università, dovevo farle i temi che l’insegnate le assegnava per casa.Erano temi difficili, di filosofia anche, e spesso passavo il fine settimana tra i lavori e lo studio di questi temi. Non era giusto, lo sapevo pure io, ma non ne potevo più di sentirmi dire che mia sorella doveva uscire almeno con 42/60 per accedere ai concorsi pubblici, e se non l’aiutavo l’avrei danneggiata molto. Anche mia sorella comunque ha sofferto, perché in una famiglia o c’è amore per tutti, o non ce n’è per nessuno, ed allora si ragiona a preferenze, alleanze e ricatti. Anche mia sorella se ne è andata, ma ha mantenuto rapporti strettissimi con mia mamma, perché sono molto simili. Nel 2000 a XXXXXX, a poca distanza da dove vivevo io è stata uccisa vvvvv., dal marito. Si erano separati, ed il marito aveva dovuto lasciare la loro casa alla moglie ed alla figlia di quattro anni, secondo quanto deciso dal giudice. Il marito, benestante imprenditore, non aveva accettato di dover concedere il suo appartamento nuovo alla moglie; non si poteva toccare nemmeno il frigorifero ed i mobili, perché considerava tutto suo, ed almeno su quello doveva mantenere il controllo. Così alla fine ha ammazzato la moglie: è stato un delitto annunciato, perché vvv. era terrorizzata, e lo raccontava a tanta gente. Poi la madre di quest’uomo passava trionfante davanti alla casa della defunta. Questo attaccamento a casa e cose mi ha molto impressionato, perché è un po’ simile a quello che vedevo in famiglia. Prima di andarmene volevo donare il mio terzo di proprietà alla famiglia, ma non hanno voluto spendere 3 milioni di lire dal notaio per qualche cosa che era già loro. Mia madre e mia sorella consideravano loro anche il mio terzo di casa e terreno, tanto da rifiutare la mia donazione. La decisione di andarmene, nel 2002, è stata rinforzata dalla presenza di vetri che con maggiore frequenza trovavo nel pranzo. Mia madre attribuiva questo a fenomeni paranormali, che inspiegabilmente si scatenavano solo su di me. Infatti tutti si mangiavano la loro pastasciutta, convinti che non avrebbero trovato vetri o cose strane: infatti non hanno mai trovato nulla. Matteo se ne era andato già: solo mia mamma e mia sorella conoscevano il suo indirizzo, e l’hanno comunicato alla sua famiglia d’origine, ben sapendo che era una famiglia “pericolosa”. A Matteo era arrivata, nella sua nuova casa, una lettera dalla famiglia; l’indirizzo aveva anche il numero di scala interno. Hanno addossato la fuga di notizie al Comune, che però non poteva fornire questa indicazione. Dopo alcuni mesi di mia insistenza, mia madre ha ammesso la verità. Me ne sono andata di casa al mattino, prendendo come al solito la corriera delle 7:30 per Padova, con la mia solita borsa, con dentro i documenti e i vestiti che ci potevano stare, come se stessi andando al lavoro normalmente. Avevo paura a portare i bagagli con me, a far vedere che me ne stavo andando. Anche mia sorella se ne era andata un mese prima, con le valige, ma per lei è sempre stato tutto diverso. Mia sorella tornò brevemente per prendersi il rimanente delle altre cose, ma andò alla casa di famiglia, nonostante la casa non fosse particolarmente ospitale, perché non ne voleva sapere di incontrare mio zio. Mio zio era convalescente dall’incidente in cui si era tagliato mezzo polpaccio (la gamba in cancrena). Dopo quell’incidente si aggirava per la casa con gli occhi sbarrati: sembrava una bestia impazzita, ed io avevo ancora più paura. Hanno capito che non sarei più tornata, me l’hanno chiesto, ed ho risposto che forse un giorno sarei tornata, ma ne sarebbe passato di tempo. Infatti non siamo più tornati, se non furtivamente, solo per prendere i certificati di battesimo e cresima per il matrimonio. Con il tempo, dopo essermene andata, ho messo insieme i ricordi e tutto quello che ho visto, per capire dove ero vissuta e cosa era successo. Ricordo mia zia e la nonna-matrigna che sgridavano mia madre, perché mi lasciava andare nella vecchia casa di mio zio, in campagna, perché mio zio era un vecchio maiale e pure i suoi amici. Mia madre diceva loro di stare zitte, perché erano maliziose. Ma mia zia insisteva che non mi lasciassi mettere le mani addosso da quell’uomo: invece su mio papà non si è mai permessa di dire nulla di brutto, anzi, era contenta per la presenza di mio padre. Per questo mia madre non voleva che me ne andassi dal ginecologo: sapeva che qualche cosa di brutto mi era stato fatto, in famiglia, e non voleva che saltasse fuori. Questo fatto deve risalire a quando io ero piccola, perché ne ho dei vaghi ricordi, ho il senso di terrore e di impotenza, ma la capacità espressiva e di elaborazione sono quelle di chi ha 3 anni ed anche meno. L’unica parola che ricordo è un “no” lungo e soffocato. Ho pure pensato che nel paese certe cose sui bambini fossero più diffuse di quello che si pensasse, e che ci fosse una mentalità molto malata. Non tutti comunque lasciano i figli in balia: un amico di mio zio aveva un nipotino, e lo portava nella vecchia casa. I genitori, quando se ne sono accorti, non hanno più lasciato il figlio in custodia al nonno. Mio zio lo raccontava scandalizzato. Ho avuto spesso la sensazione che tutto fosse invertito: si scambiava