4.
Guggenheim di Bilbao:
quando
la tecnologia crea la forma.
Il
Museo Guggenheim di Bilbao
fa parte di un vasto programma di riassetto urbanistico che ha come
scopo principale il recupero delle aree dismesse.
Nel
1991 Thomas Krens idea il progetto di una “costellazione”
internazionale di musei, “ciascuno dei quali contribuisca
all’identità di Guggenheim con il proprio ruolo“.
Egli, direttore della fondazione Solomon R. Guggenheim dal 1988, ha
avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo museo. Egli
voleva “a tutti i costi un edificio ancor più provocatorio del museo
di Wright a New York”.
Fu proprio lui ad invitare Gehry a Bilbao per avere una sua opinione ed
entrambi si trovarono d’accordo sul fatto che il museo avrebbe dovuto
distinguersi nettamente dal tessuto cittadino “in modo da essere esso
stesso motivo di attrazione”.
Frank
O. Gehry afferma: “quindici anni fa (mentre progettava il “Temporary
Contemporary" di Los Angeles) pensavo che un edificio avrebbe
dovuto inchinarsi all’arte. Gli artisti mi dissero che non era vero;
essi si erano battuti duramente perché volevano esporre in un edificio
che la gente rispettava, non in un contenitore neutrale. Krens mi spinse
ad essere più aggressivo, notando che a New York gli artisti
diventavano furiosi nella spirale e da ciò nascevano cose
interessanti...”.
Inoltre
Krens raccomandò ai tre gruppi di architetti partecipanti al concorso
di idee per il museo - Arata Isozaki, Coop Himmelblau, Frank O. Gehry
– di entrare in relazione con il Puente
de la Salve, collegamento tra il centro storico e la zona direzionale.
L’esuberanza del Nuovo Mondo conquistò la giuria.
Se
Wright aveva piegato alle sue esigenze un materiale già sperimentato
utilizzan-dolo in modo innovativo, Gehry adatta il metodo di
progettazione ad un nuovo materiale, il titanio. Senza l’ausilio del
programma di disegno Catia, originariamente creato per la proget-tazione
aerospaziale, che ha permesso di passare direttamente dai plastici ai
disegni, questo museo sarebbe stato irrealizzabile. Esso ha
razionalizzato gli intuitivi concetti formali di Gehry trasformandoli in
superfici curve. Ha tradotto queste ultime nei segmenti della struttura
primaria definendone esattamente la misura e posizione.
Il
progetto è stato evidentemente creato partendo dall’esterno. Gli
schizzi iniziali di Gehry sono evidentemente riferiti alla forma esterna
dell’edificio. Infatti volumi interni ed esterni hanno connotati
diversi, come si può notare dalle sezioni.
Gehry,
come Wright, risolve il rapporto tra museo e città in modo insolito per
noi europei, “abituati a musei che hanno una serie di gradini da
salire, prima di raggiungere l’ingresso monumentale”.
Qui l’ingresso si trova sei metri sotto il livello stradale e si
scende una rampa per raggiungerlo. E'’ più visibile l'ingresso del
bar-ristorante che quello del museo, quasi si volesse sottolineare il
fatto che la massificazione riguarda anche i luoghi tradizionalmente
appartenenti ad una cultura elitaria.
L’atrio,
alto 50 metri, è uno degli spazi più significativi del museo: “si è
talmente avvinti dalle continue e inesauribili sorprese spaziali da
avere come unico obiettivo la visione del contenitore”.
Nel Museo Guggenheim di Wright invece “dopo aver percepito la
straordinaria semplicità dello spazio, si è in mostra con i quadri”.
Lo
schema planimetrico è caotico, i volumi delle sale espositive si
incastrano con quelli irregolari dell’atrio. L’incontro fra i
diversi volumi che costituiscono le sale espositive è risolto tramite
pareti di vetro.
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