5.
I due musei a confronto:
l'innovazione
tipologica attira più critiche.
Al
contrario del museo di Wright, il museo Guggenheim di Bilbao, inaugurato
nel Febbraio del 1997, è stato accolto con entusiasmo non solo dagli
architetti ma anche dal pubblico. Un accenno al museo di Wright, per
paragonarne l’arditezza, sembra d’obbligo in tutte le
pubblicazioni.
Su
“Zodiac” n°12, essendo l’articolo anteriore alla costruzione
dell’edificio, la descrizione non è accompagnata da giudizi. Si legge
che “gli spazi della galleria sono articolati come grandi volumi
rettangolari disposti uno sull’altro”.
Sulla
rivista “The Architectural Review” n°1210 del dicembre 1997,
Catherine Slessor afferma che il fatto di avere scelto Gehry segnala il
desiderio, da parte della fondazione Guggenheim, di creare un edificio
che eguagliasse, se non superasse, l’originalità della spirale di
Wright. Certo Gehry ha dovuto impegnarsi molto per cercare di superare
un precedente così illustre. Le foto degli interni si riferiscono
all’atrio, al bar ed ai collegamenti. Un secondo articolo, di Annette
Lecuyer, spiega
dettagliatamente l’utilizzo del computer per il disegno e la
realizzazione del museo.
Sulla
rivista “The Architectural Record” n°10 dell’ottobre 1997, Karen
D. Stein racconta come è nata l’idea di questo museo. Spiega che le
sale espositive si distinguono in due tipologie, definite dallo stesso
Gehry: quelle per gli artisti morti, che hanno forma quadrata o
rettangolare, e quelle per gli artisti viventi, con forme più
irregolari.
Su
“A + U” n°7 di luglio 1998, Michael Webb afferma che Gehry doveva
affrontare una sfida: “fornire un compagno spettacolare alla rotonda
di Wright”.
Viene sottolineata l’importanza dell’utilizzo del computer “per
costruire l’incostruibile”. “Come la rotonda di Wright questo è
un edificio che sfida
i collaudi”.
L’immenso
volume frastagliato, che sembra un fiore che sboccia, si staglia deciso
nel profilo di Bilbao. Il forte impatto dell'edificio, visto dalla città,
sconcerta il visitatore che probabilmente si interroga sul suo interno.
Ma iniziando la visita, la regolarità delle sale espositive, così
uguali a quelle di molti altri musei, placa lo stupore. Non ci sono
quadri appesi a pareti inclinate in modo irregolare o stanze a forma di
scatole schiacciate come si potrebbe immaginare dall'esterno. Solo le
sale per gli “artisti viventi” hanno pareti curve e la più
spettacolare è quella chiamata “the fish” che passa al di sotto del
Puente de la Salve con i suoi 130 metri di lunghezza. Quindi non ci sono
motivi di critica. Questo museo non rivoluziona il concetto di museo,
non cambia i criteri allestivi, non tradisce le aspettative. Le modalità
di fruizione
non cambiano: si passa da una sala all’altra come al solito.
Per
questo motivo ritengo che abbia meno carica innovativa del Guggenheim
Museum di New York. Wright ha creato un museo unico: una sola galleria
espositiva che si avvolge attorno all’atrio.
Non
metto in dubbio che siano entrambi dei capolavori architettonici e che
il genio di Gehry si noti anche nel perfetto inserimento urbanistico. Ma
credo che Wright abbia creato un edificio del futuro, librando la sua
fantasia dove i contemporanei non riuscivano ancora ad arrivare, mentre
Gehry ha rinnovato un edificio del passato. Wright ha inventato un nuovo
tipo, Gehry ne ha trasformato uno esistente. L’innovazione di Gehry
riguarda la tecnologia di progettazione e costruzione non il
funzionamento del tipo architettonico del museo.
D'altra
parte Wright, che non conosceva la modestia, sapeva di essere un passo
avanti e, sull'area del Museo Guggenheim, disse al suo assistente
"tra mille anni cercheranno ancora di comprenderlo".
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