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2. Il museo pubblico.

Nascita del concetto di museo moderno.

Il dibattito sulla conservazione delle testimonianze materiali della storia fu inaugurato, in epoca moderna, dall’invettiva di Leon Battista Alberti contro il degrado del patrimonio classico nella Roma della rinascita dei valori degli Antichi. “Le ruine di Roma sono ancora il sostegno di Roma moderna” affermò l’Alberti.[15] 

I frammenti del passato, prima che diventasse mitico, erano sempre stati riutilizzati e reinterpretati, la città era cresciuta sulle rovine di quella antica. Ma con la riscoperta della cultura classica l’antico acquistò valore artistico e storico.

Gli edifici antichi vennero rilevati con cura mentre i reperti furono posti nei giardini o sulle facciate “come fondale scenografico della vita collettiva”.[16] Questo “riciclaggio” dell’antico fu alimentato da Winckelmann e dai numerosi scavi archeologici iniziati in quell’epoca. Non si trattava ancora di un museo, poiché lo scopo era più estetico che divulgativo e didattico. 

All’alba del XIX secolo, il ruolo ed il senso dell’esporre subirono modificazioni legate alla nascita del concetto di museo moderno, inteso come edificio di nuova fondazione costruito per contenere collezioni pubbliche di beni mobili.[17] Con il museo, luogo sociale destinato all’uso pubblico, nacque il problema della sua forma e della sua definizione spaziale.

L'organizzazione spaziale del museo: un dibattito ancora aperto.

Se nelle case-museo l’organizzazione era soggetta al capriccio del privato, nei musei pubblici essa deve tenere conto del ruolo didattico che questi si trovano a svolgere.

Il modello di Durand trovò larga applicazione durante tutto l’Ottocento poiché esso era la sintesi degli esempi del passato: la galleria, come percorso lineare cadenzato dagli oggetti esposti; la sala, come luogo del percorso circolare tra gli oggetti esposti; la rotonda come elemento ordinatore dell’intera composizione, non necessariamente legato a funzioni espositive ma più propriamente alle manifestazioni pubbliche. E’ dunque un museo formalmente definito tanto che diverrà il modello dei musei d’arte ottocenteschi, copiato nella tipologia e negli elementi compositivi. Lo stile che rispecchiava i contenuti e i valori culturali del museo d’arte era quello Classico. 

Verso la metà del secolo il museo spostò il suo campo di coinvolgimento dal pubblico generico allo studioso e i suoi spazi cambiarono significato, ma la rotonda rimase un elemento emblematico della costruzione. Essa era il luogo in cui si osservava: non solo le opere esposte ma anche l’edificio stesso e gli altri visitatori. Il museo diventò un “luogo di culto”[18] prima che luogo destinato alla divulgazione dei suoi contenuti. 

I razionalisti, come già avevano fatto gli illuministi, si prefissero di ridare al museo la sua funzione pedagogica. 

Dall’inizio del 1900, come afferma il Carbonara, furono tentate alcune schematizzazioni grafiche per stabilire rapporti tra le opere e conseguenti modelli di circolazione, per lo più a percorso obbligato.

Ma sempre più spesso i musei assumono un “ordinamento mobile”[19] per potersi adattare ai continui cambiamenti di esigenze propri dei musei d’arte contemporanea. I musei di Le Corbusier e Mies van der Rohe appartengono a questa categoria. L’ordinamento mobile ha però il difetto di disorientare i visitatori inesperti cui rimane il dubbio di aver tralasciato qualche opera importante del museo.

Oggi, nonostante l’esistenza di mezzi di comunicazione culturale più accessibili e diffusi, quali i prodotti informatici e dell’immagine. Il museo rimane il luogo della conoscenza materiale concreta dei prodotti storici e artistici. Un CD-rom o una videocassetta non potranno mai sostituire un museo.

[continua]

NOTE:

[15] “I luoghi del museo” Luca Basso Peressut 

[16] ibid. 

[17] ibid. 

[18] pag.1434 in  “Architettura pratica III – tomo secondo” P. Carbonara

[19] “Architettura pratica” P. Carbonara 


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