il male per il bene. Mio zio, poco prima che me ne andassi, si è fatto un grave taglio ad una gamba, tanto da finire in cancrena. Lo hanno messo in una stanza isolata, perché era infetto, e poteva attaccare i microbi alle altre persone operate. Potevamo andarlo a trovare, stando attenti a non infettarci, in caso presentassimo abrasioni, perché l’infezione entrava solo da una ferita.Gli avevano appena fatta un’iniezione, l’infermiera aveva dimenticato il cotone sul tavolino, e mio zio volle che spostassi il cotone in un contenitore. Io non volevo proprio, perché non so quanto fosse forte l’infezione ed il cotone era sporco di sangue. Così feci più o meno finta di trascinarlo per un angolino, per fortuna arrivò un inserviente che sistemò tutto. Sapeva benissimo in che condizioni era, e sicuramente il motivo ufficiale era riordinare il comodino. Mio zio raccoglieva tanti funghi, anche due o tre casse piene, in montagna o in giro per le campagne: poi si dovevano lavare e cucinare, e per un paio di giorni c’erano pentoloni con funghi che bollivano, destinati alle cene. Aveva un congelatore solo per tenere i funghi cotti.C’era un suo amico che andava a caccia abusivamente in Croazia: tornava pieno di uccellini, che smistavano nei congelatori. Mi faceva pure schifo trovare quei sacchi pieni di uccellini congelati con le piume. Poi mio zio si faceva salami e liquori, conosceva chi smerciava la carne.Mio zio era amante di cene, che faceva nella vecchia casa di campagna: quello era il covo suo e dei suoi amici, gente di tutte le estrazioni sociali, che non ho mai capito cosa avessero in comune. Quella vecchia casa ha subito varie denunce, per degrado e disordine dovuto al via vai di macchine e persone, ma non mi sono mai informata di ciò. So che c’erano delle signore che ci passavano davanti, si facevano il segno della croce, e dicevano che era il covo del diavolo, ma non so chi fossero ed in base a che conoscenze dicessero questo. Cosa si può dire di male di una cena? O di un bicchiere di vino in compagnia? Penso che, oltre a mangiare e bere, si stringessero alleanze e si costruissero reti di relazioni, che per chi non era come loro, tali reti diventavano lacci. Non erano reti di relazioni nel senso buono del termine, cioè ci si fa un favore a vicenda, ci si fa compagnia, ma strumenti per avere il controllo su persone e situazioni, anche se voleva sembrare un’allegra brigata di amiconi. Chi sgarrava veniva lasciato fuori.Ci sono misteri che non ho ancora capito, esempio come la telefonata di Tizio[qui il nome è stato sostituito] a mio zio. Tizio, tra fine ’99- inizio ’00 telefonò a casa di mio zio, perché aveva ricevuto una chiamata da quel numero sul suo cellulare, e voleva saperne il motivo. Io non ne sapevo niente, dissi che mi sarei informata e se mi poteva spiegare chi fosse: disse che era di una grossa società di ..omissis... Gli chiesi il nome della società, e questi mi fece capire che se non sapevo chi era. era meglio smettere di parlare, perché ero proprio ignorante. Confesso che sono ignorante in molte cose: dopo qualche giorno alla televisione riconosco quella voce sprezzante di Tizio , presidente del ..omissis... In casa si mostrano sorpresi, perché nessuno lo conosce, se non di fama, però il numero era quello di casa, e lui lo aveva ripetuto in automatico. [Altra persona importante...] che portò tanta gloria , era all’epoca S., che fatalmente viveva vicino al paese , e conosceva mio zio ed i suoi amici, ma S. non veniva a casa di mio zio per telefonare.Non ho mai saputo cosa pensare di quella telefonata, se fosse un caso, un errore o altro.Due parole sulla [azienda
internazionale] e sul paese
[Qui
si parla di un'azienda internazionale collegata a "Tizio"...] |
|
NOTE ESPLICATIVE: Questo esposto fu letto dal dottor procuratore Verusio, e fu successivamente inviato, per competenza, a dicembre 2004, alla Procura di Padova. Noi venimmo a conoscere le suddette informazioni all'inizio di Marzo 2005. In Marzo venimmo anche a sapere che gli altri esposti inviati successivamente a questo, non erano addirittura registrati nel database: dunque non erano pervenuti. Come vedrete nel proseguo, ignari di questo aspetto, continuammo a spedire altri esposti a Roma che faranno più o meno la stessa fine: saranno smarriti e/o rubati. Si fa notare che gli esposti cominciarono a sparire a Roma da inizio di gennaio 2005, cioè dal momento che questo esposto arrivò a Padova. Si fa altresì notare che in questo esposto vi era scritto che i nostri parenti avevano accesso a informazioni riservate sui procedimenti in corso nella Procura di Padova, descrivendo pure l'evento che ci fece conoscere questo aspetto. Il magistrato mandando questo esposto a Padova,ignorò in pieno quanto da noi asserito. Questo esposto fu poi inserito, unitamente ad altri, in un carteggio contenente tutti gli esposti inviati a Roma. Tale carteggio fu poi inviato presso la Procura di Milano, depositato come allegato presso la Questura di Brescia, depositato come allegato di una denuncia querela fatta presso la Procura di Napoli, ridepositato presso la Procura di Perugia, Depositato come allegato ai carabinieri di Città di Castello, inviato alla Procura di Firenze... |
RICEVUTE: |